• Non ci sono risultati.

e demonstratio nella Rhetorica ad Herennium, «Rivista di filologia e di istru-

zione classica», 135 (2007), pp. 289-308; per Plutarco le coordinate sono tracciabili fra R. Hirsch-Luipold, Plutarchs Denken in Bildern. Studien zur literarischen, philosophischen und religiösen Funktion des Bildhaften, Mohr Siebeck, Tübingen 2002, e i saggi raccolti in G. Santana Henríquez (ed.), Plutarco y las artes. XI Simposio Internacional de la Sociedad Española de Plutarquistas, Ediciones Clásicas, Madrid 2013; per approdare eventualmente a A. Rees, Respicere exemplar uitae: lectures horatiennes et poétiques de l’imitation chez les humanistes français et italiens, «Camenae», 13 (2012), pp. 1-15.

16 Cfr. per questo variegato panorama almeno C. Braider, The paradoxical

sisterhood: ‘ut pictura poesis’, in The Cambridge History of Literary Criti- cism, 3: The Renaissance, Cambridge University Press, Cambridge 1999, pp. 168-175. E per il prevalere dello schema retorico in detto panorama si veda lo studio di C. Eck, Classical Rhetoric and the Visual Arts in Early Modern Europe, Cambridge University Press, Cambridge 2007. 17

M. Baxandall, Giotto and the orators: humanist observers of painting in Italy and the discovery of pictorial composition, 1350-1450, The Claren- don Press, Oxford 1971, cap. 1.

rico che Vasari potrà siglare la visione di questi letterati, per i quali l’esempio sommo di Giotto viene a coincidere col suo na- turalismo nonché con gli esiti della sua razionalizzazione dello spazio architettonico tali da imporre un preciso ordine sul caos, e dell’arte barbarica e della mancanza di visione unitaria che aveva qualificato il costruttivismo dell’età pre-quattrocentesca. Sullo sfondo di tutto questo, l’esigenza ormai accreditata come ‘moderna’ di rappresentare non più le cose come sono ma come dovrebbero essere (l’episodio di Zeusi a Crotone aveva prospet- tato proprio questo, vale a dire l’esigenza di attenersi al modello dell’inventio al fine di infrangere i limiti dell’esperienza natura- le e della mimesi), puntando a quella che sarà la belle nature del 700, fortunata costruzione immaginativa creata attraverso l’imi- tazione dei testi classici piuttosto che sul fondamento dell’espe- rienza reale.18

Il progetto rinascimentale fu – lo sapete benissimo – quello di rappresentare e ordinare il mondo in forma di linguaggio: e può essere sorprendente rilevare che il termine enargeia ricorra come uno dei più frequenti all’interno di queste procedure.19

Nulla di sorprendente in realtà, perché, se Cicerone e Quintilia- no insegnavano che l’eloquenza ha tutta la sua forza nella capa- cità dell’oratore di creare ‘una visione verbale’, solo imitando l’arte il poeta-scrittore è ora in grado di realizzare la perfetta

istoria.20 Ed è una sorta di ‘realismo affettivo’ a costituire la

chiave di volta di un’arte ora retoricamente pensata: l’episodio di Timante di Cipro poté effettivamente rappresentare, da Leon Battista Alberti a Montaigne, la possibilità per l’arte verbale di figurare qualche cosa che sta aldilà del reale (la pena cioè di Agamennone per il sacrificio di Ifigenia realizzata tramite una velatura del volto del padre). Così per il Poliziano dell’Oratio in

expositione Homeri, la poesia di quel grande è lodata per il ca-

rattere visionario della sua mimesi; Scaligero e Montaigne esal- tano l’enargeia ispirata ai segni pittorici emotivamente caricati, presente nella descrizione virgiliana dello scudo di Enea, risul- tando la sua fittizia irrealtà più reale e pregevole della vita stes-

18

Braider, The paradoxical sisterhood, p. 173.

19 F. Rigolot, The rhetoric of presence: art, literature, and illusion, in The

Cambridge History of Literary Criticism, pp. 161ss. 20 Ivi, p. 163.

sa, con Virgilio che aveva di fatto già posto le basi di tutto que- sto quando aveva parlato dello scudo nei termini di non enarra-

bile textum:21 è il luogo classico in cui il consapevole uso

dell’enargeia e insomma l’adeguamento della parola ai segni artistici dà vita a un prodotto verbale superiore altrimenti ina- nimato. Sarà quindi il trionfo dell’illusionismo dell’arte portato dentro la verbalità dai mezzi della retorica e fors’anche la vitto- ria dell’arte figurativa sulle parole quale è centrata, oserei dire in forme persino modellizzanti, dal Laocoonte di Raffaello den- tro il progetto portato avanti da quell’artista di verificare le po- tenze significanti dell’arte figurativa ‘moderna’ a fronte del mo- dello verbale virgiliano.22 Culmine del rifiuto in generale della

mimesi troveremo allora in Erasmo, De duplici copia verborum

et rerum, in un anno davvero precoce come il 1513:23 in questo

suo testo ‘sull’abbondanza di parole e idee’ l’umanista discute l’immagine della cornucopia, usata di solito per indicare la pro- duttività del discorso letterario. Passa allora a dire dell’enargeia ricordando che vi ricorriamo quando non riusciamo a dire una cosa semplicemente e direttamente ma vogliamo farla presente agli occhi come se fosse in un dipinto a colori, non raccontata dalle parole, e che il lettore può vedere ma non leggere. Solo la descrizione dotata di enargeia porta l’oggetto o la scena effica- cemente davanti all’osservatore-lettore, e solo grazie ad essa – e all’insegnamento desunto dalla pittura – la parola può eccedere i limiti della sterile verosimiglianza e conseguire, scrive Erasmo, un altior sensus.24 Per chiudere con quest’èra potremmo allora e

infine ricordare che dietro tutto questo discutere resistette ov- viamente il timore umanistico circa la fallacia del linguaggio e l’indeterminatezza dei suoi significati: da cui un profluvio di

collaborative forms in età vicine, quali la letteratura degli em-

blemi e Alciato, i sogni figurati come Polifilo e Delfilo, i rebus come in Jean Marot, persino l’arazzeria se si pensa a Enrique de Villena, ogni elemento inteso a rinnovare la tradizione classica e medievale di technopaegnia e carmina figurata.

21 Ivi, p. 164.

22 Su questo episodio decisivo per la storia artistica del Rinascimento ita-

liano ho in corso di stampa sulla rivista «Hvmanistica» il saggio specifico Per la disputa fra poesia e pittura nel Rinascimento: Virgilio e Raffaello.

23 F. Rigolot, The rhetoric of presence, p. 165. 24 Ivi, p. 166.

Ora che abbiamo toccato da vicino alcuni effetti di collabo- razione facciamo un passo indietro; magari per dire che ci siamo sbagliati, e che Orazio, con la sua abusatissima formula, tutto intendeva tranne che fondare un paragone fra arti plastiche e letterarie. Ed è proprio così, vittima di letture disinvolte, di con- trosensi, abbagli e interpretazioni abusive,25 l’ut pictura poesis

come la leggiamo noi è un’invenzione teoretica del Rinascimen- to, che ha mescolato le carte assai ed è il motivo per cui ho vo- luto insistere su quello che era accaduto a mio avviso concreta- mente, cioè storicamente nei meandri dell’antico rapporto inte- rartistico. Anzi, arrivo a dire per via di paradosso che l’aver pa- ragonato pittura e poesia in base al precetto oraziano ha ottenuto di isolare ciascun’arte nelle sue prerogative, di distanziarle in- somma invece che avvicinarle; d’altronde, se una avrà servito da modello ‘differente’ all’altra, lo spirito di sintesi delle arti non possiamo se non dirlo estraneo all’estetica classica (che di fatto si fonda su una rigida gerarchizzazione delle arti medesi- me).26 L’ut pictura poesis avrebbe in realtà lo scopo di afferma-

re la dignità della pittura, di elevarla a rango di un’arte liberale assimilandola alla poesia: “la pittura è come la poesia” vuol dire che come la poesia la pittura è un’arte nobile, di invenzione, intellettuale e non meccanica. Nella realtà dei fatti Orazio, anco- ra nell’Epistola ad Pisones ma in un luogo più avanzato rispetto a quello famigerato dell’ut pictura, aveva come dati per risolti la questione e il dilemma nei termini che ho appena indicato. Vero è che la critica ha preferito nel tempo prestare ascolto qua- si in esclusiva alle complicazioni di una formula e niente affatto alle più precise determinazioni testuali pure già portate a effetto in antico.27 Intendo che a fondamento di un percorso secolare

stanno un equivoco bell’e buono e una riflessione tutto somma- to opposta a quella corrente, e cioè il dover ciascuna arte defini- re il suo proprio recinto, l’esigenza di non fondere le proprie pertinenze nonché il proposito di guardarsi o di studiarsi da re-

25

Cfr. A. Larue, De l’Ut pictura poesis à la fusion romantique des arts, in J. Caullier (ed.), La Synthèse des arts, Presses du Septentrion, Lille 1998, pp. n. n. [2-5].

26 Ibidem.

27 Cfr. anche per questo Ph. Hardie, Ut pictura poesis? Horace and the

Visual Arts, in N. Rudd (ed.), Horace 2000. A Celebration. Essays for the Bimillennium, The Scholar’s Press, London 1993, pp. 120-139.

ciproca, rispettosa distanza.28 Ricorderei che Madame de Staël

faceva dire esplicitamente a Corinne, sua portavoce, che nel confrontarsi le arti finiscono per perdere le loro migliori prero- gative… Caso mai entrambe potrebbero condividere senza peri- colo di inquinarsi reciprocamente procedimenti retorici, analo- gie, metafore…

Ecco allora che ci vorranno gli Illuministi e Lessing a travol- gere quella che era diventata una malintesa e (abilmente ?) strat- tonata formula.29 Sarà proprio Lessing a demolire l’assunto mi-

metico e forse lo stesso impianto o l’egemonia teorica dell’ut

pictura poesis, una volta per tutte spostandone il senso e ponen-

do le basi per una nuova stagione nella quale, specie per l’am- bito accademico, svanita la querelle del paragone, sarà il con- cetto di aequa potestas a farla da padrone. Lo spirito enciclope- dico dei Lumi fu quello che mirò più di ogni altro ad analizzare gli effetti prodotti dalle singole arti e i loro valori performativo- educativi, facendo sì che tutte le arti si impadronissero, metten- dola in evidenza, di una fenomenologia delle passioni sul mo- dello dell’ordine del discorso (come aveva fatto vedere Poussin che, citando Tasso e sostituendo ‘poesia’ con ‘pittura’ aveva scritto essere la pittura nient’altro che l’imitazione delle azioni umane, costituendo già questo il superamento della pregiudizia- le mimetica). Siamo ancora dentro il retaggio dell’esperienza rinascimentale: ma se prima si imponeva al pittore di narrare

28

È da qui d’altronde che sembra partire buona parte della recente rifles- sione critica attorno all’ut pictura poesis – per intenderci fra Mitchell e Krie- ger – concorde nel ritenere mai realizzata un’effettiva fusione operativa tra le due arti, se non in ben individuati episodi d’epoca recente, che so, di proposta wagneriana o nella circostanza a suo modo esemplare (e dunque circoscritta alla temperie romantica) del ballo parigino descritto da Alexandre Dumas nei capitoli 224-229 dei suoi Mémoires per l’anno 1833 – per questo cfr. ancora Larue, De l’ut pictura poesis, p. n. n. [8].

29 Beninteso, a Lessing interessa assai in specifico rilevare, col Laocoonte,

quanto nell’opera d’arte conti l’adeguamento fra concetto e realizzazione materiale: il dare corpo cioè a un pensiero attraverso lo stretto vincolo fra conoscenza sensibile e conoscenza intellettuale (cfr. F. Mazzara, Il dibattito anglo-americano del Novecento sull’ekphrasis [testo in rete], pp. 9-13). Nel caso della proposta di ‘sintesi delle arti’ abbiamo a che fare con una sorta di devianza tutta romantica rispetto ai significati originari condensati nella for- mula dell’ut pictura poesis. Vd. in ogni caso W. Barner, Le Laocoon de Les- sing: déduction et induction, «Revue germanique internationale», 19 (2003), pp. 131-143.

un’istoria, ora si chiede agli scrittori di far tesoro della lezione dei pittori – operando dunque un rovesciamento della visione classica, essendo l’atto del dipingere oramai diventato fenome- no dell’ordine del pensiero.30 Dunque fu questo secolo a produr-

re forte valorizzazione delle analogie fra le due arti, purché il gioco si svolgesse nel campo dell’immaginario introducendo comunque un’inattesa variabile: Diderot introduce “la dimen- sione scopica della rappresentazione”, il regime del vedere, il dominio del fare quadro della realtà:31 si impone cioè il lin-

guaggio della pittura – ora superior ars – che scrive ormai il suo proprio testo, sensibile com’è più di ogni disciplina alle variabili dell’immaginazione e in termini di passioni e sensibilità indivi- duale.32

E vengo ora al nodo che mi interessa in specifico. Il gigante- sco lavoro di integrazione del pittorico e del grafico operato all’interno delle Fleurs du mal è ciò che principia e definisce l’avventura moderna dell’ut pictura poesis e del suo abbandono del vecchio cliché mimetico: gli scrittori parlano di pittura per- ché sanno che si può reinventare il quadro col pretesto di farne

la descrizione;33 ottengono così le qualità sensibili e suggestive

proprie del visibile, senza nemmeno contestare la distinzione fra

30

Vd. allora i nuovi spazi di lettura del fenomeno in età moderna aperti da ormai canonico libro di J. Unglaub, Poussin and the Poetics of Painting, Cambridge University Press, Cambridge 2006.

31 Cfr. per questo aspetto le pagine di S. Lojkine, La Jambe d’Hersé. Écri-

ture de l’image et cristallisation scopique dans les Salons de Diderot, in Écrire la peinture entre XVIIIe et XIXe siècles, P. Auraix-Jonchière (ed.),

Presses Universitaires Blaise Pascal, Clermont-Ferrand 2003, pp. 75ss.

32 Del resto lo stesso obiettivo di Winckelmann sarebbe stato (secondo

Élizabeth Décultot, Johann Joachim Winckelmann Enquête sur la genèse de l’histoire de l’art, Presses Universitaires de France, Paris 2000, passim) quel- lo di fare opera di parole non più tramite una pura descrizione bensì attraver- so la realizzazione di un analogon verbale di tele o di sculture, ottenuto in forza di un approccio ideale/sensibile.

33 Cfr. D. Schneller, Écrire la peinture: la doctrina de l’Ut pictura poesis

dans la littérature française de la première moitié du Xxe siècle, «Revue

d’études françaises», 12 (2007), pp. 133ss. Ma la figura di Baudelaire agisce come una sorta di faro nel clima di ri-orientamento dei segni, letterari e pitto- rici, di quella fase ottocentesca: non possiamo nel caso se non limitarci a cita- re un insieme di saggi che di recente ha potuto fare il punto su questo proces- so dalle infinite rifrazioni culturali, e cioè F. Benzina (ed.), Autour de Baude- laire et des arts, infini echos et limites des correspondances, L’Harmattan, Paris 2012.

letteratura e pittura, dunque Baudelaire può professarsi discepo- lo insieme delle parole di Poe e dei segni di Delacroix. È l’epoca della ‘visione creatrice’, equivalente al fare di un quadro un’immagine mentale e dei suoi effetti il principio fondativo della stessa scrittura,34 sfruttando la tentazione plastica o in-

somma l’efficacia estetica di un’immagine che di fatto si è im- padronita e del reale e dei moti dell’anima: i romanzi d’artista diventano discorso sull’io adattato al discorso sull’arte (esempio sommo il Fromentin di Dominique, intento a seguire i meandri della propria psiche attraverso le immagini speculari di sé che lo scrittore viene creando per mezzo delle parole).35 Viene qui a

maturazione un percorso cominciato lontano, se torniamo a pen- sare a quella che era stata l’introduzione nevralgica del princi- pio di enargeia nella nostra storia: è stata del resto a suo tempo Svetlana Alpers ad accomunare la tecnica descrittiva di Vasari a quella degli antichi in nome proprio dell’esigenza di rendere un’immagine vivida all’occhio della mente dell’osservatore:36 il

caricamento emozionale è diventato la discriminante nel con-

fronto ravvicinato fra le due arti, e ora l’ecfrasis romantica si appropria di tutto ciò che l’arte mette a sua disposizione proprio in termini di un’energia emozionale che diventa immediatamen- te rappresentativa: saranno perciò I momenti-culmine dell’Ode

on a Grecian Urn di John Keats, il byroniano Childe Harold’s

34

Vd. allora C. Grall, «Des tableaux se transformeraient en poèmes…»: à propos d’une référence picturale chez Hoffmann et Eichendorff, in Écrire la peinture, pp. 173-186. 35

La figura centrale di Fromentin è studiata sotto la classica doppia ango- latura specie da A. Bergerol, L’oeuvre littéraire et plastique d’Eugène Fro- mentin: parallèle et complémentarité, San Josè State University, San Josè 2013 (ma vd., in mezzo a una bibliografia oceanica, l’esatto profilo tracciato da V. Magri-Mourgues, Eugène Fromentin, serviteur de deux muses. Littéra- ture et peinture, Fez 1996). Quanto al romanzo d’artista, si tratta ormai di un ‘genere’ codificato dalla critica più recente: varrà ricordare, anche per il loro valore di sintesi della bibliografia pregressa, sia l’opera di E. Sitzia, L’artiste entre mythe et réalité dans trois oeuvres de Balzac, Goncourt et Zola, Abo Akademi University Press, Abo 2004, sia gli studi raccolti nel volume di M.- Ch. Paillard (ed.), Le roman du peintre, Presses de l’Université Blaise Pascal, Clermont-Ferrand 2008. Un importante aggiornamento è venuto dal bel libro di N. Valazza, Crise de plume et souveraineté du pinceau. Écrire la peinture de Diderot à Proust, Garnier, Paris 2013.

36 S. Alpers, Ekphrasis and Aesthetic Attitudes in Vasari’s Lives, «Journal

Pilgrimage Byron, lo Shelley di On the Medusa of Leonardo da Vinci, sino alle ecfraseis di Hoffmann persino capaci di descri-

vere immagini prive di esistenza oggettiva.37

Certo anche questa fase nella storia dell’ut pictura poesis tiene dietro a una crisi del linguaggio e della rappresentazione, in questo caso quelli magnificamente rilevati da Michel Fou- cault nella sua lettura de Las meninas, dove a dominare non è più la difficoltà umanistica a imporre la griglia retorica sulla molteplicità del mondo quanto piuttosto, ora, il distacco delle parole dalle cose, e quindi il tentativo di quelle di riappropriarsi dei mezzi meglio idonei per riaccostarsi a queste.38 Si tratta

adesso di un momento centrale nell’itinerario che vede il sog- getto lirico sostituire in tutto e per tutto l’antica mimesi, sul so- stegno di un costante e ‘moderno’ paragone tra le arti. Qualcuno ha scritto che Le chef-d’œuvre inconnu di Balzac è prefigura- zione del credo astratto, e che Frenhofer anticiperebbe niente- meno che Jackson Pollock. Certo è che «la missione dell’arte non è copiare la natura ma esprimerla», e se il lavoro mimetico viene spinto all’estremo, alla fine l’artista si accorge che sulla tela non c’è più niente.39 Grazie ai suoi passaggi attraverso le

pagine del Journal di Delacroix, Balzac sa che il primato del colore sul disegno – e alla fine resterà solo ‘un muro di colore’ da cui sporge un piede – significa primato della complessità del- lo spirito creatore rispetto alla natura rappresentata; il caos fina- le dice proprio di fine e follia del mimetismo neoclassico e del- l’illusionismo di chi vuole copiare il reale magari ispirandosi a dei modelli (quindi allontanandosi inevitabilmente e parados- salmente da esso). Balzac resta il maestro, non so se il primo, nel delineare un autoritratto del romanziere en peintre, passando direttamente alla transposition d’art e ai quadri che nascondono

37

E valga allora per quest’ultima occorrenza almeno il saggio di M. Co- meta, Descrizione e desiderio. I quadri viventi di E. T. A. Hoffmann, Meltemi, Roma 2005.

38 M. Foucault, Les mots et les choses, Gallimard, Paris 1966, p. 25, trad.

it. Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1998, pp. 23-24.

39 Vd. per questo l’introduzione di Adrien Goetz a Honoré de Balzac, Le

Chef-d’œuvre inconnu, Gallimard, Paris 1994, p. 10, poi dallo stesso ampliata in Frenhofer et les maîtres d’autrefois, «L’Année balzacienne», 15 (1994), pp. 69-89.

interi romanzi.40 Ma ne scrisse da par suo Baudelaire, recensen-

do l’Exposition universelle del 1855:

On raconte que Balzac (qui n’écouterait avec respect toutes les anecdotes, si petites qu’elles soient, qui se rapportent à ce grand genie?), se trouvant un jour en face d’un beau tableau, un tableau d’hiver, tout mélancolique et char- gé de frimas, clairsemé de cabanes et de paysans chétifs – après avoir con- templé une maisonnette d’où montait une maigre fumée, s’écria: “Que c’est beau! Mais que font-ils dans cette cabane? À quoi pensent-ils, quells sont leurs chagrins? Les récoltes ont-elles été bonnes? Ils ont sans doute des échéances à payer?”. Rira qui voudra de M. de Balzac. J’ignore quell est le peintre qui a eu l’honneur de faire vibrer, conjecturer et s’inquiéter l’âme du grand romancier, mais je pense qu’il nous a donné ainsi, avec son adorable naïveté, une excellente leçon de critique. Il m’arrivera souvent d’apprécier un tableau uniquement par la somme d’idées ou de reveries qu’il apportera dans mon esprit.

Il quadro è sentito da entrambi gli scrittori coinvolti come una descrizione in potenza, l’origine di un racconto e insomma di una scrittura (poi Balzac da par suo avrebbe anche affrontato