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elaborata sulla base di proposizioni comparative o sostitutive proprie alla logica del sillogismo, usato anche nella forma del- l’entimema, ma ne contrae l’articolazione presentando con im- mediatezza la proposizione conclusiva. La metafora riceve da tale contrazione una <)2'=0$( che genera nell’interlocutore, in- sieme alla sorpresa, l’attitudine alla visualizzazione mentale di un’immagine. Queste metafore, afferma Aristotele: «Inoltre, so- no brillanti se fanno apparire le cose “davanti agli occhi”, per- ché occorre vedere le cose quando avvengono e non nel futu- ro».6 Siffatta attitudine è designata dal grammatico Diomede

con un gioco fonematico che sostituisce l’aristotelica <)2'=0$( con <)>'=0$(. Ovviamente, nella metafora di metafore – procedimento specifico del Culteranesimo barocco assunto an- che dagli autori di teatro e in primo luogo da Calderón – il pro- cesso di contrazione di più sillogismi o entimemi tra loro coor- dinati porta all’espansione dell’energia metaforica visualizzante e della sorpresa generata dal suo esito.

Aristotele nella Poetica cita la metafora di Pindaro della «cerva dalle corna d’oro», come immagine scorretta rispetto al reale, ma del tutto necessaria se la mimèsi elabora il mondo del- la fantasia, poiché essa manifesta un ‘dover-essere’ necessario.7

Nel suo Aristotele e la Poetica del Cinquecento Galvano Della Volpe chioserà che la cerva di Artemide, doppio iconico della stessa dea, non può che dotarsi dell’ornamento delle corna, nella realtà solo maschile, e queste non potranno che risplendere della luce divina dell’oro.8

Di tal natura è il ‘dover-essere’ metaforico che, infatti, esteso a tutto l’arco della diegesi drammatica indurrà il lettore o lo spettatore al fondamentale processo psichico della catarsi, pro- cesso che si attiva soltanto con l’esperienza del verosimile, che per l’appunto elabora il ‘dover-essere’, e non con l’esperienza del reale che nel suo molteplice ed empirico svolgimento ci ap- pare frammentato e contraddittorio. Proprio l’esemplarità razio- nale dell’elaborazione metaforica ci permette di attingere al mi- stero ultimo della natura e del cosmo, applicando quel «princi-

6

Aristotele, Retorica, testo critico, traduzione e note a cura di M. Dorati, Mondadori, Milano 1996, p. 333.

7 Aristotele, Poetica, 25, 1460b, 30, in Opere, 10.

pio di formatività» che governa l’Universo e, di conseguenza, si manifesta nel ‘dover-essere’ delle realizzazioni artistiche. Que- sto principio Aristotele lo definisce come >)?=@46 036 A"/5 B2#0;%, ovvero la forma necessaria che si ottiene da determi- nate condizioni.9

In tal modo la formatività poetica renderà possibile anche la rappresentazione dell’azioni più orrende e perverse, poiché la forma del ‘dover-essere’ con cui esse sono rappresentate indurrà al processo della catarsi.

L’istanza visualizzante del ‘dover-essere’ metaforico non è stata considerata dagli esegeti rinascimentali della Poetica, dal Trissino, dal Castelvetro e dal Dolce al Pinciano. Ma, a partire dal dibattito sulle pretese «tre unità» del testo drammatico, è sta- ta da essi analizzata l’istanza collaterale della ‘verosimiglianza’ della diegesi, dalla quale discende quella dell’azione scenica. Sotto questo aspetto El arte nuevo de hacer comedia en este

tiempo (1609) di Lope de Vega perviene a posizioni anti-

accademiche di estremo interesse, rivalutando, a fronte dell’os- sequio formale alla precettistica ‘unitaria’, la considerazione di un senso diegetico complessivamente unitario e dunque verosi- mile come mimèsi della realtà, proprio grazie alle digressioni nel tempo, nello spazio e nell’azione, e perfino nello stile; le quali digressioni rendono comunque il teatro vario come la vi- ta.10

La semiologia del Novecento ha focalizzato il rapporto che lega il testo drammatico alla rappresentazione, recuperando fon- damentali istanze aristoteliche. La linguistica saussuriana ha messo in risalto con Jakobson11 le funzioni metaforiche, decisi-

ve nell’attuare i processi visuali propri all’<)2'=0$( della meta- fora con il loro operare in ogni genere di poesia sulle funzioni di tipo metonimico della diegesi, trasponendole sull’asse della si- milarità. Da qui procede Mounin,12 che addirittura sottrae alla

semiologia il dominio dell’indagine sul testo drammatico, poi- ché la funzione linguistica di questo testo sarebbe quella «osten-

9

Aristotele, De Partibus Animalium,in Opere, 642a, pp. 33-34

10 E. Cancelliere, Aristóteles, Lope y la teoría de lo verosímil, «Anuario

Lope de Vega», 12 (2006), pp. 35-56.

11 R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1972; in

particolare Due aspetti del linguaggio e due tipi di afasie, pp. 22-45.

siva», al pari delle arti figurative, mentre la scienza semiologica analizza i linguaggi come processi non di ‘ostensione’, ma di ‘comunicazione’. Ne segue, secondo Pavis,13 la preminente fun-

zione iconica del testo destinato alla scena, destino evidenziato sia dal TS, il «testo-spettacolo» oggetto dell’indagine di De Ma- rinis,14 sia dalla «bucalità» del testo drammatico come rinvio al-

la sua messinscena, constatata dalla Ubersfeld.15

Sulla base delle «teorie degli atti linguistici» elaborate da Searle16 e da Austin,17 Elam18 afferma che il teatro è caratteriz-

zato dalla illocuzione – ovvero gli atti che indicano un’azione e incitano a risposte – e dalla perlocuzione – ovvero azioni di ri- sposta o di interazione – e che proprio illocuzioni e perlocuzioni costituiscono l’azione drammatica tutta, e non le funzioni sem- plicemente locutive, determinando le attese del pubblico quanto alle loro realizzazioni e ai loro mancamenti. Da qui, secondo Serpieri,19 il valore degli atti linguistici costituiti dai ‘deittici’ di

tempo, di spazio e dimostrativi, i quali tutti inducono all’im- mediata visualizzazione mentale del discorso. La deissi, rin- viando alla scenografia, e alle azioni e passioni dei personaggi e alle stesse emozioni del pubblico, fa del dramma un «linguaggio performativo» che supera l’impasse tra lingua scritta e rappre- sentazione con parole che sono azioni.

Gli studi attuali sul teatro spagnolo, condotti da Ignacio Are- llano,20 hanno esplorato la questione cruciale del decorado ver-

bal analizzando i vari dispositivi della visione suscitati dalla pa-

13

P. Pavis, Problèmes de sémiologie théâtrale, Le Presse de l’Université du Quebec, Quebec 1976.

14 M. De Marinis, Semiotica del teatro. L’analisi testuale dello spettacolo,

Bompiani, Milano 1982,

15 A. Ubersfeld, THEATRIKÓN. Leggere il teatro, Editrice Universitaria

di Roma – La Goliardica, Roma 1984.

16 J.R. Searle, Gli atti linguistici, Boringhieri, Torino 1976. 17 J. Austin, Quando il dire è il fare, Marietti, Torino 1974. 18 K. Elam, Semiotica del teatro, Il Mulino, Bologna 1988.

19 A. Serpieri, Come comunica il teatro: dal testo alla scena, Il Formichie-

re, Milano 1978.

20 Si vedano I. Arellano, Valores visuales de la palabra en el espacio es-

cénico del Siglo de Oro, «Revista Canadiense de Estudios Hispánicos», Vol. XIX, 3 (1995), pp. 411-442; I. Arellano, Espacios dramáticos en los dramas de Calderón, in F. Pedraza et al. (eds.), Calderón, sistema dramático ytécni- cas escénicas, Universidad de Castilla La Mancha, Almagro 2001, pp. 77- 106.

rola poetica. È stato così analizzato il sistema dei procedimenti deittici atti a supplire nel testo alla carenza di definizione spa- zio-temporale del corral, ma sono state del pari analizzate le strategie retoriche che hanno consentito agli autori del teatro di Corte di rivaleggiare con gli scenografi italiani, sovrapponendo alla loro opera mirabile l’ancor più immaginifica elaborazione della ,()-(#.( volta al ‘dover-essere’ e alle sue raffigurazio- ni.

Ma sia negli autori del Corral che ancor più in quelli della Corte la funzione ostensiva è spesso rivolta alla funzione iconi- ca che risulta influenzata dalla coeva arte figurativa rinascimen- tale, manierista, barocca, soprattutto italiana e spagnola, la quale tuttavia alla classicità si ispira. Sulla scia dell’oraziano ut pictu-

ra poesis si procede allora nel solco della formula ut pictura spectaculum. Si introduce pertanto una stretta comparazione con

un altro linguaggio, quello delle Arti figurative, e se ne accol- gono le interferenze dal punto di vista dell’elaborazione del te- sto; ciò oggi comporta anche dei nuovi e necessari approcci me- todologici alla sua analisi. Non potremo dunque più prescindere, oggi, da approcci di tipo iconologico, con tutte le conseguenze quanto ad aperture a metodologie estetiche, storico-culturali, analitiche e perfino topologiche e matematiche, le quali tutte compongono il corredo dell’odierna iconologia. Insomma nel nostro caso il ‘secondo testo’ che si correla a quello letterario non è solo un’apertura alla visuale articolata in uno spazio- tempo virtuale, piuttosto è un ‘doppio iconico’, correlato a un’altra pratica artistica, determinata da ‘cause materiali’ e ‘cause efficienti’ specifiche, e dunque da una diversa -23)4,6 quella dell’Arte figurativa. E questo altro testo di tipo iconico pretende, dal lettore o spettatore, una competenza capace di atti- vare la sua fantasia.

Infatti la ,()-(#.(, articolandosi sull’esperienza e sulla memoria, può elaborare qualsiasi genere di attività poetica se- condo una ‘causa finale’ che prescinda dall’uso reale della ‘cau- sa materiale’, utilizzando comunque la specifica -23)4, la ‘cau- sa efficiente’, ma su materiali e su procedimenti in realtà solo virtuali.

Si tratta di riproporre l’operazione retorica di Filostrato, che

nel III secolo d.C. immaginò nelle sue CD@E)0% di vedere 64 di- pinti in un portico dell’ellenica Neapolis e li descrisse come se

fossero reali, grazie alla sua perizia di retore capace di articolare il testo secondo tropi e figure che inducevano il lettore ad una fruizione iconica mentale.

Ecco, se nel Barocco spagnolo vogliamo trovare delle rifles- sioni sull’attitudine visualizzante del testo drammatico e, ancor più, sull’attitudine iconica, più che i trattati di Poetica dobbiamo considerare i trattati di Retorica e Oratoria che rivolgono lo sguardo sia alla classicità sia agli autori contemporanei, com- presi quelli di teatro. Troveremo che le modalità visualizzanti e iconiche vengono elaborate da figure retoriche che simulano -23)4 e trattatistica delle Arti figurative, quella di Francisco de Holanda, Pacheco, dello stesso Calderón de El informe sobre la

pintura.21

Riposa dunque in un magistrale uso della Retorica il segreto dell’iconicità virtuale delle opere drammatiche tra Manierismo e Barocco, in una -23)4 specifica di elaborazione del testo in au- ge per finalità suasoriae nell’Oratoria da Demostene a Cicerone a Quintiliano, alla Panegiristica cristiana e ancora in una scienza del linguaggio che ha fondamento in Aristotele e si sviluppa poi tra sofisti, scettici, stoici, e Scuole di Retorica, fino alle dotte ri- visitazioni epocali che si concretizzano in monumenti come la

Agudeza y arte de ingenio di Gracián22 e ancor di più ne Il can-

nocchiale aristotelico di Tesauro.23

Tutte le funzioni retoriche che inducono alla percezione della spazialità e della temporalità fanno parte di ciò che i Latini chiamavano sermo ornatus. La sorpresa, la sua parziale e ben calcolata indecifrabilità costituiscono delle strategie retoriche dentro le quali si possono articolare con efficacia sia le funzioni deittiche che avviano alla formulazione mentale dello spazio- tempo e dell’azione, sia le funzioni più specificatamente iconi- che, capaci di esibire i ,()-7#+(-( come 0F&;G( viventi. La parziale perspicuitas messa in opera dall’interlocutore viene co-

21

E.R. Curtius, Calderón und die malerei, «Romanische Forschungen», 50 (1936), pp. 89-136. Cfr. E. Cancelliere, Dell’Iconologia calderoniana, in G. De Gennaro (ed.) Atti del Colloquium calderonianum Internationale, Uni- versità dell’Aquila, L’Aquila 1983, pp. 259-267.

22 B. Gracián, Agudeza y arte de ingenio, in Obras completas, ed. de A.

Del Hoyo, Aguilar, Madrid 1960.

23 E. Tesauro, Il cannocchiale aristotelico, a cura di E. Raimondi, Einaudi,

sì condotta a un accrescimento della sua competenza, a un più di sapere. Diremmo oggi con Della Volpe che è la onnicontestuali- tà organica del testo che agisce in tal senso, lasciando intendere la sua polisemia ma mai compiutamente.24

Qualità del sermo ornatus sono la compositio (ornatus in

verbis singulis) la dispositio (ornatus in verbis coniunctis) e in-

fine la concinnitas che riguarda l’armonia dello stile: struttura ritmica e musicale che regola la compositio e la dispositio.

Ma è mirabile quanto asserisce nel Sublime lo Pseudo Longi- no:25 alla tragedia e all’epica si addicono procedimenti di dispo-

sitio e compositio che inducono a immagini secche e vigorose,

accostate per dismisura, che ci fanno intuire l’incommensurabile dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande. Mentre alla poesia lirica si addice la xaris (elegantia, suavitas) una feli- ce corrispondenza tra il significante e il significato.

Ci pare significativo che tali categorie retoriche e altre quali

gratia, elegantia, pulcritudo relative all’attivazione di empatie,

siano tutte quante mutuate dalla -23)4 delle Arti figurative e dalla relativa trattatistica, sì da trovare puntuale codificazione già nel De Pictura dell’Alberti.26

Come per il pittore, i colori sono, dunque, per il poeta i tropi e le figure dell’evidentia: la deissi innanzitutto, ma sotto il do- minio della metafora troviamo rielaborate l’ecfrasi, l’antono- masia, la prosopopea, l’ipotiposi, l’iperbole, la ticoscopia, l’alle- goria, il paragone o similitudine, la sineddoche e la metonimia, anche antitesi e ossimori, e lo zeugma. Ma pure tropi e figure di per sé privi di funzioni visuali possono soccorrere, ad esempio l’anafora, il chiasmo e in genere le modalità fàtiche.

La compositio nelle opere degli artisti figurativi è da tempo analizzata dai critici d’arte di metodologia iconologica. Quanto ai poeti che usano i pennelli della retorica ecco allora, secondo le ‘modalità di inquadrature’ delle arti figurative quelle che ap- paiono come le sette modalità della visione iconica anche in let- teratura: la Skenè, il Tableau Vivant, il Simulacro, la Voltifica- zione, il Pathosformel, la Profondità di campo, il Labirinto.

24

G. Della Volpe, Critica del gusto, Laterza, Bari 1960, cap. II e III.

25 Pseudo Longino, introduzione, traduzione e note a cura di F. Donadi,

Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1991.

26 L.B. Alberti, De pictura, a cura di C. Grayson, Laterza, Roma-Bari

All’inizio di ogni rappresentazione è la scena la prima cosa visibile o quella che, mediante deittici, le parole offrono alla vi- sione della ‘fantasia’. Indizi materiali e verbali ci danno oppor- tune informazioni a comprendere quel che seguirà: dove siamo, in che tempo, i dati di partenza della situazione e alcuni perso- naggi. Ad esempio: un’oscura torre-caverna in una landa desola- ta e selvaggia, in un tempo fuori dal tempo. Vi precipitano da un favoloso ippogrifo due pellegrini, una dama in abiti maschili e un servo. Impreca la prima: «¿Aónde […] al confuso laberinto / de esas desnudas peñas / te desbocas, te arrastras y despe- ñas?».27 (I, vv. 3-9)

Errano tra rocce dirupi verso una fioca luce che proviene dal- la torre, alla scoperta del mostro prodigioso che vi abita, come in tutte le favole iniziatiche:

ROSAURA […]

Mas, si la vista no padece engaños que hace la fantasía,

a la medrosa luz que aún tiene el día me parece que veo

un edificio. (I, vv. 50-53) E poco oltre:

[…] La puerta,

mejor diré funesta boca, abierta está, y desde su centro

nace la noche pues la engendra dentro. (I, vv. 69-72).

Ma che cos’ è in realtà la scena? L’esiguo tablado, la pro- spettiva verticale, sempre la stessa, le aperture sul fondo, da una delle quali tremula forse un lumicino. E cosa ci offrono le prime battute? Tutti gli indizi necessari forniti dalle strategie deittiche perché l’ascoltatore/ lettore formuli l’intera scena virtuale e ac- ceda, anche se siamo in pieno giorno, a un paesaggio ‘tenebri- sta’ di evidente ascendenza pittorica. La raffigurazione allegori- ca di un teatro de infierno è così raggiunta con i mezzi più es- senziali in tutta la complessità dei suoi valori simbolici.

27

P. Calderón de la Barca, La vida es sueño, ed. C. Morón, Cátedra, Ma- drid 1991.

Questa prima modalità della visione semi-reale, o del tutto mentale se siamo solo lettori, chiamiamola con Aristotele moda- lità della Skenè. «Un luogo della mente, fuori dallo spazio e dal tempo, ma tale da identificarsi con i luoghi e i tempi di ogni azione drammatica», scriverà Italo Calvino nelle Lezioni ameri-

cane.28 Parole che Barthes condividerà in Sur Racine.29

Questa prima modalità della visione può anche offrirci in quella facciata di finto marmo e attraverso quelle aperture, e magari con l’ausilio di drappi e dipinti, le mura di una città, per esempio Babilonia ne La hija del aire di Calderón de la Barca.30

Ma anche una città intera, reale come ne El burlador de Se-

villa di Tirso. Un esemplare esempio di ‘topografia’ è la descri-

zione che Don Gonzalo fa in un lungo monologo che si apre con il verso «Es Lisboa una octava maravilla».31 Oppure ancora una

fortezza, un monte, e al di là delle sue aperture possiamo imma- ginare un porto, un deserto, una selva, un campo di battaglia.

La dimensione verticale nella Skenè era importante: sopra il

logheion, dove apparivano e parlavano gli uomini, c’era il theo- logheion, dove apparivano e parlavano gli dei. Ma questo pattern lo possiamo considerare, come abbiamo visto, valido

per ogni dimensione scenica della teatralità e delle sue funzioni. Anche nel Corral la dimensione verticale è imprescindibile alla costruzione di un percorso dal basso verso l’alto, proprio delle

Comedias de Santos.

La traiettoria ascensionale che, attraverso il martirio e la morte, trasforma Don Fernando in un puro spirito di luce divina, si costituisce sullo stesso asse verticale dei due piani che nel Corral sono deputati alla recitazione. Al sottile colto teorico di Del informe sobre la puntura (1677), non poteva sfuggire il senso complessivo di una qualità della visione a funzione narrativa e dramma-

28

I. Calvino, Cominciare e finire, Lezioni americane, Mondadori, Milano 2014, p. 125.

29 R. Barthes, Saggi critici, in particolare, L’uomo raciniano, Einaudi, To-

rino 1972, pp. 141-253.

30 P. Calderón de la Barca, La hija del aire, ed de F. Ruiz Ramón, Cáte-

dra, Madrid 1987, Segunda Parte, I, vv. 359-370.

31 Tirso de Molina, El burlador de Sevilla, ed. de I. Arellano, Editorial

tica che dal Manierismo italiano era giunta a El Greco a informare di sé il gu- sto pittorico, ma anche architettonico e scenografico, del Barocco.32

Spesso, grazie all’ingegnoso pescante, lì in alto si elevano i santi, le divinità e ogni forma di apoteosi e di catasterio.

Diciamo ancora di questa modalità che essa può rappresenta- re non solo la terra e i cieli, ma all’occorrenza l’universo mon- do, il cosmo e il caos, il tutto e il nulla.

La figura retorica privilegiata, assistita da ogni forma di deis- si, è allora la topografia ovvero la descrizione del luogo, il terri- torio immaginario della descrizione.

La seconda modalità della visione configura il Tableau Vi-

vant: due o più personaggi interagiscono, oppure si dividono in

più nuclei d’interazione. E queste interazioni possono anche svi- lupparsi nel tempo oltre che nello spazio, presentandosi tuttavia agli occhi della mente come una ‘forma’, soprattutto nel caso di una coreografia. Si tratta del primo vero problema di compositio affrontato anche dall’artista figurativo: quali sono quelli che de- vo rappresentare? E che cosa fanno e in quali pose e mimiche? Con quali distanze e piani della visione dall’uno all’altro? E qualcuno sarà in parte fuori dal quadro? O addirittura assente e tuttavia interagente con questo? L’armonia sia iconica che di- namica di molti capolavori della pittura raffiguranti scene d’in- sieme deriva dalle concrete risposte a questi interrogativi.

Nel caso del poeta drammatico la previsione si concretizzerà attraverso le figure retoriche che interessano la semiologia della prossemica,33 dunque prima di tutto i deittici di ogni tipo. E con-

ta anche la codificazione delle battute: dialoghi, monologhi ar- gomentativi o di relazione, soliloqui pensosi comportanti uno sguardo obliquo, voci fuori scena, sticomitie passionali, il pas- saggio al canto che richiede ‘pose a fermo’.

In definitiva è con la focalizzazione sul Tableau Vivant che le codificazioni retoriche e quelle più propriamente drammati- che aprono all’iconicità e alla sua armoniosa risoluzione, gene- rata dalla presupposizione di un punto di vista privilegiato che

32

E. Cancelliere, L’asse verticale della visione nel teatro di Calderón e nella pittura manierista, in A. Cancellier, R. Londero (eds.), Le arti figurative nelle letterature iberiche e iberoamericane, Atti del XIX Convegno dell’AISPI (Roma, 16-18 settembre1999), I, UNIPRESS, Padova 2001, pp. 77-86.

in genere fa coincidere lo spettatore con l’autore, così come in pittura con l’artista. Rispetto a siffatto punto di vista si defini- scono le componenti del Tableau e le loro relazioni; così, ad esempio, la posizione dell’a parte, che sovente accompagna il