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Accordi separati e dinamiche intersindacali

Nel documento Diritto delle Relazioni Industriali (pagine 67-111)

Le problematiche sollevate dalle intese separate hanno indotto parte della dottrina a rilanciare, in una prospettiva de iure condendo, il tema della legge sindacale vuoi con specifico riferimento alla efficacia

gene-rale del contratto collettivo aziendale (31) vuoi in relazione al più ampio tema della rappresentatività e della selezione dell’agente negoziale le-gittimato a sottoscrivere un accordo collettivo (32).

Non è certo questa la sede per ricordare le ragioni della mancata attua-zione dell’articolo 39 della Costituattua-zione e della scelta dell’astensionismo legislativo in materia sindacale. Anche a prescinde-re dalla convinzione che una legge sindacale finiprescinde-rebbe per compromet-tere il libero associazionismo (33) e negare il sistema di libera contratta-zione collettiva incentrato sul reciproco riconoscimento delle parti con-trattuali (34), resta il fatto che, sul piano delle dinamiche intersindacali, un intervento del legislatore non sarebbe certamente risolutivo delle di-verse problematiche sollevate dagli accordi separati. Ma non solo. Nel comprimere le libere dinamiche del sistema di relazioni industriali, la legge sindacale finirebbe per incentivare una deriva giustizialista affi-dando al giudice l’improprio ruolo di arbitro in una materia sino a oggi retta da logiche ordinamentali autonome rispetto a quello dello Stato (35).

Anche a prescindere dalla questione della titolarità del diritto di sciope-ro (36), una legge sindacale non potrebbe comprimere la libertà per il sindacato dissenziente (o un gruppo di lavoratori non iscritti alle asso-ciazioni firmatarie) di contrastare l’applicazione del contratto separato attraverso il conflitto collettivo. Il diritto di sciopero altro non è, infatti, se non una manifestazione della volontà di un gruppo di lavoratori or-ganizzati di sottrarsi dalle regole del diritto statuale e, dunque, da un vincolo giuridico di natura contrattuale pure formalmente esistente e vincolante. L’esercizio del diritto di sciopero non incide in altri termini

(31) Si veda, in particolare, l’intervento di R.DE LUCA TAMAJO che segue in questa sezione della Rivista. Dello stesso A. cfr., recentemente, Accordo di Pomigliano e cri-ticità del sistema di relazioni industriali italiane, in RIDL, 2010, n. 1, 337.

(32) Cfr., tra gli altri, i numerosi interventi di Pietro Ichino sul tema pubblicati in www.pietroichino.it e il suo d.d.l. 11 novembre 2009, n. 1872.

(33) Cfr., in particolare, M.GRANDI, Ci sono ancora i soci nel sindacato?, in Sindaca-lismo, 2008, 41-45, nonché il contributo di P.MERLI BRANDINI che precede in questa sezione e, sempre dello stesso A., Diritto e Rovescio, Edizioni Lavoro, Roma, 2002.

(34) Sul punto, ancora M.GRANDI, In difesa della rappresentanza sindacale, in DLRI, n. 104, 2004, 627, e, da ultimo M. GRANDI, I falsi amici della rappresentanza, in Conquiste del lavoro, 11 gennaio 2011.

(35) Secondo la nota teoria dell’ordinamento intersindacale di Gino Giugni. Vedi, in particolare, G. GIUGNI, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Giuffrè, Milano, 1960.

(36) Oggi ricostruito alla stregua di un diritto a titolarità individuale. Vedi supra nota 6.

sulla fattispecie giuridica di riferimento – e, segnatamente, sulla struttu-ra giuridica e sugli effetti normativi di un contstruttu-ratto collettivo (con o senza efficacia generale) – ma mira semplicemente a risolvere, nell’ambito delle relazioni industriali, il conflitto giuridico alla stregua di un conflitto economico o di interessi. Il contratto collettivo è, in ef-fetti, solo la rilevanza momentanea di un equilibrio di interessi, cristal-lizzato in una intesa, permanentemente suscettibile di modificazioni in relazione ai mutamenti dei rapporti di forza tra le parti contraenti e an-che tra le stesse parti contraenti e le parti non contraenti, ma dotate di forza di interdizione e cioè in grado di aggregare il consenso (al di là o meno di un percorso di verifica referendaria della intesa non previsto come obbligatorio dall’ordinamento e dunque affidato alla liberà volon-tà delle sole parti stipulanti) della maggioranza dei lavoratori interessati dalla applicazione del contratto collettivo.

Sul piano delle relazioni industriali, quindi, l’efficacia di un accordo separato non può che apprezzarsi in termini di effettività: l’accordo sarà applicato, al di là della cogenza per l’ordinamento statuale, se la capaci-tà di aggregazione del consenso delle parti stipulanti risulterà superiore alla forza di interdizione della parte dissenziente.

In questa prospettiva, occorre rilevare come anche la presenza di even-tuali clausole di tregua sindacale non incida su questa ricostruzione del problema. Questo perché, in prima analisi, nel nostro ordinamento giu-ridico le clausole di tregua non possono certo dirsi automatiche con la firma di una intesa collettiva. La giurisprudenza ha, anzi, affermato il principio in base al quale «la clausola contrattuale, contenente un tale patto, deve essere nel suo tenore chiara e deve attestare in maniera ine-quivocabile la volontà delle organizzazioni sindacali firmatarie di non far valere il diritto di sciopero per un periodo limitato di tempo. Ciò pone, nella materia in esame, dei rigorosi limiti all’interpretazione con-trattuale ed a opzioni ermeneutiche dirette ad estendere l’ambito appli-cativo delle relative clausole, per la necessità che la rinunzia del sinda-cato, proprio perché investe il principale suo strumento di autotutela, risulti provata, nella sua portata, senza margini di ambiguità ed incer-tezze» (37).

Secondo l’orientamento prevalente, inoltre, tali clausole non vincolano i singoli lavoratori, ma solo i sindacati stipulanti.

Anche volendo aderire alla tesi secondo la quale la clausola di tregua sindacale potrebbe rientrare tra quelle ad effetto non solo obbligatorio, ma altresì normativo, esse vincolerebbero, tutt’al più, unicamente i

(37) Cass. 16 febbraio 1998, n. 1600 in MGC, 1998, 342.

voratori aderenti alle associazioni contraenti o, comunque, i soli lavora-tori ai quali si applichi l’accordo, non certo la generalità dei lavoralavora-tori.

Il riferimento è a quell’orientamento, pur sostenuto in dottrina (38), se-condo cui il diritto di sciopero, essendo realmente negoziabile, assume-rebbe le vesti di una moneta di scambio sul tavolo della contrattazione collettiva. Essendo il soggetto collettivo titolare del diritto di sciopero, sarebbe, infatti, possibile attribuire l’effetto sospensivo caratterizzante tale diritto a qualsiasi obbligazione assunta da tale soggetto e non sol-tanto alla obbligazione di lavoro.

Da una tale visione deriverebbe l’inquadramento delle clausole di tre-gua tra quelle a effetto non solo obbligatorio, bensì anche normativo, circostanza che porterebbe alla previsione di una responsabilità diretta del lavoratore nei confronti del datore di lavoro nel caso di non rispetto delle stesse. In altri termini, la proclamazione di uno sciopero in viola-zione della clausola di tregua determinerebbe la illegittimità dello stes-so, con la conseguenza di rendere illegittima – anche dal punto di vista individuale – la adesione del singolo lavoratore, dal momento che l’ordinamento riconosce a quest’ultimo solo un diritto di attuazione del-lo sciopero in conformità alle modalità e nei limiti previsti dalle orga-nizzazioni stipulanti.

La questione della concreta giustiziabilità delle clausole di tregua, es-sendo le stesse inquadrate nella parte normativa del contratto collettivo – vista la stretta correlazione tra regolazione dei rapporti di lavoro e in-teresse collettivo espresso dall’organizzazione sindacale – si risolve-rebbe, dunque, con l’applicazione, al lavoratore inosservante, dei nor-mali metodi per l’inadempimento delle prestazioni corrispettive. Come detto, tuttavia, l’orientamento sul punto non è consolidato (39).

In ogni caso, ad essere vincolate sarebbero, unicamente, le organizza-zioni sindacali stipulanti (o, al limite, anche i lavoratori cui si applica l’accordo), libere restando, le altre organizzazioni sindacali non firma-tarie, di ricorrere allo sciopero in attuazione del precetto costituzionale

(38) A.ZOPPOLI,La titolarità sindacale del diritto di sciopero, Jovene, Napoli, 2006.

(39) Si può segnalare, sul punto, una recente sentenza (Trib. Siena 27 aprile 2008, n.

486, in RGL, 2009, n. 4) nella quale è stato affermato che l’accordo aziendale stipula-to tra il dastipula-tore di lavoro e la Rsu avente a oggetstipula-to la previsione di un aumenstipula-to salaria-le – a titolo di anticipazione sull’aumento che sarebbe stato previsto dal rinnovo del ccnl – a fronte della mancata partecipazione dei lavoratori a scioperi indetti a livello nazionale, regionale, provinciale o locale per il rinnovo del contratto collettivo di ca-tegoria, legittima il datore di lavoro a non riconoscere al lavoratore partecipante allo sciopero indetto a livello nazionale, il beneficio economico previsto dall’accordo. La sentenza pare avvalorare la possibilità di una sanzione civilistica, direttamente nei confronti del lavoratore, correlata all’inadempimento di una obbligazione.

di cui all’articolo 40 della Costituzione. Una eventuale legge ordinaria che volesse vietare il ricorso alla autotutela da parte di soggetti sindaca-li non firmatari del contratto collettivo – e delle relative clausole di tre-gua – difficilmente potrebbe resistere al vaglio di legittimità costituzio-nale che, senza timori di smentita, sarebbe subito prospettato.

Gli accordi sindacali separati tra formalismo giuridico e dinamiche intersindaca-li – Riassunto. L’A. affronta il tema della vaintersindaca-lidità e della efficacia giuridica degintersindaca-li ac-cordi sindacali separati. L’analisi è svolta sia dal punto di vista giuridico formale che da quello delle reali dinamiche del sistema di relazioni industriali. Sotto il primo a-spetto, l’A. legge le problematiche connesse alla validità e alla efficacia degli accordi sindacali separati alla luce del principio di libertà di azione e organizzazione sinda-cale sancito dal primo comma dell’art. 39 Cost., soffermandosi altresì su alcune re-centi pronunce della magistratura di merito che hanno avuto ad oggetto la contratta-zione separata nel settore dei metalmeccanici. Sul piano delle relazioni industriali, l’A. sostiene invece che l’efficacia di un accordo separato non può che apprezzarsi in termini di effettività: l’accordo sarà applicato se la capacità di aggregazione del con-senso delle parti stipulanti risulterà superiore alla forza di interdizione della parte dissenziente, declinabile attraverso l’esercizio del diritto di sciopero sancito dall’art.

40 Cost. Saranno dunque i rapporti di forza effettivi, tutti giocati sul piano del siste-ma di relazioni industriali, a dire se, in ultisiste-ma istanza, le clausole contrattuali di un accordo separato, pure giuridicamente valide ed efficaci per l’ordinamento giuridico, possano trovare concreta applicazione.

Separate trade unions agreements: legal formalism and the impact on trade u-nions (Article in Italian) – Summary. This paper investigates the effectiveness of separate agreements between trade unions and employers, analyzing the issue from a legal perspective in a strict sense, as well as their impact on the system of industrial relations. Questions arising from of the implementation of such agreements in terms of validity and effectiveness are investigated, also in consideration of the right to or-ganize laid down by the Italian Constitution (Art. 39, par. 1) and recent rulings of Modena and Torino Courts (Tribunale di Modena e Torino) on ‘separate bargaining’

in the metalworking-industry. In general terms, however, separate trade union agre-ements are regarded as positively affecting the industrial relations system, provided that parties entering into such agreements reach higher level of consent than dissen-ting actors, also through the exercise of the right to strike (Art. 40 of Constitution).

Only taking account of the relationships between actors involved in the industrial re-lations arena would it be possible to determine the effectiveness – notwithstanding their validity within the Italian legal system – of clauses included in separate agree-ments.

Diritto delle Relazioni Industriali Numero 2/XXI - 2011. Giuffrè Editore, Milano

Le relazioni industriali dopo Mirafiori e Pomigliano:

opinioni a confronto

I referendum di Pomigliano e Mirafiori e l’accelerazione verso il cambiamen-to impressa dalla vicenda Fiat ai rapporti tra mondo imprendicambiamen-toriale e sinda-cale hanno segnato una svolta significativa nelle relazioni industriali del no-stro Paese. L’interrogativo è verso quale direzione stanno andando le rela-zioni industriali? Per rispondere a tale domanda pubblichiamo alcuni contri-buti utili ad avviare una prima riflessione sul tema.

Raffaele De Luca Tamajo * La complessa vicenda contrattuale che ha visto protagonista la Fiat si presta a considerazioni da angolature diverse. Qui sarà privilegiato l’impatto che essa ha avuto nei confronti del sistema giuridico delle re-lazioni industriali.

Invero, nel tentativo di recuperare capacità competitiva sullo scenario globale, la società si è posta l’obiettivo di una rivisitazione di prassi e riti cristallizzati in tale sistema, innescando un inevitabile processo imi-tativo e un forte impulso ad affrontare alcuni nodi irrisolti del nostro di-ritto sindacale, così da far temere ad alcuni un contagio distruttivo e da far auspicare ad altri un benefico piano inclinato.

La storia che parte da Pomigliano, al di là di ogni valutazione di merito, ha infatti il merito di fungere da detonatore di una crisi latente del no-stro diritto sindacale e del suo modello extralegislativo (talora del tutto anomico), in evidente difficoltà in presenza di una alterazione dei suoi presupposti fondanti, cioè a dire al cospetto di una contrattazione non più soltanto acquisitiva e della perduta coesione nel campo sindacale.

* Professore ordinario di Diritto del lavoro, Università degli Studi Federico II di Na-poli.

Almeno quattro sono i focolai di crisi evidenziati, forse traumaticamen-te, dalla vicenda in questione ed altrettante le soluzioni riformatrici au-spicabili in tema di: efficacia dei contratti aziendali; titolarità della rap-presentanza in azienda e dei connessi diritti sindacali; rapporti tra con-tratti nazionali e concon-tratti aziendali; effettività delle clausole di tregua.

La comparsa di accordi aziendali “in deroga” firmati solo da alcune OO.SS. e non da altre pone come ineludibile la necessità di introdurre meccanismi atti a garantire l’efficacia di tali contratti nei confronti di tutta la comunità aziendale; in assenza dei quali non soltanto si rischia-no inaccettabili diversità di trattamenti, ma anche una fuga delle azien-de dalle organizzazioni di categoria allo scopo di evitare che gli iscritti alle OO.SS. che rifiutano la contrattazione in deroga possano fruire dei diversi e talora più favorevoli trattamenti del ccnl.

Si profila pertanto la necessità di un intervento legislativo, se possibile anticipato da un accordo interconfederale (che da solo non è sufficien-te), che statuisca l’efficacia per tutti i lavoratori impiegati nella azienda degli accordi stipulati o approvati dal 51% dei membri della RSU o da RSA aderenti ad OO.SS. cui siano iscritti il 51% dei dipendenti sinda-calizzati dell’azienda, se la rappresentanza è costituita da RSA. In casi di particolare importanza potrebbe essere richiesta una maggioranza qualificata. In omaggio al principio di libertà negoziale accordi privi di tali requisiti potrebbero essere egualmente stipulati, ma il loro raggio di efficacia rimarrebbe circoscritto ai soli iscritti ai sindacati firmatari.

Anche il tema della presenza sindacale in azienda e della fruizione della legislazione statutaria di sostegno viene rilanciato dalla vicenda in esa-me con particolare drammatizzazione. In effetti la questione della iden-tificazione dei destinatari del radicamento in azienda con i soggetti sin-dacali che hanno portato a compimento la dialettica contrattuale è di quelli che suscitano giustificate dispute e che nel medio termine potrà essere oggetto di riconsiderazione. Al momento, tuttavia, la materia sembra troppo incandescente per ipotizzare convergenze tra le parti so-ciali, che sul tema dovrebbero essere sovrane, tenuto altresì conto che si tratta di intervenire sui risultati di un referendum popolare.

Del resto, è ben ipotizzabile un intervento legislativo improntato a prin-cipi maggioritari e non unanimistici dei processi di negoziazione azien-dale, senza toccare, almeno per ora, l’attuale disciplina legale e contrat-tuale della rappresentanza sindacale aziendale.

I rapporti tra contratti nazionali e contratti aziendali registrano una plu-ralità di modelli: quello più rigido si ispira al principio di preminenza e inderogabilità del livello nazionale; quello più flessibile vede i due li-velli espressione di autonomia privata equiordinata; l’accordo

intercon-federale del 2009 aveva disegnato un sistema di deroghe da parte del contratto aziendale debitamente autorizzate (e poi ratificate) dal con-tratto nazionale sia quanto a ragioni giustificative che ad istituti coin-volti; la recentissima sortita di Federmeccanica, peraltro accolta non entusiasticamente dalle OO.SS., apre alla possibilità di stipulare accordi in azienda idonei a sostituire integralmente (o quasi) i contratti naziona-li, privandoli di efficacia relativamente alle aziende che tale effetto hanno concordato con la controparte in vista di specifiche esigenze or-ganizzative.

La Fiat, che in un primo momento si era posta nella scia dell’accordo interconfederale del 2009, ponendo le deroghe dell’accordo di Pomi-gliano all’interno del meccanismo autorizzatorio del ccnl dei metal-meccanici, in una seconda fase, ancorché provvisoria, si è orientata ver-so la ver-soluzione del totale disinnesco del ccnl dei metalmeccanici, trami-te la non iscrizione a Federmeccanica delle nascenti realtà societarie (le newco) e la stipulazione di un contratto definito di primo livello «ido-neo a sostituire, per le società che intendono aderirvi, il ccnl dei metal-meccanici»; contratto che detta una disciplina esaustiva dei rapporti di lavoro.

Quali che siano gli esiti definitivi della partita contrattuale (un ccnl per le aziende costruttrici di auto?), resta acquisita una forte spinta alla de-centralizzazione quale strumento per una disciplina dell’organizzazione del lavoro più sensibile alle peculiarità ed alle esigenze aziendali. In ef-fetti il carattere “invasivo” e particolareggiato del ccnl rende difficile agli accordi aziendali di curvare la regolamentazione dei rapporti di la-voro alle specificità organizzative e funzionali delle singole imprese e di agevolare una trama di “scambi” negoziali a livello locale.

Peraltro la proposta di una sostanziale marginalizzazione del ccnl si scontra con l’esigenza di tutelare i dipendenti delle imprese minori talo-ra prive di un livello aziendale di conttalo-rattazione, sicché si profila la ne-cessità di ipotizzare una pluralità di modelli di articolazione contrattule, flessibilmente scelti in relazione alle caratteristiche delle singole a-ziende, cioè di consentire opzioni variegate con un tasso diverso di ri-levanza e vincolatività del contratto nazionale.

La vicenda Fiat ha infine portato alla ribalta la questione della effettivi-tà degli impegni contrattualmente assunti e della vincolativieffettivi-tà delle clausole di tregua. Le incertezze circa la possibilità per il sindacato di negoziare efficacemente la rinunzia temporanea all’utilizzo della leva conflittuale e circa gli effetti di tale negoziazione nei confronti dell’esercizio del diritto di sciopero da parte dei singoli lavoratori re-clamano un intervento regolatorio volto a garantire l’affidamento delle

imprese ma anche la possibilità per il sindacato di spendere utilmente una preziosa risorsa negoziale.

In quest’ottica si potrebbe ipotizzare un intervento legislativo di soste-gno ad una regolamentazione collettiva interconfederale che discipli-nasse con impronta maggioritaria l’adozione delle clausole di tregua a livello aziendale, la loro temporaneità e il loro campo di applicazione oggettivo; a tali clausole potrebbe il legislatore riconnettere una effica-cia vincolante anche per i singoli lavoratori. Il diritto dei singoli di e-sercitare il diritto di sciopero anche a prescindere da una proclamazione sindacale verrebbe così salvaguardato, salvo in presenza di clausole ne-goziali di tregua rispondenti ai requisiti previsti in via generale dalla autonomia collettiva.

Maurizio Del Conte * Il referendum di Mirafiori ha rappresentato un passaggio cruciale nel difficile e incerto processo di ristrutturazione degli stabilimenti produt-tivi Fiat. Dopo un lungo periodo di gestione della più importante im-presa manifatturiera italiana che guardava con sufficienza agli aspetti industriali della produzione, l’avvento di Sergio Marchionne alla guida del gruppo torinese ha fatto segnare una vera e propria inversione di marcia. Il metalmeccanico italo-canadese – come lo stesso amministra-tore delegato Fiat si è autodefinito – con la laurea in filosofia ma con un approccio pragmatico che concede poco ai bizantinismi del politi-cally correct, ha rimesso il prodotto e la produzione al centro dell’impresa. Sorprendentemente – ma non troppo – questo approccio elementare al problema di risollevare le sorti di un’impresa che era or-mai data per decotta ha provocato un vero e proprio terremoto nelle re-lazioni industriali non solo interne all’azienda, ma a livello nazionale. È successo, infatti, che all’interno del sindacato si siano drammaticamen-te acuidrammaticamen-te le divisioni già presenti, con una conseguendrammaticamen-te escalation di forme conflittuali alle quali non eravamo più abituati da tempo. E tutta-via, nella divisione di opinioni, su di un punto il ciclone Fiat ha unito la

Maurizio Del Conte * Il referendum di Mirafiori ha rappresentato un passaggio cruciale nel difficile e incerto processo di ristrutturazione degli stabilimenti produt-tivi Fiat. Dopo un lungo periodo di gestione della più importante im-presa manifatturiera italiana che guardava con sufficienza agli aspetti industriali della produzione, l’avvento di Sergio Marchionne alla guida del gruppo torinese ha fatto segnare una vera e propria inversione di marcia. Il metalmeccanico italo-canadese – come lo stesso amministra-tore delegato Fiat si è autodefinito – con la laurea in filosofia ma con un approccio pragmatico che concede poco ai bizantinismi del politi-cally correct, ha rimesso il prodotto e la produzione al centro dell’impresa. Sorprendentemente – ma non troppo – questo approccio elementare al problema di risollevare le sorti di un’impresa che era or-mai data per decotta ha provocato un vero e proprio terremoto nelle re-lazioni industriali non solo interne all’azienda, ma a livello nazionale. È successo, infatti, che all’interno del sindacato si siano drammaticamen-te acuidrammaticamen-te le divisioni già presenti, con una conseguendrammaticamen-te escalation di forme conflittuali alle quali non eravamo più abituati da tempo. E tutta-via, nella divisione di opinioni, su di un punto il ciclone Fiat ha unito la

Nel documento Diritto delle Relazioni Industriali (pagine 67-111)