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La fase dell’accordo

Nel documento Diritto delle Relazioni Industriali (pagine 153-158)

E RISORSE UMANE

3. Gli eventi

3.3. La fase dell’accordo

La fase di intesa in un gioco del tipo il “dilemma del prigioniero” non è stabile: ogni giocatore può ottenere un risultato migliore se recupera la strategia iniziale del “non negoziare” (valore 4, anziché valore 3), ma se è adottata da entrambe le parti la situazione regredisce di nuovo allo stadio dello scontro (valore “2, 2”), ritenuto però meno desiderabile del precedente stato di intesa (valore “3, 3”).

Come si è sopra cercato di chiarire, erano tuttavia venuti a maturazione tra gli attori gli eventi, le condizioni e le convinzioni utili per poter

(17) Cfr. R. FESTA, Teoria dei giochi ed evoluzione delle norme morali, in Etica & Po-litica, 2007, 2.

(18) Si ricorda che nei giochi a “somma positiva” non esiste una parte sconfitta in sen-so stretto, non potendosi registrare un rapporto diretto tra vincite e perdite.

(19) Cfr. D. KAHNEMAN, A. TVERSKY, Prospect Theory: an analysis of decisions un-der risk, in Econometrica, 1979, 47.

puntare ad un accordo davvero stabile: si apriva così la terza fase del processo negoziale, che avrebbe condotto alla stipula di un accordo.

La fase di prova aveva permesso a ciascuna parte di filtrare certe prese di posizione e di consolidare taluni orientamenti, di far emergere prefe-renze ed interessi e di formare un elenco di priorità almeno in qualche misura differenziate, così che potesse realizzarsi un accordo in grado di soddisfare entrambi gli interlocutori. Era dunque evidente che alla terza fase, una volta comprese e delineate le aree di guadagno per i singoli attori, sarebbe stata demandata la ripartizione del valore aggiuntivo, conseguente alla individuazione di una maggiore utilità totale da distri-buirsi. Il problema diveniva, pertanto, quello di formare una coalizione sufficientemente larga, in grado di selezionare e coordinare gli obiettivi principali che erano emersi nei contatti informali e nei colloqui svilup-pati a livello di sottogruppi: su di essi si sarebbe dovuto concentrare il restante confronto negoziale, prima della ormai prossima scadenza di legge.

Fu in tale terza fase che maturò definitivamente una reale volontà di trovare un accordo: si avviò solo in quel momento il processo con cui le parti, sulla base di una reciproca disposizione di scambio indirizzata a risolvere un problema comune di cui si è divenuti consapevoli, mirano a raggiungere un’intesa in grado almeno in parte di soddisfare i propri bisogni.

In sostanza, si prese definitivamente atto della presenza di una situazio-ne di conflitto non più sanabile attraverso l’uso delle tradizionali con-suetudini che avevano regolato il rapporto tra Licemera ed il sindacato negli anni precedenti e che si erano rivelate più idonee alla prevenzione dello scontro piuttosto che ad una sua risoluzione. Cessò, quindi, del tutto il richiamo ai bei tempi andati, un’età dell’oro non più recuperabi-le né riproponibirecuperabi-le per la zavorra costituita dai suoi costi e dai suoi riti ormai fuori sintonia rispetto ad un mondo globalizzato, un’epoca nella quale le concessioni aziendali non sempre avevano ottenuto un adegua-to corrispettivo.

Ora la bussola delle relazioni avrebbe dovuto temporalmente posizio-narsi nel futuro: Licemera aveva presentato, insieme alla chiusura dello stabilimento, un importante piano di investimenti materiali ed immate-riali da realizzarsi in tempi brevissimi. Ci fu uno sforzo concreto, una volta abbandonati i retaggi ideologici ed accolta una prospettiva di pragmatismo, diretto a costruire uno spazio comune nel quale riuscire a conciliare le varie esigenze particolari e a valorizzare i profitti reciproci in vista di un punto di aggregazione finale nel quale parziali e mutui vantaggi si combinano con parziali e mutue rinunce.

La fase di negoziazione così avviatasi si configurò alla fine, per la pri-ma volta, come proficua modalità di costruzione di un effettivo coordi-namento tra le parti (20). In base a questa nuova prospettiva, attribuita al processo negoziale, gli attori riuscirono ad affrancarsi dall’obbligo di dover adottare soluzioni già predefinite nel solco delle prassi settoriali di negoziazione, ma tuttavia poco confacenti alla risoluzione della vi-cenda in questione. La consapevolezza del ruolo che avrebbero potuto, invece, svolgere regole debitamente studiate per quella ben specifica situazione consentì agli attori in gioco di investigare un ventaglio di i-potesi, in teoria risolutive, più ampio di quanto sarebbe stato permesso se ci si fosse attenuti alla riproposizione sostanziale di schemi stabiliti a priori.

La definizione di come avrebbe dovuto essere la relazione di interdi-pendenza tra i due soggetti non fu però, fino in fondo, processo lineare, poiché molto spesso si registrarono tentativi di derubricare il confronto a confronto senza regole, tranne quella di non darsene alcuna. Del re-sto, tale situazione caratterizza di frequente le trattative sindacali duran-te le quali gli attori duran-tendono a credere che il mondo reale sia anche il mondo del “tutto possibile” (21).

Comunque fosse, la stipula di un accordo definitivo si era ora piena-mente affermata quale soluzione più desiderabile rispetto a qualunque altra: un’intesa, infatti, avrebbe potuto rappresentare per il futuro l’auspicata via di uscita ricercata da ciascun attore per superare un cli-ma di confronto durissimo. Inoltre, se formulata adeguatamente, essa avrebbe comunque potuto essere utilizzata da entrambi gli interlocutori quale momento di legittimazione e riconoscimento del proprio ruolo e della propria azione.

Ogni ostacolo che nasceva in questa fase divenne meglio superabile perché ogni apertura o proposta fatta da un giocatore suscitava il con-traccambio dell’altro giocatore, interessato, piuttosto che ad un guada-gno unilaterale (valore 3), al raggiungimento di un’intesa (valore 4).

Il coordinamento aveva così finito per evolversi in cooperazione. Ciò spiega perché, nonostante il permanere di svariate resistenze da parte di alcuni gruppi di sindacalisti, le parti siano poi riuscite a trovare il modo di superare i momenti di crisi. È questa la situazione identificabile at-traverso il cosiddetto gioco della “caccia al cervo”, sotto schematizzato:

(20) Cfr. A. GRANDORI, L’organizzazione delle attività economiche, Il Mulino, Bolo-gna, 1995.

(21) Cfr. G. BERTA, op. cit.

SINDACATO

Negoziare Non negoziare

AZIENDA Negoziare Intesa (4, 4)

Proposta aziendale non accolta

(1, 3) Non negoziare Proposta sindacale

non accolta (3, 1)

Scontro (2, 2)

Per arrivare all’accordo, le parti assunsero le varie decisioni in maniera graduale, accontentandosi di soluzioni soddisfacenti anziché ottimali. I punti nodali dell’intesa vennero fissati in parziale dipendenza gli uni dagli altri per evitare le difficoltà discendenti da una rigida interconnes-sione globale: la sensazione che le mete raggiunte fossero provvisorie permise di aggirare numerose obiezioni, che vennero poi meglio conte-stualizzate, e quindi superate, nel momento in cui fu del tutto chiara la trama complessiva dell’accordo. Inoltre, le deliberazioni fecero appello agli schemi già presenti nel catalogo delle prassi sindacali, inclusa la concessione di somme economiche quale segnale di riconoscimento e misura del ruolo agito dalla controparte.

È, dunque, plausibile affermare come il processo negoziale qui esami-nato abbia finito per esaltare soprattutto caratteristiche ora di provviso-rietà ora di progettualità, coniugando dimensioni in apparenza antiteti-che, ma in realtà indispensabili per governare relazioni fortemente con-traddistinte da disomogeneità, alterità ed incertezza.

In estrema sintesi, la negoziazione produsse gli esiti di seguito elencati.

Il sindacato ottenne:

– il ricorso alla CIGS, ammortizzatore rispetto al quale Licemera era rimasta fino all’ultimo restia, quale strumento da esperire prima dell’apertura della procedura di mobilità;

– una riduzione del numero dei lavoratori da licenziare;

– l’adozione quale criterio primario della procedura della volontarie-tà, in base alla quale sarebbe stata data priorità a coloro che fossero sta-ti per mosta-tivi personali interessasta-ti ad uscire dall’azienda;

– l’estensione a tutti i siti aziendali (22) – e non più ad uno solo – della procedura di riduzione del personale, ritenendo così di poter meglio

(22) Esiste un largo orientamento giurisprudenziale che sostiene la legittimità dei crite-ri di scelta dei licenziandi nell’ambito di una procedura di mobilità solo se crite-rifecrite-ribili

cializzare il disagio occupazionale attraverso quei dipendenti interessati ad uscire (ad esempio perché prossimi alla pensione), ma che non a-vrebbero altrimenti potuto beneficiare di siffatta opportunità per il fatto di essere occupati presso le altre sedi seppure limitrofe;

– una cifra importante da corrispondere quale indennità di esodo a chiunque si fosse dimesso, a prescindere dalle motivazioni.

L’azienda ottenne invece:

– la rinuncia all’utilizzo della rotazione durante la CIGS;

– la contestuale definizione dell’apertura della CIGS e della procedu-ra di mobilità, la quale sarebbe iniziata all’esatto scadere della prima, senza che dovessero avviarsi nuove procedure consultive con il sinda-cato;

– l’adozione del criterio della professionalità quale seconda (ed ulti-ma) regola da impiegarsi per individuare, all’interno di tutte le sedi a-ziendali, i lavoratori da licenziare.

Per Licemera, dunque, ci fu la possibilità di compensare il minor nume-ro di licenziamenti rispetto a quelli inizialmente pnume-rospettati attraverso interventi calibrati sulla forza lavoro: si trattò, insomma, di una ridu-zione di personale di natura anzitutto qualitativa prima ancora che quantitativa.

L’accordo permise, invece, al sindacato di rivendicare – quali conquiste sociali – la ricordata riduzione dei licenziamenti ed il conseguimento della CIGS e del criterio della volontarietà, poco rilevando che nei fatti la maggioranza dei dipendenti usò solo parzialmente la cassa integra-zione, preferendo entrare fin da subito in mobilità.

Nei rumors popolari dell’epoca e per le emeroteche – cui viene deman-dato l’onere di tramandare nel tempo (peraltro breve) e nello spazio (peraltro angusto) siffatto genere di avvenimenti – l’accordo raggiunto al termine della vicenda qui riassunta non fu che la dimostrazione di una condotta aziendale da riprovare e stigmatizzarsi, iperbole ed enfasi di come non dovrebbero mai essere le relazioni industriali. Per molti addetti ai lavori, osservatori esterni dell’evento, l’accordo fu invece dimostrazione dell’effettiva capacità di poter comunque arrivare a bi-lanciare in modo davvero equo interessi contrapposti. Per l’opinione pubblica in generale, infine, la vicenda parve ridursi ad una mera que-stione di prospettive e di illustrazioni, di spartizione tra aspetti operativi e retorica.

all’intera azienda: cfr. Cass. n. 7169/2003, n. 10198/2006, n. 11034/2007 e da ultimo la recente Cass. n. 26376/2008; contra, Cass. n. 4970/2005 e n. 14339/2007.

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