E RISORSE UMANE
3. Gli eventi
3.2. La fase di prova
Questa seconda fase si contraddistingue per il fatto che tra gli attori ini-zia ad emergere in modo frazionato, ma sempre più ampio, il desiderio di sospendere il conflitto e di ricercare un accordo. Nonostante la reite-rata volontà di qualche protagonista di parte sindacale nel confermare la non collaborazione, si rafforza nella maggioranza la convinzione del-la necessità di cooperare: si formano alleanze pro e contro, coscienti o inconsce, si modellano gli schieramenti, si fa comunque strada l’opinione che la difesa del bene collettivo (cioè la tenuta occupaziona-le) sia più profittevole se tutti partecipano alla costruzione di un’intesa.
È la fase di prova che arriverà a mettere in luce le due, per così dire,
“regole auree” del confronto sindacale: l’improbabilità del successo di una tattica di lotta disgiunta da una qualche collegata tattica di uscita, ed il fatto che la parte che riesce ad opporsi finisce inesorabilmente per costringere l’altra a diventare più flessibile. Nello specifico, l’organizzazione sindacale parve all’epoca non disporre di una exit line
(12) Cfr. F. MOMIGLIANO, Sindacati, progresso tecnico e programmazione economica, Einaudi, Torino, 1966.
alternativa, e mentre l’impresa poteva perseverare nella ristrutturazione, il sindacato non avrebbe altrettanto potuto proseguire nello scontro.
Entrambe le suddette regole furono percepite dai negoziatori in modo chiaro attraverso la dimensione temporale (13), vera e propria variabile delle trattative, con i suoi connessi riti, quali le sedute non stop e gli in-contri notturni. L’avvicinarsi della scadenza della procedura, indipen-dente dai negoziatori in quanto ex lege, svelò alla parte sindacale la de-bolezza della tattica fino ad allora adottata e l’impossibilità di elaborare in tempi brevi un’alternativa sufficientemente condivisa al proprio in-terno. Allo stesso tempo, la tenuta di posizione dell’impresa incrinò la sicurezza fino ad allora manifestata dal sindacato: si iniziò, specie tra i membri delle RSU aziendali che vivono l’azienda giorno per giorno, a confrontare gli eventuali benefici, magari anche minimi, legati ad una possibile intesa, con i costi, certi, connessi invece ad una condotta di rifiuto verso il minimo sforzo cooperativo.
Dunque, nella fase di prova venne rafforzandosi l’auspicio di trovare un accordo in quanto ipotizzato più vantaggioso rispetto ad un mancato accordo, anche se le preferenze sui possibili criteri, modi e contenuti della risoluzione (la spartizione delle risorse, nel linguaggio della teoria dei giochi) rimanevano divergenti.
Occorreva, in altri termini, superare definitivamente l’iniziale significa-to di competitività che era stasignifica-to attribuisignifica-to alla negoziazione. Ciascuna delle parti, presumendo di conoscere anche gli interessi e le priorità del proprio interlocutore nei confronti dell’oggetto della negoziazione, era arrivata infatti ad assumere una posizione antagonista rispetto all’altra.
Molti argomenti potenzialmente capaci di far evolvere la negoziazione rimanevano di fatto involuti: nonostante le lunghe riunioni, persisteva un’elevata frammentazione delle priorità perseguite da ciascun attore, così che i dibattiti si disperdevano in mille rivoli di inconcludente liti-giosità, mentre i possibili obiettivi, nell’impossibilità di sintetizzare punti di vista assai diversi, rimanevano confusi ed indefiniti, semplici aspirazioni incapaci di avere una reale traduzione in termini operativi (14).
Era necessario, invece, ora accogliere l’idea di una spartizione delle ri-sorse date per far evolvere la negoziazione. Ciò avrebbe contemporane-amente fatto emergere l’esistenza anche di interessi ulteriori ai quali le parti avrebbero potuto riconoscere gradi di significatività diversi.
(13) Cfr. H. RAIFFA, L’arte e la scienza della negoziazione, NLP-Italy, Milano, 2006.
(14) Cfr. R. CYERT, J. MARCH, Teoria del comportamento dell’impresa, Franco Ange-li, Milano, 1970.
L’allargamento dell’oggetto della trattativa avrebbe permesso la crea-zione di un valore più ampio su cui indirizzare il confronto e trovare un compromesso. La possibilità di sviluppare in concreto una negoziazio-ne integrativa (15) sarebbe dipesa dalla capacità delle delegazioni sia di sfruttare le differenze esistenti tra gli interessi delle parti (non a tutti i partecipanti interessano le stesse cose, né con la stessa intensità) sia di inventare soluzioni articolate, in grado di estendere la rosa dei benefici a tutte le diverse componenti.
In definitiva, ormai maturati i tempi della trattativa, i protagonisti del confronto avrebbero dovuto passare da una “logica delle posizioni”, che sono spesso frontalmente contrapposte, ad una “logica degli inte-ressi”, che possono essere semplicemente diversi.
Questa situazione è descrivibile tramite il gioco del “dilemma del pri-gioniero”, di seguito schematizzato secondo le regole già chiarite, nel quale gli attori usano strategie di rinuncia al negoziato il cui esito è il conflitto.
Tuttavia, come si è cercato di spiegare, a differenza della prima fase, i giocatori avevano iniziato a maturare una preferenza verso l’accordo rispetto allo scontro, ma trovandosi nel quarto quadrante (scontro, valo-re 2) dovevano riuscivalo-re a raggiungevalo-re il primo quadrante (intesa, valovalo-re 3).
Se l’azienda avesse fatto la prima mossa, adottando la sua strategia co-operativa, i giocatori sarebbero passati dal quarto al terzo quadrante (in termini di valore da “2, 2” a “1, 4”), nel quale il sindacato avrebbe otte-nuto il suo miglior risultato (valore 4). Alla luce dell’esasperato con-fronto fin lì avvenuto, Licemera non poteva confidare in un comporta-mento reciproco da parte del sindacato. Quest’ultimo, infatti, avrebbe dovuto modificare la propria condotta spostandosi verso il primo qua-drante, rinunciando così al proprio miglior risultato (valore 4) per ac-cettare un risultato inferiore (valore 3).
Mutatis mutandis, lo stesso ragionamento valeva anche per il sindacato.
In pratica, nessuno degli attori voleva essere il primo a rinunciare al conflitto per timore che l’altro potesse ritrarsi, ma ciò precludeva l’avvio di una vera trattativa che entrambi auspicavano: naturali istinti di prudenza stemperavano i desideri di apertura verso la controparte.
(15) Cfr. L. BOBBIO, Le strategie dei processi decisionali inclusivi, in Rassegna ragio-nata delle procedure di negoziazione-concertazione e delle normative e dei metodi di valutazione dei progetti infrastrutturali, PIM, Milano, 2000.
SINDACATO
Negoziare Non negoziare
AZIENDA Negoziare Intesa (3, 3)
Proposta aziendale non accolta
(1, 4) Non negoziare Proposta sindacale
non accolta (4, 1)
Scontro (2, 2)
È plausibile che il cambiamento delle strategie si sia nei fatti concretiz-zato a seguito del verificarsi di almeno due fattori principali:
1) il maturare della consapevolezza che anche nel futuro si sarebbero reiterate (16) le relazioni tra l’azienda e la delegazione sindacale, rectius tra l’impresa e la componente sindacale rappresentata dai membri delle RSU aziendali;
2) il ricorso alla pratica delle “ristrette”, ovvero sotto-incontri svolti tra i capi delle delegazioni durante le riunioni ufficiali, tali “ristrette” costi-tuiscono una sorta di zona franca grazie a cui gli individui possono e-splicitare le posizioni assunte attraverso l’esposizione dei loro bisogni impliciti, di norma non dichiarati per meglio controllare le trattative in corso. Più in generale, qui si identificano con il termine “ristrette” an-che tutti i numerosi contatti riservati an-che si tennero tra le parti, pure al di fuori dello svolgimento degli incontri ufficiali.
Per quanto riguarda il fattore 1) – la maturazione della consapevolezza –, è noto che nelle imprese dove sono presenti delle rappresentanze sindacali interne si instaura una convivenza di tipo dinamico: le conti-nue interazioni tra l’impresa e le RSU, sollecitate dallo svolgimento del lavoro quotidiano, impongono la costante ricerca di un equilibrio da preservare nel tempo, sia riguardo a richieste e concessioni reciproche sia in relazione alle disponibilità e indisponibilità manifestate. Benché necessitata, la convinzione di una mutua dipendenza immersa in un tes-suto di relazioni durevoli favorisce, in definitiva, l’insorgere di atteg-giamenti cooperativi: la reiterazione continua del gioco nel tempo e la non conoscenza di quando esso possa davvero concludersi inducono le persone a percepire il rischio di subire nel lungo periodo perdite ingen-ti. Se c’è un futuro, può valere, in genere, la pena di rinunciare a
(16) Cfr. R. AXELROD, Giochi di reciprocità. L’insorgenza della cooperazione, Feltri-nelli, Milano, 1985.
portamenti di rigidità immediati, nella speranza sia di avere un benefi-cio maggiore nel futuro sia di disinnescare spirali di successive ritor-sioni e rivalse: guadagnarsi una reputazione di interlocutore disposto a cooperare rappresenta un plus da spendere in epoche successive.
È dunque chiaro come mai nella vicenda qui esaminata la maggiore spinta a ricucire sia provenuta dalle RSU aziendali, costrette e/o inte-ressate a convivere con Licemera molto più di quanto non lo fossero i sindacati territoriali, comprensibilmente invece più inclini a farsi garan-ti dei principi procedurali ritenugaran-ti idonei ad affrontare le crisi del siste-ma economico, piuttosto che a trovare soluzioni ad hoc per la singola impresa e la singola vertenza. L’adozione di comportamenti improntati alla collaborazione discese, quindi, in parte dal prevalere di valutazioni di tipo utilitaristico (attesa di un miglior risultato complessivo, aspetta-tiva di un ritorno futuro, insorgenza del timore di ritorsioni), maturate tra la maggioranza dei dipendenti e dei sindacalisti interni rispetto a va-lutazioni di tipo morale-politico, di cui erano invece portatori soprattut-to i rappresentanti sindacali terrisoprattut-toriali.
Per quanto riguarda il fattore 2) – la pratica delle “ristrette” – si può af-fermare che la nascita di una volontà cooperativa fu sostenuta anche dal lavoro svolto, per così dire, “sotto traccia”: durante il periodo di tratta-tiva, furono attivati una serie di contatti non ufficiali e di trattative pa-rallele che, soprattutto, l’azienda sviluppò nei confronti dei vari interlo-cutori sindacali, coinvolgendo in modi e tempi distinti i diversi espo-nenti della controparte, in funzione degli argomenti di volta in volta oggetto di discussione. Tali iniziative aziendali avevano il fine di circo-scrivere le aree di possibile intesa esistenti tra le parti. In seguito, i sud-detti ambiti di convergenza, una volta equilibrate le loro reciproche in-terazioni, avrebbero potuto essere composti all’interno di un unico qua-dro di riferimento, nel quale tutte le concessioni riconosciute da un soggetto avrebbero trovato una corrispondente soddisfazione in asse-gnazioni ritenute di pari valore.
Si provò a realizzare, in sostanza, un’azione di scomposizione in più parti dell’oggetto della trattativa, per creare effetti di natura sia relazio-nale sia contenutistica.
Da un punto di vista relazionale, queste trattative riservate lasciavano libere entrambe le parti: ciascuna di esse avrebbe potuto in ogni mo-mento negare i contatti e respingere le proposte dell’altra parte, se que-sta non avesse mantenuto gli impegni. Procedere per gradi, con transa-zioni modeste aventi basso rischio e quindi richiedenti livelli fiduciari minimali, significò creare le condizioni per inviare all’altro segnali di affidamento e di disponibilità a cooperare, ma anche per esplicitare
l’intenzione di concretizzare la sanzione ammessa dal gioco negoziale in atto (ovvero il mancato accordo tra Licemera e sindacati). Ciò con-tribuì a ripristinare quel minimo di livello fiduciario necessario a far evolvere le relazioni di scambio (17).
Relativamente ai contenuti, gli scambi informativi così attivatisi con-sentirono la creazione di un plusvalore, cioè la risorsa da distribuirsi at-traverso la negoziazione; in altri termini, l’oggetto della negoziazione, essendosi trasformato da singolo a composito, permise alle parti di i-dentificare diverse priorità, che restavano peraltro ancora da combinare tra loro (18). In particolare, emerse un interesse da parte del sindacato sia a valutare anche altri ammortizzatori sociali alternativi a quello del-la mobilità proposto all’inizio dall’azienda, sia a definire le modalità di eventuale ricorso agli stessi, tracciando i criteri di accesso.
È evidente che, se la risorsa da distribuire è plurima e non più unica, diventa maggiormente agevole ipotizzare l’esistenza di tipologie di ac-cordi capaci di contemperare le molteplici preferenze. Posta dinanzi ad un possibile guadagno, è del resto ammissibile che la gran parte delle persone si dimostri avversa al rischio e, quindi, disponibile ad adottare una condotta più conciliante nelle trattative. Un atteggiamento flessibile è, infatti, requisito funzionale a raggiungere un accordo capace di ratifi-care il guadagno e di evitare (o spezzare) pericolose situazioni di stallo (19).