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L’accordo di riammissione

Il trattato tra Italia e Libia

Il 4 luglio 1998 (durante il governo Prodi Dini) i due paesi hanno firmato a Roma un accordo bilaterale, con cui l’Italia rinuncia a pretendere il rispetto del trattato del 1956 Il

4.5 L’accordo di riammissione

345 Risoluzione del Parlamento europeo su Lampedusa, 14 aprile 2005

346DIREZIONE GENERALE DELLE RELAZIONI ESTERNE DELL'UNIONE DIREZIONE B - UNITÀ TEMATICA http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2004_2009/documents/dt/619/619330/619330it.pdf

Per affrontare il tema degli accordi di riammissione occorre in via preliminare definire la politica estera in materia di rimpatrio347 e riammissione. Il trattato di Amsterdam ha (2 ottobre 1997 ed è entrato in vigore il 1° marzo 1999) attribuito alla comunità delle competenze in questa materia: come recita l’articolo 63, paragrafo 3, lettera b), essa adotta misure in materia di immigrazione e soggiorno irregolare, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare.

Gli accordi di riammissione sono accordi internazionali in base ai quali le Parti contraenti assumono l’obbligo di riammettere sul loro territorio le persone, di norma i propri cittadini, che si trovano in situazione di soggiorno irregolare sul territorio dell’altra Parte348. Inoltre gli accordi di riammissione hanno rappresentato il primo strumento adottato dai paesi europei per coinvolgere i paesi di transito e di origine nella lotta alle migrazioni illegali. Di fronte alla sovrapposizione tra questi due tipi di accordi (accordi bilaterali e accordi con l’Unione Europea) si ha l’impressione di una doppia pressione esercitata dai paesi del Nord nei confronti dei paesi del Sud. Gli accordi di riammissione si iscrivono in una logica securitaria globale, il cui fondamento resta la protezione “a tutti i costi” delle frontiere europee, in primo luogo, impedendo l’accesso degli “indesiderabili” e, successivamente, espellendo coloro che, nonostante tutte le precauzioni, siano comunque riusciti ad entrare.

Dal 1990 i tentativi degli Stati europei di esternalizzare la politica migratoria verso l’Africa si sono concentrati su un aumento dei controlli dei confini e sulla pressione di alcuni Stati nordafricani affinché combattano la migrazione irregolare e firmino accordi di riammissione in cambio di supporto finanziario e aiuti, piuttosto che impegnarsi nell’eliminazione delle cause che originano la migrazione. Nello specifico, Spagna e Marocco hanno istituito nel 2004 i pattugliamenti congiunti e hanno firmato accordi di riammissione, secondo i quali il Marocco s’impegnava a «riammettere» i migranti sub sahariani. L’accordo di riammissione firmato dalla Tunisia e dall’Italia nel 1998 si inscrive nel quadro della politica europea che in quegli anni mirava a diffondere il più

347 Va rilevato che accanto al termine “politica di rimpatrio”, in vari testi comunitari in lingua italiana si utilizza anche l’espressione “politica in materia di ritorno”, calcata sull’inglese “return policy”. È importante evidenziare come nel settore del rimpatrio e della riammissione non esistono tuttora definizione comuni e condivise al livello comunitario. Si veda l’allegato I del programma d’azione sul rimpatrio del Consiglio del Novembre 2002 ( documenti Consiglio 14673/02 MIGR 125 FRONT 135 VISA 172).

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possibile l’uso degli accordi bilaterali nei rapporti con i paesi di origine e transito. L’accordo stabilisce le condizione per la riammissione di cittadini dei paesi terzi che giungono irregolarmente in uno dei due paesi firmatari provenendo direttamente dall’altro349. La svolta più clamorosa è però il coinvolgimento della Libia. Che nel 2003 ha firmato con l’Italia una “intesa operativa” non sotto posta a controllo parlamentare e i cui termini non sono stati resi pubblici che riguardante il contrasto alle migrazioni di transito che dalle coste libiche attraversano il Mediterraneo alla volta dell’Italia350.

Nel 2002, in occasione del summit di Siviglia, il Consiglio europeo ha confermato questa politica del “dare e avere” imponendo l’inclusione di clausole di riammissione in tutti gli accordi di cooperazione. Da allora, si pone la questione dell’aiuto allo sviluppo e la sua condizionalità rispetto alla “gestione dei flussi migratori” e alla lotta dell’immigrazione irregolare, dato che ogni forma di aiuto allo sviluppo, se non di “cooperazione economica o commerciale”, viene oramai subordinata alla negoziazione di accordi di riammissione.

Il carattere particolarmente coercitivo degli accordi bilaterali fa sì che i relativi negoziati siano piuttosto faticosi. Gli stati terzi evidentemente sono consapevoli, del fatto che ogni momento i paesi europei formularono una richiesta di riammissione dei migranti irregolari, essi saranno effettivamente obbligati a riammettere, senza alcuna formalità e in tempi brevi351.

Dalla Tunisia alla Libia lo scenario non cambia ed i trafficanti scelgono le rotte più convenienti a seconda dell'altalena dei rapporti politici. Di fatto molte "carrette" del mare, stracariche di cosiddetti "clandestini" sfuggono ai controlli, anche per la compiacenza della polizia libica, e giungono fino a poche miglia dalle coste siciliane. Tutti gli accordi di riammissione prevedono infatti la previsione che il paese contraente sia tenuto ad accettare la riammissione di cittadini di stati terzi, purché lo stato che effettua l'allontanamento forzato fornisca la prova che le persone sono arrivate sul territorio nazionale attraverso il paese di transito.

Il contrasto all'immigrazione clandestina, proprio grazie agli accordi bilaterali di riammissione, stipulati dai principali paesi europei, si è tradotto così nello sbarramento dei percorsi, sempre più rischiosi, dell'immigrazione irregolare, l'unica via consentita di fatto

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Ivi, p.54 350 Ibidem 351 Ivi, p.53-54

per raggiungere l'Europa e nella negazione sostanziale del diritto di asilo e di protezione umanitaria. Gli accordi bilaterali di riammissione sono stati negoziati o sottoscritti con paesi, come la Libia e la Turchia, che non riconoscevano il diritto di asilo, né rispettavano i diritti fondamentali della persona, giungendo a praticare sistematicamente la detenzione in isolamento, senza la possibilità di contatti con familiari o avvocati, la tortura ed altri trattamenti inumani o degradanti, prevedendo ancora nella legislazione interna la pena di morte. Ma la situazione dei diritti umani non è migliore in altri paesi come la Tunisia, lo Sri Lanka, la Nigeria ed il Pakistan, con i quali l'Italia, al pari degli altri paesi europei, ha concluso accordi bilaterali di riammissione tanto efficaci da comportare "in premio" modeste quote annuali di ingresso "riservato"352.

Per quanto riguarda i programmi di protezione regionale, già nel regolamento che ha istituito il programma AENEAS si faceva riferimento alla possibilità che i fondi fossero utilizzati per favorire la riammissione questa previsione è stata confermata dal regolamento che ha istituito lo strumento di cooperazione e sviluppo per i paesi terzi, che lo ha sostituito353.

Il rimpatrio degli stranieri in situazione irregolare è uno dei principali obiettivi della UE in materia di gestione dei flussi migratori e gli accordi di riammissione possono essere considerati come la pietra angolare di quest'obiettivo. La firma di tali accordi, in virtù dei quali i paesi partner devono "riprendere" i loro cittadini e talvolta gli immigrati di altre nazionalità nel caso in cui quest'ultimi si trovino in situazione irregolare sul territorio di uno degli Stati membri dopo essere transitati sul loro suolo, costituisce, per tale ragione, una sfida determinante nelle relazioni della UE con i paesi che essa intende associare alla propria politica d'immigrazione.

Gli accordi di riammissione hanno consentito la esecuzione di vere e proprie espulsioni collettive, vietate dalle convenzioni internazionali, in quanto le forme di riconoscimento da parte dell'autorità diplomatica del paese ricevente sono state tanto sommarie da non consentire neppure una attribuzione certa della nazionalità (si pensi al cittadino del Sudan, richiedente asilo, salvato nel 2004 dalla nave Cap Anamur che è la nave battente bandiera tedesca e accompagnato dalle autorità italiana in Ghana, con documenti di viaggio rilasciati dall'ambasciata di questo paese.

352 Cuttitta P. e Vassallo Paleologo F., op. cit., 353

La vicenda della nave di assistenza umanitaria Cap Anamur che ha tratto in salvo i naufraghi risale il 20 giugno 2004 un gommone carico di profughi a rischio di naufragio. A bordo si trovavano 37 persone proveniente dall’Africa. Il gommone, completamente stipato di profughi, aveva subito un'avaria al motore, in acque internazionali tra la costa libica e l'isola di Lampedusa. Per alcuni giorni la nave cercava un porto idoneo per attraccare e sbarcare i profughi. Il 30 giugno la nave chiedeva il permesso di entrare nelle acque territoriali italiane. La richiesta nel primo momento veniva accolta, ma dopo veniva negata da parte delle autorità italiane di ancorare a Porto Empedocle354.

L’introduzione della materia della riammissione in Italia già nel lontano 1998, in una legislazione sull’immigrazione varata da un governo di centro sinistra, che ha altresì voluto la creazione dei Centri di detenzione amministrativa (CPT, oggi denominati CIE), pone in evidenza una sostanziale continuità tra le linee seguite dal governo Berlusconi e le posizioni dei governi di centro sinistra in materia di accordi di riammissione.

Fra gli accordi di riammissione conclusi prima del 2001, rientra quello stipulato con la Tunisia denominato "Scambio di note tra l'Italia e la Tunisia concernente l'ingresso e la riammissione delle persone in posizione irregolare" concluso il 6 agosto 1998 con il quale si prevedevano supporti tecnici ed operativi e contributi economici (15 miliardi di lire per tre anni) , ed in particolare un contributo di 500 milioni di vecchie lire per "la realizzazione in Tunisia di centri di permanenza".

Nel primo triennio di esecuzione delle intese di riammissione (1998-2000), l’Italia ha inviato in Libia attrezzature per circa 20 milioni di euro. Nel frattempo la Tunisia otteneva una quota “privilegiata” di ingressi legali in Italia.

D’altronde gli accordi di riammissione sono uno degli strumenti adottati dall'Unione Europea per contrastare i flussi dell'emigrazione internazionale, in particolare il fenomeno dell'immigrazione illegale. Tali accordi rientrano nel quadro più ampio della politica di rimpatrio dell'Unione, a sua volta parte integrante della politica di immigrazione comunitaria di competenza, insieme alle norme sull'asilo, del "primo pilastro", definito dal titolo IV del trattato che istituisce la Comunità Europea.

L’Europa ha scelto di chiudere sempre più le frontiere, inasprendo la normativa sulle espulsioni, sui respingimenti e sui centri di detenzione amministrativa. Rendere "effettivi" i provvedimenti di allontanamento forzato dal territorio nazionale ha portato come

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conseguenza inevitabile l’inasprimento degli accordi di riammissione con i principali paesi di transito e di provenienza, anche su base bilaterale, come l'Italia ha fatto con la Libia, l’Egitto nel 2007 e nel 1998 con la Tunisia.

Negli accordi di riammissione bilaterali stipulati dai paesi europei ed anche dall’Italia si possono rilevare delle caratteristiche comuni che possono essere così individuate:

1)La materia della riammissione rimane nell’ambito delle relazioni bilaterali tra stati che intrattengono tra loro relazioni economiche privilegiate (Spagna/Marocco - Italia/Libia);

2) Inserimento nell’accordo di riammissione di clausole che garantiscono ai paesi che collaborano nella riammissione di immigrati irregolari un trattamento preferenziale nella determinazione annuale delle quote di ingresso legale;

3) Previsione che il paese contraente sia tenuto ad accettare la riammissione di cittadini di stati terzi, purché lo stato che effettua l'allontanamento forzato fornisca la prova che le persone sono arrivate sul territorio nazionale attraverso il paese di transito;

4) Sussistenza di un meccanismo di tutela dello Stato richiesto, operante nel caso di riammissione effettuata sulla base di presupposti errati o inesistenti.

Inoltre, la Libia si impegna a coordinare i suoi sforzi con i Paesi di origine dei migranti per ridurre l’immigrazione irregolare e per l’attuazione del loro rimpatrio

Parecchi anni fa il viaggio di una delegazione del Ministero degli interni italiano in Libia e la visita di Berlusconi in quel paese dovrebbero consentire, secondo gli intendimenti del governo, la chiusura di un vero accordo di riammissione tra l’Italia e la Libia, dopo che le “intese” raggiunte nel 2003 si sono dimostrate del tutto inconsistenti. Per i vertici europei il governo italiano si voleva accreditare ancora una volta come un partner “obbligato” per quegli stati europei, come la Germania, o la Gran Bretagna, che sono interessati alla negoziazione di accordi di riammissione a carattere comunitario con i paesi del Nord africa. E’ anche evidente il calcolo politico del governo libico di dimostrarsi come partner affidabile degli stati europei, utilizzando strumentalmente i destini di migliaia di migranti per ottenere la revoca delle sanzioni economiche, qualche fornitura militare, e magari qualche euro come indennizzo delle antiche politiche coloniali

dell’Italia. Certo, la Libia, ormai paese d’immigrazione, dovrà rivedere quotidianamente le proprie convenienze, considerando gli ingenti vantaggi economici che lucra sulla pelle dei tanti disperati che dai paesi più poveri dell’Africa vedono in quel paese una prima speranza di sopravvivenza, anche quando questa speranza si traduce di fatto nello sfruttamento e nella schiavitù355.

Infine l’impegno di una gestione condivisa del fenomeno migratorio, la reciproca assistenza e cooperazione nella lotta all’immigrazione illegale, incluso il rimpatrio di migranti in situazione irregolare, vengono riaffermati nel Memorandum d’Intesa siglato il 17 giugno 2011 tra il governo italiano ed il Consiglio Nazionale Transitorio libico, e nel Processo verbale della riunione tra i Ministeri dell’Interno.

Capitolo quinto