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I centri di detenzione amministrativa per stranieri in Italia

Dalla Libia in Italia via mare

3.6 I centri di detenzione amministrativa per stranieri in Italia

Per “centri di detenzione“ s’intenderanno quelle strutture che formali o informali, stabili o improvvisate nell’emergenza, sono spazi racchiusi all’interno di un confine materiale170 (mura, filo spinato, sbarre, porte) dal quale, attraverso un controllo istituzionale dalle forze dell’ordine. Ciò che differenzia questi luoghi dalle istituzioni penali è soprattutto il loro aspetto amministrativo. Sono luoghi in cui le persone vengono internate sulla base di ciò che sono, della loro nazionalità del paese da cui provengono, del loro status di migranti, apolidi, rifugiati, nomadi e, in generale viaggiatori non autorizzati.

Fin qui le similitudini con i campi del passato (in cui però venivano internati cittadini de- naturalizzati) sono parecchie. La differenza che riguarda la detenzione amministrativa dei migranti di oggi, però, è che, congiuntamente alla condizione di non cittadino, viene

168 Cuttitta P. e Vassallo Paleologo F., op. cit., p.256

169 Sossi F., migrare, spazi di confinamento e strategie di esistenza, Milano 2006, il Saggiatore, p.10 170Mezzadra S., Diritto di fuga- Migrazioni, cittadinanza. Globalizzazione, Ombre corte, Verona 2006, pp. 110-11

perseguita, attraverso questo tipo di internamento171, proprio la mobilità dei soggetti che lo subiscono: il “reato” è quello di essersi spostati, di trovarsi in quel posto sprovvisti di inadeguata autorizzazione.

La disciplina della detenzione amministrativa ha tendenzialmente seguito il suo utilizzo nella pratica da parte dei principali paesi occidentali. Negli Stati di più lunga tradizione migratoria, i centri di detenzione hanno cominciato ad essere utilizzati negli anni Settanta senza una dettagliata disciplina normativa; solo tra gli anni Ottanta e Novanta si è assistito ad una loro progressiva giuridificazione, in parallelo ad un’estensione del ricorso allo strumento della detenzione amministrativa nel quadro delle politiche migratore. Nei paesi di “nuova” immigrazione, come l’Italia, il processo è cominciato nella seconda metà degli anni Novanta e spesso i centri sono stati creati per decreto al di fuori di una qualsiasi disciplina legislativa. La normativa sull’immigrazione è del resto un settore giovane dell’ordinamento giuridico italiano, tanto che prima degli anni Novanta a regolare le condizioni dell’ingresso e del soggiorno era chiamato un complesso di provvedimenti amministrativi sorretti da uno scheletro legislativo “scarno”172.

La detenzione amministrativa degli stranieri inizia in Francia nel 1810. Successivamente in Gran Bretagna era usata per impedire l’ingresso a categorie specifiche di stranieri, come i sovversivi e gli ebrei indigenti in fuga dalle persecuzioni in Polonia e in Russia, a partire dall’Alien Act del 1905. In Germania nascono nel periodo nazista (1938). Dopo la seconda guerra mondiale, l’orrore dei campi di concentramento porta a denunciare le “prigioni clandestine della polizia”. La differenza tra il passato e quelli attuali è nella gestione privata che oggi caratterizza i centri di detenzione amministrativa, con la differenza che nei paesi anglosassoni sono affidati a società attive nel campo della sicurezza e in Italia a società attive nel campo dell’assistenza, nel privato sociale di area cattolica. Oggi sono circa 200 i centri di espulsione presenti sul territorio europeo. La maggior parte sono ex convitti e ospizi o aree militari dismesse, solo l’8% sono centri costruiti appositamente173.

171

Sciurba A., op. cit., P.93-4

172

Pastore F., Migrazioni internazionali e ordinamento giuridico, in Violante L., a cura di Legge Diritto Giustizia, Annali della Storia di Italia, Einaudi, Torino 1998, cit., p. 1035.

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I centri in Italia hanno un ruolo di accogliere, ospitare o trattenere stranieri che hanno status giuridici differenti in relazione alle finalità per cui sono stati istituiti. La normativa che regola la nascita e il funzionamento di tali strutture è un insieme di disposizioni frammentate, contenute in una serie di leggi e decreti.

I primi Centri per stranieri in Italia risalgono alla seconda metà degli anni ’90 quando, con l’intensificarsi degli arrivi di migranti provenienti principalmente dal Nord Africa e dai Balcani, ha iniziato ad affermarsi l’idea della necessità di inasprire le norme in materia di allontanamento degli stranieri irregolari. La legislazione italiana dei primi anni ’90, infatti, non prevedeva l’ipotesi di trattenere in apposite strutture cittadini stranieri in attesa di essere rimpatriati e non prevedeva alcun meccanismo atto a rendere effettivi i provvedimenti di espulsione.

Nel 1995, per migliorare il sistema delle espulsioni e per aumentare l’effettività, è stato approvato il Decreto Legge n. 489/95 il cosiddetto “decreto Dini” con cui si introduceva l’obbligo di dimora per gli stranieri in attesa di rimpatrio e per la violazione di quest’obbligo era previsto fino a un anno di reclusione174.

Nello stesso anno, inoltre, sono stati istituiti con la legge 563/95, la cosiddetta “legge Puglia”, i primi Centri temporanei d’accoglienza (CTA) destinati a offrire immediato soccorso agli stranieri giunti irregolarmente in Italia, anche a procedere alla loro identificazione in modo da legittimarne la presenza sul territorio o disporne l’espulsione.

Queste strutture, inizialmente allestite solo nelle città di Brindisi, Lecce e Otranto, servivano a tentare di evitare interventi d’accoglienza improvvisati e a diminuire il consueto ricorso a provvedimenti emergenziali di protezione civile per affrontare il numero sempre più cospicuo di arrivi di cittadini stranieri e infatti, per la prima volta la legge utilizzava la parola “centri”. All’inizio i CTA erano strutture destinate per la prima accoglienza cioè erano edifici alberghieri risistemati e non erano dei Centri detentivi per stranieri paragonabili agli attuali Centri di Identificazione e Espulsione.

Solo nel 1998, infatti, con la legge n. 40/98 detta (“Turco – Napolitano”) si è affermata giuridicamente la possibilità di trattenere i destinatari di provvedimenti di espulsione in apposite strutture definite Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (CPTA). Tale provvedimento prevedeva la restrizione della libertà solo nei casi di grave pericolo per l’ordine pubblico da attuarsi in conformità alla Convenzione Europea per la

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salvaguardia dei diritti dell’uomo. Il trattenimento poteva essere disposto dopo l’adozione del decreto di espulsione e del decreto di accompagnamento coattivo alla frontiera.

La creazione dei Centri detentivi per stranieri ha dovuto soprattutto a ragioni di politica internazionale e comunitaria. Gli accordi di Schengen del ’95, infatti, avevano stabilito ai diversi Stati membri, come garanzia di protezione dell’area di libera circolazione delle persone, di aumentare i controlli alle frontiere e di migliorare il sistema delle espulsioni degli immigrati irregolari.

Questi accordi, pur non chiedendo chiaramente ai paesi firmatari l’istituzione di Centri di trattenimento per stranieri e pretendendo soltanto l’adozione di efficienti misure di accompagnamento coattivo alla frontiera, hanno tuttavia comportato la creazione di strutture detentive in tutti gli Stati europei.

L’intenzione originaria di italiano era limitare il trattenimento a una minima percentuale di stranieri irregolari (solo gli stranieri rintracciati, senza permesso di soggiorno, per più di una volta sul territorio italiano) esclusivamente al fine di identificarli e rimpatriarli nel più breve tempo possibile175.

La gestione dei centri di detenzione amministrativa in Italia comporta una spesa enorme. Le relazioni annuali di corte dei conti sono gli unici documenti che consentono di conoscere con certezza i dati relativi ai CPT e la loro vera natura176.

3.7 Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza