Capitolo due La Libia odierna
2.2 I campi per gli immigrat
“I campi sono la forma per confinare chi non appartiene”38 a quell’ordine statuale non perché abbia posto in essere comportamento antigiuridici ma in virtù della elusione o tentata elusione dei controlli alla frontiera oppure per aver violato le normative, sempre più inutilmente vessatorie precarizzanti, riguardanti il soggiorno; il campo è un surrogato pratico del territorio nazionale, per individui privi di diritti, per gli apolidi; e quindi indirettamente nessun cittadino può entrare da cittadino in un campo39. Soprattutto il campo può essere definito come uno spazio del fuori, ma di un fuori artificiale, che supera la dialettica dentro/fuori, inclusione/esclusione: “i campi designano sempre uno spazio assoluto ‘del fuori’di un’esclusione che cessa di rapportarsi a un ‘dentro’ e restituisce direttamente l’immagine spettrale di un’umanità fuori dalle mura, in esubero, in eccesso”40. Il campo costituisce, dunque, un fuori sia in termini spaziali, che temporali, che determina una sospensione e un’attesa dell’esistenza dei suoi attori, i rifugiati. Il tempo viene bloccato in un eterno presente, in quanto il campo non implica la dimensione
temporale del passato, tanto meno quella del futuro.
I campi non nascono dal diritto ordinario, ma dallo stato di eccezione, che si materializza nella dimensione-campo:“Il campo è lo spazio che si apre quando lo stato di eccezione comincia a diventare la regola”41.
L’istituzione di campi per immigrati illegali è una delle conseguenze più aberranti delle politiche migratorie europee. Costituisce la volontà di confinare e recludere i corpi di persone non localizzabili, eccedenti rispetto al modello di appartenenza post-nazionale comunitario. Di campi sono disseminati tutti i paesi confinanti con l’area di Shengen: dalla Polonia alla Romania, dalla Bulgaria alla Libia42 i migranti non assimilabili o non
38
Rahola F., Zone definitivamente temporanee. Luoghi dell’umanità in eccesso. Ombre corte Verona prima edizione 2003, 74-75.
39 Ibidem, Rahola F., 62
40 Rahola F., Rappresentare “gli spazi del fuori”. Note per un’etnografia dei campi profughi, in: Annuario di Antropologia n.5, Rifugiati, Meltemi, Roma, 2005, p. 70
41 Agamben G., Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995, p.188
42 Migreurop, Atlas of Migration in Europa. A critical Geography of migration policies. Migreurop Newinternationalist 2012
desiderabili sono rinchiusi in spazi senza diritto e senza diritti, meta finale di vere e proprie deportazioni di altri tempi.
In Europa, esistono varie tipologie di campi per stranieri, in tutto circa un centinaio : campi aperti o chiusi, informali (tendenzialmente “strutturati” nei quartieri periferici delle grandi città oppure istituzionali, improvvisati o programmati. In relazione ai campi “istituzionali”, si distinguono campi di attesa (a fini identificativi); campi di detenzione (per chi ha varcato illegalmente il confine e anche, in taluni casi, per i richiedenti forme di protezione internazionale); campi di allontanamento; campi perfettamente legali e campi di profughi.
I primi campi furono costruiti nelle varie colonie oltremare. E’ proprio nelle colonie che nasce l’idea di un’umanità in eccesso da riterritorializzare. Là l’hanno usato i campi per separare spazialmente e distinguere politicamente tra cittadini delle metropoli e sudditi delle colonie, come abitassero su due pianeti distinti. Infatti, se analizziamo la genealogia dei campi di detenzione il primo fu costruito a Cuba, nel 1894 (come risposta a un’insurrezione della popolazione colonizzata contro il potere coloniale spagnolo). Fu questa occasione in cui per la prima volta, nel 1895, venne usata la parola concentramento da parte del capo dell’esercito che tentava di mantenere l’occupazione dell’isola43. Il ricorso alla reclusione venne giustificato in base a motivo di sicurezza, per separala e non confonderla da chi invece diventa obiettivo delle rappresaglie spagnole. Complessivamente quasi 400 mila persone, in maggioranza vecchi, donne e bambini, vennero “ riconcentrate” in una serie di campi disseminati sull’intera isola, in condizioni di assoluta deprivazione che provocarono tassi di mortalità elevatissimi44.
Quattro anni dopo, nel 1900, durante le guerre boeri le autorità coloniali inglesi in Sud Africa internarono più di 120 mila di civili boeri in campo recintati, per la prima volta nella storia, con del filo spinato che in precedenza utilizzato solo per recintare i bestiami45.
E ancora nell’attuale Namibia nel 1904, l’amministrazione coloniale tedesca si macchiò di quello che con ogni probabilità può essere considerato il primo genocidio
43Cit, Sciurba A. Campi di forza. Percorsi confinanti di migranti in Europa. Ombre corte, Verona, prima edizione: giugno 2009 p.40
44.Rahola F. Zone definitivamente temporanee. I luoghi dell’umanità in eccesso. Ombre corte Verona 2003 45
moderno: quando l’intera popolazione herero 80 mila in tutti venne concentrata e sterminata nel giro di meno di un anno dall’esercito coloniale. Obiettivo dell’operazione era, infatti, l’eliminazione totale degli herore dalle zone di espansione degli insediamenti tedeschi. Le popolazioni locali non venivano più considerati sudditi da piegare al dominio coloniale, ma presenze da estirpare con qualsiasi mezzo, attraverso esecuzioni sommarie. Allo sterminio sistematico segue la prigionia: gli Herero non verranno più abbattuti ma saranno obbligati ai lavori forzati in campi di concentramento46.
Anche in Europa sono stati i campi per i migranti prima delle due guerre mondiale per esempio l’Olanda nel 1914 istituisce decine di campi temporanei e uno permanente per concentravi centinaia di migliaia di profughi belgi in fuga di fronte all’invasione tedesca. Lo stesso fa il Canada con i profughi ucraini tra il 1914 e il 1920. Si trattava di migranti stabilizzati da oltre 20 anni sul territorio canadese e coinvolgeva complessivamente più di 170 mila ucraini. Il governo canadese allestì ventisei campi di internamento, disseminati sull’interno territorio nazionale, costretti con frequenza a lavori forzati47. Anche in questo caso i campi confinano uno spazio extra/intra territoriale cui ricondurre un’eccedenza, non riassorbibile altrimenti, la massa dei senza patria. I campi, quindi, rappresentano un dispositivo di potere extra-ordinario attraverso il quale si controlla una presenza (quella dell’apolide, del profugo, del migrante) proprio inquietante perché “mostra l’esaurirsi di un paradigma inclusivo (di un’idea di società)”48.
Il campo viene concordemente considerato come un prodotto emblematico del XX secolo. Nonostante le sue origini possano essere rintracciate nell’Europa della seconda Guerra Mondiale, è con il processo di globalizzazione, da un lato, e con quello di decolonizzazione, dall’altro, che il fenomeno rifugiati e quello correlato di campo si
46Gli Herero sono una tribù di allevatori di bestiame che abitano nel Damaraland, nel nord della Namibia. Nel 1884, all'epoca della spartizione dell'Africa fra le potenze coloniali europee, l'odierna Namibia fu dichiarata protettorato tedesco; all'epoca era l'unico territorio d'oltremare considerato adatto per lo stanziamento dei bianchi acquisito dalla Germania. La politica coloniale tedesca, per quanto migliore di quella francese o belga, era apertamente non egualitaria: i coloni furono incoraggiati a sottrarre la terra alle popolazioni locali, i nativi (compresi gli Herero) vennero adoperati come schiavi, e le risorse di rilievo (in particolare le miniere di diamanti) venivano sfruttate dai tedeschi. Questa situazione creò un crescente malcontento. A bloody history: Namibia's colonization BBC NEWS, Wednesday, 29 August, 2001, 12:16 GMT 13:16 UK
47Ivi, RAHOLA F., pp.72-73 48
inseriscono stabilmente nello scenario globale. La fine del colonialismo e le conseguenti formazioni di Stati-nazioni e di movimenti nazionalisti, portarono con sé.
A dispetto dei contesti geografici, economici, demografici e politici, negli ultimi anni i flussi migratorie negli stati membri dell’unione europea stanno aumentando. Tutti gli stati membri hanno adottato uguali misure politiche per stabilire i campi di detenzioni49.
La mappa che indica l’allargamento dei campi in Europa e nei paesi limitrofi
Questa cartina presenta l’estensione dei campi per immigrati clandestini in Europa e nei paesi limitrofi, risulta costellata da una miriade di punti colorati. La costellazione complessiva di tutti questi punti, vale a dire il complesso sistema di detenzione, identificazione e “accoglienza” di cui si è dotata l’Unione europea per governare la mobilità, essenzialmente migrante, all’interno e all’esterno dei suoi territori. Come emerge immediatamente dalla mappa, infatti, la proliferazione di campi non riguarda solo i territori dell’U.E, ma si estende ben aldilà arrivando nel Maghreb fino alla Libia,
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lambendo la costa atlantica della Mauritania ed estendendosi verso est, dalla Turchia all’Ucraina, per sorvegliare i confini europei dall’esterno50.
La mappa prende in considerazione principalmente i ‘campi chiusi’ (la maggioranza di quelli esistenti), dove gli stranieri sono totalmente privati della loro libertà di circolazione. Le “zone d’attesa” si trovano spesso in luoghi isolati, lontani dagli sguardi dei cittadini e del mondo, oppure nei pressi dei luoghi di frontiera come aeroporti e stazioni. Ma anche nel fitto dei boschi, come il campo di Furth (Norimberga), o lo Yarl’s Wood di Bedford (GB). Dove nel 2002 la mano di un disperato ha appiccato il fuoco al “centro di custodia” più grande d’Europa51.
Campi informali tendenzialmente ‘strutturati’ nei quartieri periferici delle grandi città. L’essenza del campo luogo della sospensione del diritto, della normalizzazione dell’eccezione e dell’indistinzione tra la norma e la nuda vita – dovremmo ammettere, di trovarci «virtualmente in una presenza di un campo ogni volta che viene creata una tale struttura, indipendentemente dall’entità dei crimini che vi sono commessi e qualunque ne siano la denominazione e la specifica topografia”52. Dalle zones d’attentes degli aeroporti internazionali francesi ai posti di provvisorio e informale ammassamento dei clandestini albanesi in attesa di espulsione quale fu lo stadio di Bari nel 1991, dai centri di detenzione formalmente previsti dalla legge alle bidonville di Rosarno. In tutti questi luoghi si delimiterebbe uno spazio in cui l’ordinamento normale è di fatto sospeso e in cui che si commettano o meno delle atrocità non dipende dal diritto, ma solo dalla civiltà e dal senso etico della polizia che agisce provvisoriamente come sovrana (per esempio nei quattro giorni in cui gli stranieri possono essere trattenuti nella zone d’attente prima dell’intervento dell’autorità giudiziaria53).
Quel che è certo è che la mappa, oltre a disegnare uno scenario preoccupante dal punto di vista dei diritti dei migranti nell‘Unione Europea, rivela anche l’esistenza di altri ‘luoghi della vergogna’ quelli situati nei paesi dell’Est Europa (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Slovenia), collocati perlopiù sui confini con i vicini dell’Est più poveri. Luoghi dove ancora non esiste alcun diritto né legge.
50 Ibidem, Migreurop, p.83 51Ibidem, p.83-84
52
Agamben G., Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995. P 194
53
A prescindere da come siano chiamati54, i campi per gli stranieri sono diventati uno strumento privilegiato per la gestione delle popolazioni migranti. Come accennato sopra delle persone sono rinchiuse senza condanna né giudizio, in condizioni di tipo carcerario, che talvolta si spingono fino al loro confino all’interno delle celle, solo per non avere rispettato le regole sull’attraversamento delle frontiere e sul soggiorno, anche se queste stesse regole possono violare il diritto internazionale, per esempio nel campo della protezione che è dovuta ai rifugiati. In alcuni luoghi, i maltrattamenti e le violenze fisiche e psicologiche rappresentano la normalità. I frequenti incidenti (rivolte, scioperi della fame, incendi provocati), talvolta drammatici (suicidi, morti), sottolineano quanto il sistema di detenzione sia inadatto per le popolazioni alle quali è destinato55.
Per quanto riguarda i campi profughi sono luoghi destinati ad “ospitare” temporaneamente persone che, per vari motivi, sono state costrette a lasciare la propria abitazione: vittime di guerre e discriminazioni etniche, conflitti etnici o religiosi, vittime di disastri ambientali e carestie. “Il campo profughi rappresenta quindi un elemento di frattura e discontinuità nel percorso dei rifugiati. Quella che, in nome dell’emergenza, poteva e doveva essere una obbligata tappa intermedia, diventa il luogo di una protratta provvisorietà, del definitivamente temporaneo”56
Secondo recenti stime dell’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, ci sono circa 33 milioni di persone nel mondo che vivono in situazione di estrema precarietà all’interno dei Campi Rifugiati. Queste persone, presenti in tutti i continenti, sono fuggite dalle loro abitazioni, abbandonando affetti, sicurezze, lavoro ed ogni bene che possedevano. Sono fuggite nella speranza di trovare aiuto, assistenza e protezione in altri luoghi. Alcuni hanno attraversato la frontiera del proprio Paese di origine, sono i rifugiati. Altri hanno raggiunto altri luoghi all’interno del proprio Paese, sono gli sfollati. Si trovano anche a vivere in campi improvvisati, allestiti dalle agenzie dell’ONU o dalle Organizzazioni Non Governative (ONG57). Per poter sopravvivere dipendono dagli aiuti
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Si parla di “centri chiusi”, di “centri di identificazione ed espulsione”, ma anche di “zone di attesa»”, di “centri di transito”, o anche di “centri di accoglienza”.
55 Ibidem migreurop….
56 Marchetti C., La geografia del campo: “fuori” vs “dentro” in: Boano e Floris, a cura di, Città nude. Iconografia dei campi profughi, FrancoAngeli, Milano, 2005
57 Negli ultimi decenni sono nate le Organizzazioni non governative (ONG). Sono nate dal bisogno di singoli che ritenevano di porsi in alternativa o come completamento alle organizzazioni nazionali o
che la Comunità Internazionale fornirà loro attraverso le agenzie ONU o le ONG58.
Quando le popolazioni sono costrette alla fuga, possono camminare per giorni prima di trovare un luogo dove fermarsi. Questi luoghi sono il più delle volte al di fuori dei villaggi o delle città. Sono luoghi malsani: alto numero di persone concentrate in poco spazio, mancanza di acqua e di igiene, scarsezza di cibo, ripari precari.
Nei campi profughi si cerca di sopravvivere in una situazione spesso altamente precaria affrontando tutti i giorni i seguenti problemi fondamentali:
Acqua: il suo approvvigionamento sufficiente è vitale per evitare disidratazione,
mancanza d’igiene, insorgenza di malattie.
Bagni: serve scavare delle fosse per dare la possibilità a migliaia di persone e
provvedere ad un sistema di evacuazione delle acque usate.
Ripari: serve costruire capanne con materiale del posto o montare tende per
proteggersi dal calore, dal freddo, dal vento o dalla neve per non ammalarsi.
Cibo: senza gli aiuti internazionali difficilmente un campo profughi riesce a reggere. Vaccinazioni: serve vaccinare i bambini dai 5 mesi ai 15 anni contro il morbillo e
somministrare vitamina A per evitare problemi alla vista.
Cure mediche: lo stato di salute di un campo dipende molto dai fattori che hanno
causato la fuga da casa (villaggio bruciato, carestia, siccità, bombardamento, terremoto). Le 4 patologie più frequenti: infezioni respiratorie acute, malattie diarroiche, malaria, morbillo.
Scuola: se un campo è già sufficientemente organizzato i ragazzi possono avere
delle capanne o tende o prefabbricati per fare scuola, a turno. Molte volte non c’è nulla di ciò.
La propria vita futura: il domani ha i contorni dell’incertezza, della debolezza, del
sentirsi troppo vulnerabili. È un futuro fragile, indefinito, che fa paura. Soprattutto se sei un padre o una madre.
sovranazionali su attività tematiche. Anche nel campo dei rifugiati e dell'organizzazione e gestione dei loro campi operano numerose ONG, che svolgono questo compito spesso come complemento necessario della loro attività principale. L'organizzazione che più di altre è presente nella gestione o nel supporto dei campi è Medici senza frontiere
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Medici senza frontiere onlus, Un Campo Rifugiati In Città, è reperibile sul sito http://archivio.pubblica.istruzione.it/news/2007/allegati/campo_rifugiati.pdf
Traumi subiti: per quello che è stato vissuto e che si vive, soprattutto i ragazzi
hanno bisogno di un supporto psicologico, che purtroppo è difficilissimo avere. Il dolore ha bisogno di essere rielaborato.
Recentemente i campi per migranti irregolari in paesi europei e nei paesi Nord Africa sono concatenati tra strutture a diverso titolo di internamento. Si consideri il caso di una persona, X, che sia perseguitata per ragioni che hanno a che fare con la sua appartenenza religiosa, politica o “etnica” nel paese di origine – un paese, per esempio il Sudan, in cui istituzioni internazionali come l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR) o organizzazioni non governative (ONG) operino già in termini di tutela dei diritti fondamentali delle minoranze. La persona in questione sarà quindi verosimilmente ospitata all’interno di un centro di protezione (Emergency Temporary Location) gestito direttamente dall’UNHCR o da un’organizzazione non governativa che operi sotto la sua difesa. Supponiamo, poi, che questa persona riesca ad attraversare il confine del proprio paese – spostandosi per esempio in Libia, via Ciad o Niger. Qui, un altro campo informale, di transito, alloggerà X fino a quando non riuscirà ad attraversare un ulteriore confine (marittimo) e a raggiungere il presunto paese di destinazione in Europa – immaginiamo l’Italia, nel qual caso, per cause tutt’altro che legate a questioni di rotte e di correnti, il porto sarà quasi sicuramente costituito dall’isola di Lampedusa, a sud della Sicilia. A questo punto X sarà “trattenuto” in un Centro di permanenza temporanea e assistenza in cui potrà inoltrare domanda di asilo. Da qui, dopo un certo arco di tempo (da una a nove settimane) verrà trasferito in un’altra struttura più vicina in Sicilia, a Trapani o Agrigento), un Centro di identificazione per esservi trattenuto per il tempo necessario a valutare la sua domanda di asilo. Si considerino allora entrambe le opzioni possibili: quella di gran lunga più probabile di un rifiuto (sul presupposto che una forma di protezione, e cioè un campo umanitario/ETL ( Emergency Temporary Location), è già attiva nel paese d’origine e quindi la domanda di asilo non può essere accolta), e quella del conferimento di un generico status umanitario provvisorio (una temporary protection che differisce sensibilmente dal diritto di asilo fissato dalla Convenzione di Ginevra per il fatto di non implicare alcuna forma di riconoscimento permanente di diritti civili e sociali). In quest’ultimo caso, divenuto rifugiato temporaneo (temporary o prima facie refugee), X sarà ospitato verosimilmente in una struttura attrezzata (un Centro di accoglienza temporanea) per il tempo accordato al suo statuto a termine. Una volta
scaduto lo statuto umanitario temporaneo rilasciatogli (ovvero, nel caso più probabile di un non accoglimento iniziale, immediatamente), la presenza di X nel territorio del paese d’arrivo sarà considerata irregolare. E X, se intercettato senza titolarità di un permesso di soggiorno, sarà di nuovo trattenuto in un Centro di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) prima di essere eventualmente “riaccompagnato/rimpatriato” (e cioè deportato) nel paese terzo da cui è passato immediatamente prima di arrivare nel paese di approdo – nel caso specifico la Libia. Una volta organizzato il riaccompagnamento, sulla base di specifici accordi bilaterali tra Italia e Libia, X verrà allora condotto in uno dei numerosi centri di transito (Transit Processing Centres) direttamente finanziati dall’Unione Europea e supervisionati da organizzazioni intergovernamentali come OIM, e qui trattenuto per un certo tempo e in condizioni che non è dato conoscere nella misura in cui la Libia non autorizza controlli e non ha ratificato la Convenzione di Ginevra per i rifugiati – prima di essere eventualmente riaccompagnato alla frontiera con il Sudan o abbandonato nel deserto del Teneré (Niger59).