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Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (CPTA

Dalla Libia in Italia via mare

3.7 Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (CPTA

Nel 1998, con l’art. 12 della legge n. 40 del 6 marzo 1998 (la cosiddetta Turco- Napolitano), il governo italiano istituiva i CPTA (Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza) nei quali lo straniero, per il quale non poteva essere eseguita immediatamente l’espulsione, doveva essere trattenuto il tempo strettamente necessario ai fini dell’espulsione (massimo 20 giorni) più eventuali altri 10 giorni, nella imminenza del

175 Si veda Medici Senza Frontiere- Missione Italia - rapporto sui centri di permanenza Temporanea e assistenza, Gennaio 2004, pp. 47-48

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rimpatrio177. In quell’epoca il governo di centro sinistra Prodi giustificò le misure della legge e l’istituzione CPTA come una vera e propria necessità, a fronte del flusso migratorio sempre più massiccio verso le coste italiane178.

Nel Regolamento di attuazione (D.P.R. n. 394 del 1999), all’art. 21 (Modalità di trattenimento) viene stabilito che “il modo del trattenimento devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all’interno del centro e con visitatori provenienti dall’esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la liberta di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona, fermo restando l’assoluto divieto per lo straniero di allontanarsi dal centro.

A differenza della precedente normativa in materia di immigrazione, come la legge Martelli (L. n.39/90), con la L. n.40/98 si riducono i casi di espulsione tramite intimazione a lasciare il territorio, aumentando invece l’accompagnamento coattivo dello straniero alla frontiera, dopo un periodo di trattenimento nei CPTA. Ciò avviene nei casi in cui l’immigrato è già stato intimato una volta di lasciare il paese entro quindici giorni e ancora non l’ha fatto, quando non è in possesso di un documento di identità valido, o ancora se si ritiene che possa sottrarsi all’esecuzione del procedimento di espulsione179.

Non possono invece essere disposti provvedimenti di espulsioni verso i minori di 18 anni, a meno che i suoi genitori o affidatari non siano stati espulsi; chi è in possesso della carta di soggiorno; donne in gravidanza o con figli neonati (entro i sei mesi di vita); chiunque possa essere in qualche modo perseguitato per motivi religiosi, di sesso, etnici, o politici.

Ma nel 2002 con la legge Bossi-Fini modificando e inasprendo la normativa in materia di immigrazione ed asilo, porta il termine massimo di trattenimento in un CPTA da 30 a 60 giorni, in attesa dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera dello straniero irregolare.

Nel 2008, il nuovo governo Berlusconi da poco insediatosi emana in tempi brevissimi il decreto legge 23 maggio 2008, n. 92 recante Misure urgente in materia di sicurezza pubblica e la relativa legge di conversione 24 luglio 2008 n. 125 nella quale i

177Ibidem, Medici senza frontiere

178http://www.amnesty.eu/static/documents/Italy_detention_report_Italian_final.pdf 179

CPTA vengono trasformati in CIE (Centri di identificazione ed espulsione), dopo un breve periodo in cui dalla sigla era già scomparsa la lettera “A” di assistenza si ridusse con esso il numero dei posti disponibili e al ordinanza di espulsione punibile con sanzione penale da 6 mesi ad 1 anno di reclusione180.

La durata massima di permanenza nei Centri detentivi è uno degli aspetti che ha subito maggiori e frequenti modifiche nel corso del tempo. Inizialmente la Legge “Turco – Napolitano” aveva previsto che il trattenimento potesse essere confermato per un periodo di venti giorni, prolungabile per altri dieci. Tale periodo era stato poi esteso dalla legge “Bossi-Fini” a trenta giorni prorogabili ad altri trenta. Con il provvedimento legislativo n. 94 del 2009, la tempistica è stata ulteriormente modificata prolungando il termine massimo del trattenimento a 180 giorni da suddividersi in tre successivi periodi di 60 giorni ciascuno181.

Le problematiche e le carenze iniziali non sono state compiutamente affrontate, anzi si sono pesantemente aggravate soprattutto in conseguenza di alcune recenti modifiche apportate alla normativa italiana: la trasformazione dei CPTA in CIE nel 2008, con la Legge 125/08, e l’estensione del tempo massimo di trattenimento fino a 18 mesi nel 2011, con la Lg. N. 129/11. L’estensione fino a diciotto mesi del tempo di trattenimento è un aspetto che aggraverà pesantemente le problematiche proprie dei Centri detentivi per stranieri. Esseri umani con esigenze e bisogni molto diversi tra loro costretti a convivere, per diversi mesi, in un unico luogo già carico di tensione possono assumere comportamenti aggressivi verso gli altri trattenuti, verso se stessi o verso le strutture. In contesti particolarmente stressanti, la vulnerabilità può facilmente trasformarsi in aggressività e violenza. Non a caso, rivolte, atti di autolesionismo, tentativi di fuga ed episodi di violenza sono diventati aspetti peculiari dei Centri di trattenimento per migranti182.

In riferimento ai dati dei rintracciati tuttavia, solo una percentuale degli stranieri irregolari individuati sul territorio italiano viene effettivamente trattenuta in un CIE. Tra il

180 Colombo A., Fuori controllo? Op.cit., p.119

181 Si veda Medici senza Frontiere 2004, Rapporto su centri di permanenza Temporanea e assistenza 182 Si veda Protezione civile. Lampedusa non è isola. Profughi e migranti alle porte dell’Italia . giugno 2012dell’Italia

1999 e il 2009, sono difatti stati trattenuti in media circa 170 stranieri ogni 1.000 irregolari rintracciati.

In base alle testimonianze fornite dagli operatori dei Centri, è possibile individuare alcuni criteri di selezione. In primo luogo, la scelta di trattenere o meno uno straniero dipende dal numero di posti disponibili, quindi dipende da ragioni organizzative. In secondo luogo, si selezionano gli stranieri in base a ragioni gestionali: si cerca di non occupare posti nei Centri con stranieri provenienti da paesi verso i quali difficilmente può avvenire un rimpatrio. Infine, si selezionano i migranti in base a considerazioni di ordine pubblico, “privilegiando” gli stranieri che hanno commesso reati oppure che vengono considerati elementi di disturbo o fonte di tensione sociale183

All’interno del CPTA, in particolare, sono previsti i servizi sanitari essenziali e possono accedere, tra gli altri, anche i familiari conviventi; alla questura sono affidati i provvedimenti e le misure per garantire e la sicurezza e l’ordine pubblico nel centro e per impedire ogni allontanamento indebito. E’, invece, il prefetto della provincia che provvede alla sua attivazione e gestione, disciplinando tutte le attività in esso previste; in particolare: può stipulare delle convenzioni con l’ente locale o con soggetti pubblici e privati, che possono avvalersi dell’attività di altri enti, associazioni di volontariato e cooperative di solidarietà sociale; individua il responsabile della gestione del Centro e dispone i necessari controlli sull’amministrazione e gestione. Il prefetto ha l’obbligo, comunque di riguardare alle disposizioni organizzative e amministrative-contabili impartite dal Ministero dell’Interno, a cui carico sono tutte le spese per il mantenimento e la gestione184.

Queste disposizioni sono, tuttavia, ancora insufficienti a definire la situazione dei Centri, che risultano essere gestiti discrezionalmente e spesso in modo lacunoso avvocati e magistrati hanno spinto per fare chiarezza e ordinare questa situazione confusionaria.

I primi Centri di Permanenza sono istituiti poco dopo l’emanazione della 40/98’: la loro apertura risulta determinata da una situazione emergenziale verificatisi sulle coste del sud, soprattutto pugliesi e siciliane, per lo sbarco di ingenti flussi di clandestini, provenienti in maggioranza dai Balcani e dal Nord Africa. Non si segue, nella loro apertura, nessun criterio regolativo né disposizione di governo; come si è visto nella

183 Cfr, Colombo A., Fuori controllo? Pp. 125 e 128; art. 14 co. 5 T.U 184

40/98’ non vi è alcun riferimento alle modalità in cui questi debbono essere gestiti e strutturati. Il primo Centro ad essere istituito è il “Serraino Vulpitta” di Trapani, a cui ne seguono altri in Sicilia, in Puglia e nel resto d’Italia, a Milano, Torino, Trieste. Questi primi CPTA, soprannominati Centri di prima generazione, sono per lo più ricavati da strutture di emergenza o da edifici adibiti precedentemente ad altri scopi, l’unico Centro costruiti ex novo è il “Ponte Galeria” di Roma, in funzione dal settembre 1999. C’è una grande disparità di situazioni da centro a centro, le strutture non sono adeguate, le procedure confusionarie e non funzionanti, i diritti degli stranieri non rispettati. Diverse associazioni, movimenti a favore dei diritti degli immigrati, gruppi di pressione erano contrari alla loro costruzione.

Vi erano diversi Centri dislocati in tutta Italia. Una maggior concentrazione come citato sopra si ha nel Sud, nelle zone maggiormente soggette a sbarchi: in Sicilia a Trapani (“Serraino Vulpitta”), Agrigento (“Contrada San Benedetto”) e Caltanissetta (“Pian del Lago”); in Puglia a Brindisi e Lecce (“Regina Pacis”) e, a Foggia; in Calabria a Lamezia Terme e a Capo Rizzuto,. Al centro-nord vi sono strutture a Milano (il “Corelli”), a Torino (il “Brunelleschi”), in Emilia Romagna, a Bologna(“Enrico Mattei”) e Modena (“La Marmora”) e a Roma (“Ponte Galeria”). Un aggiornamento esatto del numero dei CPTA attualmente in funzione è difficoltoso: alcune strutture, come il CPT di Lampedusa, funzionerebbero in realtà come Centri di Accoglienza, altri pur essendo Centri di Prima Accoglienza o Centri di Identificazione, assolverebbero anche alla funzione di CPT185.

I Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza si sono configurati, sin dalle fasi immediatamente susseguenti all’approvazione della Turco-Napolitano, uno degli istituti più problematici della normativa. Diverse sono le obiezioni che si rivolgono a questi istituti, da una presunta violazione della Costituzione, al mancato rispetto dei diritti e della dignità dello straniero, sia per notevoli carenze nell’operare concreto, sia per soprusi e violenze che sarebbero avvenute, secondo alcune testimonianze, all’interno di alcuni Centri186.

Nello specifico in ogni Centro c’è un comando interforze, composto da Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza che si occupa della sicurezza all’interno della struttura.

185Ibidem, Medici senza frontiere, 2004 186

Anche gli edifici, dislocati per lo più in zone periferiche, circondati spesso da alti muri e dotati di sbarre, recinti e filo spinati, somigliano alla tradizionale “prigione”187.

La “battaglia” per la chiusura dei “lager” ha visto impegnato gran parte dell’associazionismo cattolico e laico, dal movimento no-global ai centri sociali alle più ampie ali pacifiste, alle organizzazioni umanitarie e in favore dei diritti dei migranti, da associazioni giuridiche di avvocati e magistrati fino a parte della stampa più vicina agli orientamenti di questa variegata costellazioni di attori.188

A questo si aggiungono gravi episodi di cronaca: suicidi di alcuni stranieri, pestaggi e violenze tra gli immigrati stessi, incendi, tentativi di rivolta o fuga e suicidi. Soprattutto quello che spinge a fare questo brutto gesto dei trattenuti è il tempo dell’attesa del riconoscimento del loro status. Il tempo del trattenimento è un tempo vuoto ed etero diretto, scandito solo dalla presenza di un regolamento. La frattura nei confronti del passato, un tempo presente che vuoto, l’incertezza rispetto al futuro, ma, principalmente, la totale chiusura verso l’esterno189

I Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza vanno letti in quel quadro internazionale e, in particolare, europeo di convergenza delle immigration policies che va verso un rafforzamento degli strumenti di lotta all’immigrazione clandestina e una generale preoccupazione a regolare le entrate sul territorio. Questa esigenza, determinata da più fattori, quali l’effettiva situazione problematica italiana, un timore e una richiesta di sicurezza e timore espressa da una larga parte dell’opinione pubblica, l’esigenza di adeguarsi agli standard e agli obiettivi comuni europei, ha influenzato gli orientamenti della classe politica, portando le diverse maggioranze di governo all’elaborazione di immigration policies che non sempre si pongono in linea con le posizioni tradizionalmente espresse dalle singole parti politiche che le compongono.

187 Si veda Msf, 2004

188 Si veda Meltingpot Europa per la promozione dei diritti di cittadinanza; il Centro delle culture , ONLUS, che ha raccolto alcune testimonianze di trattenuti nel centro Corelli di Milano; l’ASGI (Associazioni Studi Giuridici Immigrati); l’ICS (Consorzio Italiano Solidarietà); i missionari Comboniani. 189 Paone S., Città in frantumi, Sicurezza, emergenza e produzione dello spazio, FrancoAngeli, Milano 2008, p.150

3.8 I centri di permanenza temporanea (CPT) per