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Actio empti e rapporti con gli strumenti concorrenti di tutela 134

Come anticipato, il tema si interseca con quello, ancor più complesso, volto a stabilire quale fosse la frequenza con la quale si faceva ricorso al suddetto strumento: viene, infatti, in rilievo una variabile non oggettivamente valutabile, ovvero quale fosse nella pratica il ricorso ai rimedi alternativi quali l’auctoritas o le diverse forme di stipulationes. Ritenere più o meno ampio l’utilizzo di quest’ultimi strumenti, in vero, non vuol dire altro che ampliare o ridurre i casi in cui era necessario ricorrere all’azione contrattuale.

Come sarà a breve evidente, un’immediata riprova di ciò è data proprio dall’esame della dottrina: da un lato312, infatti, non si è mancato di ritenere che

l’ambito applicativo dell’actio empti fosse ridotto, ipotizzando un perdurante e largo ricorso allo strumento stipulatorio; dall’altra313, si è giunti, di contro, a

ridurre tale ambito applicativo, supponendo, invece, una perdurante e diffusa utilizzazione della mancipatio e, quindi, della connessa actio auctoritatis. Soltanto un’attenta disamina delle fonti disponibili, nell’ottica ora evidenziata,                                                                                                                                                                                                                                                                                                             hominem quem vendidit, ita ea quoque quae per eum adquiri potuerunt praestare debet emptori, ut habeat.

312 Si fa riferimento, in particolare, alla tesi dell’Arangio-Ruiz, su cui cfr. infra in questo stesso paragrafo.

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può permettere di chiarire alcuni dei profili problematici ora evidenziati, che spesso sono stati affrontati con un approccio, a mio avviso, talvolta aprioristicamente influenzato.

E’, senza dubbio, frutto della dottrina tradizionale, l’aver valorizzato nelle fonti l’utilizzo dell’actio empti in funzione di garanzia314. La lettura in questo senso delle fonti in materia è, forse, influenzata dall’idea, rectius dall’assunto che «conformemente alla tendenza conservativa della prassi romana, l’ammissione dell’actio empti nelle funzioni vedute non ridusse per nulla la diffusione delle verborum obligationes: queste rimasero in uso non soltanto per tutta l’età classica, ma anche in epoca postclassica, fino alla compilazione di Giustiniano ed oltre»315. In questo senso militerebbe316, del resto, la circostanza che in concreto le parti, nel caso di vendita di beni di grande valore, difficilmente avrebbero omesso di apporre le dovute stipulazioni; di converso, nel caso di vendita di res mancipi tra cittadini romani, difficilmente si sarebbe evitato di compiere la mancipatio, con il nascere della relativa obligatio auctoritatis. Nella stretta connessione tra actio empti e stipulazioni di garanzia si può, senza dubbio, collocare un’importante testimonianza di Ulpiano, che riporta un’opinione di Nerazio

D. 21, 2, 37, 2 (Ulp. 32 ad ed.): Si simplam pro dupla per errorem

stipulatus sit emptor, re evicta consecuturum eum ex empto Neratius ait, quanto minus stipulatus sit, si modo omnia facit emptor, quae in stipulatione continentur: quod si non fecit, ex empto id tantum consecuturum, ut ei promittatur quod minus in stipulationem superiorem deductum est.

                                                                                                               

314Non a caso, in vero, lo stesso Arangio Ruiz intitola il paragrafo concernente l’esperibilità dell’actio empti in relazione all’evizione proprio «l’actio empti in funzione di garanzia», cfr. ARANGIO RUIZ, Compravendita, cit., 345.

315 ARANGIO RUIZ, Compravendita, cit., 352. 316 ARANGIO RUIZ, Compravendita, cit., 350 ss.

CAPITOLO IV

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Nell’ottica di Nerazio, il compratore, che abbia per sbaglio accettato una

stipulatio simplae, anziché la duplae, può agire, al momento dell’evizione, con

l’actio empti, per ottenere il doppio del prezzo pagato.

E’ evidente, a mio avviso, che in questo caso la determinazione del quantum ottenibile dal compratore venga a prescindere da una valutazione in concreto dell’id quod interest: l’azione contrattuale risulta connotata da una chiara funzione di garanzia, analoga, del resto, a quella che caratterizza lo strumento stipulatorio voluto dal compratore e che, per errore, non è stato ottenuto.

L’attenta valorizzazione della circostanza concreta che il compratore abbia espressamente richiesto al venditore di essere tutelato mediante stipulatio, giustifica, a mio avviso, l’adesione di Ulpiano all’impostazione di Nerazio. All’epoca di Ulpiano, infatti, come vedremo nei prossimi paragrafi e come del resto più volte accennato, risulta possibile l’esperimento diretto dell’actio empti per l’ottenimento dell’id quod interest. Proprio, però, la scelta a monte del compratore per uno strumento di tutela di ‘garanzia in senso tecnico’, quale la

stipulatio duplae, che, in concreto non può trovare diretta applicazione a causa

del menzionato errore dell’acquirente stesso, comporta la logica conseguenza che il giurista utilizzi lo strumento contrattuale per dare attuazione al programma contrattuale, che le parti avrebbero voluto attuare.

Per quanto qui interessa, la testimonianza ulpianea evidenzia chiaramente il ruolo importante che riveste, come anticipato, l’autonomia delle parti nella scelta del sistema di tutela contro l’evizione, che possono, attraverso l’apposizione di una stipulatio, derogare al regime connesso all’esperimento dell’actio empti.

Nel limitare il ricorso all’azione contrattuale, può ipotizzarsi che un ruolo può presumibilmente essere stato giocato anche dall’auctoritas317. Merita, infatti,

attenta considerazione la tesi dell’Ankum, che giunge a ritenere l’actio empti, in caso di evizione, un’azione sussidiaria, in quanto, in diritto romano classico, il                                                                                                                

317 La valorizzazione di tale strumento di garanzia anche per il periodo classico si deve essenzialmente alla riflessione di H. ANKUM, Alcuni problemi concernenti la responsabilità per

evizione del venditore nel diritto romano classico, in Atti Acc. Peloritana dei Pericolanti, 58

(1989), Messina, 1991, 5 ss..; H. ANKUM, Pomponio, Juliano y la responsabilidad del vendedor

ACTIO EMPTI E RESPONSABILITA’ PER EVIZIONE 137

compratore avrebbe potuto ed, anzi, nella grande maggioranza dei casi doveva, esercitare l’actio de auctoritate, nel caso in cui il bene acquistato fosse stato un fondo italico, mancipato, non nummo uno, oppure l’actio ex stipulatu, nel caso in cui le parti avessero stipulato un’apposita clausola in materia di evizione. Ad eccezione del caso di dolo del venditore, il compratore non avrebbe, quindi, avuto la possibilità di richiedere, con l’actio empti, l’id quod interest al suo dante causa: ciò troverebbe un riscontro in una costituzione di Diocleziano e Massimiliano. Si veda

C. 8, 44, 23: Cum successores etiam venditoris pro evictione teneri

possint … Quod sive praesentibus … sive absentibus, postea quanti tua interest rem evictam non esse teneri, non quantum pretii nomine dedisti, si aliud non placuit, publice notum est.

La costituzione ricorda come anche i successori del venditore possano essere tenuti a titolo di evizione. Al fine di specificare la responsabilità in cui gli eredi possono incorrere, si richiama il principio da ritenersi pacifico, che l’eventuale risarcimento deve essere commisurato, non avendo riguardo al prezzo che è stato pagato, ma all’interesse che non sia evitto il bene, salvo che ‘aliud non placuit’.

Il dato testuale più interessante di questa testimonianza è, secondo l’Ankum, il carattere sussidiario che sembrerebbe essere attribuito all’actio empti, che potrebbe essere esperita per l’ottenimento dell’id quod interest esclusivamente si

aliud non placuit, ovvero se non ci sono rimedi alternativi. A mio avviso, però,

questa fonte non aggiunge molto a quanto già ricavabile anche da D. 21, 2, 37, 2, considerato poco sopra. Sintetizzando quanto sarà più diffusamente trattato nel capitolo V, infatti, l’affermazione in astratto della derogabilità della disciplina ormai generale in base alla quale l’actio empti risulta esperibile per l’ottenimento dell’id quod interest, appare pienamente coerente con la tutela della volontà delle parti contrattuali che possono, come visto, voler regolare in modo differente il regime della responsabilità per evizione. Nulla ci dice, però, in concreto su quanto fosse diffuso il ricorso a forme diverse di tutela. E nulla, a fortiori,

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testimonia in riferimento all’utilizzo della mancipatio, al fine di ottenere la correlata garanzia per evizione.

A ciò deve aggiungersi, richiamando quanto precedentemente visto, che

neppure l’ipotizzabilità di un obbligo di mancipare il bene, potrebbe militare in favore di un ampio ricorso all’auctoritas nel periodo coevo all’emanazione di C. 8, 44, 23. Pur ritenendo, a mio avviso, che un tale obbligo abbia inizialmente arricchito il contenuto dell’obbligazione di praestare rem e, anzi, abbia anche contribuito alla formalizzazione di tale obbligazione, non può trascurarsi, come efficacemente messo in luce dal Pugliese, che «in pratica tuttavia poteva accadere che le formalità della mancipatio, le quali richiedevano la partecipazione di sei estranei, cittadini romani e puberi, in molti casi forse da compensare con una mercede o una mancia, apparissero troppo complicate se non costose, in rapporto al valore o alla natura delle cose vendute. Anche le res

mancipi, specie le mobili, potevano essere di modesto valore e, comunque, il

compratore, anche per altre ragioni, poteva non avere interesse ad una loro

mancipatio, e accontentarsi della semplice traditio. Questa rinuncia alla mancipatio (di regola, certo, non pattuita, bensì attuata di fatto) dovette diventare

più frequente … quando il pretore con l’exceptio doli o rei venditae et traditae … e l’actio publiciana … conferì al compratore … una posizione quasi equivalente … a quella del compratore, a cui il bene venduto fosse stato invece mancipato»318.

Volgendosi, dunque, al ‘diritto applicato’, nell’accezione che dello stesso fornisce il Pugliese319, a mio avviso, è possibile, dunque, evidenziare

un’applicazione più ampia dell’actio empti di quella ipotizzata dall’Ankum.                                                                                                                

318 così PUGLIESE, Sull’obbligazione di «mancipare» nella compravendita romana, cit., 536. La lunga citazione testuale si giustifica non solo per la precipuità e la chiarezza della medesima, ma soprattutto perché proviene dall’Autore che, come sopra visto, ha più valorizzato anche nel periodo classico il ruolo della mancipatio, dimostrando l’esistenza dell’obbligo di compierla in caso di vendita di res mancipi.

319 PUGLIESE, Sull’obbligazione di «mancipare» nella compravendita romana, cit., 536. Tale definizione, come ricorda lo stesso Autore, è esattamente opposta rispetto a quella formulata da V.ARANGIO-RUIZ,Diritto puro e diritto applicato nella compravendita romana, in Festschrift

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In secondo luogo, sempre rimanendo sul piano del ‘diritto applicato’, è possibile ipotizzare, una volta che come si è visto si afferma la possibilità di esperire direttamente l’actio empti in caso di evizione, anche una progressiva riduzione del ricorso alla stipulatio duplae. Una volta, infatti, che il compratore risulta, comunque, tutelato in riferimento all’evizione, è presumibile che il venditore cercasse di non addivenire alla suddetta stipulazione, in quanto come, precipuamente rilevato dal Talamanca, «salvo casi eccezionali, è difficile che l’id quod interest potesse andare oltre il doppio del prezzo»320.

Merita, infine, di essere valorizzata in questa sede321 un’ulteriore intuizione del Talamanca322, che riguarda i rapporti tra strumento stipulatorio di garanzia e impiego dell’actio empti. Nello specifico si individua nell’evoluzione che ha subito la stipulatio habere licere – da strumento di garanzia pura e semplice di un fatto oggettivo, che poteva essere posto in essere anche da un terzo ad istituto che viene a perdere qualsivoglia riferimento alla responsabilità per evizione – un chiaro indice del progressivo e sempre maggiore ricorso all’azione contrattuale in relazione all’evizione. In altre parole, la stipulatio habere licere viene radicalmente modificata per evitare la sua scomparsa, inevitabile in quanto con la diretta esperibilità dell’actio empti il compratore è messo in condizione di ottenere in via diretta un risultato analogo. Con l’immediata conseguenza, per quanto qui nello specifico interessa, che si può affermare, senza dubbio, un progressivo minor ricorso allo strumento stipulatorio, certo per quanto riguarda la stipulatio habere licere, più difficile da valutare per quanto attiene alla

stipulatio duplae.

Riservandoci, comunque, di tornare sul tema del concorso dei rimedi esperibili in caso evizione323, in questa sede preme evindeziare come gli spazi di

                                                                                                               

320 Cfr. TALAMANCA, voce Vendita, cit., 400 (nota 1005), che rileva tale circostanza in relazione al vantaggio, che aveva il compratore nell’utilizzare appunto tale strumento di garanzia.

321 Su questo profilo cfr. diffusamente Capitolo II § 4. 322 Cfr. TALAMANCA, voce Vendita, cit., 397.

323 Una ricostruzione dei diversi rimedi esperibili in epoca classica dal compratore in caso di evizione è stata compiuta di recente da J. BELDA MERCADO, La obligación de garantía por

evicción del comprador en el derecho romano clásico, in Anuario da Facultade de Dereito da Universidade da Coruña, 2004, 119 ss.

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operatività dell’actio empti appaiono più ampi di quelli ipotizzati dalla dottrina tradizionale. Di questo mi pare evidente indice la stessa elaborazione svolta dalla giurisprudenza romana e che ora si passerà ad esaminare.