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Le obbligazioni gravanti sul venditore 49

La corretta individuazione del contenuto delle obbligazioni gravanti, in particolare, sul venditore, nel contesto dell’emptio venditio consensuale, com’è noto, costituisce uno dei profili maggiormente dibattuti dalla dottrina anche attuale123. Il tema che, anche di recente, è stato oggetto di analisi monografiche124, non può in questa sede, considerato l’ampiezza delle problematiche che esso sottende, che essere affrontato in modo certamente non esaustivo.

Ciò premesso, punto di partenza tradizionale di qualsivoglia tentativo volto a individuare il contenuto della prestazione gravante sul venditore è il frammento di Paolo125

D. 19, 4, 1 pr. (Paul. 32 ad ed.): […] multum differunt praestationes.

Emptor enim, nisi nummos accipientis fecerit, tenetur ex vendito, venditori sufficit ob evictionem se obligare, possessionem tradere et purgari dolo malo: itaque, si evicta res non sit, nihil debet; […]

In questo breve passo, Paolo sembra, infatti, ‘scolpire’ le obbligazioni gravanti sulle parti contrattuali. Il primo dato che immediatamente si evidenzia è che mentre il compratore è tenuto a trasferire la proprietà del denaro costituente il prezzo, il venditore sembrerebbe non dover fare altrettanto con la proprietà                                                                                                                

123 Su cui infra §§ seguenti.

124 Si fa riferimento, in particolare, all’opera di CRISTALDI, Il contenuto dell’obbligazione del

venditore nel pensiero dei giuristi dell’età imperiale, cit., passim

125 Com’è noto si tratta di passo fortemente discusso in dottrina. Si vedano, in part., V. SCIALOJA,

Compra-vendita, lezioni stenografate e compilate dal dott. G.Pulvirenti, A.A. 1906-07, 47 ss.;

ARANGIO RUIZ, Compravendita, cit., 148 ss.; TALAMANCA, voce Vendita, cit., 378 ss.;

ZIMMERMANN,The law of obligation, cit., 251 nt. 103; PUGLIESE, Compravendita e trasferimento

della proprietà in diritto romano, cit., 48; M.A. FINO,Quale interdipendenza delle obbligazioni se “emptione dominium transfertur?Per una storia del “synallagma” funzionale dell’ “emptio venditio” durante l’età tardo antica, in La compravendita e l’interdipedenza delle obbligazioni,

a cura di L. GAROFALO, I, Padova, 2007, 869; CRISTALDI, Il contenuto dell’obbligazione del

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della merce. Ciò, nella lettura tradizionale126, apparirebbe ancor più evidente da un altro passo, questa volta di Celso:

D. 12, 4, 16 (Cels., 3 dig.): Dedi tibi pecuniam, ut mihi Stichum dares:

utrum id contractus genus pro portione emptionis et venditionis est, an nulla hic alia obligatio est quam ob rem dati re non secuta? In quod proclivior sum: et ideo, si mortuus est Stichus, repetere possum quod ideo tibi dedi, ut mihi Stichum dares. Finge alienum esse Stichum, sed te tamen eum tradidisse: repetere a te pecuniam potero, quia hominem accipientis non feceris: et rursus, si tuus est Stichus et pro evictione eius promittere non vis, non liberaberis, quo minus a te pecuniam repetere possim.

Il passo, com’è noto, ha subito delle modifiche ad opera dei compilatori giustinianei, volte ad eliminare ogni riferimento alla mancipatio. Seguendo il Lenel127, per riportare a coerenza il frammento, considerato l’oggetto della vendita, uno schiavo, deve sostituirsi il ‘tradidisse’ ora presente con

‘mancipasse’, nonché il riferimento ad un’assunzione in forma stipulatoria della

garanzia contro l’evizione, ‘pro evictione eius promittere’ con il richiamo all’atto di trasferimento richiesto, ovvero ‘mancipare eum’128. Non può non

                                                                                                               

126 La letteratura sul passo è immensa. Si rimanda per un esame critico generale, da ultimo, a S.A.CRISTALDI, Il contenuto dell’obbligazione del venditore nel pensiero dei giuristi dell’età

imperiale, cit., 77 ss., nonché ancor più di recente, a E. SCIANDRELLO, Studi sul contratto estimatorio e sulla permuta nel diritto romano, Trento, 2011, 207 ss.; per un primo riscontro cfr.

V. SCIALOJA, La l. 16 dig. de cond. causa data 12, 4 e l’obbligo di trasferire la proprietà nella

vendita romana, in BIDR. 19 (1907), 161 ss.; E. BETTI, Sul valore dogmatico della categoria

“contrahere” in giuristi proculeiani e sabiniani, in BIDR, 28 (1915), 24 ss.; D. E.C. YALE,

Celsus:Sale and conditional gift, in Studies in the Roman Law of Sale, 1959, 171 ss.; PH.

MEYLAN, Nouvelle explication de Celse, D.12.4.16, in Iura, 20 (1969), 287 ss.; ARANGIO RUIZ,

Compravendita, cit., 150 ss.; R. KNÜTEL, La causa nella dottrina dei patti, in Causa e contratto, in Causa e contratto nella prospettiva storicocomparatistica, II Congresso Internazionale ARIS

TEC, Palermo, 7-8 giugno 1995 (a cura di L. VACCA), Torino 1997, 135; TALAMANCA, voce

Vendita, cit., 380 ss.; F.GALLO,Synallagma e conventio nel contratto, Ricerca degli archetipi

della categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne, II, Torino, 1995,

171 ss.; T. DALLA MASSARA, Alle origini della causa. Elaborazione di un concetto nella

giurisprudenza classica, Padova, 2004, 233 ss.  

127 si riporta il passo nella versione proposta dal LENEL, Pal., cit., I, 139 ss.

128 Ne deriva che la lettura del frammento accolta è la seguente. D. 12, 4, 16 (Cels., 3 dig.): Dedi

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sorprendere un interprete moderno la circostanza che Celso, in questo passo129, neghi che possa essere considerata compravendita una convenzione in cui si                                                                                                                                                                                                                                                                                                             venditionis est, an nulla hic alia obligatio est quam ob rem dati re non secuta? In quod proclivior sum: et ideo, si mortuus est Stichus, repetere possum quod ideo tibi dedi, ut mihi Stichum dares. Finge alienum esse Stichum, sed te tamen eum [tradidisse] <mancipasse>: repetere a te pecuniam potero, quia hominem accipientis non feceris. Et rursus, si tuus est Stichus et [pro evictione eius promittere] <mancipare eum> non vis, non liberaberis, quo minus a te pecuniam repetere possim.

129 Il frammento in esame è stato oggetto di approfondimento da parte della dottrina anche in merito ad un profilo specifico, che può attingere direttamente l’oggetto della presente ricerca. Celso, infatti, nell’individuare lo strumento di tutela riconoscibile al soggetto che riceve lo schiavo altrui, fa riferimento alla sola condictio. Parte della dottrina, partendo dalla considerazione che il testo debba essere letto come riferito alla mancipatio e non alla traditio, ha ritenuto di doversi interrogare sul perché il giurista non abbia fatto alcun riferimento alla responsabilità per evizione, sub specie di obligatio auctoritatis, cfr. in questo senso, da ultimo G.ROMANO,Nota sulla tutela del contraente evitto nell’ambito dei c.d. contratti innominati. Il

caso dell’actio auctoritatis, in Diritto@Storia, 9 (2010), a cui si rinvia, senz’altro per i necessari

ragguagli bibliografici. Il silenzio celsino sul punto viene giustificato o con l’eliminazione del riferimento al menzionato rimedio operata dai Compilatori giustinianei o con una ‘dimenticanza’ del giurista. Ma che Celso non potesse mancare di considerare la fattispecie come riconducibile nel paradigma evittivo, deriverebbe dalla considerazione che «un’evizione avrebbe potuto in concreto comunque verificarsi, e che anzi nella normalità dei casi doveva essere proprio la soccombenza nell’ambito di un giudizio di rivendica ad evidenziare l’esistenza di un vizio dell’atto traslativo, legato all’alienità dello schiavo. Ci troviamo di fronte a rimedi indubbiamente diversi sul piano dei presupposti e dunque dell’ambito applicativo (più ampio quello della

condictio), ma che in concreto, e forse il più delle volte, dovevano trovarsi in concorso tra di

loro». Un simile argomentare, non mi pare, però, condivisibile. Com’è stato, infatti, autorevolemente messo in luce dal Cannata, il caso sottoposto al giurista viene a configurare una fattispecie di inadempimento del soggetto, che si è impegnato a cedere la proprietà dello schiavo Stico, senza che si debba attendere che il terzo, legittimo proprietario, agisca in rivendica. L’inadempimento è, del resto, evidente, in quanto l’alienante è ab origine privo della legittimazione a compiere il trasferimento della proprietà, per il quale si è espressamente impegnato. Con la conseguenza piana che, escluso qualsiasi riferimento all’evizione, la ratio della concessione della condictio non possa che rinvenirisi nella necessità di tutelare il sinallagma contrattuale, inciso dal mancato trasferimento della proprietà. Cfr., in questo senso, C. A.CANNATA, Labeone, Aristone e il sinallagma, in Iura, 58 (2010), 41. A ciò può aggiungersi che com’è evidente in relazione alle rigidità che connotano l’obligatio auctoritatis e come sarà anche evidenziato nel capitolo successivo, in relazione ai presupposti per azionare gli ulteriori rimedi contro l’evizione, la relativa responsabilità non può che sorgere in seguito all’esperimento da parte del terzo proprietario dell’azione di rivendica. Un tale evento manca nel caso esaminato da Celso e, quindi, correttamente il giurista non ha fatto riferimento alla suddetta forma di garanzia. Non necessariamente, infatti, ad una vendita di cosa altrui deve seguire una responsabilità per evizione in capo all’alienante, come sembra ipotizzare il Romano: il mancato riconoscimento di un rapporto di causa-effetto tra le due fattispecie, rende, quindi, coerente la scelta di Celso.

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pattuisce lo scambio della proprietà della cosa contro il pagamento del suo equivalente in denaro130.

L’escludere che l’assunzione dell’obbligo di ‘dedi tibi pecuniam ut mihi

Stichum dares’ possa configurare un contratto di compravendita o anche un

negozio analogo ha profondamento inciso sulla ricostruzione che la dottrina tradizionale131 ha offerto del tema in analisi.

Se n’è, infatti, ricavata l’immediata conseguenza che l’obbligazione principale del venditore non potrebbe che sostanziarsi, riprendendo la terminologia paolina di D. 19, 4, 1, nel mero ‘possessionem tradere’, a cui si affiancherebbero, come ci ricorda lo stesso Paolo, le obbligazioni accessorie di ‘ob evictionem se obligare’ e ‘purgari dolo malo’.

Le due testimonianze, in vero, non mi sembrano da sole sufficienti a descrivere in modo definitivo le obbligazioni gravanti sul venditore.

Merita, infatti, attenta valorizzazione il contesto in cui si inseriscono le due trattazioni condotte da Paolo e da Celso. L’elencazione condotta da Paolo in D. 19, 4, 1, pr. non è volta ad una descrizione della vendita, ma a mettere in luce come, differentemente dalla permuta, le obbligazioni azionabili con l’actio empti e con l’actio venditi, non siano tra loro perfettamente simmetriche. Allo stesso                                                                                                                

130 Il forte dibattito in dottrina su questo passo trae origine dalle contrapposte opinioni di due glossatori: Giovanni Bassiano e Azone. Cfr. gl. Proclivior, a D. 12, 4, 16. Il primo afferma che la decisione di Celso è giustificata dal fatto che le parti abbiano volontariamente escluso in questo preciso caso la conclusione di un contratto di compravendita, volendo, invece, porre in essere uno scambio di cosa contro cosa, ovvero una permuta. cfr. in questo senso: Bas. 24.1.16 (Hb. 3,8); PLACENTINUS,Die Summa “De actionum varietatibus”, in Quellen zur Geschichte des

Römisch-Kanonischen Prozesses im Mittelalter IV.III, 1962, 63; ALCIATI, Comment. in Digesta seu Pandectas Iuris Civilis, t. I, pars. II, De rebus creditis, si certum petatur et de certi condicione, in Opera Omnia, Basilae, 1632, col. 248; più di recente J.THOMAS,Celsus: Sale and the passage of property, in Studies de Zulueta, 1959, 160 ss.; P.DE LA ROSA,La permuta (desde Roma al derecho español actual), Madrid, 1976, 52 ss. Il secondo ritiene, invece, che sia proprio

l’assunzione da parte del venditore dell’obbligo di trasferire al compratore la proprietà della cosa venduta a far escludere a Celso la conclusione di un contratto di compravendita. Hanno seguito questa tesi, oltre gli autori ricordati in nota 14: BARTOLUS,In Secundum Digesti Veteris partem, ad lib. XII Digest., l. XVI, Venetiis, 1585, fol. 42; DONELLUS,Comment. in Codicem Iustiniani,

lib. IV, ad tit. XXXVIII, de contrahenda emptione et venditione, cit., col. 728; J.R. POTHIER,

Trattato del contratto di vendita, Livorno, 1936, 423 ss.

131 Cfr., in via esemplificativa,ARANGIO RUIZ, Compravendita, cit., 161 e TALAMANCA, voce

LE OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE 53

modo, come del resto rileva lo stesso Talamanca, la testimonianza di Celso si ricollega alla controversia tra scuole132 sulla compravendita e sulla permuta,

nonché sul tema più generale della tutela dei contratti innominati.

In particolare, in un discorso volto ad evidenziare le differenze tra i due negozi, l’ammissione che il contenuto dell’obbligazione del venditore potesse avere un contenuto più ampio del mero possessionem tradere, avrebbe comportato il «lasciar cadere il principale sostegno della teoria proculiana, ciò che Celso non avrebbe mai potuto ammettere»133.

Al medesimo risultato della irrilevanza della testimonianza celsina in relazione alla tematica dell’individuazione delle obbligazioni gravanti sul venditore giunge, per altra via interpretativa, di recente il Cannata134.

Secondo l’autore, infatti, la completa estraneità rispetto al modello della vendita romana risulterebbe evidente considerando il contenuto dell’obbligazione gravante sulla parte che dovrebbe essere considerata come venditore. Il ‘do pecuniam ut mihi Stichus des’ configura una chiara obbligazione di dare, che «il venditore non ha, e la cui presenza contraddice tutta la struttura della compravendita romana»135.

In altre parole, la ‘quaestio’ di Celso, lungi dal poter essere avvicinata alla tematica della struttura del contratto di compravendita, è volta a valutare se l’ipotizzato schema obbligatorio ‘do pecuniam ut mihi Stichus des’ potesse                                                                                                                

132 Com’è noto la contrapposizione che divide i Sabiniani e i Proculiani riguarda la possibilità di considerare la ‘numerata pecunia’ sostituibile da una res. Del contrasto ci danno testimonianza Gai 3,141, I. 3, 23, 2 e D. 18, 1, 1 pr.-1 (Paul. 33 ad ed.). Nello specifico, secondo Sabino e Cassio la permuta era riconducibile nel paradigma della compravendita, potendo, dunque, esistere una vendita senza il pagamento del prezzo. Al contrario Nerva e Proculo ritengono di dover tenere distinte le due figure contrattuali, in quanto nella permuta non è possibile individuare non solo chi sia il venditore e chi il compratore, ma anche cosa sia dato a titolo di prezzo e cosa a titolo di bene venduto. Su questo profilo e per un’analisi delle fonti richiamate cfr. da ultimo SCIANDRELLO,Studi sul contratto estimatorio e sulla permuta nel diritto romano,

cit., 207 ss.

133 TALAMANCA, voce Vendita, cit., 381.

134 Ad uguale conclusione sul punto, pur rimanendo su posizioni tradizionali per quanto concerne la ricostruzione del contenuto dell’obbligazione del venditore, giunge di recente anche SCIANDRELLO,Studi sul contratto estimatorio e sulla permuta nel diritto romano, cit., 316 (in

part. nt. 273).

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essere considerato o meno un contratto innominato «il cui regime si sarebbe modellato, in quanto applicabili, sulle regole proprie» della compravendita136.

Entrambe le testimonianze, dunque, appaiono influenzate dal contrasto ricostruttivo concernente la permuta. Tale influenza è di immediata evidenza per quanto riguarda la testimonianza di Celso.

Per quanto riguarda D. 19, 4, 1, pr. deve, però, considerarsi che in D. 18, 1, 1 pr.-1137, lo stesso Paolo fa propria l’opzione proculiana contraria alla riconducibilità della permuta nel genus vendita, con la conseguenza, a mio avviso, che il giurista ben difficilmente in un frammento in cui contrappone i due modelli contrattuali, ne avrebbe potuto fornire una descrizione che ne avvicinasse gli elementi strutturali. E che in D. 19, 4, 1, pr. la trattazione sia influenzata da questo elemento trova un immediato riscontro in un’altra testimonianza dello stesso Paolo, che viene tradizionalmente letta in stretta connessione con la testimonianza celsina ora esaminata138:

                                                                                                               

136 CANNATA, Labeone, cit., 42.

137 D. 18, 1, pr.-1 (Paul. 33 ad ed.) Origo emendi vendendique a permutationibus coepit. Olim

enim non ita erat nummus neque aliud merx, aliud pretium vocabatur, sed unusquisque secundum necessitatem temporum ac rerum utilibus inutilia permutabat, quando plerumque evenit, ut quod alteri superest alteri desit. Sed quia non semper nec facile concurrebat, ut, cum tu haberes quod ego desiderarem, invicem haberem quod tu accipere velles, electa materia est, cuius publica ac perpetua aestimatio difficultatibus permutationum aequalitate quantitatis subveniret. Eaque materia forma publica percussa usum dominiumque non tam ex substantia praebet quam ex quantitate nec ultra merx utrumque, sed alterum pretium vocatur. 1. Sed an sine nummis venditio dici hodieque possit, dubitatur, veluti si ego togam dedi, ut tunicam acciperem. Sabinus et Cassius esse emptionem et venditionem putant: Nerva et Proculus permutationem, non emptionem hoc esse. Sabinus Homero teste utitur, qui ercitum Graecorum aere ferro hominibusque vinum emere refert, illis versibus: enven ar' oinizonto karykomowntes Axaioi alloi men xalkw, alloi d' aivwni sidyrw, alloi de hrinois, alloi d' autysi boessi, alloi d' andrapodessin [id est: ibi vero vinum sibi comparabant comantes Achaei, alii aere, alii splendido ferro, alii pellibus boum, alii ipsius bubus, alii mancipiis]. Sed hi versus permutationem significare videntur, non emptionem, sicuti illi: env' aute Glaukw Kronidys frenas eceleto Zeus, hos pros Tudeidyn Diomydea teu ameiben [id est: iam vero Saturni filius Iupiter Glauco mentem ita perturbavit, ut cum Diomede Tydei filio arma permutaret]. Magis autem pro hac sententia illud diceretur, quod alias idem poeta dicit: priato kteatessin heoisin [id est: emit ex bonis suis]. Sed verior est Nervae et Proculi sententia: nam ut aliud est vendere, aliud emere, alius emptor, alius venditor, sic aliud est pretium, aliud merx: quod in permutatione discerni non potest, uter emptor, uter venditor sit.

LE OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE 55

D. 19, 5, 5, 1 (Paul. 5 quaest.) Et si quidem pecuniam dem, ut rem

accipiam, emptio et venditio est: sin autem rem do, ut rem accipiam, quia non placet permutationem rerum emptionem esse, dubium non est nasci civilem obligationem, in qua actione id veniet, non ut reddas quod acceperis, sed ut damneris mihi, quanti interest mea illud de quo convenit accipere: vel si meum recipere velim, repetatur quod datum est, quasi ob rem datum re non secuta. Sed si Scyphos tibi dedi, ut Stichum mihi dares, periculo meo Stichus erit ac tu dumtaxat culpam praestare debes. Explicitus est articulus ille do ut des.

Nel frammento139 Paolo, a differenza di D. 19, 4, 1, pr., confronta sul piano strutturale la permuta e la vendita, considerando in via derivata le ricadute processuali. La parte di maggiore interesse è, senza dubbio, l’incipit del passo, ove il giurista è chiaro nell’affermare ‘Et si quidem pecuniam dem, ut rem

accipiam, emptio et venditio est’. Il punto che da luogo a maggiori tensioni

interpretative è l’utilizzo del verbo ‘accipere’. Una parte della dottrina, infatti, ritiene che Paolo, pur utilizzando l’espressione ‘ut rem accipiam’ anziché il verbo dare, avrebbe voluto far riferimento con le due espressioni «al medesimo risultato concreto: il trasferimento della proprietà della res»140.

Il ritenere l’espressione paolina come «sinonimo»141 di dare rem, secondo la mia opinione finisce per oscurare il pensiero del giurista. A me sembra che proprio l’utilizzo del verbo accipere, piuttosto che il ricorso all’espressione tecnica dare rem, non sia casuale, ma metta in luce come, in realtà, Paolo avesse di mira un comportamento teso a ‘far avere’ la proprietà al compratore142: un                                                                                                                

139Su cui cfr. da ultimo CRISTALDI, Il contenuto dell’obbligazione del venditore nel pensiero dei

giuristi dell’età imperiale, cit., 109 ss., con ampi ragguagli bibliografici.

140 Così CRISTALDI, Il contenuto dell’obbligazione del venditore nel pensiero dei giuristi dell’età

imperiale, cit., 110.

141 CH.APPLETON, L’obligation de transférer la propriété dans la vente romaine. Fr. 16 D. De

cond. causa data XII, 4, in NRHDFE, 30 (1906), 742 e ss.; sostanzialmente nello stesso senso,

cfr, in via esemplificativa, S. SCHLOSSMANN, Zur Geschichte des römischen Kaufes, in ZSS, 24

(1903), 152 s.; F. GALLO,Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi della categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne, II, Torino, 1995, 175

nt. 45.

142 In questo senso A. BURDESE, Su alcune testimonianze celsine, in Mélanges en l'honneur de C.

A. Cannata, Bâle-Genève-Munich, 1999, 13. Non ritengono che si possa considerare

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‘praestare rem’, piuttosto che un ‘dare rem’. Ben difficilmente, poi, Paolo, che come accennato parte dall’idea proculiana della permuta quale species autonoma, avrebbe potuto ricondurre una delle due obbligazioni della vendita a quella propria dello schema della permuta, facendo venire meno una delle differenze strutturali, che permettevano di distinguere le due fattispecie.

L’importanza143 di D. 19, 5, 5, 1 è, però, a mio avviso, quella di fornire una chiave di lettura che permette di ridurre l’importanza sistematica che tradizionalmente si riconosce a D. 19, 4, 1, pr. Se, infatti, per Paolo, può costituire oggetto dell’obbligazione del venditore l’accipere rem, è evidente che il possessionem tradere, richiamato in D. 19, 4, 1 pr. non è altro che il contenuto minimo che può essere richiesto al venditore come oggetto della sua obbligazione principale. Ciò si pone in piena coerenza con la funzione che svolge l’emptio venditio e con le esigenze economiche, che la stessa deve soddisfare. Né viene ad escludere che il contenuto dell’obbligazione del venditore possa essere più ampio, ove in queso modo possano meglio perseguirsi