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La ‘svolta’ giulianea 145

Si deve, senza dubbio, alla riflessione condotta da Letizia Vacca336 la piena valorizzazione del pensiero di Giuliano in relazione all’individuazione dell’ambito di applicazione dell’actio empti, in materia di evizione.

A differenza, infatti, di Pomponio che si pone in linea di continuità con l’impostazione che presumibilmente può, come visto, farsi risalire a Giavoleno, Giuliano337 afferma che il compratore possa agire ex empto per ottenere il risarcimento dell’interesse a non essere privato del bene acquistato, che è                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

Giuliano, nel trentacinquesimo libro della sua opera cita il quinto libro dell’opera di Pomponio. Il secondo passo è tratto, invece, da uno dei 39 libri ad Quintum Mucium, composti probabilmente sotto l’impero di Antonino Pio. L’anteriorità di tale opera, rispetto a quella di Giuliano, sarebbe testimoniata dal fatto che Pomponio non cita mai le opinioni di Giuliano, mentre cita abbondantemente le opere di: Proculo, Celso, Aristone e Labeone. In questi termini cfr.ANKUM,

Pomponio, Juliano y la responsabilidad del vendedor por eviccion con la actio empti, cit., 73 ss.

336 VACCA, Sulla responsabilità ex empto del venditore nel caso di evizione secondo la

giurisprudenza tardo–classica, cit., passim; VACCA, Ancora sull’estensione dell’ambito di

applicazione dell’actio empti in età classica, cit., passim; VACCA, La garanzia per evizione e le

obbligazioni del venditore nel sistema romano e nel sistema del codice civile italiano, cit., passim.

337 Una prima apertura rispetto alla tesi rigida mantenuta sul punto dalla dottrina tradizionale è ascrivibile al Sargenti, secondo cui il ruolo dell’actio empti non si sarebbe, però, limitato a costringere il venditore a prestare la stipulatio: «a differenza di ciò che ritiene la dottrina dominante, essa ha anche concorso con l’actio ex stipulatu, o addirittura è stata ritenuta esperibile in luogo di questa, nei casi in cui la stipulatio non era stata interposta o non poteva considerarsi commissa, per consentire al compratore di ottenere il pagamento dell’id quod

interest, o, almeno in certi casi, la restituzione del prezzo», cfr. SARGENTI, L’evizione nella

compravendita romana, cit., 118. La tesi richiamata non appare, però, convincente là dove si

afferma che «nell’età adrianea,…, quando il venditore non ha fatto acquistare l’habere licere, in quanto ha venduto una cosa non sua, non importa se scientamente o meno, sia stata, poi, questa, acquistata o no ad altro titolo dal compratore, si è ritenuta applicabile l’actio empti per ottenere l’id quod interest, o, in casi particolari, come quelli dell’acquisto della cosa ad altro titolo, la restituzione del prezzo pagato», cfr. SARGENTI, L’evizione nella compravendita romana, cit.,

126. In questo modo, infatti, si oscurano gli elementi ricavabili proprio dal pensiero dei giuristi di quel periodo, che permettono – come sopra evidenziato – di individuare un contenuto più ampio dell’obbligazione del venditore, ovvero il praestare rem.

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concetto diverso dall’agire per ottenere il valore del bene evitto, che costituisce il criterio applicato da Pomponio338.

Nell’ottica giulianea, che può cogliersi a pieno nella prospettiva del

praestare rem quale contenuto dell’obbligazione del venditore, muta il titolo per

il quale quest’ultimo è chiamato a rispondere in caso di evizione: non più in qualità di garante, ma in qualità di debitore inadempiente all’obbligazione principale di praestare rem.

In altre parole, la concessione al compratore dell’actio empti non costituisce «una soluzione “anomala”, valutabile isolatamente nell’ambito dell’elaborazione casistica dei criteri di responsabilità del venditore, ma vada inquadrata nella più matura individuazione del contenuto complessivo delle obbligazioni del venditore, in considerazione del risultato che egli è tenuto ad assicurare al compratore quale corrispettivo del prezzo; in altri termini, in considerazione della realizzazione della causa sinallagmatica dell’accordo, che comporta l’acquisto definitivo del bene al compratore, dipendente dal trasferimento del venditore, quale corrispettivo del pagamento del prezzo» 339.

Questa impostazione trova, a mio avviso, sicuro riscontro nelle fonti. In particolare viene in primo luogo all’attenzione

D. 30, 84, 5 (Iulian. 33 dig.): Qui servum testamento sibi legatum,

ignorans eum sibi legatum, ab herede emit, si cognito legato ex testamento egerit et servum acceperit, actione ex vendito absolvi debet, quia hoc iudicium fidei bonae est et continet in se doli mali exceptionem. quod si pretio soluto ex testamento agere instituerit,

                                                                                                               

338 Con le precisazioni ora viste, senza dubbio, mi sembra condivisibile il tentativo di rivalutazione dell’importanza del pensiero di Pomponio posta in essere dall’Ankum, secondo cui, in particolare, «Juliano fué un jurista tan grande que no queda danada su grandeza no reconocéndole la mejora de la posiciòn del comprador en caso de evicciòn. La figura de Pomponio se engrandece. No era un pedante mediocre, como a menudo se la imagina, sino jurista extremadamente fructifero, distinguido poe su creatividad y originalidad, que a finales de la primera mitad del secolo II d. C., mejorò considerablemente la posiciòn del comprator y del arrendatario rustico y urbano en casos de evicciòn», cfr. ANKUM, Pomponio, Juliano y la

responsabilidad del vendedor por eviccion con la actio empti, cit., 84.

339VACCA, Sulla responsabilità ex empto del venditore nel caso di evizione secondo la

ACTIO EMPTI E RESPONSABILITA’ PER EVIZIONE 147

hominem consequi debebit, actione ex empto pretium reciperabit, quemadmodum reciperaret, si homo evictus fuisset. quod si iudicio ex empto actum fuerit et tunc actor compererit legatum sibi hominem esse et agat ex testamento, non aliter absolvi heredem oportebit, quam si pretium restituerit et hominem actoris fecerit.

In questo passo Giuliano considera tre casi diversi. Nella prima parte il giurista si occupa di un compratore che, non sapendo di aver ricevuto per legato uno schiavo, lo compra, ma, non essendo ancora stata effettuata la consegna ed il pagamento del prezzo ed essendo il compratore venuto a conoscenza della disposizione testamentaria, ottiene lo schiavo stesso attraverso l’azione ex

testamento, non potendo, invece, l’erede agire ex empto, data la natura di buona

fede dell’azione. Nella seconda parte viene presentato il caso di un compratore, che scopre di aver ricevuto per testamento lo schiavo precedentemente acquistato, dopo aver già pagato il prezzo pattuito: in questo caso Giuliano ritiene che al compratore possa essere concessa sia l’actio ex testamento, al fine di conseguire il trasferimento dello schiavo, sia l’actio ex empto, per la restituzione del prezzo pagato, come se avesse agito nel caso in cui lo schiavo gli fosse stato evitto. Nell’ultimo caso, infine, il giurista ritiene che l’erede–venditore non possa essere assolto finchè non restituisca il prezzo ottenuto dalla vendita dello schiavo all’acquirente–legatario, che ha agito prima ex empto e, poi, ex testamento.

Nella prima parte del testo, Giuliano richiama un principio già comunemente accolto dalla giurisprudenza romana 340 , ovvero quello dell’inesigibilità, da parte del venditore, del prezzo in caso di acquisto ex alia

causa, mentre, nella seconda parte del testo, viene ad applicare tale principio ad

alcune fattispecie ritenute analoghe. Occorre fermare l’attenzione sulla seconda                                                                                                                

340 Cfr., ad esempio, la ricostruzione di Celso in D. 21, 2, 29 pr. (Pomp. 11 ad Sab.): Si rem,

quam mihi alienam vendideras, a domino redemerim, falsum esse quod nerva respondisset posse te a me pretium consequi ex vendito agentem, quasi habere mihi rem liceret, celsus filius aiebat, quia nec bonae fidei conveniret et ego ex alia causa rem haberem. Sulla tematica dell’aquisto ex

alia causa e per il necessario approfondimento bibliografico si rinvia senz’altro alla recente analisi di P.LAMBRINI, Compravendita e acquisto ‘ex alia causa’ del bene comprato, in La

compravendita e l'interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, a cura di L.GAROFALO,

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delle soluzioni proposte dal giurista: citando come esempio dell’uso dell’actio

empti per recuperare il prezzo pagato, il caso dell’evizione, il giurista costruisce

un importante parallelo tra le due fattispecie. Come la buona fede contrattuale impone al venditore, per ristabilire «la simmetria delle obbligazioni sinallagmatiche contrattuali»341, di dover restituire, nel giudizio intentato dal compratore con l’actio empti, il prezzo ottenuto, in quanto l’acquisto del bene è avvenuto ex alia causa, così sembrerebbe che la ratio dell’applicazione dell’actio empti, in caso di evizione, debba necessariamente essere la stessa, in quanto, anche in questo caso, la buona fede impone la restituzione del prezzo, per ristabilire l’equilibrio delle prestazioni tra le parti contrattuali342.

Il passo, che si inserisce in un contesto omogeneo di testimonianze343, mette in luce come il presupposto della concessione dell’actio empti, in caso di evizione, non sia la semplice responsabilità per garanzia, riconducibile all’originaria garanzia stipulatoria per evizione, ma «era individuato in una circostanza valutabile ai fini della determinazione della responsabilità contrattuale analogalmente al caso di concorsum causarum»344. In entrambe le ipotesi precedentemente esposte, ovvero l’evizione ed il concorsum causarum, non possono allora non vedersi che due casi di inadempimento contrattuale, potendo essere, dunque, richiesta o la risoluzione del contratto, o la condanna alla restituzione del prezzo od, infine, all’id quod interest.

Il pensiero di Giuliano, con riferimento in particolare alle conseguenze derivanti dall’inadempimento contrattuale, viene chiarito da un frammento di                                                                                                                

341 VACCA, Sulla responsabilità ex empto del venditore nel caso di evizione secondo la

giurisprudenza tardo–classica, cit., 307.

342 Altro passo, sempre in materia di concursum causarum, nel quale risulta evidente tale principio è: D. 21, 2, 9 (Paul. 76 ad ed.): Si vendideris servum mihi titii, deinde titius heredem me

reliquerit, sabinus ait amissam actionem pro evictione, quoniam servus non potest evinci: sed in ex empto actione decurrendum est. Paolo afferma decisamente l’applicazione dell’actio empti nel

caso in cui nel caso in cui un venditore vende un bene non proprio, che, però, viene acquistato, ex

alia causa, dal compratore: il giurista conferma una decisione di Sabino il quale aveva affermato

l’applicazione dell’ actio pro evictione, ritenendo, evidentemente, che le due fattispecie fossero strutturalmente simili.

343 Cfr. testi riportati nelle note precedenti.

344 VACCA, Sulla responsabilità ex empto del venditore nel caso di evizione secondo la

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Paolo, nel quale viene appunto riportata l’opinione del primo giurista345. Esaminiamo il caso su cui è chiamato ad esprimersi il giurista. Tizio lascia tre schiavi, di nome Stico, Panfilo ed Arescusa, in legato, con il fedecommesso di                                                                                                                

345 D. 19, 1, 43 (Paul. 5 quaest.): Titius cum decederet, seiae stichum pamphilum arescusam per

fideicommissum reliquit eiusque fidei commisit, ut omnes ad libertatem post annum perduceret. cum legataria fideicommissum ad se pertinere noluisset nec tamen heredem a sua petitione liberasset, heres eadem mancipia sempronio vendidit nulla commemoratione fideicommissae libertatis facta: emptor cum pluribus annis mancipia supra scripta sibi servissent, arescusam manumisit, et cum ceteri quoque servi cognita voluntate defuncti fideicommissam libertatem petissent et heredem ad praetorem perduxissent, iussu praetoris ab herede sunt manumissi. arescusa quoque nolle se emptorem patronum habere responderat. cum emptor pretium a venditore empti iudicio arescusae quoque nomine repeteret, lectum est responsum domitii ulpiani, quo continebatur arescusam pertinere ad rescriptum sacrarum constitutionum, si nollet emptorem patronum habere: emptorem tamen nihil posse post manumissionem a venditore consequi. ego cum meminissem et iulianum in ea sententia esse, ut existimaret post manumissionem quoque empti actionem durare, quaero, quae sententia vera est. illud etiam in eadem cognitione nomine emptoris desiderabatur, ut sumptus, quos in unum ex his quem erudierat fecerat, ei restituerentur. idem quaero, arescusa, quae recusavit emptorem patronum habere, cuius sit liberta constituta? an possit vel legatariam quae non liberavit vel heredem patronum habere? nam ceteri duo ab herede manumissi sunt. respondi: semper probavi iuliani sententiam putantis manumissione non <amitti empti actionem etsi actio ex stipulatu propter evictionem> amittitur eo modo. de sumptibus vero, quos in erudiendum hominem emptor fecit, videndum est: nam empti iudicium ad eam quoque speciem sufficere existimo: non enim pretium continet tantum, sed omne quod interest emptoris servum non evinci. plane si in tantum pretium excedisse proponas, ut non sit cogitatum a venditore de tanta summa ( veluti si ponas agitatorem postea factum vel pantomimum evictum esse eum, qui minimo veniit pretio), iniquum videtur in magnam quantitatem obligari venditorem, D. 19, 1, 45 (Paul. 5 quaest.): Idque et iulianum agitasse africanus refert: quod iustum est: sicut minuitur praestatio, si servus deterior apud emptorem effectus sit, cum evincitur. Illud expeditius videbatur, si mihi alienam aream vendideris et in eam ego aedificavero atque ita eam dominus evincit: nam quia possim petentem dominum, nisi impensam aedificiorum solvat, doli mali exceptione summovere, magis est, ut ea res ad periculum venditoris non pertineat. quod et in servo dicendum est, si in servitutem, non in libertatem evinceretur, ut dominus mercedes et impensas praestare debeat. quod si emptor non possideat aedificium vel servum, ex empto habebit actionem. in omnibus tamen his casibus, si sciens quis alienum vendiderit, omnimodo teneri debet. Superest tertia deliberatio, cuius debet esse liberta arescusa, quae recusat emptorem. et non sine ratione dicetur eius debere effici libertam, a quo vendita est, id est heredis, quia et ipse ex empto actione tenetur: sed hoc ita, si non arescusa elegerit emptoris patronatum: tunc etenim et illius remanet liberta et ille ex empto actionem non habet, quia nihil eius interest, cum eam libertam habet. Su cui cfr., per i necessari

riferimenti bibliografici, D. NÖRR, Alla ricerca della vera filosofia. Valori etico-sociali in Giulio

Paolo (a proposito di D. 19.1.43 s.; 1.1.11; 45.1.83; 46.3.98.8; 18.1.34.1-2), in D. MANTOVANI,

A.SCHIAVONE (a cura di), Testi e problemi del giusnaturalismo romano, CEDANT, Pavia, 2007,

521 ss.; ID., Römisches Recht: Geschichte und Geschichten. Der Fall Arescusa et alii (Dig. 19,1,43 sq.), München, 2005, 79 ss.

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manometterli dopo un anno, a Seia, che, non accettando il fedecommesso, permette all’erede di vendere gli schiavi a Sempronio, senza, però, menzionare l’esistenza del fedecommesso. Sempronio, dopo alcuni anni, manomette la sola Arescusa, ma, essendo gli altri due venuti a conoscenza dell’esistenza del fedecommesso, vengono manomessi dall’erede, in quanto obbligato dal pretore. Arescusa, in seguito a tale scoperta, rifiuta di accettare come suo patrono Sempronio. Nonostante il parere discorde di Ulpiano, Paolo, rifacendosi alla decisione di Giuliano, precedentemente esaminata, ritiene che non solo il compratore abbia diritto ad agire ex empto per la vicenda della schiava Arescusa, ma anche per ottenere un risarcimento per le spese sostenute nell’educare uno degli altri due schiavi. Il giurista ritiene che siano risarcibili anche queste ultime spese, perché, agendo a causa dell’evizione, il compratore non ha diritto soltanto ad ottenere il prezzo pagato, ma anche il risarcimento della lesione dell’interesse dello stesso a non vedersi privato del possesso dello schiavo. Lo stesso principio è applicabile anche nei casi, riportati nella continuazione del passo, ovvero nel caso di vendita di un fondo non appartenente al venditore, su cui il compratore costruisce un edificio, subendone, poi, l’evizione e nel caso di vendita di uno schiavo non appartenente al venditore.

Il passo, che, senza dubbio è stato rimaneggiato in alcuni passaggi346, testimonia, però, chiaramente come per Giuliano la corretta individuazione dell’ambito di applicazione dell’actio empti, nonché della misura dell’aestimatio

litis, non potesse che essere condotta se non facendo riferimento ai criteri di

determinazione della responsabilità contrattuale del venditore. Con la conseguenza, in tema di aestimatio litis, dell’utilizzo di un diverso criterio di determinazione dell’ammontare della condanna del venditore, a seconda che quest’ultimo fosse consapevole o meno, al momento della vendita, dell’alienità del bene venduto.

Questo criterio, d’altra parte, risulta esplicitato in un passo di Ulpiano, nel quale viene ripreso il pensiero di Giuliano. Si veda

                                                                                                               

346 Si tratta, in particolare della parte finale del fr. 43, che non rileva direttamente in questa sede e su cui si rinvia adARANGIO RUIZ, Compravendita, cit., 235 ss.

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D. 19, 1, 13 pr. (Ulp. 32 ad ed.): Iulianus libro quinto decimo inter

eum, qui sciens quid aut ignorans vendidit, differentiam facit in condemnatione ex empto: ait enim, qui pecus morbosum aut tignum vitiosum vendidit, si quidem ignorans fecit, id tantum ex empto actione praestaturum, quanto minoris essem empturus, si id ita esse scissem: si vero sciens reticuit et emptorem decepit, omnia detrimenta, quae ex ea emptione emptor trarit, praestaturum ei: sive igitur aedes vitio tigni corruerunt, aedium aestimationem, sive pecora contagione morbosi pecoris perierunt, quod interfuit idonea venisse erit praestandum.

Dalla lettura del passo347 risulta chiaramente che lo stesso si occupa esplicitamente di vizi della cosa e non di evizione: Ulpiano, però, nel proseguo del passo348 dichiara espressamente che gli stessi principi sono utilizzabili anche in materia di evizione, paragonando quest’ultima al caso in cui il vizio della cosa sia particolarmente grave (‘quasi evictionis nomine tenetur venditor’). Tralasciando di analizzare il caso specifico affrontato dal giurista, se ne può provare a tratteggiare la ratio ispiratrice, che si riassume nel ritenere che nel caso in cui il venditore sia consapevole del vizio del bene venduto è tenuto a risarcire l’interesse del compratore a non subire un danno dal comportamento scorretto del primo soggetto; nel caso in cui, invece, il venditore non sia consapevole del vizio, bisogna distinguere a seconda della gravità del vizio stesso.

Mentre nel caso in cui il vizio non si presenti grave, il venditore non dovrà rispondere ex empto, invece nel caso il vizio sia assai grave, a tal punto da essere equiparabile ad un’evizione del bene, il venditore è tenuto a restituire la differenza di prezzo tra quanto effettivamente pagato e quanto il compratore

                                                                                                               

347 Su cui si rinvia, da ultimo, anche per i necessari ragguagli bibliografici, a L. SOLIDORO MARUOTTI, «... Si vero sciens reticuit et emptorem decepti ...» (D. 19.1.13 pr.): vizi di fatto, vizi

di diritto e reticenza del venditore, in Fides humanitas ius. Studii in onore di L. Labruna, VIII,

Napoli, 2007, 5269 ss.; N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio

empti, Milano, 2004, 294 ss.

348 D. 19, 1, 13, 1 (Ulp. 32 ad ed.): Item qui furem vendidit aut fugitivum, si quidem sciens,

praestare debebit, quanti emptoris interfuit non decipi: si vero ignorans vendiderit, circa fugitivum quidem tenetur, quanti minoris empturus esset, si eum esse fugitivum scisset, circa furem non tenetur: differentiae ratio est, quod fugitivum quidem habere non licet et quasi evictionis nomine tenetur venditor, furem autem habere possumus.

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avrebbe pagato, se fosse stato a conoscenza, al momento dell’acquisto, del vizio, non avendo il secondo soggetto conseguito l’habere licere sul bene acquistato.

Non può, dunque, che discenderne, come chiaramente messo in luce da Letizia Vacca che «la giurisprudenza tardo–classica, prendendo spunto da alcune soluzioni di Giuliano, era arrivata ad individuare nel caso di evizione una ipotesi in relazione alla quale trovavano applicazione i criteri generali di determinazione della responsabilità contrattuale del venditore e del suo contenuto patrimoniale valutabili nell’ambito dell’iudicium empti. Questi criteri comportavano che in tutti i casi in cui l’inadempimento … era dovuto ad una condotta riconducibile al dolo contrattuale, il venditore sarebbe stato tenuto a reintegrare l’interesse patrimoniale del compratore ad avere tale piena disponibilità; laddove, invece, risultava comunque oggettivamente lesa la sinallagmaticità delle prestazioni … nell’ambito del iudicium empti poteva ottenersi o la restituzione in tutto o in parte del prezzo pagato o l’eccezione alla richiesta di pagamento, ristabilendo così l’equilibrio delle prestazioni conforme alla buona fede oggettiva rilevante processualmente»349.

8. Le diverse funzioni dell’actio empti in relazione all’evizione.  

La corretta valorizzazione del pensiero di Giuliano350 permette, poi, di leggere in una diversa ottica soluzioni interpretative a lui successive e rispetto alle quali la dottrina tradizionale si è mostrata fortemente critica.

                                                                                                               

349 VACCA, Sulla responsabilità ex empto del venditore nel caso di evizione secondo la