Adorno e il suo approccio teoretico alla sociologia della musica
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Per il filosofo la sociologia musicale ha il compito di partire, per le sue analisi, dalle incrinature e dalle fratture dell’accadimento musicale nel momento in cui queste non sono esclusivamente imputabili ai limi- ti soggettivi di un singolo compositore: la sociologia musicale in questo senso è critica sociale che si svolge attraverso la critica artistica (Ador- no, 2002, p. IX). Secondo Adorno, in concorrenza con i mass media, la musica dal vivo, e in genere anche il teatro d’opera, non escluso quello di prosa, seguendo le leggi dell’economia e del mercato capitali- stico, tendono a formalizzarsi, neutralizzando qualsiasi prodotto arti- stico che tenti ancora di parlare un linguaggio rivoluzionario e di rot- tura nei confronti delle istituzioni e dell’ordine costituito. É in una competizione di tal genere che si colloca la definizione adorniana del direttore d’orchestra: “Il direttore d’orchestra è l’immagine di colui che ha un rapporto diretto con il pubblico, mentre ad un tempo la sua specifica attività musicale è di necessità estranea anche al pubblico nel- la misura in cui il direttore non suona nessuno strumento; egli diventa così un musicista-attore, e proprio questo contraddice una rappresen- tazione veramente aderente alla musica” (Adorno, 2002, pp. X- XI).
1.3. La figura dell’ascoltatore
Adorno articola la sua riflessione a partire dall’analisi del soggetto, cioè dell’ascoltatore, o meglio del rapporto tra gli ascoltatori di musi- ca, come singoli individui socializzati, e la musica stessa, fissando in tal modo una base per una psicologia sociale dell’ascolto. Il filosofo speci- fica che la difficoltà di rendersi conto scientificamente del contenuto soggettivo dell’esperienza musicale al di là degli indici esteriori è quasi insormontabile; tuttavia, è possibile dal comportamento dell’ascolta- tore nei differenti ambienti musicali che egli frequenta e dalle sue scel- te e preferenze, ricavare uno schema abbastanza utile all’indagine so- ciologica relativa al consumo della musica (Adorno, 2002).
1.4. I sei tipi di comportamento musicale
Adorno definisce sei tipi di comportamento estetico musicale. Il primo è quello dell’“esperto”, appartenente, in genere, alla ristretta cerchia dei musicisti professionisti: dotato di una salda preparazione
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tecnica, che gli permette di cogliere gli eventi sonori nella simultaneità della dimensione orizzontale-verticale, egli intende pienamente la logi- ca costruttiva di una composizione; il suo comportamento potrebbe essere definito, secondo Adorno, come “ascolto strutturale”.
Il secondo tipo è quello del “buon ascoltatore”, che è in grado di percepire istintivamente la logica immanente della musica, consapevo- le delle sue implicazioni tecniche e strutturali; comprende la musica all’incirca come un individuo che intende la propria lingua, anche se sa poco o niente della grammatica e della sintassi. Invece, il terzo viene definito il “consumatore di cultura”, conosce tutto, è informato su ogni particolare biografico e aneddotico dei compositori, colleziona dischi, è abbonato fedele alle società di concerti ed ama più l’esecutore che la musica stessa. A tal proposito, Adorno osserva che il conformi- smo e il convenzionalismo definiscono sufficientemente il carattere so- ciale di questo tipo di ascoltatore che, in genere, non si interessa alla musica moderna più avanzata, quando non ne è apertamente ostile.
Il quarto è il tipo dell’“ascoltatore emotivo”, che nulla vuol sapere circa la musica e preferisce abbandonarsi al suo flusso sonoro, cercan- do in esso un ristoro e una compensazione alle proprie carenze psichi- che e intellettuali: egli, cioè, ascolta la musica che meglio gli si addice, in particolare musica popolare e leggera; su questo tipo, specula l’industria culturale della musica.
Il quinto, definito “ascoltatore risentito” o astioso, si suddivide in due categorie: colui che ascolta solo musica preromantica e disprezza tutto il resto, e il fan del jazz. Il primo ama Bach (e Vivaldi) come mo- delli del proprio comportamento “razionale”; la seconda categoria dell’ascoltatore “astioso” è il tipico esperto del jazz, il quale non pren- de neppure in considerazione la musica classica e romantica, ma po- lemizza solo contro il jazz “commerciale” e la musica leggera, elevando i propri idoli a simboli di una protesta contro la società.
Il sesto ed ultimo tipo, quello quantitativamente più considerevole, è costituito dall’ascoltatore di musica leggera tout court, sia che la ascolti per passatempo, sia come fan (Adorno, 2002).
1.4.1. Il tipo di ascoltatore da considerare
Secondo Adorno, se la sociologia dovesse pensare solo in termini statistici, senza tener conto del peso dei singoli tipi nella società e nella vita musicale e degli atteggiamenti tipici nei confronti dell’oggetto
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considerato, il tipo dell’ascoltatore di musica leggera sarebbe il solo che meriterebbe di essere preso in considerazione; poiché è proprio in questo settore che l’industria culturale specula su vasta scala, attraver- so una rete capillare che va dal disco al juke-box, ben sapendo che l’ascolto regredito ad “ascolto passivo” è quello che maggiormente si presta al livellamento e alla massificazione, quindi alla standardizza- zione del prodotto (Adorno, 1990, p. 53).
1.4.2. Discussione sul jazz e sulla radio
Questa premessa era utile per inquadrare, sia pur in modo assai sintetico, la prospettiva teorica del sociologo francofortese; ma venia- mo ora al cuore della sua analisi critica. L’idea di Adorno è che, a par- tiere da una certa fase si incontrano nelle riviste per il tipo di ascolta- tore “risentito” molte discussioni e articoli sul jazz: mentre questa mu- sica è stata per molto tempo descritta come “corruttrice”, ad un certo punto ha iniziato a riscuotere simpatie sempre crescenti, che vanno probabilmente collegate con l’“addomesticamento” del jazz, compiuto in America e in Germania. Il tipo dell’esperto di jazz e del “fan’’ del jazz (non così diversi tra loro come si potrebbe pensare) è affine all’ascoltatore risentito nell’atteggiamento dell’“eresia recepita”, della protesta socialmente integrata e divenuta innocua contro la cultura uf- ficiale, nel bisogno di spontaneità musicale che si oppone alla fissità del testo scritto. Adorno sostiene che il jazz, in aspetti decisivi, come nell’armonia, che è quella dell’impressionismo allargato, e nella strut- tura formale che è semplicemente standardizzata, rimane vincolato en- tro un ambito molto ristretto; l’indiscusso predominio dei tempi forti, l’incapacità di pensare la musica in maniera propriamente dinamica, come qualcosa che si evolve liberamente, conferisce anche a questo ti- po di ascoltatore il carattere di un individuo legato al principio di au- torità (Adorno, 2002, pp. 17-18).
L’idea che sostiene Adorno appare quantomeno “fuorviante” in quanto il jazz nasce e si sviluppa come uno dei generi musicali più li- beri e dinamici. Si pensi, ad esempio, alle sue origini e ai suoi legami con la musica africana e con il tamburo; dove non esistevano note, sca- le e pentagrammi da leggere. Infatti, nell’ambito della musica jazz c’è sempre stata una tendenziale personalizzazione dell’esecuzione musi- cale, attuata, nel tempo, con lo sviluppo di una teoria e di una tecnica dell’improvvisazione desunta dai codici della variazione orale, tipici
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della tradizione europea, africana e del blues. Dunque, come può Adorno sostenere che il fan del jazz sia legato ad un principio di auto- rità? E la musica classica allora? Lo stesso Adorno afferma che con la figura del direttore d’orchestra viene ripresa (seppur in miniatura) la dialettica hegeliana di servo e padrone; e questo non ha, forse, attinen- za col principio autoritario?
Adorno afferma che anche coloro che si adoperano disperatamente per distinguere quello che secondo loro è il jazz puro da quello conta- minato dal commercio, non possono fare a meno di accogliere nella sfera della loro ammirazione bandleaders del jazz commerciale, poiché il settore del jazz è incatenato alla musica commerciale non fosse che per il predominante materiale di partenza, costituito dai ballabili. Per completare il quadro, secondo il filosofo bisogna tenere presente l’incapacità dilettantesca dei jazzisti di render conto dei fenomeni mu- sicali con concetti musicali esatti, un’incapacità che, secondo Adorno, cerca vanamente di giustificarsi tirando in ballo la difficoltà di cogliere esattamente il segreto delle irregolarità del jazz, dal momento che la notazione della musica seria ha insegnato da tempo a fissare sulla carta oscillazioni incomparabilmente più sottili (Adorno, 2002, p. 18).
Insomma la distinzione che Adorno elabora tra commerciale e non
commerciale è pressoché priva di fondamento: esiste o è mai esistito al
mondo qualcosa che non si possa ritenere tale? Il pane può essere de- finito cattivo solo perché è “commerciale”? Il giudizio sulla qualità delle cose non può dipendere dalla loro vendibilità, visto che ci sono oggetti di pessima qualità che sono venduti quanto quelli di alta quali- tà. La valutazione della qualità di un prodotto, infatti, in molti casi è indipendente dalla sua vendibilità.
Secondo Adorno, inoltre, dal punto di vista quantitativo, il più dif- fuso di tutti i tipi di ascoltatore è certamente quello che ascolta la mu- sica per passatempo e nient’altro; questo tipo è l’oggetto di riferimento dell’industria culturale, o che questa gli si adegui, o che lo crei essa stessa. Infatti, il tipo dell’ascoltatore per passatempo andrebbe social- mente messo in rapporto con il fenomeno, riferibile esclusivamente al- la coscienza soggettiva, di un’ideologia unitaria livellata, e bisognereb- be indagare se le differenze sociali osservate, nel frattempo, in questa ideologia si rivelino anche negli ascoltatori per passatempo. Si potreb- be avanzare l’ipotesi che lo strato inferiore di questa tipologia di ascol- tatore si abbandoni al passatempo senza nessuna razionalizzazione, mentre quello superiore lo adatta idealisticamente, come spirito e cul-
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tura, facendo poi la sua scelta, secondo la quale la musica leggera di buon livello, più che mai diffusa, corrisponderebbe esattamente a que- sto compromesso di ideologia e ascolto effettivo (Adorno, 2002, p. 19). Quindi, secondo il tipo di ascoltatore per passatempo, la musica non è un nesso significante, ma una mera fonte di stimoli; in tutto que- sto, entrano in gioco elementi dell’ascolto emotivo come di quello
sportivo, ma il tutto è appiattito dal bisogno di musica intesa come un comfort che aiuti a distrarsi. Nei casi estremi di questo tipo, è probabi-
le che non vengano neppure più gustati gli stimoli atomizzati, che la musica non venga praticamente più goduta in un qualche senso intelli- gibile; la struttura di questo tipo di ascolto viene definita più dal disa- gio che si prova quando si spegne la radio che dal piacere, anche mo- desto, che si prova finché essa è accesa (Adorno, 2002, p. 20). Inoltre, per Adorno, il numero davvero ampio degli ascoltatori per passatempo giustifica la supposizione che questo tipo sia del genere del miscella- nea, considerato come tipico dalla sociologia americana. Questo ag- giunge probabilmente, in un denominatore comune, degli elementi eterogenei; si potrebbe, così, stabilire una successione di questo gene- re: al gradino più basso colui che non può lavorare senza tener accesa la radio, poi colui che ammazza il tempo e paralizza la solitudine me- diante un ascolto, che gli comunica l’illusione di far parte di un qual- che cosa, qualsiasi cosa essa sia; poi quelli che amano le melodie delle operette, quelli che vedono nella musica un mezzo di distensione, e in- fine il gruppo (da non sottovalutare) di individui veramente musicali che, essendo stati esclusi da qualunque forma di educazione, e tanto più da quella musicale, oltre che per la loro posizione nel processo la- vorativo, non partecipano alla musica genuina e si fanno pascere di prodotti in serie: è facile incontrare uomini di tal genere tra i cosiddet- ti “musicisti popolari” delle zone di provincia (Adorno, 2002, p. 21).
1.4.3. La difficile assegnazione dell’“ascoltatore per passatempo” ad
un gruppo sociale
Risulta difficile collegare l’ascoltatore per passatempo a un deter- minato gruppo sociale. Tuttavia, per Adorno, alcune differenziazioni sociali nell’ambito degli ascoltatori per passatempo possono risultare dall’analisi del materiale preferito: i giovani, probabilmente, trovano piacere, fuori dal culto per il jazz, nell’ascolto dei ballabili e delle can- zonette, mentre gli abitanti di zone rurali nell’ascolto della musica po-
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polare con la quale vengono sommersi. L’“idealtipo” di ascoltatore per passatempo può essere descritto in modo adeguato solo in base al suo rapporto con i mass media costituiti da radio, cinema e televisione. Scettico solo nei riguardi di ciò che lo costringe a pensare con la sua testa, egli è pronto a solidarizzare con la propria veste di cliente, ed è ostinatamente convinto della “facciata” della società che gli si presenta costantemente sulle copertine dei rotocalchi; questo tipo di ascoltatore non ha un preciso profilo politico, e si adegua (in campo musicale, come nella quotidianità) a qualsiasi forma di dominio che non pregiu- dichi troppo apertamente il suo standard di consumatore. Sarebbe in- sufficiente voler ricondurre i vari tipi, e la preminenza del tipo di ascoltatore per passatempo, al concetto di “massificazione”; nell’ascoltatore per passatempo, le masse non si uniscono nella rivolta contro una cultura che viene loro occultata nella fase stessa dell’offerta. Il loro è un moto di riflesso, è il disagio della civiltà dia- gnosticato da Freud, più che la rivolta contro di questa; in ciò è poten- zialmente celato qualcosa di meglio, al punto che in quasi ognuno dei tipi analizzati, sopravvive, per quanto degradata, l’aspirazione e la pos- sibilità di un contegno umano nei confronti della musica e dell’arte in generale (Adorno, 2002, p. 24). Il tipo dell’ascoltatore esperto necessi- ta di una specializzazione in un grado forse mai richiesto prima, e il re- lativo declino del tipo del buon ascoltatore (sempre che esso si verifi- chi) verrebbe certamente ad essere una funzione fondamentale di tale specializzazione; ma spesso questa viene pagata con gravi disturbi nel rapporto con la realtà, con deformazioni caratteriali nevrotiche e per- sino psicotiche (Adorno, 2002, pp. 24-25). Di fronte a tali complica- zioni non si può puntare il dito contro nessuno dei milioni di uomini angosciati, irretiti, spremuti, accusandoli di dover a tutti i costi capire qualcosa di musica o almeno interessarsene. Anche la libertà, che di- spensa da questo compito, ha il suo aspetto umano, che è l’aspetto di una condizione nella quale la cultura non viene più imposta a nessuno; ma l’incapacità dimostrata di fronte alla cultura obbliga a trarre delle conclusioni sull’incapacità della cultura di fronte agli uomini e su ciò che il mondo ha fatto di essi (Adorno, 2002, p. 25).
Qui la posizione di Adorno appare evidentemente “elitaria” e “ari- stocratica”: sembra quantomeno ingenuo, se non proprio assurdo, giudicare gli ascoltatori di musica (e in particolare del jazz) come privi di personalità e incapaci di ragionare e giudicare in autonomia, tanto quanto suddividere l’arte in superiore e inferiore. In particolare, c’è
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una contraddizione di fondo nell’affermazione di Adorno, poiché egli prima sostiene che l’arte superiore sia caratterizzata da dominio e logi- cità e poi che sia essa stessa ad assorbire elementi provenienti dall’arte inferiore. L’arte, in realtà, non è altro che un luogo convenzionale di legittimazione dei risultati di un “conflitto”; infatti, è arte qualsiasi fe- nomeno della comunicazione che venga legittimato come tale da un bacino di fruitori. A tal proposito, lo stesso Marx sosteneva che l’opera d’arte è definita dalla valenza stessa del prodotto, cioè dal valore d’uso e dal valore di scambio che essa assume; in ultima istanza è il finish del consumatore a fornire realtà, legittimazione, riconoscimento all’opera, proprio in virtù della funzione che essa esercita in rapporto ad uno specifico bacino di utenza.