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La funzione della musica

3.1. Quando si può comprendere esattamente la funzione della musica? La questione relativa alla funzione della musica nella società moderna è centrale nella riflessione adorniana in quanto questa funzione, apparentemente schiacciata sulla routine quotidiana, non è per niente da considerarsi banale. La musica è un’arte come le altre, ed ha maturato la pretesa di una sua autonomia estetica: anche compositori di livello modesto vogliono che le loro musiche siano intese come opere d’arte (Adorno, 2002, p. 48). Domandarsi quale sia la funzione della musica oggi significa domandarsi quali risultati raggiunge, in questa sfera, il relitto che delle opere d’arte è rimasto nel bilancio culturale delle masse: la musica, e le opere tradizionali, con tutto il prestigio culturale in esse accumulato, esistono e si affermano anche laddove non sono affatto percepite interiormente. In pratica, per Adorno, sarebbe troppo razionalistico voler riferire la funzione attuale della musica in relazione agli uomini che vengono in contatto con essa; gli interessi che badano a rifornirli di musica e il peso individuale delle opere ormai esistenti sono troppo forti per poterle confrontare di fatto con il bisogno reale”: anche nella musica il bisogno è diventato pretesto del settore produttivo. Ma l’uomo non ha un bisogno “reale” di musica; l’essere umano riesce a sopravvivere ugualmente, anche senza ascoltarne. Tutt’al più, l’uomo riflette nella musica una necessità di tipo antropologico, che gli permette di non sentirsi troppo oppresso dallo scorrere del tempo.

Per gli appartenenti alla Scuola di Francoforte la cultura popolare è uno strumento di alienazione degli individui, in una società totalmente controllata. Per questo motivo Adorno accusa la musica jazz e popolare di standardizzazione, di distrarre la gente e di renderla passiva, rafforzando così l’ordine sociale corrente; in questo senso, il jazz, egli afferma, produce alienazione; a questo si aggiunge il forte disprezzo che egli manifesta verso pressocché tutte le forme di intrattenimento collettivo, si pensi alla condanna senza appello che lanciava verso l’astrologia, che certo non è ascrivibile ad una

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concezione scientifica, ma che può essere anche serenamente interpretata quale forma innocua di evasione collettiva e, in dimensione dialogica micro, interpersonale, finanche un efficace facilitatore di relazioni sociali. Ma dati i presupposti concettuali tipici della visione adorniana non ci si deve sorprendere degli strali tremendi che il filosofo lanciava anche in generale verso il fascino dell’occulto, del misterioso, che considerava, in certi casi anche comprensibilmente, sintomo di una coscienza in regressione (Wallace, 1994, pp. 138-139).

3.2. La funzione consolatrice della musica

Secondo Adorno l’esistenza della musica, la violenza storica sedimentatasi in lei e l’imprigionamento di un’umanità immatura nelle istituzioni che le vengono imposte, non basterebbe, in definitiva, a spiegare da sola la fissazione delle masse e certo non potrebbe spiegare la domanda di musica da parte loro. Una delle funzioni certo non infime della musica è oggi la funzione consolatrice, il confortevole, anonimo appello alla comunità solitaria. Il suo suono fa pensare a una voce della collettività che non permette che i suoi membri coatti vengano abbandonati del tutto; ma in tal modo la musica regredisce a forme più antiche, preborghesi, o addirittura a quelle forme che possono aver preceduto il suo stesso determinarsi come arte. Difficile verificare se quegli elementi esercitino ancora di fatto la loro efficacia: certo è che essi vengono convalidati dall’ideologia della musica, e ciò basta perché gli individui che reagiscono entro l’ambito di validità dell’ideologia ci credano anche contro ogni evidenza fonica. In sostanza, gli individui considerano la musica come veicolo di piacere, indipendentemente dal fatto che la musica d’arte evoluta si è da molto tempo allontanata dall’espressione della gioia, divenuta irraggiungibile nella realtà, al punto che lo stesso Schubert poteva domandarsi se fosse mai esistita una musica lieta (Adorno, 1966, p. 141).

Inoltre, si suppone (sbagliando), secondo Adorno, che chi canticchia tra sé e sé un motivo musicale sia lieto: il suo gesto sarebbe quello di chi sta a testa alta, e il suono stesso sarebbe pur sempre la negazione dell’afflizione intesa come mutezza, mentre in realtà in esso si è sempre espressa, liberandosi, l’afflizione. Una prima positività spezzata e negata mille volte dalla musica d’arte, riemerge nella funzione della musica: non a caso, la musica più consumata, quella

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appartenente alla sfera “leggera” è sempre accordata su un tono di diletto.

Sostanzialmente, la musica è non oggettuale, non può essere univocamente identificata con nessun momento del mondo esteriore, e tuttavia è estremamente articolata e determinata in se stessa, risultando in tal modo sempre commensurabile al mondo esteriore (per quanto mediatamente), ovvero alla realtà sociale; per Adorno, la musica è un linguaggio, un linguaggio senza concetti. La musica, quindi, è predestinata ad avere la funzione di un settore della réclame perché essa non può essere individuata così tangibilmente come avviene, ad esempio, per le grossolane falsificazioni della realtà nei film o nelle novelle delle riviste illustrate: l’ideologia evita di farsi smascherare dagli scettici (Adorno, 2002, pp. 53-54). Il fatto è che la musica non è un linguaggio, bensì un codice asemantico (Caramiello, 1998) e, quindi, è difficile possa veicolare meccanicamente un “messaggio” o una ideologia. Il contenuto concettuale di una musica è sempre connesso all’ermeneutica, all’uso sociale e al significato che un bacino di utenti vi attribuisce.

3.3. La musica come funzione sociale

La musica come funzione sociale, per Adorno, è affine alla truffa, è fallace promessa di gioia che pone se stessa al posto della gioia. Anche nella regressione all’inconscio, la musica funzionale garantisce all’Es, cui si rivolge, un puro e semplice soddisfacimento sostitutivo; le opere di Wagner furono le prime che miravano a una funzione d’ebbrezza in grande stile, e in esse Nietzsche scoprì che la musica è l’ideologia dell’inconscio, vincolata ad un pessimismo che ancora in Schopenhauer era in un rapporto ambiguo con la società, che non a caso fu attenuato già nell’ultimo Wagner (Adorno, 1966, p. 145). La musica per Adorno, circondando gli uomini, avvolgendoli (com’è tipico del fenomeno acustico), facendoli partecipi in quanto ascoltatori, contribuisce ideologicamente a ciò che la società moderna non si stanca di realizzare, cioè all’integrazione (come si intuisce, in questo caso è opportuno il riferimento che Adorno fa a Durkheim); tra sé e il soggetto, creando, in tal modo, l’illusione della vicinanza di estranei, di calore per coloro che avvertono il gelo della dura lotta di tutti contro tutti (Adorno, 1990, p. 123). In questo senso la funzione

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più importante della musica di consumo, che reca pur sempre con sé il ricordo dell’immediatezza, è forse di tacitare il dolore nel pieno delle mediazioni universali (Adorno, 2002, p. 57). Bisogna rilevare che l’uomo ha sempre espresso questi bisogni; l’individuo deve fuggire dal dolore e trovare qualcosa che lo distragga da esso. Egli, quindi, usa la musica come mezzo attraverso il quale “riempire il tempo”. In questo senso, l’arte, e dunque anche la musica, si configurano quale bisogno ontologico dell’individuo legato alla dimensione contingente dell’esistenza: con l’acquisizione della coscienza e l’emergere della soggettività sapiens diventa capace di agire riflessivamente e, di conseguenza, diviene consapevole del carattere finito della vita, così la creazione di un aldilà rappresenta un modo assai efficace per lenire l’angoscia della morte. É all’interno di questi discorsi che il sistema delle arti, delinea un “ambiente comunicativo” (Caramiello, 1996), che si apre all’espressione di nuove forme della creatività, delle relazioni personali e dell’organizzazione sociale. L’arte, dunque, assume anche la funzione di antidoto contro la paura della morte e, per questa via, un carattere di tipo “religioso”. L’uomo sostituisce all’ineludibile realtà della morte un altro meccanismo ordinatore: il mondo magico, soprannaturale, spirituale, divino. Si tratta di una trasfigurazione eccezionale perché attraverso la fabbricazione o la scopertadell’aldilà l’uomo è davvero riuscito a diventare immortale (Caramiello, 2003).

3.3.1. La musica e la sua non-oggettualità

Secondo Adorno, la musica, in forza della sua non oggettualità, un aspetto che noi preferiamo definire “carattere immateriale”, può colorire lo scolorito mondo degli oggetti, senza entrare subito in sospetto di romanticismo, in quanto il colore viene attribuito a vantaggio della sua propria natura, e ciò potrebbe forse spiegare in parte la predilezione popolare per l’orchestra in confronto ai complessi da camera. Questo perché in pratica, la musica colora lo squallore del senso interiore; essa, cioè, è la decorazione del tempo vuoto (Adorno, 1990, p. 130). È molto chiaro, quindi, perché gli uomini temono il tempo e inventano così metafisiche, che fanno da compenso. Da tutto questo li distoglie la musica; essa sanziona la società cui serve da passatempo e, in particolare, assicura che nella monotonia dell’uguaglianza di tutto a tutto, esistano ancora dei momenti particolari. Ma, in realtà, l’arte, complessivamente intesa, è

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uno stupefacente fenomeno, esclusivamente umano, uno splendido dispositivo, peculiarmente ed eminentemente sociale, da sempre legato al comportamento di Sapiens e alla sua attività cognitiva: un sistema che si caratterizza per la sua universalità, in quanto legato ad un bisogno antropologico dell’individuo, quello di creare universi di significato attraverso i quali conferire senso all’esperienza e attutire l’angoscia dell’esistenza.

3.3.2. Il grado di astrattezza della musica

È difficile arrivare a comprendere, secondo la teoria adorniana, il grado di astrattezza che, nella coscienza temporale di un’umanità irretita dal concretismo, ha la funzione della musica. La forma del lavoro nella produzione industriale di massa è virtualmente la forma della ripetizione di procedimenti sempre identici: sostanzialmente non avviene mai nulla di nuovo. Ma i comportamenti che, nella sfera della produzione, si sono venuti formando sulla catena di montaggio si estendono potenzialmente a tutta la società, anche a settori nei quali non si lavora affatto direttamente secondo quegli schemi (cfr., Adorno, 2002, p. 60). Mediante la sua semplice forma astratta, che è quella dell’arte temporale, mediante cioè il mutamento qualitativo dei suoi momenti successivi, la musica produce una specie di imago del divenire: essa non perde l’idea di tale divenire, neppure nelle sue manifestazioni più penose, e la coscienza, bramosa di esperienza, non vuole abbandonare tale idea. Surrogato di un divenire a cui l’individuo che si identifica con essa crede di partecipare attivamente, per Adorno la musica restituisce al corpo, in maniera immaginaria, una parte delle funzioni che nella realtà gli sono state sottratte dalle macchine: è una specie di sfera sostitutiva del motorismo fisico che assorbe l’energia motoria la quale, soprattutto nei giovani, sarebbe altrimenti libera. Nella musica di consumo si avverte facilmente che nessuna strada conduce fuori dalla totale immanenza della società: il tempo libero dedicato a lasciarsi andare viene consumato nella mera riproduzione della forza lavoro, che getta la sua ombra su tale tempo libero (Adorno, 2002, p. 64).

Sembra opportuno, a questo punto, fare un riferimento alle idee di Philip Tagg che, a sua volta prende come punto di riferimento Murray Shaker, sostenendo che il nostro paesaggio sonoro non solo è più marcato di quello di qualsiasi altra cultura nel tempo e nello spazio,

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ma è anche caratterizzato da rumori incessanti a bassa fedeltà (low-fi), come il ronzio delle condutture, i ventilatori, il traffico, i rumori arrivati insieme al trapano, al martello pneumatico, al motore a scoppio, con la rivoluzione industriale, elettrica ed elettronica. Il suono non verbale, compresa la musica, e fondamentale nella società industrializzata: anche se gran parte della musica in circolazione non è mai entrata nelle “riserve culturali” dell’arte, proprio la sua onnipresenza e importanza nella nostra società rendono impossibile minimizzarla. Quindi, mentre il paesaggio sonoro ci informa sulla dimensione storica della società, è evidente che la musica non possa più essere scissa meccanicamente nelle categorie concettuali di “arte” e “intrattenimento”.

3.4. La musica come ideologia

Adorno sostiene che, siccome la musica non è manifestazione di verità, ma è realmente ideologia, si pone di necessità la questione relativa al suo rapporto con le classi sociali; difatti, la musica funzionale, come fonte di falsa coscienza sociale, è implicata, anche senza che i pianificatori lo vogliano, nel conflitto sociale (Adorno, 2002, p. 67).

Da questo fatto derivano però le difficoltà di fondo di cui soffre fino ad oggi l’impostazione della sociologia musicale: essa rimane mera psicologia sociale, rimane gratuita se non include in sé la struttura concreta della società. Basta una riflessione semplicissima per stabilire in che scarsa misura un inventario della stratificazione delle abitudini di consumo contribuisce a chiarire il nesso tra musica, ideologia e classi. Se ad esempio si supponesse che la classe superiore coscien- temente conservatrice ha una particolare affinità con una musica ideologicamente attinente, il risultato secondo ogni previsione dovrebbe contraddire tale congettura. La grande musica, che in effetti dovrebbe essere preferita in questo ambiente, implica piuttosto, per dirla nei termini di Hegel, la coscienza dello stato di necessità, e assorbe nella propria costituzione formale, per quanto sublimata, la problematica della realtà, che invece quello strato sociale preferisce evitare. In tal senso, la musica apprezzata nelle classi alte non è più ideologica, ma semmai meno ideologica di quella preferita nelle classi inferiori (Adorno, 2002, p. 73).