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Affermazione e sviluppo delle politiche partecipative

Partecipazione e decisione

4.3 Affermazione e sviluppo delle politiche partecipative

L’ingresso della rappresentanza legittimata degli interessi nella sfera pubblica è ben antecedente alla recente affermazione dei processi inclusivi e della governance. Bentley, già nel 1908, individuava in coloro che hanno interessi da sostenere i principali promotori di policy592. Gli interessi cui Bentley si riferiva non erano necessariamente materiali o particolaristici. Del resto, lo strumento classico di affermazione degli interessi è costituito dall’attività di pressione (lobbying) sui detentori del potere593. Nel decennio successivo alla prima guerra mondiale

590 Schumpeter J. A., Capitalismo, socialismo e democrazia, p. 272, Etas, Milano, p. 2001.

591 Font J., Public participation and local governance, cit. in Gbikpi B., Dalla teoria della democrazia

partecipativa a quella deliberativa: quali possibili continuità?, in Stato e Mercato, n. 73, aprile 2005.

592 Cfr.: Bentley A. F., Il processo di governo: uno studio delle pressioni sociali, Giuffrè, Milano,

1983.

593 I gruppi d’interesse cercano di partecipare alle definizioni ed alle rinegoziazioni delle politiche

pubbliche per vedere riconosciute le specifiche convenienze. In tutti i paesi democratici esistono associazioni di grandi dimensioni, espressioni d’interessi organizzati, che cercano d’esercitare la loro influenza sin dalla fase di progettazione degli interventi e, grazie alla loro stabilità, di mantenere il controllo sull’evoluzione della policy nel tempo. Cfr.: Melis G., La burocrazia, Il Mulino, Bologna, 1998; Peters B. G., op. cit., 1999; Regonini G., op. cit., 2001;

comparvero sulla scena delle democrazie continentali arene decisionali organizzate in funzione del principio di rappresentanza degli interessi594. Tali strutture riemersero negli anni ’70, dopo l’esperienza del corporativismo595 statale fascista, facendo parlare di neocorporativismo596: l’arena decisionale principale diviene il cosiddetto tavolo negoziale, intorno al quale si riuniscono autorità pubbliche, leaders sindacali e rappresentanti degli interessi organizzati per prendere parte alle negoziazioni decisionali con un ruolo sostanzialmente paritetico597. Nel medesimo frangente temporale si registrò una notevole espansione della partecipazione politica, pur mancando adeguati canali volti a recepire in modo ordinato e fecondo le istanze della società civile. L’overload di input e la conseguente erosione dell’autorità politica598, non più in grado di accogliere e soddisfare, attraverso modalità tradizionali, le pressioni provenienti dalla struttura sociale, ha fatto emergere la necessità di elaborare istituzioni capaci di assorbire le diversificate forme di partecipazione politica599. Tuttavia le domande relative a incisive modalità di intervento nella sfera pubblica da parte della società civile non hanno mai trovato completa soddisfazione nei canali politici predisposti per assorbire le istanze esterne. Secondo Huntington solo un riassetto più ampio del sistema, un nuovo equilibrio democratico, può garantire tale risultato, sostituendo «la minore emarginazione di alcuni gruppi con una maggiore autolimitazione di tutti i gruppi»600, limitando nel contempo l’espansione indefinita della partecipazione politica, potenzialmente dannosa per la qualità concreta degli assetti democratici601. Tra i decisori politici e la maggioranza dei cittadini la frattura è andata ulteriormente divaricandosi nel corso degli anni ’80 e ‘90. La tradizionale visione schumpeteriana di un sistema democratico in cui i decision makers sono individuati sulla base di regolari elezioni è divenuta progressivamente insufficiente a legittimare efficacemente le policy decise da

594 Cfr.: Maier C., La rifondazione dell’Europa borghese. Francia, Germania e Italia nel decennio

successivo alla prima guerra mondiale, De Donato, Bari, 1979.

595 «Il corporativismo può essere definito come un sistema di rappresentanza degli interessi in cui le

unità costitutive sono organizzate in un numero limitato di categorie uniche, obbligatorie, non in competizione tra loro, ordinate gerarchicamente e differenziate funzionalmente, riconosciute o autorizzate (se non create) dallo Stato, che deliberatamente concede loro il monopolio della rappresentanza all’interno delle rispettive categorie in cambio dell’osservanza di certi controlli sulla selezione dei leader e sull’articolazione delle domande». Schmitter P., in Maraffi M. (a cura di), La società neocorporativa, p. 52, Il Mulino, Bologna, 1981,

596 Cfr.: Schmitter P., Neocorporativismo: riflessioni sull’impostazione attuale della teoria e sui

possibili sviluppi della prassi, in Lehmbruch G., Schmitter P. (a cura di), La politica degli interessi nei paesi industrializzati, Il Mulino, Bologna, 1984.

597 Questo modello di regolazione appare particolarmente adatto a descrivere il processo di policy

making nell’ambito dei paesi socialdemocratici europei. Qui, le principali politiche macroeconomiche sono gestite tramite accordi di tipo corporativo, con i rappresentanti dei sindacati, del governo, degli interessi organizzati economici e professionali. Cfr.: Berger S. (a cura di), L’organizzazione degli interessi nell’Europa Occidentale, Il Mulino, Bologna, 1983.

598 Cfr.: Huntington S. P., La crisi della democrazia, Angeli, Milano, 1977.

599 Anche la modernizzazione socioeconomica, che ha reso disponibile risorse economiche per

incanalare la domanda di politica e determinato un incremento generalizzato dei livelli medi di scolarizzazione, ha indotto l’emergere di una nuova e pressante domanda di partecipazione ai processi. Tuttavia, la relazione tra modernizzazione socioeconomica e sviluppo politico non determina sempre dinamiche congruenti: la modernizzazione non produce automaticamente uno assetto politico capace di contenere e soddisfare le richieste di partecipazione riconducibili ai fenomeni di mobilitazione causati dalla stessa modernizzazione. E, quando ciò non avviene (come spesso accade) l’autorità e la legittimità delle istituzioni politiche ne esce ridimensionata. Cfr.: Cotta M., Della Porta D., Morlino L., Fondamenti di scienza politica, Il Mulino, Bologna, 2006.

600 Huntington S. P., op. cit., p. 109, 1977.

rappresentanti liberamente eletti. I cittadini richiedono un accesso diretto, non mediato, ai centri di decision making. L’affermarsi di processi decisionali inclusivi, aperti ad una pluralità di soggetti, sembra offrire nuove opportunità ed incisive forme di partecipazione dal basso alla definizione delle policy, ed allo stesso tempo di recuperare consenso e legittimazione nell’attività di governo della società. Con la sostituzione del tradizionale modello gerarchico con modelli di regolazione a rete602 gli interessi di cui sono portatori gli attori costituiscono la garanzia più solida dell’effettiva implementazione degli accordi603. Le dinamiche relazionali assumono particolare rilevanza nei processi interattivi che si sviluppano nei network, influenzando gli esiti che la struttura produrrà. Quando le connessioni sono particolarmente strette tra i partecipanti si parla di “comunità di policy”. Il concetto di comunità fà riferimento alle caratteristiche dalle relazioni personali tra gli attori coinvolti nel network, che possono assumere anche connotati conflittuali, ma restano comunque basate su un frame condiviso ed una struttura coesa, orientata alla soluzione del problema. La creazione di una comunità di policy può essere il primo passo di un lungo processo di collaborazione, da cui possono scaturire altre esperienze simili. Per restare “nel giro”, è essenziale per ciascun partecipante costruirsi una buona reputazione, attirare su di se la fiducia degli altri. Quella che si crea all’interno dei PIT può essere considerata una policy community. Le aggregazioni tra policy makers, le community, tendono ad accrescere col tempo il livello di specializzazione, con effetti moltiplicativi sulle reti significative, all’interno di un ambiente caratterizzato già da consistente complessità. La condivisione di idee e cultura, la conoscenza personale, senz’altro contribuiscono a creare coesione, ma possono anche radicalizzare il confronto tra soggetti portatori di visioni diverse, con polarizzazione delle posizioni e instabilità. Mentre i politici ed i rappresentanti di interessi economici tendono ad agire piuttosto pragmaticamente, conformemente ad interessi stabili nel tempo o soggetti a lente evoluzioni, i funzionari, le organizzazioni con scopi ben definiti, possono essere animati più dalle idee che dagli interessi, con conseguente minore propensione alla mediazione su principi di fondo il cui rispetto è considerato irrinunciabile. Le idee, non meno degli interessi, nell’ambito dei network hanno la capacità di unire, creare alleanze o spaccature tra i policy maker appartenenti alla community. Le regole e le norme sono messe continuamente in discussione e ridefinite dalle interazioni che si instaurano nel sistema in cui operano. I networks hanno una forte tensione verso i risultati, tensione che spesso legittima la loro intraprendenza, anche quando le regole vengono “ridefinite”. In virtù di tali propensioni le reti consentono di affrontare e risolvere in modo soddisfacente il problema della discrezionalità e dell’interpretazione. La comune interpretazione della situazione, il frame condiviso che viene generato dal network può utilmente indirizzare il margine di discrezionalità di ciascuna norma, generando orientamenti compatibili con la soluzione del problema. Gli aggiustamenti sperimentati all’interno di un policy network possono diffondersi nel sistema, istituzionalizzandosi. Inoltre i vantaggi delle reti possono proiettarsi anche all’esterno delle stesse, divenendo fruibili da soggetti che non sostengono attivamente le strutture di reciprocità, le quali diventano, per la diffusione dei benefici connessi, un bene pubblico a tutti gli effetti. Il passaggio da modelli decisionali chiusi a forme partecipate di scelta pubblica ha costituito una transizione lenta, snodatasi parallelamente ai complessi mutamenti della sfera sociopolitica ed economica avvenuti nel corso degli ultimi 50 anni. In qualche misura lo stravolgimento degli schemi decisionali rispecchia e nel contempo

602 Cfr.: Osborne D., Gaebler T., Dirigere e governare, Garzanti, Milano, 1995.

recepisce la complessità delle società attuali, ma costituisce anche un tentativo concreto di superare i fallimenti in cui l’azione pubblica è incorsa nell’azione di trasformazione sociale.

Capitolo 5

I presupposti della governance nel Mezzogiorno