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L’apertura del processo decisionale: problematiche, democraticità razionalità

Partecipazione e decisione

4.2 L’apertura del processo decisionale: problematiche, democraticità razionalità

I sostenitori dei processi inclusivi ritengono la partecipazione essenziale non solo ai fini della maturazione democratica, ma funzionale anche all’innalzamento degli standard qualitativi delle decisioni stesse. Le arene participative, sebbene dispendiose in termini di tempo e di risorse economiche578, compenserebbero i limiti cognitivi e computazionali del decisore unico. Sussistono, tuttavia, ostacoli oggettivi all’espansione del numero dei decisori, dato il trade-off tra estensione dell’inclusione e partecipazione in funzione del quale «più alto è il numero dei cittadini di un insieme democratico, minore è la possibilità per i cittadini di partecipare direttamente alle decisioni di governo e più essi devono delegare ad altri»579. Un altro aspetto che occorre discutere relativamente all’apertura dei processi decisionali riguarda la razionalità e l’intrinseca coerenza delle decisioni assunte. Le opzioni prescelte in contesti cui è garantita una partecipazione democratica ad una pluralità di soggetti risultano scelte razionali? Su un piano strettamente logico, prassi democratica ed razionalità decisionale appaiono contrastanti, come dimostrato dal teorema dell’impossibilità di Arrow580. Secondo tale teorema, “nel caso di 3 o più alternative e di una popolazione con almeno 3 individui, non esiste alcuna funzione di scelta sociale o nessun processo di decisione collettiva che sia in grado di soddisfare contemporaneamente i requisiti minimali di coerenza e democraticità (…) e di razionalità”581. Esso dimostra che l’adozione di regole che implichino il rispetto di elementari condizioni di par condicio tra i votanti può condurre a decisioni illogiche. Il teorema pone dunque in rilievo il trade off esistente tra coerenza e democraticità delle scelte collettive: solo accettando qualche compromesso circa l’eguaglianza dei

576 Simon H. A., op. cit., p. 141, 1985.

577 Cfr.: Lindblom C. E., Inquire and change: the troubled attempt to understand and shape society,

Yale University Press, Yale, 1990.

578 Dahl R. A., Sulla democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2000.

579 Ibidem, p. 117.

580 Arrow parte dalla definizione di cinque requisiti minimi che una buona regola decisionale, per

essere tale, deve soddisfare:

1. deve portare a risultati che obbediscano agli stessi criteri di razionalità richiesti ai processi

ordinativi individuali (rispetto della proprietà transitiva);

2. ogni ordinamento* individuale delle alternative si deve riflettere in quello sociale: ciascuno

deve poter ordinare come preferisce le diverse alternative, e nessuna forma di preferenza individuale dev’essere esclusa;

3. deve garantire l’indipendenza dalle alternative irrilevanti: ciò che non è oggetto di una scelta

non può influire sui criteri della scelta;

4. deve rispettare la regola paretiana. Se tutti gli individui preferiscono x a y, anche la collettività

deve considerare x come socialmente preferito a y.

5. deve impedire l’affermazione di un dittatore, o di individui in grado di imporre le loro

preferenze personali come preferenze sociali. Le preferenze di tutti gli individui devono pertanto avere eguale influenza.

(*) Per ordinamento s’intende una graduatoria di tutte le alternative possibili, completa e coerente.

cittadini e l’uguale valore delle loro preferenze si potranno ottenere decisioni coerenti582. In una situazione di scelta che comporti l’opzione tra più di due alterative e le preferenze individuali sono sufficientemente diversificate, non è possibile approdare ad una decisione univoca e coerente, a meno che questa non venga imposta, da un decisore unico, al resto della società, violando il principio di democraticità. Afferma Arrow: «gli unici metodi che permettono di passare dalle preferenze individuale alle preferenze sociali e che sono allo stesso tempo soddisfacenti (…) debbono essere o imposti o dittatoriali»583. I requisiti richiesti dal teorema per l’assunzione di decisioni nel contempo razionali e democratiche, benché ragionevoli ed accettabili, si rivelano in realtà talmente restrittivi da escludere l’esistenza di qualsiasi procedura in grado di trasformare le preferenze individuali in preferenze collettive, soddisfacendo contemporaneamente requisiti minimi di razionalità e democraticità. Ad esempio, la transitività delle preferenze, il loro razionale ordinamento (requisito minimo di razionalità decisionale), contraddice il principio di non dittatura. Se, viceversa, quest’ultimo viene rispettato la scelta risulta non transitiva (ovvero, non razionale), nel caso contrario risulterà non democratica. Oppure può emergere il paradosso delle maggioranze cicliche: mettendo in votazione le diverse alternative non si ottiene una maggioranza stabile a favore di una delle alternative, ma prevale di volta in volta un’alternativa diversa in relazione all’ordine con cui sono messe in ballottaggio584. Anche «Riker e Dahl hanno dimostrato, in modi diversi, che un meccanismo di scelta sociale intransitivo [puramente democratico] può produrre di fatto delle decisioni chiaramente insoddisfacenti. Riker sottolinea la possibilità di regole legislative che possano condurre alla scelta di una proposta rifiutata dalla maggioranza; Dahl sottolinea invece la possibilità che le regole conducano ad una situazione in cui non c’è la possibilità di mettersi d’accordo e perciò ad una situazione di inazione socialmente indesiderata»585. Regole procedurali che assolutizzino i principi democratici e partecipativi possono quindi condurre ad una «paralisi della democrazia, una incapacità di agire non dovuta ad un desiderio di inazione ma ad una incapacità di mettersi d’accordo sull’azione appropriata»586. Quando invece una decisione assunta in un’arena deliberativa risulta razionale bisogna capire quali dei requisiti del teorema di Arrow risultano violati. Il teorema evidenzia l’opinabilità delle teorie che fondano la legittimità delle istituzioni democratiche e dei processi decisionali inclusivi su una presunta capacità di rispecchiare l’orientamento generale dei fruitori delle policy. Arrow ha dunque dissolto l’illusoria percezione di una relazione tra fini individuali e scelte sociali, non accordabili razionalmente senza il ricorso alla coazione, sebbene l’esigenza di approdare a decisioni univoche sia in contrasto con la necessità di garantire eguali possibilità di espressione ai diversi interessi in gioco. Le analisi

582 Cfr.: Arrow K. J., Scelte sociali e valori individuali, Etas, Milano, 2003.

583 Ibidem, p. 63.

584 Nei policy network chi ha potere d’agenda, ha potere d’influenzare il risultato, lasciando

assolutamente liberi i votanti di esprimere le loro preferenze: basta mandare allo sbaraglio per prime le alternative meno gradite. Specie se l’arena decisionale è composta da un numero di partecipanti relativamente basso, le informazioni sugli ordinamenti delle preferenze altrui circolano più facilmente, creando le condizioni ideali per lo scambio di voti e di accordi sottobanco. Nei processi decisionali, gli attori detengono preferenze secondarie, che sono disposti a mettere tra parentesi, e preferenze su cui non sono disposti a negoziare. Ciò rende il possibile i meccanismi di scambi di voti: si cede sulle condizioni secondarie alle preferenze altrui in cambio di un sostegno corrisposto sulle condizioni ritenute non negoziabili.

585 Arrow K. J., op. cit., p. 125-126, 2003.

concrete delle dinamiche che portano a sintetizzare le diverse preferenze individuali in una preferenza di gruppo evidenzia i potenziali limiti del procedimento democratico. Le possibilità concrete delle aperture dei processi decisionali ai cittadini possono realisticamente offrire a quest’ultimi sono spesso inferiori a quelle attese. «Che questa conclusione non sia una mera acquisizione tecnica, ma abbia profonde implicazioni per il nostro modo di valutare le istituzioni della democrazia è sottolineato da Samuelson, in occasione del conferimento del premio Nobel per l’economia ad Arrow: “Aristotele deve essersi rivoltato nella tomba: la teoria della democrazia non può essere la stessa (e in effetti non lo è più stata) dopo Arrow”»587.

Le conclusioni del teorema di Arrow sono ulteriormente inasprite dalle ricerche sulle proprietà formali delle regole decisionali. A finire sul tavolo degli imputati è il più diffuso dei principi democratici: quello che richiede che le preferenze a maggioranza prevalgano su quelle delle minoranze. Il raggiungimento di esiti stabili nei processi decisionali può causare situazioni in cui non esiste alcun rapporto tra la scelta collettiva e le preferenze individuali. Le condizioni necessarie per garantire la stabilità degli esiti nelle votazioni sono estremamente difficili da rispettare: quando un gruppo approda ad una decisione, nonostante questa situazione, è possibile che l’opzione prescelta finisca con lo scontentare tutti, o la maggior parte, di coloro che hanno partecipato al processo decisionale.

Il teorema di Arrow prova efficacemente che, quando i decisori sono pochi, è possibile che si approdi ad una scelta coerente, priva di ambiguità. Un’intuizione presente nella riflessione razionalistica sin dai tempi di Cartesio. Scriveva infatti il filosofo francese: «credo che Sparta sia stata a lungo così fiorente non per la bontà di ciascuna delle sue leggi in particolare, giacchè molte erano assai strane, e persino contrarie ai buoni costumi; ma perché, uscite dalla mente di uno solo, tendevano tutte allo stesso fine»588. I processi inclusivi e democratici, viceversa, appaiono idonei a generare qualsiasi esito, anche il più contraddittorio o improbabile. Così come i modelli decisionali basati sul decisore unico589, anche quelli che prevedono l’intervento di una pluralità di soggetti portatori d’interessi mostrano potenziali e notevoli limiti, dei quali non c’è ancora una consapevolezza chiara, analoga a quella emersa nella discussione delle problematiche dei processi top-down. Il divario che può generare una distorta applicazione della governance tra aspettative e risultati concretamente conseguiti è notevole.

Un detto latino afferma: Senatores bon viri, Senatus mala bestia (i senatori sono brave persone, il Senato è una brutta bestia). Occorrono buone regole per favorire l’approdo a buoni risultati, che le strutture inclusive non garantiscono a priori, per quanto democratiche. Il rendimento delle decisioni assunte sulla base della logiche della governance non è, di per se, migliore, più innovativo e rispondente alle esigenze dell’interesse generale rispetto quelle assunte attraverso processi decisionali

587 Regonini G., Paradossi della democrazia deliberativa, p. 6, in Stato e Mercato, n. 73, aprile 2005.

588 Cartesio, Discorso sul metodo, da www.loescher.it/filosofia_web/Cartesio_Disc.rtf .

589 L’evidenza empirica ha dimostrato, comunque, che spesso anche le decisioni assunte da un unico

soggetto violano l’assioma della transitività delle preferenze. Cfr.: Girotti V., Legronzi P., Psicologia del pensiero, Il Mulino, Bologna, 1999.

tradizionali. La qualità delle decisioni nelle politiche multi-attore deve essere conseguita attraverso appositi sforzi da parte dei soggetti coinvolti nel processo decisionale, ma non nasce dal procedimento inclusivo in quanto tale. Quest’ultimo, anzi, può rallentare e problematizzare ulteriormente il processo di problem-solving, se non adeguatamente governato in tutte le fasi. Ecco perché la governance without government rischia di generare solo caos decisionale, quando oltre all’autorità centrale mancano attori responsabili all’interno del procedimento. Le scelte assunte nelle deliberazioni inclusive non sono ovviamente indipendenti dalle caratteristiche del processo che ha portato alla loro identificazione: gli esiti possono essere i più disparati, con diversi gradi di accettabilità e coerenza, in quanto non esiste la volontà del gruppo, ma quella che emerge è strettamente dipendente dal processo, dalle sue regole e dalle sue caratteristiche. La materializzazione concreta della volontà del gruppo è un esito di interazioni complesse che tendono ad amalgamare gli orientamenti dei votanti verso scelte condivise da molti, e non completamente sgradite al resto del gruppo.

Per innalzare la qualità della progettazione è essenziale dunque incidere sulle strutture e le regole che incanalano la negoziazione decisionale, impedendo che il progetto finale sia la sommatoria delle pretese egoistiche dei partecipanti. Ma, in assenza di correttivi istituzionali, «quanto più debole è l’elemento logico nei processi mentali collettivi e quanto più sono assenti una critica razionale e l’influsso razionalizzatore dell’esperienza e della responsabilità personale, tanto maggiori saranno le possibilità d’influenza di gruppi interessati a sfruttare la situazione. Questi gruppi possono consistere di politici professionali o di esponenti di un interesse economico»590. La trasformazione delle dinamiche decisionali realizzatasi negli ultimi decenni non è stata preordinata da una collaterale trasformazione culturale ed istituzionale capace di supportare adeguatamente la crescita dell’inclusività. Tuttora i «processi decisionali partecipativi continuano a essere più l’eccezione che la regola [poiché] la maggior parte delle decisioni a tutti i livelli di governo sono nelle mani di diverse combinazioni di politici, burocrati ed esperti, con un possibile ruolo complementare per le consultazioni informali con gruppi di cittadini»591.