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I modelli decisionali: dal decisore unico alla crescita partecipativa Il decision maker attraverso le policy dovrebbe individuare i mezzi più idone

Partecipazione e decisione

4.1 I modelli decisionali: dal decisore unico alla crescita partecipativa Il decision maker attraverso le policy dovrebbe individuare i mezzi più idone

per risolvere efficacemente il problema che la politica pubblica intende fronteggiare. Di per sé i problemi che entrano nell’agenda politica sono questioni altamente complesse, che non hanno trovato soluzioni soddisfacenti in altre sfere istituzionali, come il mercato o la società civile. Problemi, evidentemente, di difficile soluzione, dalla struttura confusa, il cui superamento è connesso alla scelta tra una molteplicità di alternative, ciascuna delle quali caratterizzata da specifici costi e benefici, con impatti diversi sulle varie categorie sociali. L’analisi dei processi attraverso cui le autorità pubbliche, monocratiche o collegiali che siano, pervengono alle decisioni in materia di policy possono sintetizzarsi entro quattro modelli o schemi decisionali: 1) razionalità sinottica;

2) razionalità limitata; 3) incrementalismo;

4) cestino della spazzatura560.

Il modello basato sulla razionalità sinottica risulta poco idoneo a fornire una rappresentazione realistica dei processi attraverso cui si perviene all’assunzione di una decisione, a causa della presupposta capacità del decisore di tenere contemporaneamente sotto controllo tutte le variabili in gioco. Appare inverosimile che il decision maker riesca a padroneggiare razionalmente ed in modo onnicomprensivo la complessità del mondo esterno, optando per linee d’azione esaustive e completamente soddisfacenti561. Anche il modello della razionalità limitata contempla un decisore unitario, sebbene caratterizzato da una ridotta capacità computazionale e dotato di informazioni incomplete circa mezzi e conseguenze delle decisioni assunte562. Gli altri due modelli mettono in dubbio che il decision maker persegua scelte razionali. Le opzioni prescelte sarebbero piuttosto riconducibili alla capacità di arrangiarsi del decisore563, ad approssimazioni564 o alla casualità e all’improvvisazione565.

Per gli analisti delle politiche pubbliche che ritengono il decision maker dotato di una visione onnicomprensiva questi avrebbe sostanzialmente delle caratteristiche analoghe al re-filosofo platoniano. Una concezione astratta che offusca i limiti cognitivi individuali: la visione d’insieme che un individuo può acquisire non è mai

560 Cfr.: Sola G., Storia della scienza politica. Teorie, ricerche e paradigmi contemporanei, Carocci,

Roma, 2004.

561 «In realtà, quanto si sostiene è semplicemente che se tutte le conoscenze disperse fra molte persone

potessero essere padroneggiate da una singola mente, e se questa mente superiore potesse costringere tutti quanti ad agire secondo i suoi desideri, si potrebbero ottenere certi risultati; ma naturalmente questi risultati potrebbero essere noti solo a una simile mente superiore». Hayek F. von, Conoscenza, mercato, pianificazione, p. 147, Il Mulino, Bologna, 1988.

562 Cfr.: Simon H., Il comportamento amministrativo, Il Mulino, Bologna, 2004.

563 Cfr.: Lindblom C. E., The science of “muddling trhough”, in Public administration review, n. 19,

1959.

564 Cfr.: Braybrooke D. Lindblom C. E., A strategy of decision: policy evalutation as a social process,

The free press, New York, 1963.

565 Cfr.: Cohen M., March J. Olsen J., A garbage can model of organization choice, in Administrative

abbastanza ampia da cogliere la realtà nella sua sfuggente complessità. Un processo decisionale sinottico risulterebbe enormemente dispendioso, in termini cognitivi, economici e temporali566: le risorse organizzative richieste per potere svolgere un esame esaustivo delle alternative sono tali da renderlo poco efficiente. «In modelli globali di scelta razionale, si valutano tutte le alternative prima di fare una scelta. Negli effettivi processi decisionali umani, le alternative vengono spesso esaminate sequenzialmente»567. Le variabili e le informazioni che un individuo elabora razionalmente nel processo di formulazione di una decisione sono numericamente limitate rispetto a quelle operanti nel complesso scenario reale sul quale intende intervenire568. Le considerazioni che concorreranno ad orientarlo saranno inoltre sensibili anche a dimensioni diverse dall’interesse generale: risentiranno delle possibili conseguenze in termini di carriera, degli orientamenti dell’opinione pubblica, mentre tralasceranno aspetti come la coerenza con provvedimenti precedentemente assunti o con altre politiche. L’output del processo decisionale, perciò, difficilmente costituirà la soluzione ottimale al problema. In considerazione di ciò, il decisore finirà con limitarsi all’individuazione di qualche soluzione apparentemente efficace per fronteggiare il problema da risolvere, e la scelta cadrà su questa: «quando si esaminano le alternative sequenzialmente, possiamo considerare la prima alternativa soddisfacente esaminata come quella effettivamente scelta»569.

Nella prassi quotidiana le opzioni prescelte sono quasi sempre assunte ricorrendo all’intuitività personale, al buon senso, a soluzioni già praticate, a conoscenze tecniche, all’esperienza sedimentata. Tutti elementi che concorrono a creare frame cognitivi ed etichette di riferimento, cui attingere per assumere decisioni in condizioni d’incertezza. Ciò conduce il decision maker a privilegiare soluzioni subottimali ma già sperimentate piuttosto che valutare tutti i possibili stati del mondo per approdare a soluzioni innovative ma dagli esiti incerti: «le decisioni sono strutturate dalle convinzioni che definiscono il problema che deve essere affrontato, le informazioni che devono essere raccolte e le dimensioni che devono essere valutate. Chi prende decisioni adotta dei paradigmi che raccontano da quale prospettiva vedere un problema, quali questioni porsi (…) Queste strutture focalizzano l’attenzione e semplificano l’analisi; dirigono l’attenzione su diverse opzioni e diverse preferenze»570. I paradigmi costituiscono delle chiavi di lettura per orientarsi nella complessità della realtà attraverso una rappresentazione schematica semplificata. Semplificando l’analisi, semplificano il problem solving. Il decisore, ricorrendo ad uno specifico policy frames, ottiene così schemi di scelta con soluzioni preconfezionate. Gli attori, in qualsiasi campo dell’agire umano, hanno una spiccata preferenza per la routine e resistono alle innovazioni delle loro azioni pratiche, nella

566 Cfr.: Simon H., Il comportamento amministrativo, Il Mulino, Bologna, 2004.

567 Simon H. A., Un modello comportamentale di scelta razionale, in Causalità, razionalità,

organizzazione, p. 133, Il Mulino, 1985.

568 Il successo dell’economia di mercato è riconducibile, appunto, alla capacità di conseguire risultati

relativamente efficienti anche in presenza di informazioni incomplete. Il contenimento dei costi dell’informazione derivanti dalle proprietà autoregolative del mercato, unitamente alla sua capacità di giungere ad un ordine razionale generale, partendo dalle caotiche ed incoerenti azioni individuali, hanno fatto del mercato «il primo calcolatore automatico al servizio dell’uomo» (Braudel F., La dinamica del capitalismo, p. 58, Il Mulino, Bologna, 1981). Ottenere razionalmente risultati comparabili a quelli ottenuti automaticamente dal mercato determinerebbe il sostenimento di costi d’informazione e decisionali enormemente più elevati. Braudel F., La dinamica del capitalismo, p. 58, Il Mulino, Bologna, 1981.

569 Simon H. A., op. cit., p. 133, 1985.

misura in cui ciò mette in dubbio il normale corso delle loro azioni571. Se da un lato le procedure routinizzate riducono i costi di coordinamento, dall’altro il loro sedimentarsi nel tempo può rallentare l’introduzione di necessarie innovazioni. La routine crea dei frames: l’apprendimento di nuove modalità interattive richiede una fase di transizione dai vecchi ai nuovi schemi costosa e impegnativa. L’analisi razionale delle informazioni assume perciò un ruolo sostanzialmente residuale. «Nessuna mente singola può conoscere più che una frazione di quello che è noto a tutte le menti degli altri individui: questo fatto pone dei limiti precisi all’entità dei miglioramenti che una direzione consapevole può conseguire rispetto ai risultati raggiunti dai processi sociali inconsapevoli»572. Specie per quanto attiene i bisogni individuali e sociali, l’asimmetria delle informazioni risulta incolmabile: «tutti gli interessati, presi nel loro complesso, ne sapranno sempre infinitamente di più di quanto ne potrà mai sapere l’autorità più competente»573.

Nei processi di problem-solving che precedono la selezione di una politica pubblica e coinvolgono un decisore unico, l’influenza dei limiti cognitivi individuali è tale da condizionare negativamente i risultati dell’intero processo. La percezione soggettiva dei problemi da parte del decisore, in funzione della quale sarà individuata la soluzione, è infatti derivata dagli elementi della realtà che passano attraverso i suoi filtri cognitivi, assumendo così rilevanza agli occhi del decisore, pur non essendo necessariamente congruenti alla realtà stessa. Secondo Pareto, gli individui guardano la realtà attraverso i vetri colorati dei sentimenti, i quali possono determinare percezioni non corrette delle situazioni, deformando la valutazione cognitiva, impedendo di effettuare inferenze corrette574. Questi elementi, nel complesso, concorrono alla costruzione di un modello semplificato dei fenomeni575, un’astrazione inficiata dalla limitatezza della capacità individuale di interpretare correttamente gli stimoli esterni a causa della razionalità limitata e dell’incompletezza informativa. «E’ impossibile, per il comportamento di un individuo solo ed isolato, raggiungere un grado apprezzabile di razionalità. Infatti il numero di alternative che egli deve affrontare è così grande, e le informazioni cosi occorrentigli per valutarle sono tante, che è arduo pretendere anche solo una approssimazione alla razionalità

571 Cfr.: Garfinkel H., Studies in Ethnometodology, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1967. La pubblica

amministrazione è la dimostrazione più evidente delle tesi etnometodologiche: le procedure burocratiche, per quanto irrazionali, difficilmente riescono ad essere modificate. Le procedure consolidate non vengono messe in discussione e, quando succede, l’azione si dimostra spesso infruttuosa.

572 Hayek F. von, op. cit., p. 207, 1988.

573 Ibidem, p. 207.

574 Cfr.: Pareto V., Trattato di sociologia generale, Comunità, Milano, 1964.

575 Il modello costituisce la percezione soggettiva del decisore. Il processo di produzione di un modello

passa attraverso le seguenti fasi: delimitazione delle questioni da affrontare e identificazione degli obiettivi da perseguire; scomposizione del problema nelle sue parti fondamentali ed elementari;rappresentazione semplificata del sistema su cui si vuole intervenire, con l’individuazione delle variabili da tenere in considerazione;verifica delle risorse disponibili e delle strategie per un uso efficiente delle stesse; individuazione di strategie la cui applicazione si è già dimostrata soddisfacente. Ciascuna fase risentirà dei limiti cognitivi del decisore. La rappresentazione che ne scaturisce non è dunque la semplice e meccanica riproduzione mentale della realtà oggettiva. Risulta, piuttosto, il frutto di un processo di astrazione e di ricombinazione dei nessi causali. In questo processo, anche l’istituzione di cui il decisore è membro gioca un ruolo non secondario. Essa contribuisce a diffondere significati condivisi con le sue norme e le sue procedure standardizzate. Le istituzioni, in ultima analisi, espletano una funzione regolativa che orienta il comportamento dei membri. Nel complesso, preferenze e l’identità dell’attore non costituiscono variabili esogene al processo decisionale, ma risultano essere fortemente endogene. Cfr.: Regonini G., op. cit., 2001.

obiettiva»576. Il decisore unico assumerà inevitabilmente una visione molto parziale, che potrebbe agevolmente essere migliorata attraverso la creazione di una fitta rete d’interazioni tra una molteplicità d’attori e di decisori577. Tali policy network bypasserebbero i problemi derivanti da conoscenze limitate ed asimmetrie informative, costanti che minano l’attuazione di interventi pubblici realizzati con logiche top-down, e nel contempo consentirebbero di assorbire le nuove domande di partecipazione provenienti dalla società civile.

4.2 L’apertura del processo decisionale: problematiche, democraticità