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Globalizzazione e modernizzazione in Calabria e Basilicata

5.2 Appartenenze e modernizzazione

5.4 Globalizzazione e modernizzazione in Calabria e Basilicata

«L’industrializzazione accelerata dei paesi agricoli, finora grandi importatori di beni industriali di consumo e strumentali, pone dei problemi gravi e nuovi»939. Sebbene questa constatazione possa apparire attuale, in realtà è estrapolata da una relazione del CDA dell’Olivetti: correva l’anno 1953. Il termine globalizzazione

935 Intervista alla Dott.ssa Dodaro, imprenditrice.

936 Intervista al Sen. Pignataro, ex Segretario Regionale CGIL.

937 Di Nolfo E., op. cit., p. 1407, 2006.

938 Da Ha’aretz dell’11/10/05, cit. su http://www.israele.net/articles.php?=id923 .

ancora non esisteva, ma si iniziava a parlare di internazionalizzazione e all’orizzonte si prospettavano, minacciosi, gli effetti della concorrenza dei paesi in via di sviluppo. A distanza di oltre 50 anni la caduta delle barriere commerciali su scala continentale prima, con la nascita dell’Unione Europea, poi mondiale, con l’avvento della globalizzazione, ha indotto le aziende più dinamiche a delocalizzare le produzioni per fronteggiare la crescente concorrenza. La possibilità di produrre in un qualsiasi posto per rivendere in qualsiasi altro940, una potenzialità che ha consentito di raggiungere livelli di sviluppo economico superiori a qualsiasi precedente periodo della storia umana941, ha fatto sì che molte aree, un tempo poco sviluppate, riuscissero a recuperare terreno proprio cavalcando l’onda della globalizzazione, sfruttandone le potenzialità. Altre zone, come il Sud Italia, hanno visto aumentare il gap, economico ma anche psicologico, con aree economicamente più avanzate.

Adam Smith riteneva che il libero commercio internazionale potesse favorire una riduzione delle distanze tra economie ricche e quelle dei paesi poveri, permettendo di soddisfare i reciproci bisogni e stimolare le attività produttive delle parti coinvolte942. Risulta tuttavia problematico per le economie emergenti riuscire a conquistare quote negli scambi internazionali943, a causa delle barriere all’entrata presenti sui mercati già strutturati, in cui operano spesso multinazionali con posizioni dominanti in regimi oligopolistici. Tali ostacoli sussistono sia per le aziende dei paesi in via di sviluppo sia per le aziende del Mezzogiorno, area in cui la globalizzazione ha finito per fiaccare le già scarse energie imprenditoriali autoctone. La riallocazione delle strutture produttive rischia perciò d’infliggere un colpo mortale ai sistemi produttivi locali più deboli dei paesi sviluppati (le periferie dei centri produttivi del Sistema-Mondo), mentre può costituire un’occasione di crescita per i sistemi produttivi localmente trainanti dei paesi poveri (i centri delle aree periferiche)944, sostenuti dal basso costo del lavoro. Le nuove periferie del Sistema-Mondo sono le aree regionali che non riescono ad inserirsi adeguatamente nei mercati globali, indipendentemente dalla loro appartenenza o meno ad uno Stato sviluppato. L’economia globale sta stravolgendo gli schemi Stato-centrici di contrapposizione tra paesi ricchi e paesi poveri, riconfigurando la dicotomia tra regioni ricche e regioni povere, i nuovi centri e le nuove periferie del Sistema-Mondo. Il trasferimento di tecnologie moderne e di professionalità nei paesi in via di sviluppo, in cui si concentrano gli investimenti, ne favorisce la crescita e l’integrazione nei circuiti dei mercati globali (sopperendo alla scarsa accumulazione di capitali locali) ma, parallelamente, sottrae risorse allo sviluppo delle zone arretrate dei paesi avanzati, come le aree del Sud Italia. La delocalizzazione investe ormai non solo attività

940 Friedman M., Cooperation, competition go hand in hand, Nikkei weekly, 31 maggio 1993.

941 Naisbitt J., Global paradox, Avon, New York, 1994.

942 Cfr.: Smith A., op. cit., 2005.

943 Secondo un recente studio «un aumento dell’1% nella quota delle esportazioni mondiali di

ciascuna delle regioni meno sviluppate genererebbe un aumento del reddito tale da ridurre la povertà mondiale del 12%, pari a circa 130 milioni di persone». Bonaglia F., Goldstein A., Globalizzazione e sviluppo, p. 44, Il Mulino, Bologna, 2006.

944 «Secondo il rapporto delle Nazioni Unite (…) negli ultimi cinquant’anni, la povertà è diminuita più

che nei precedenti cinquecento; negli ultimi trent’anni, i paesi in via di sviluppo hanno progredito quanto i paesi industrializzati nel secolo precedente; dal 1960 a oggi, il tasso di mortalità infantile, la denutrizione e l’analfabetismo sono significativamente diminuiti, mentre è aumentato l’accesso all’acqua potabile. In periodi relativamente brevi, i paesi che si sono maggiormente aperti alla globalizzazione, come Taiwan, Singapore, Israele e Svezia, hanno raggiunto livelli di vita paragonabili a quelli degli Stati Uniti o del Giappone, mentre in paesi come Thailandia, Brasile, India e Corea del Sud, anche grazie agli effetti della globalizzazione, i ranghi della classe media sono cresciuti». Friedman T. L., op. cit., p. 357, 2000.

afferenti ai settori tradizionali della produzione industriale: l’high tech, l’attività di ricerca & sviluppo e di produzione di servizi avanzati stanno subendo la stessa rispazializzazione che in passato ha riguardato i settori a basso valore aggiunto. Ciò mette in evidenza la complessiva crescita che la delocalizzazione sta stimolando nelle aree un tempo periferiche ma, anche, la complementare de-industrializzazione e de- terziarizzazione che stanno subendo i paesi avanzati, dove il processo di off-shoring produce disoccupazione.

Tali riflessioni trovano riscontro nelle rappresentazioni dei protagonisti dello sviluppo locale intervistati nel corso della ricerca. La globalizzazione è considerata da questi, frequentemente, una commistione tra un disastro di immani proporzioni ed un inevitabile destino. Le domande relative agli effetti determinati dalla globalizzazione sul territorio calabrese e lucano hanno indotto l’evocazione di catastrofici scenari economici segnati dalla fuga in massa delle aziende, da disoccupazione diffusa, dall’invasione dei mercati interni da parte di merci estere prive di qualsiasi garanzia per i consumatori, dalla concorrenza sleale. Il primo impatto della liberalizzazione dei mercati sulla aree meridionali si è concretizzato nella riallocazione di vasti segmenti produttivi nei paesi emergenti a basso costo del lavoro. La storia recente della Calabria e della Basilicata è costellata di simili situazioni, di aziende competitive che, inseguendo il miraggio della compressione dei costi, chiudono i battenti per ricollocarsi spazialmente. «L’ultima esperienza, la più eclatante e simbolica, che si impone, è questa della Polti. Non aziende che andavano male, non aziende decotte, ma aziende che avevano mercato, che per sfruttare un costo del lavoro più basso nelle aree emergenti, hanno delocalizzato»945. In conseguenza di ciò non solo la Calabria ma anche la Basilicata è stata interessata da fenomeni di intensa deindustrializzazione. La crescita della produzione registrata nel corso degli anni ’90, si è progressivamente arrestata, fino a fare registrare un’inversione di tendenza. Molte delle aziende, esposte alla concorrenza esterna, sono entrate in crisi. «Avendo un’economia con una forte presenza della grande e della media industria per diverse ragioni esposta agli effetti un po’ complicati della globalizzazione, evidentemente il tessuto economico ne risente, ma credo che si stia facendo altrettanto per cercare di sviluppare l’impresa e l’industria locale creando insieme a questo sistema di imprese una serie di condizioni di vantaggi tali da aumentare il livello di competitività delle singole imprese e più in generale del territorio»946. Ad incidere negativamente sulle opzioni delocalizzative ha concorso l’assenza di un’adeguata politica industriale sia regionale che nazionale, volta ad incrementare l’attrattività delle aree industriali esistenti e accrescere la produttività locale. «O si creeranno cluster, gruppi di imprese, reti di imprese che riescono ad organizzarsi e quindi ad avere la loro politica sul territorio, oppure la singola impresa non può andare da nessuna parte, soprattutto nell’economia globalizzata»947. L’esito netto del processo è dato dal progressivo smantellamento delle realtà aziendali che si erano stabilite nelle regioni meridionali, per scelte strategiche o per opportunità fiscali. «C’è la sensazione che la globalizzazione sia un processo che non sia suscettibile di regolamentazione per difendere i territori dai processi negativi di spoliazione determinati dai processi di globalizzazione. Il costo del lavoro è uno degli elementi fondamentali su cui si crea la mobilità internazionale dei capitali. L’impresa che ha la possibilità di mobilità

945 Intervista al Sen. Pignataro, ex Segretario Regionale CGIL.

946 Intervista al Dott. Martorano, Presidente di Confindustria Basilicata.

internazionale delocalizza in posti dove il costo del lavoro è molto meno incisivo»948. Secondo l’analisi di molti amministratori intervistati tali dinamiche, unitamente alla strutturale arretratezza economica locale, rendono il Sud soggetto a slittare verso un ruolo ancora più periferico sullo scenario produttivo nazionale e mondiale, esposto com’è alla concorrenza agguerrita dei paesi emergenti.

Parafrasando Edward Lorenz949, si potrebbe affermare che in un mondo globalizzato il battito di ali di una farfalla a Pechino fa mutare le quotazione del mercato azionario di New York. La globalizzazione crea interdipendenze che connettono in modo più o meno evidente territori e realtà tra loro distanti fisicamente. Negli amministratori locali non sempre, però, questa percezione è presente. La globalizzazione in alcuni casi è ancora percepita come un fenomeno che, per la marginalità produttiva e geografica – il Sud è comunque lontano dai centri nevralgici del potere finanziario europeo – non tange queste aree: «la globalizzazione non ha portato grandi sconvolgimenti a quello che è la realtà e lo stato sociale della nostra regione perché, voglio dire, il motore dell’energia del sistema Italia non è che sta in Basilicata, la Basilicata contribuisce per la propria parte, ma è minimale rispetto a tutto quello che poi può essere interessato ai grandi fenomeni di globalizzazione»950. La globalizzazione non è un concetto astratto, ma una realtà concreta entrata nella vita quotidiana di ciascuno: quando si utilizzano PC progettati nella Sylicon Valley e assemblati in Cina, quando si fa benzina, quando si indossano indumenti prodotti in Vietnam. È per certi versi singolare l’affermazione riportata circa la marginalità della Basilicata, della sua parziale “immunità” al processo di globalizzazione. Mediamente questa visione è tuttavia poco condivisa. I mutamenti indotti dalla globalizzazione sono ormai di tale portata risultare tangibili anche a livello micro-locale. «La concorrenza è tanta. Adesso iniziano ad arrivare i prodotti anche dalla Cina. Arriva anche il succo di pomodoro, che poi non ha le stesse qualità del succo prodotto qui. Soprattutto la concorrenza viene dalla Grecia, dal Marocco, perché questi paesi coltivano prodotti che arrivano 20 giorni sul mercato prima dei nostri. Le angurie spagnole arrivano sul mercato un mese prima dei nostri. Poi c’è il discorso dei prezzi: qui il costo della manodopera è alto, mentre li è neanche la metà. Il produttore agricolo risente di questi costi. Il prodotto perde di valore anche sul mercato, arrivando 20 giorni o un mese dopo»951. L’accresciuta capacità competitiva dei paesi emergenti è stata stimolata direttamente dagli ingenti investimenti esterni, da conoscenze e tecnologie esportate dalle multinazionali occidentali, che hanno messo in moto spillover di varia natura952 e giocato un ruolo fondamentale nel riassetto degli equilibri produttivi. Indipendentemente dall’impatto che tali investimenti producono nelle aree di approdo953, nei territori più deboli dei paesi dai

948 Intervista al Prof. Maiolo, Consigliere Regionale della Calabria con delega alla programmazione

nazionale e comunitaria.

949 Cfr.: Gleick J., Caos, BUR, Milano, 2006.

950 Intervista al Dott. Schiavone, Settore turismo Regione Basilicata.

951 Intervista al Dott. Ceruzzo, Vicesindaco di Scanzano Jonico.

952 Gli investimenti esteri restano cruciali per l’avanzamento tecnologico di queste economie, cosa di

cui i politici nazionali hanno piena consapevolezza e cercano perciò d’incoraggiare. La trasmigrazione di tecnologie avanzate e di competenze specialistiche verso i paesi di nuova industrializzazione può produrre sulla crescita economica delle nazioni ricche, nel lungo termine, effetti più gravi rispetto a quelli determinati nel breve periodo dalla fuga di capitali. Viene sostanzialmente meno la capacità di compiere scelte risolute per sostenere la crescita di lungo periodo, investendo nei settori in ascesa in grado di trainarla. Cfr.: Weber Maria, op. cit., 2006.

953 Per i liberali le multinazionali sono motori di crescita capaci di portare progresso, prosperità e

modernizzazione nei paesi in cui decidono di stabilire i loro impianti; per i marxisti, sostenitori della teoria della dipendenza, le grandi corporation dominano i paesi sottosviluppati che le ospitano,

quali tali flussi hanno origine gli effetti risultano incontrovertibilmente negativi. Ciò fa ritenere comunemente la globalizzazione sfavorevole per realtà economicamente deboli come quelle meridionali, con un apparato produttivo atomizzato. «Per competere nel sistema globale c’è bisogno di aziende con certe dimensioni di scala. L’esempio della crisi che sta avanzando nel nord-est è anche emblematica e fa capire perché il piccolo non regge al globale. Il piccolo regge invece in un sistema protetto, di protezione nazionale o giù di lì. Non regge invece al confronto effettivamente di una competizione molto più vasta»954. A causa delle ridotte dimensioni di scala delle unità locali e delle diseconomie che attanagliano i sistemi produttivi autoctoni, negli intervistati la convinzione che la globalizzazione determini i contraccolpi più negativi proprio nelle aree deboli dei paesi più avanzati è piuttosto diffusa: «nei paesi più arretrati, paesi con condizioni igienico-sanitarie molto scadenti e scarsa sicurezza sui posti di lavoro, le aziende sostengono costi di gran lunga inferiori rispetto a quelli sostenuti dalle imprese italiane. I costi produttivi inferiori determinano una concorrenza sleale sui mercati internazionali per le nostre aziende. I contraccolpi negativi di tale concorrenza li abbiamo subiti e li subiremo ancora»955. Sia Adam Smith che Marx ritenevano che l’espansione della produzione e del commercio fossero connesse ad un incremento della concorrenza tra gli operatori economici956. Nella fase attuale, l’integrazione economica internazionale ha acuito i livelli di concorrenza ulteriormente, mettendo però in seria difficoltà i produttori interni a vantaggio di quelli operanti nei paesi con basso costo della manodopera. Sebbene tale processo non sia necessariamente irreversibile957, nel breve periodo «con la liberalizzazione dei mercati arrivano prodotti a prezzi bassissimi. Qui abbiamo il problema del costo elevato della manodopera. Ci sono prodotti che arrivano qui a costo zero rispetto al nostro, per cui gli industriali preferiscono delocalizzare»958. In prospettiva gli squilibri di costo saranno compensati dalla ricollocazione spaziale delle aziende, ma nel breve e medio termine ciò comporta uno svantaggio competitivo per le nazioni più all’avanguardia, quelle che hanno sviluppato una legislazione più avanzata nella tutela lavoro e per il rispetto dell’ambiente.

Il costo del lavoro costituisce il principale fattore propulsivo degli attuali processi di delocalizzazione, degli spostamenti su scala globale dei capitali. Una corsa continua che appare ormai inarrestabile: «nello stesso periodo in cui entrò in crisi il polo tessile di S. Gregorio a Prato cominciavano a chiudere i cinesi, che non

impongono il loro monopolio, senza alcun effetto positivo sullo sviluppo. Cfr.: Barba Naveretti G., Vanables A. J., Le multinazionali nell’economia mondiale, Il Mulino, Bologna, 2006.

954 Intervista al Dott. Castagna, Segretario Regionale UIL Calabria.

955 Intervista al Dott. Callipo, Presidente di Confindustria Calabria.

956 Cfr.: Ingrao B., Ranchetti F., Il mercato nel pensiero economico. Storia e analisi di un’idea

dall’Illuminismo alla teoria dei giochi, Hoepli, Milano, 1996; Landreth H., Colander D. C., Storia del pensiero economico, Il Mulino, Bologna, 2004.

957 «Con la rivoluzione della robotica, gli impianti della Fujitsu all’estero potrebbero un giorno fare

ritorno in Giappone, e le fabbriche della Motorola rientrare in America… In ogni caso non saranno certo i paesi in via di sviluppo o i loro governi a prendere tali decisioni». Kennedy P., op. cit., p. 126, 2001.

958 «Sto facendo dei lavori qui a Nova Siri per l’installazione della famosa pietra grigia di Latronico,

che purtroppo viene lavorata un po’ male. Vengono provocati dei traumi alla pietra in fase di estrazione, per cui il prodotto non è proprio buono. Dopo poco tempo dalla messa in opera alcune pietre erano già rotte. La stessa pietra, con le stesse caratteristiche, viene importata adesso dall’Ucraina. Dall’Ucraina viene esportata in Cina, fino ad Hong Kong, parte per il porto di Taranto ed arrivano fino a noi, con costi inferiori a quelli di Latronico: qui la vendono a 60 €, mentre quella importata dall’Ucraina costa 20 €, nonostante tutto il giro che fa. E la qualità dovrebbe essere anche migliore. Purtroppo questo è il libero mercato». Intervista al Geom. Gizzi, Comune di Nova Siri.

riuscivano a tenere la concorrenza dei cinesi in Cina. Quattro anni dopo scompariva completamente il polo tessile di S. Gregorio si cercavano misure di assistenzialismo, cassa integrazione e roba simile. Mentre noi pensiamo ancora a far vivere il morto, con forme di accanimento terapeutico, la Cina stava già delocalizzando in Vietnam. C’è stata un’evoluzione velocissima, e mentre noi ci giriamo a guardare quello che sta succedendo gli altri guardano già avanti»959. L’economia globale ha accresciuto esponenzialmente la rapidità dei processi di mutamento. Adattarsi ai cambiamenti esterni è essenziale per prevalere nella competizione. L’industria italiana, mancando di una visione strategica coniugata alla capacità di adattamento flessibile, è rimasta sostanzialmente esclusa dalla crescita propulsiva connessa alla rivoluzione della global economy: mentre in altri paesi il capitalismo tecnoscientifico960 e culturale961 costituisce ormai una realtà consolidata (i vecchi giganti dell’era industriale hanno ceduto il passo ai nuovi colossi dell’era digitale), in Italia si scommette ancora sulla crescita di settori a basso valore aggiunto, fortemente esposti alla concorrenza delle economie asiatiche. L’esempio preponderante, riportato in molte delle interviste raccolte, è costituito dai problemi che ha attraversato il settore tessile. La storia della Calabria degli ultimi 20 anni è costellata di disperati (quanto vani) tentativi di rianimazione di imprese in crisi operanti su un mercato, quello dei prodotti tessili, in cui ormai neanche la Cina, esposta alla concorrenza di altri paesi asiatici, è completamente competitiva, pur avendo un costo del lavoro enormemente più basso.

Oggi la rincorsa all’innovazione è continua962: «ci sono dei settori che nell’economia globalizzata hanno una vita molto breve: penso al settore tessile. Se un’azienda tessile non si rinnova, dopo 6-7 anni deve chiudere. Non esiste più l’azienda eterna in un mercato aperto»963. Il ruolo giocato dall’innovazione nella competizione globale è ritenuto determinante da tutti gli intervistati. La sfida, per le élite locali, consiste nell’immaginare nuovi scenari di sviluppo che, tenendo conto delle dinamiche globali, valorizzino le risorse locali, in un mercato reso imprevedibile dall’accelerazione tecnologica e dai vantaggi di costo. «A livello mondiale sicuramente la globalizzazione ha riportato anche la revisione di alcuni equilibri. Dal punto di vista imprenditoriale ovviamente i fenomeni di dumping che sono molto più estremizzati e la globalizzazione ha messo il dito nella piaga di quei sistemi maturi, congestionati, ingessati che non riescono, che invece di pensare a nuove forme di sviluppo tentano verso la reazionarietà, cioè a difendere i propri confini piuttosto che immaginarne nuovi. Quindi sicuramente nel lungo periodo è un fatto positivo. Nel breve e medio termine è un fatto che crea molta ansia, molta preoccupazione oltre che molto disagio (…) A livello locale, soprattutto in Calabria, io non credo che la globalizzazione abbia apportato alcuna modifica ad abitudini consolidate che anzi sono andate a mio avviso peggiorando nell’ambito del rapporto tra classe politica, classe economica»964. Il contesto locale non ha mai brillato per capacità progettuale, per innovatività. La reazionarietà, cui fa riferimento l’intervistata, ossia la richiesta di misure protezionistiche all’ala protettiva della politica, costituisce la risposta istintiva alla concorrenza commerciale estera. Questi atteggiamenti appaiono dominanti nella classe imprenditoriale locale, che accetta di

959 Intervista all’Ing. Vita, responsabile della programmazione territoriale presso la sede provinciale

della Confindustria di Reggio Calabria.

960 Cfr.: Beaud M., op. cit., 2004.

961 Cfr.: Rifkin J., L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, Mondadori, Milano, 2000.

962 Cfr. Castagnoli E. (a cura di), Mercato a cronometro. Sviluppare nuovi prodotti a metà tempo, Il

Sole 24 ore, Milano, 1994.

963 Intervista al Dott. Piscionieri, Segretario Provinciale della Cisl di Reggio Calabria.

buon grado la flessibilità del mercato del lavoro – invocata come necessaria per reggere le sfide dell’economia globale – richiedendo a gran voce misure di tutela alla politica per ingessare i mercati dei prodotti, al fine di mettere le proprie aziende (di frequente inefficienti) al riparo dalla concorrenza estera. Il libero mercato risulta frequentemente soggetto ad una accettazione solo parziale, nella misura in cui risulta conforme ai propri interessi lobbistici. «Sapevamo che la globalizzazione avrebbe portato dei problemi per la commercializzazione delle nostre produzioni (…) tutto questo è stato accettato con molta gioia, con molta soddisfazione, convinti però che