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Alcuni ostacoli alla crescita del Sud nelle rappresentazioni degli intervistat

5.2 Appartenenze e modernizzazione

5.3 Alcuni ostacoli alla crescita del Sud nelle rappresentazioni degli intervistat

Sulla base di un consolidato schema interpretativo il sottosviluppo meridionale è considerato spesso il subprodotto di specifici ostacoli da rimuovere per avviare il processo di modernizzazione, intesa in termini di azioni volte a determinare una drastica rottura con le tradizioni socio–culturali locali697. I successi che pure sono stati ottenuti in alcune aree del Sud sulla strada della modernizzazione, sulla base di tale prospettiva sono stati bollati come casi effimeri o eccezioni non generalizzabili, non avendo inciso sui meccanismi di fondo che regolano e distorgono i processi nel contesto meridionale. Il tutto ha concorso all’emergere di una sorta di sindrome del fallimento698. Quando tale sindrome si diffonde tende a produrre profezie che si autoavverano, come evidenziato da Hirschman nella sua analisi sugli ostacoli alla percezione del cambiamento nei paesi latinoamericani699. Nel caso in cui gli attori principali della modernizzazione, quali le élite politiche, economiche ed intellettuali, si lasciano prendere da questo circolo vizioso del pessimismo, vengono meno proprio quelle aspettative positive che sono alla base della mobilitazione endogena necessaria al buon esito del processo di modernizzazione. Per decenni la cultura dominante ha invece indotto un assopimento delle energie autoctone, imponendo di guardare al centro del potere politico nazionale alla ricerca di occasioni di sviluppo, per inseguire i grandi scenari e le grandi strategie che venivano costruite artificiosamente dal governo centrale per poi irradiarsi alle aree periferiche. Queste politiche, nella rappresentazione collettiva, costituivano una sorta di azione salvifica che, calata dall’alto, avrebbe liberato le Regioni in ritardo di sviluppo dalla condizione di bisogno, di miseria, di povertà, dallo stato di disoccupazione. Per molto tempo il Sud ha assistito da spettatore passivo alle strategie elaborate in realtà esterne e lontane.

694 Sylos Labini P., Intervista su sottosviluppo e Mezzogiorno, in Rivista economica del Mezzogiorno,

p. 22, II, 1988.

695 Trigilia C., Le condizioni non economiche dello sviluppo: problemi di ricerca sul Mezzogiorno

d’oggi, in Meridiana, p. 184, n. 2, 1988.

696 Putnam R. D., op. cit., p. x, 1993.

697 Cfr.: Mutti A., Politiche di sviluppo per le regioni meridionali, in Il Mulino, n.1, 1995.

698 Ibidem.

Tutto questo non ha fatto altro che incrementare forme che oggi vengono definite dagli attori locali «di assistenzialismo parassitario»700, alimentando contestualmente una condizione di rassegnazione, di solitudine, di debolezza, di precarietà economica e sociale. Poi, terminata la stagione delle partecipazioni statali e dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno, lo Stato si è ritirato, si è allontanato, ma il mercato e i privati, il capitalismo imprenditoriale italiano non ha fatto niente per aiutare il Mezzogiorno. Ancora una volta la spinta al cambiamento è arrivata dall’esterno: i fondi strutturali erogati nell’ambito delle politiche comunitarie hanno determinato una vigorosa sollecitazione all’attività di animazione territoriale. In conseguenza anche dello shock esogeno prodotto dalla globalizzazione, negli ultimi anni è maturata una nuova consapevolezza, di una nuova cultura volta al protagonismo territoriale. «Molti sindaci si muovono ora in una logica di protagonismo, di cooperazione istituzionale, in una logica di richieste e di rivendicazioni di forme anche di confronto con le forze del partenariato economico e sociale dall’altro»701. I fermenti in atto conferiscono al territorio un ruolo baricentrico che tradizionalmente è stato negato, rendendo la dimensione locale l’ossatura portante e punto di riferimento primario per l’introduzione di strategie di sviluppo dal basso, capaci di captarne le potenzialità, le peculiarità, ma anche i limiti. Diventando i nuovi centri di elaborazioni delle visioni progettuali programmatiche, i territori potrebbero determinare dei fermenti culturali capaci di liberare i sistemi regionali dalle attuali forme di dipendenza esterna. Le svariate forme di concertazione che hanno visto protagonisti gli attori economici, sociali e istituzionali locali (patti territoriali, contratti d’area, PIT) possono preconfigurare un salto di qualità capace di porre i territori e le classi dirigenti locali al centro della battaglia per lo sviluppo, in una delicata fase di transizione verso un mondo globalizzato. Sussistono tuttavia ostacoli vigorosi al mutamento ed allo sviluppo auto sostenuto. Nei seguenti paragrafi saranno appunto analizzati alcuni tra i principali ostacoli allo sviluppo della Basilicata e della Calabria, quelli indicati con maggiore frequenza dagli intervistati. Di tali problematiche, alcune risultano trasversali ad entrambe le Regioni analizzate, altri concentrate in misura maggiore in una delle due.

5.3.1 La mafia

Nel Sud, la bassa legittimazione della classe politica ha impedito lo svilupparsi di identificazioni collettive stabili, come avvenuto in altre zone del paese. Conseguentemente il consenso politico non aveva basi ideologiche, non è stato ancorato e sostenuto da valori condivisi, risultando così instabile, volatile, sensibile al soddisfacimento di domande particolaristiche e favori clientelari702. L’estensione dell’intervento pubblico ha determinato un’utilizzazione delle stesse per il finanziamento d’interventi volti a massimizzare il consenso elettorale, anziché alla predisposizione di beni collettivi e di infrastrutture, creando un potente vincolo all’autonomia economica, all’emergere di uno sviluppo autoctono703. Ne è conseguito:

700 Intervista al Dott. Sbarra, Segretario Regionale CISL Calabria.

701 Intervista al Dott. Sbarra, Segretario Regionale CISL Calabria.

702 Cfr.: Caciagli M., Democrazia cristiana e potere politico nel Mezzogiorno, Guaraldi, Firenze, 1977;

Fantozzi P., Politica, clientela e regolazione sociale, Rubettino, Soveria Mannelli, 1993; Fantozzi, op. cit., 1997; Trigilia C., op. cit., 1983;

• lo sviluppo di un’imprenditoria con forti legami e vincoli con la politica, che ha prosperato grazie alle protezioni politiche più che attraverso la sua capacità di stare sul mercato;

• lo sviluppo di una microimprenditorialità politica che ha manipolato le appartenenze familiari, parentali ed amicali per ottenere favori in concorsi e accedere alle prestazioni sociali704;

• una modernizzazione della criminalità organizzata, nei contesti in cui la violenza ha consentito alla mafia di condizionare la politica e controllare risorse pubbliche705.

La pervasiva azione della politica ha quindi imbrigliato l’imprenditoria locale sia direttamente, ostacolandone l’azione, sia indirettamente, attraverso la concorrenza sleale di attività portate avanti attraverso la protezione politica o mafiosa. L’esito netto del controllo politico è stato una redistribuzione assistenzialistica delle risorse che ha sostenuto i redditi ma impedito uno sviluppo autonomo. Il saldarsi degli interessi della mafia con quelli della politica ha alimentato e perpetuato uno stato di dipendenza cronica sul quale entrambe hanno fondato i rispettivi poteri.

Per Deutsch la mobilitazione sociale si concretizza in un «processo in cui i nodi dei legami sociali, economici, psicologici, storicamente di maggiori rilievo, vengono corrosi ed alfine spezzati, e la gente si dispone a nuove forme di socializzazione e di comportamento»706. Nel Mezzogiorno non è mai emerso un fenomeno di mobilitazione sociale tale da spezzare il nodi dei legami intessuti dalla mafia. Essa ha progressivamente rafforzato la propria posizione, penetrando nelle istituzioni e orientando i processi di mutamento che hanno interessato su vasta scala la realtà meridionale. La mafia «è un insieme di organizzazioni criminali (…) che gestiscono attività illecite all’interno di un vasto e ramificato contesto relazionale, configurando un sistema di violenza e di illegalità finalizzato all’accumulazione del capitale e all’acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale»707. Il controllo del territorio operato da tale organizzazione criminale è garantito da fitte connessioni con l’ambiente socioeconomico e politico esterno, che agevolano la formazione del potere assoluto e premoderno gestito dalle organizzazioni criminali708. Come affermato dal pentito Antonino Calderone «il mafioso è come un ragno che costruisce ragnatele di amicizie, di conoscenze, di obbligazioni»709. Specie nelle aree ove la presenza di tali reti è più densa, la penetrazione nelle istituzioni è considerevole, coessenziale allo sfruttamento dei vantaggi connessi al processo di modernizzazione da parte di tali reti illecite, articolate in modo informale nelle più disparati sfere della vita sociale e funzionali alla mobilitazione di risorse manipolate attraverso la forza dei legami esterni della criminalità710. Nel Sud per decenni le organizzazioni criminali hanno tratto enormi proventi dai finanziamenti pubblici che la strutturale arretratezza economica del Mezzogiorno ha alimentato. Sfruttando abilmente ricavi derivanti da

704 Cfr.: Piselli F., Il compare politico, in L’Uomo, Vol. XI, n. 1.

705 Cfr.: Arlacchi P., La mafia imprenditrice, Il Mulino, Bologna, 1983.

706 Deutsch K., Social mobilitation and political development, in American political social science, p.

494, 1961, cit. in Fantozzi P., Comunità, società e politica nel Sud d’Italia, p. 20, Rubettino, 1997.

707 Santino A., La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, p. 129-130, Rubettino, Soveria

Mannelli, 1995.

708 Cfr.: Siebert R., Mafia e quotidianità, Il Saggiatore, Milano, 1996.

709 Arlacchi P., Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino

Calderone, p. 152, Mondadori, Milano, 1992.

710 Cfr.: Sciarrone R., Il capitale sociale della mafia. Relazioni esterne e controllo del territorio, in

traffici illeciti e occasioni legali di guadagno, la mafia ha accresciuto il suo potere di controllo sul territorio meridionale divenendo onnipervasiva, forte di migliaia di aderenti concentrati soprattutto in Campania, Calabria e Sicilia711. Nel corso del tempo, grazie anche alla debolezza della struttura sociale locale coniugata ad una fiacca azione di contrasto dispiegata dallo Stato, le organizzazione mafiose hanno stretto d’assedio territori sempre più estesi. Una lettura simmetrica delle vicende di ‘ndrangheta, mafia e camorra non è ovviamente praticabile. Si tratta di fenomeni molto diversi.

La ‘ndrangheta, che interessa più da vicino la realtà calabrese, ha acquisito una sua fisionomia solo dopo il secondo dopoguerra. A partire dagli anni ’70 essa ha assunto un ruolo da protagonista nella vita regionale. Tangibilmente, tale escalation ha decretato un incremento consistente del livello di violenza e di scontro con lo Stato, con assassini eccellenti e stragi, gli arresti ed i processi di massa, la creazione di autentiche fortune dai proventi delle attività illecite, con vaste operazioni di riciclaggio nell’economia legale. Per complicità con tali organizzazioni criminali sono stati processati professionisti, imprenditori, magistrati e poliziotti, politici e parlamentari. Uno dei rilevanti punti di forza della criminalità organizzata, sia essa mafia o ‘ndrangheta, consiste nella «capacità di ottenere la cooperazione di altri attori, esterni al suo nucleo organizzativo, vale a dire la capacità du strinere rapporti di collusione e complicità con sfere della società civile e delle istituzioni»712. Tale capacità di networking, «cioè di allacciare relazioni, instaurare scambi, creare vincoli di fiducia, incentivare obblighi e favori reciproci»713, è volta non solo «a incorporare nella propria rete un determinato soggetto, ma anche ad accedere ed eventualmente attivare il network in cui, a sua volta, questo è inserito»714. La riproduzione nel tempo delle reti criminali è riconducibile appunto alla peculiare capacità di accumulazione e di impiego del capitale sociale propria di tali network715.

In Calabria, la Provincia di Reggio conserva il suo netto (quanto triste) primato in fatto di capillarità dell’influenza criminale. La dilatazione spaziale del potere delle organizzazioni criminali ha in qualche misura ridimensionato l’ancoraggio territoriale del fenomeno: oggi rappresenta una vera e propria struttura multinazionale, con saldi collegamenti sul resto del territorio nazionale ed europeo. «Io sono abbastanza anziano per ricordare cosa era la Calabria nell’immediato dopoguerra, negli anni ’50. C’era naturalmente la presenza della ‘ndrangheta, ma era infinitamente più ristretta da un punto di vista geografico. C’era in questo o in quel paese, ma non era dappertutto. Anche dal punto di vista dell’influenza sulla vita del posto era infinitamente inferiore. Oggi il vero sovrano in alcune zone del Mezzogiorno è la mafia e non lo Stato»716. Il salto di qualità compiuto dalla ‘ndrangheta è di tipo anche culturale. Abbandonata definitivamente la connotazione contadina e rurale, le organizzazioni criminali si sono rapidamente modernizzate acquisendo il know-how essenziale per la regolazione diretta dei processi economici e politici che li riguardano. La ‘ndrangheta – quella «più moderna ed industriale»717 – controlla risorse, conoscenze e competenze, in grado di conferirle un ruolo importante nella classe dirigente. Una criminalità ormai ben distante da quella descritta da Danilo

711 Cfr.: Violante L., Non è la piovra. Dodici tesi sulle mafie italiane, Einaudi, Torino, 1994.

712 Sciarrone R., op. cit., p. 272, 2000.

713 Ibidem, p. 272.

714 Ibidem, p. 272.

715 Cfr.: Sciarrone R., Mafie vecchie, mafie nuove. Radicamento ed espansione, Donzelli, Roma, 1998.

716 Intervista al Sen. Zito, Sindaco di Roccella Jonica.

Dolci nel suo Banditi a Partinico e dall’equazione da lui proposta analfabetismo = povertà = disperazione = banditismo718. «Nella zona del peggior banditismo siciliano (…) dei 350 fuorilegge solo uno ha entrambi i genitori che abbiano frequentato la quarta classe elementare. A un totale di 650 anni di scuola (…) corrispondono 3000 anni di carcere»719. Anche Albert Cohen ipotizzò una maggiore incidenza di comportamenti devianti tra soggetti appartenenti alla classi sociali inferiori, esclusi dai circuiti scolastici720. La nuova ‘ndrangheta è invece istruita, professionalizzata, capace di assurgere al ruolo di classe dirigente. Inserendo gli uomini giusti ai posti giusti il suo potere di controllo anche delle strutture pubbliche aumenta esponenzialmente.

Si tratta, dunque, di un conflitto che si combatte su molteplici dimensioni e coinvolge diversi attori, con ruoli dietro i quali si celano appartenenze a cui dar conto del proprio operato. Dietro le fila poteri occulti orchestrano abili macchinazioni per ottenere il massimo vantaggio da ogni singola risorsa che arriva sul territorio, escludendo i pezzi di società sana dall’accesso alle stesse. In Calabria il mercato è governato dalla violenza e dalle reti clientelari721. È prevalentemente un mercato pubblico: chi riesce a governare il mercato dei voti, sostanzialmente governa anche il mercato economico regionale, la ripartizione dei fondi, ecc. Nel mercato privato operano due elementi di controllo dell’imprenditorialità: burocrazia (le imprese vengono piegate anche attraverso la burocrazia, considerata «la mafia con la penna»722) e la ‘ndrangheta, un sistema di controllo più brutale, più diretto. «Alla fine, andando a creare un’impresa su un territorio dove ce n’è già un’altra, aprendo la concorrenza su un settore in cui opera un’impresa a titolarità mafiosa o di un prestanome, certamente li dovrai chiudere»723. Il controllo del territorio da parte della criminalità organizzata modifica radicalmente la struttura degli incentivi economici nel contesto locale, creando vincoli all’esercizio dell’attività imprenditoriale con riflessi negativi sui processi di sviluppo724. In tal senso, Becattini ha sottolineato «la responsabilità che le connessioni, le commistioni, le connivenze mafiose hanno nel

718 Cfr.: Dolci C., Banditi a Partinico, Laterza, Bari, 1955.

719 Ibidem, p. 19.

720 Cfr.: Parini E. G., Devianza e criminalità, in Grande T., Parini E. G. (a cura di), Studiare la società.

Questioni, concetti, teorie, Carocci editore, Roma, 2007.

721 La presenza estesa nel tessuto socio-economico della criminalità organizzata: «impedisce una piena

e libera fruizione dei diritti di proprietà; scoraggia la formazione di nuova imprenditorialità; rende poco attraenti gli investimenti esterni; regola e selezione a proprio vantaggio l’ingresso di imprese e lavoratori in determinati mercati; provoca una diminuzione della competitività, ovvero un’allocazione non razionale delle risorse; alimenta la crescita dell’economia illegale e sommersa; oltre una certa soglia può indurre a un atteggiamento di autolimitazione dell’acquisitività di mercato; può provocare una fuga di persone e di capitali; impedisce l’estensione della fiducia da ambiti interpersonali ad ambiti impersonali, impedisce cioè l’affermazione della fiducia sistemica o istituzionale; aumenta i costi di transazione delle attività economiche, in particolare quelli per la garanzia di applicazione e il rispetto dei contratti; distrugge il capitale sociale “benefico” utilizzabile a fini collettivi e di sviluppo. Sciarrione R., op. cit., p. 276, 2000.

722 «Noi in Calabria abbiamo la mafia con la pistola e la mafia con la penna. La mafia con la penna fa

tantissimi danni e tantissimi morti, non cadaveri, ma morti che sono posti di lavoro, perché quando uno si scoraggia per avere una cosa e non fa niente, non opera e se ne va fuori dalla Calabria come molti calabresi hanno fatto lei capisce che non sono morti ma sono cadaveri ambulanti che sono disoccupati o gente che dalla Calabria deve andare via». Intervista al Dott. Callipo, ex Presidente di Confindutria Calabria.

723 Intervista al Dott. Linarello, Presidente Consorzio Goel.

bloccare il processo di industrializzazione di vaste zone del Mezzogiorno»725, dato che «la rete mafiosa strangola la piccola imprenditorialità e devia dal “retto cammino” economico la media e la grande»726. In questo scenario complesso, lo Stato gioca il ruolo del grande assente, paralizzato da chi, al suo interno, resta fedele alle sue appartenenze primarie, sebbene in contrasto con le sue funzioni. Il capitale sociale di cui dispongono massoneria deviata e associazioni criminali consente loro di governare i principali interventi per lo sviluppo dell’area, di utilizzarne le risorse per creare nuove dipendenze e legami che ne accrescono il potere. Se finora tale influenza è stata gestita in modo occulto, l’apertura dei processi, in assenza di una valida azione di controllo e contrasto, ne determinerà la monopolizzazione da parte delle strutture colluse con la criminalità.

Secondo le testimonianze, raccolte soprattutto nella Locride, si starebbe profilando all’orizzonte una nuova rivoluzione culturale e organizzativa della ‘ndrangheta, al fine di accedere a meccanismi di scambio tipici, storicamente, della massoneria. Nick Gentile e Tommaso Buscetta paragonarono la mafia alla massoneria727, per il senso di appartenenza comune che, dalle affiliazioni di tipo massonico, ricavano professionisti e uomini d’affari, analogo a quello che, dalle affiliazioni mafiose, ricavano gli appartenenti alle cosche. Le massonerie deviate e la ‘ndrangheta tradizionalmente in Calabria raccolgono voti, scambiandoli con la politica. Mentre precedentemente la massoneria deviata veniva ricompensata ricevendo incarichi di governo, assessorati, direzioni di enti pubblici, di scuole o università, la ‘ndrangheta veniva rimunerata per il suo sostegno attraverso gli appalti a valle del processo. Da 30 anni a questa parte ha istituzionalizzato la sua compenetrazione nella politica, nelle istituzioni, attraverso la figura del santista, soggetto apicale della gerarchia della ‘ndrangheta dotato di ampi poteri discrezionali nei confronti della stessa organizzazione criminale. «La prerogativa principale del santista è entrare nella massoneria. Adesso quindi si sta verificando questa contaminazione»728. Oggi, tuttavia, la ‘ndrangheta è cresciuta culturalmente, guidata da una nuova generazione che ha studiato nelle università. Una maturazione avvenuta parallelamente a quella realizzata sul fronte economico, reinvestendo nell’economia legale gli enormi proventi derivanti dai traffici di droga, strutturando così un potere economico che conferisce ancora maggiore influenza politica, potendo movimentare sul mercato elettorale una massa più consistente di voti. Nelle amministrazioni locali si assiste così ad una presenza sempre più diretta degli affiliati piuttosto che dei collusi. Una nuova ‘ndrangheta, dunque, che ha sviluppato una propria classe dirigente, politica e professionalizzata, pronta ad invadere i circuiti istituzionali acquisendo direttamente le posizioni di vertice, che rivendica una posizione di guida diretta ed esclusiva dei processi politici. «Sostanzialmente, con l’omicidio Fortugno si dice: adesso, in cambio dei voti, non bastano più gli appalti, vogliamo governare anche noi. L’omicidio Fortugno, a chi più a chi meno, ha fatto percepire la gravità della situazione»729. L’azione di contrasto all’innalzamento del livello di sfida della ‘ndrangheta diviene così ancora più complessa. La spinta della ‘ndrangheta a diventare classe dirigente si combina con una saldatura con la massoneria deviata

725 Becattini G., Distretti industriali e mady in Italy. Le basi socioculturali del nostro sviluppo

economico, p. 147, Bollati Boringhieri, Torino, 1998.

726 Ibidem, p. 148.

727 Cfr.: Chilanti F. (a cura di), Vita da capomafia. Nick Gentile, Editori Riuniti, Roma, 1993.

728 Intervista al Dott. Linarello, Presidente Consorzio GOEL.

«storicamente inedita, una fusione che, in prospettiva, determinerebbe una devastazione totale»730.

Che sia emersa una saldatura, capace di accrescere i canali di comunicazione, di conoscenze e di influenze delle due organizzazioni appare plausibile in funzione del comune interesse che «la massoneria e la ‘ndrangheta hanno nel mantenere nell’area un basso livello di sviluppo. La precarietà è l’elemento essenziale sul quale fondano il mantenimento dei loro privilegi»731. In tal senso, alla persistenza dello status quo risulta funzionale all’alimentazione di uno stato di precarietà che, senza sfociare nell’emergenza sociale, continui a potenziare i flussi assistenziali essenziali a sostenere, senza rendere autonomi, le persone, le comunità locali, le imprese. Attraverso la gestione degli accessi a tali flussi, politica, ‘ndrangheta e massoneria deviata cristallizzano il loro potere sociale, facendo “manutenzione della precarietà”,