• Non ci sono risultati.

L’AFFILATO INTERVENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE RECIDE IL “PRIVILEGIO DERIVATO” COSTITUZIONALE RECIDE IL “PRIVILEGIO DERIVATO”

Nel documento LE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE (pagine 122-139)

3.3. IL PRIVILEGIO DEI PARLAMENTARI

3.3.1. L’AFFILATO INTERVENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE RECIDE IL “PRIVILEGIO DERIVATO” COSTITUZIONALE RECIDE IL “PRIVILEGIO DERIVATO”

L'art. 6, nella versione emanata dal Parlamento, è strutturato in modo che, quando ad una conversazione intercettata prenda fortuitamente parte un parlamentare, l'autorità giudiziaria debba sempre chiedere l'autorizzazione politica all'uso processuale della stessa, anche ove intenda avvalersene nei confronti di soggetti non parlamentari; e, qualora non l'ottenga, sia tenuta a procedere «immediatamente» alla distruzione del supporto materiale che conserva la traccia fonica della conversazione.

Su questo "privilegio derivato", di cui finirebbe per godere il quisque de populo che avesse la ventura o l'accortezza di conversare con un parlamentare, è intervenuto, invocato da più parti, l'affilato rasoio della Corte costituzionale197. La decisione è stata promossa ad opera dell’ordinanza del 9 gennaio 2006198 dal G.i.p. del Tribunale di Torino che ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comm1 2, 5 e 6, l. 140 del 2003 nella parte in cui prevede che, ove la Camera competente neghi l’autorizzazione alle intercettazioni “indirette” o “casuali” di conversazioni cui ha preso parte un membro del Parlamento, la relativa documentazione debba essere immediatamente distrutta, e che i verbali, le registrazioni e i tabulati di comunicazioni, acquisiti in violazione del disposto dello stesso art. 6, debbano essere dichiarati inutilizzabili in ogni stato e grado del procedimento, anziché limitarsi a prevedere l’inutilizzabilità di detta documentazione nei confronti del solo parlamentare indagato.

In realtà la fattispecie giudiziaria da cui è scaturita l’eccezione di illegittimità costituzionale ha fornito l’occasione per redimere un dubbio interpretativo in merito all’applicabilità dello stesso art. 6, l. 140 del 2003.

197 Corte costituzionale, sentenza del 23 novembre 2007, n. 390.

198 Procedimento penale a carico di M.U.G. ed altri, ordinanza iscritta al n°108 del registro delle

ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale dell’anno 2006.

123 Ci si è posti il problema se la norma in questione fosse applicabile ai procedimenti che riguardano solo terzi, ovvero anche a quelli che riguardano contestualmente terzi e parlamentari. Si tratta, infatti, di una ipotesi questa solo implicitamente presa in considerazione dall’art. 6 della L. n. 140/2003, testualmente riferito all’ipotesi di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni relative a procedimenti riguardanti terzi, in cui sia interlocutore occasionale un parlamentare; vi è, in effetti, un vistoso cono d'ombra normativo. Gli artt. 4 e 6 della l. n. 140 del 2003, nonostante l'incipit del secondo («Fuori dalle ipotesi previste dall'articolo 4») sembri palesare un simile intendimento, non sono in un rapporto di speculare complementarità, nel senso che tutti i casi non disciplinati dall'uno trovino regolamentazione nell'altro.

Il sistema è visibilmente asimmetrico, come una giacca non abbottonata in corrispondenza delle asole. Così, mentre tutte le intercettazioni "dirette" del parlamentare, qualunque sia la sua posizione rispetto al procedimento, rientrano nell'ambito applicativo dell'art. 4, le intercettazioni c.d. indirette (rectius, casuali) rientrano nell'ambito applicativo dell'art. 6 solamente se esperite in un procedimento riguardante terzi (cioè, soggetti non parlamentari): resta priva di disciplina l'ipotesi in cui venga fortuitamente intercettato un parlamentare nel corso di un procedimento che lo veda indagato199.

Secondo un primo orientamento200, nel caso in parola dovrebbe applicarsi l’art. 4 e non l’art. 6, poiché è elevato il rischio che intercettando un non parlamentare coindagato si finisca per captare comunicazione del parlamentare.

Altro indirizzo dottrinale201, invece, ritiene che l’ipotesi di cui sopra non sarebbe disciplinata né dall’art. 4 né dall’art. 6.

La soluzione preferibile, dettata anche dalla decisione della consulta, è un’altra. Nonostante in materia di deroghe al principio di uguaglianza dinnanzi alla giurisdizione valga il principio privilegia sunt strictissimae interpretationis, deve ritenersi applicabile l’art. 6 al caso in questione in forza del suo carattere residuale, come ricavabile dalla sua formula di esordio “fuori dalle ipotesi

199 GIOSTRA, La disciplina delle intercettazioni, op. cit., p. 60.

200

SELMI, Commento all’art. 6, op. cit., p.48.

124 previste dall’art. 4”. Diversamente opinando, si finirebbe per giungere a soluzioni irrazionali.

Illogica sarebbe, invero, l’applicabilità al caso dell’art. 4, atteso che la stessa risulta fondata su una presunzione, la probabilità di intercettare il parlamentare, assolutamente non contemplata dall’art. 4, che richiede l’autorizzazione preventiva solo a fronte di una concreta e attuale prospettiva di intrusione nelle comunicazioni del politico.

Lo stesso dicasi per l’interpretazione in base alla quale il caso di specie non troverebbe una disciplina né nell’art. 4, né nell’art. 6, poiché tale ricostruzione contrasterebbe con l’intenzione del legislatore, orientata a garantire la più ampia protezione delle comunicazioni del parlamentare, e cagionerebbe una sperequazione palesemente irragionevole, atteso che il parlamentare sarebbe tutelato nel caso di procedimenti che riguardino solo terzi e non in procedimenti che riguardano, oltre ai terzi, la sua persona202

.

La sentenza qui in esame, recependo in sostanza le censure del rimettente, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi i commi 2, 5 e 6 dell'art. 6 l. n. 140 del 2003, «nella parte in cui stabiliscono che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate». Con la conseguenza che l'autorità giudiziaria non deve più «munirsi dell'autorizzazione della Camera, qualora intenda utilizzare le intercettazioni solo nei confronti dei terzi».

Diversamente, ove invece intenda farne uso anche nei confronti del parlamentare e debba quindi chiedere l'autorizzazione, l'eventuale diniego «non comporterà l'obbligo di distruggere la documentazione delle intercettazioni, la quale rimarrà utilizzabile limitatamente ai terzi».

Un pronunciamento ineccepibile, per commentare il quale basterebbero scarne battute adesive, se non fosse che, a seguire l'argomentare nitido e rigoroso della Corte, si ha la netta sensazione che questa ritenga sussistenti i presupposti per

202 CENTINI, Dalle intercettazioni indirette alle intercettazioni casuali: la Corte costituzionale

125 una declaratoria di incostituzionalità dell'intero art. 6, e che quasi con disappunto prenda atto dei limiti della propria investitura e del conseguente, doveroso, self-restraint decisorio. È come se, dopo aver impeccabilmente spiegato le ragioni per cui la pianta dell'art. 6 andrebbe divelta, in quanto nata al di là del recinto costituzionale, la Corte avesse disposto di recidere quell'unico ramo che le avevano chiesto se andasse tagliato.

È significativo, in quest'ottica, il fatto che il Giudice delle leggi, il quale ben avrebbe potuto prendere in considerazione anche uno soltanto dei parametri costituzionali invocati e dichiarare l'illegittimità della norma per la parte censurata, si sia voluto cimentare in un compito di perimetrazione dell'ambito precettivo dell'art. 68, comma 3, Cost., che non figurava tra le disposizioni costituzionali richiamate dal rimettente.

La pronuncia fonda su di un granitico principio, in grado di sostenere un peso ben maggiore del decisum che su di esso poggia: «le disposizioni che sanciscono immunità e prerogative della funzione parlamentare in deroga al principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione» non possono essere interpretate in modo estensivo, specie dopo la riforma dell'art. 68 Cost., che ha forgiato un sistema di specifiche autorizzazioni ad acta, «nel quale ogni singola previsione costituzionale attribuisce rilievo ad uno specifico interesse legato alla funzione parlamentare e fissa, in pari tempo, i limiti entro i quali esso merita protezione». Conseguentemente la disciplina delle intercettazioni delineata dall'art. 6 l. n. 140 del 2003 «non può ritenersi in effetti riconducibile alla previsione dell'art. 68, terzo comma, Cost.», atteso che qui manca qualsiasi riferimento al controllo politico "postumo" sulle intercettazioni occasionali espletate203. Né si può ritenere che tale riferimento sia implicitamente desumibile dalla locuzione «in qualsiasi forma», che pure vi è contenuta. Essa, secondo la Corte, va riferita «unicamente alle modalità tecniche di captazione e ai tipi di comunicazione intercettata; non già al carattere "diretto" o "casuale" della captazione».

L'art. 6 l. n. 140 del 2003, peraltro, è estraneo non soltanto al contenuto precettivo dell'art. 68, comma 3, Cost., ma anche alla sua ratio. La norma

126 costituzionale, infatti, «non mira a salvaguardare la riservatezza delle comunicazioni del parlamentare in quanto tale», bensì ad «impedire che l'ascolto di colloqui riservati da parte dell'autorità giudiziaria possa essere indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell'attività».

Il bene protetto dalla norma costituzionale va individuato nell’esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento, impedendo che l’ascolto possa essere indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo così fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività (cd. fumus persecutionis)204, le autorizzazioni dell’art. 68 Cost. sono volte a tutelare i parlamentari da iniziative improprie o persecutorie205.

Ciò è confermato dalla stessa ratio della L. cost. 29 ottobre 1993, n. 3, di riforma dell’art. 68 Cost., la quale si identifica nella volontà di proteggere il parlamentare da interferenze indebite nell’esercizio della sua attività politica206

. Va, invece, escluso che il precetto in parola tuteli anche la riservatezza del parlamentare, accordando a tale interesse una protezione più vigorosa di quella riconosciuta a qualsiasi altro cittadino dall’art. 15 Cost.

Se del resto può accadere che i risultati derivanti da attività di intercettazione siano impiegati in modi irrispettosi dei diritti delle persone, si pensi al possibile utilizzo distorto, da parte dei media, di notizie provenienti da un procedimento penale , questo è un problema che investe indistintamente tutti i cittadini.

Del resto l’eventuale compromissione degli interessi particolari del parlamentare, onore, libertà, riservatezza, cagionata dal compimento dell’atto di indagine, viene tutelata altrove, anche da norme di rango costituzionale, senza distinzione alcuna tra i cittadini

Pertanto, come è stato rilevato207, il controllo a cui sono chiamate le Assemblee in sede di autorizzazione preventiva ha ad oggetto la legittimità dell’atto da

204 ZANON, Parlamentare (status di), in Dig. disc. pubbl., X, Torino, 1995, p. 634.

205 Principio ribadito recentemente, si veda Corte Cost., 02 dicembre 2001., n. 327.

206

CERASE, Commento all’art. 68, in Commentario alla Costituzione a cura di BIFULCO-CELOTTO-OLIVETTI, Torino, 2006, II, p. 1316.

127 autorizzare, valutata nella prospettiva di garantire il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento.

Nel caso delle intercettazioni fortuite, disciplinate dall'art. 6 l. n. 140 del 2003, «l'eventualità che l'esecuzione dell'atto sia espressione di un atteggiamento persecutorio», o comunque di un uso distorto del potere giurisdizionale diretto ad interferire indebitamente sul libero esercizio della funzione rappresentativa, resta esclusa «proprio dalla accidentalità dell'ingresso del parlamentare nell'area di ascolto». Un ragionamento difficilmente sconfessabile.

Ragionamento fiorito da una precisa ricostruzione dell’interpretazione normativa del comma terzo dell'art. 68 Cost., spesso riduttivamente intesa.

Una volta qualificata "diretta" o "indiretta" l'intercettazione a seconda che le espressioni captate siano proferite da locutore che, rispettivamente, si avvalga o non si avvalga dell'utenza sottoposta ad intercettazione, l'equivoco sta nel ritenere che l'art. 68, comma 3, Cost. si riferisca alle sole intercettazioni dirette208

.

La disposizione costituzionale pretende la preventiva autorizzazione per sottoporre ad intercettazione non le utenze del parlamentare, bensì le sue comunicazioni, a prescindere dal mezzo che le veicola: «quello che conta», afferma la Corte, «non è la titolarità o la disponibilità dell'utenza captata, ma la direzione dell'atto di indagine». Per questa ragione il disposto costituzionale non conosce la figura dell'autorizzazione "postuma": l'autorità inquirente sa sempre anticipatamente quale sia il suo bersaglio investigativo e soltanto in funzione di esso deve stabilire se è tenuta a munirsi di un nullaosta politico prima di procedere.

In quest'ottica, quindi, la previsione dell'art. 68, comma 3, Cost. risulta «interamente soddisfatta» dall'art. 4 l. n. 140 del 2003, che, in aderenza al precetto costituzionale, deve trovare applicazione «tutte le volte in cui il parlamentare sia individuato in anticipo quale destinatario dell'attività di

207 CENTINI, Dalle intercettazioni indirette, op. cit., p. 1551.

208

GIOSTRA, È inapplicabile al nuncius la disciplina delle intercettazioni riguardanti il

128 captazione, ancorché questa abbia luogo monitorando utenze di diversi soggetti».

Intuibili le ripercussioni di questa impostazione sull'art. 6 l. n. 140 del 2003. L'autorizzazione successiva ivi prevista, «ove configurata come strumento di controllo parlamentare sulle violazioni surrettizie dell'art. 68, comma 3, Cost., non solo non sarebbe indispensabile per realizzarne i fini ma verrebbe a spostare in sede parlamentare un sindacato che trova la sua sede naturale nell'ambito dei rimedi interni al processo».

La Corte si riferisce a quanto rappresentato dall'inutilizzabilità delle intercettazioni indirette del parlamentare, ove risulti che, sia pure monitorando altre utenze, l'autorità giudiziaria abbia in realtà teso l'orecchio alle dichiarazioni di questi.

Saremmo di fronte, infatti, ad una prova acquisita in violazione del divieto stabilito dalla legge di sottoporre ad intercettazione un membro del Parlamento senza il placet di questo; qualora la captazione dei messaggi dell'esponente politico fosse frutto di una macchinazione volta ad aggirare la garanzia del nulla osta anticipato, allora il parlamentare interessato dovrebbe poter eccepire l'inutilizzabilità dei risultati a norma dell'art. 191 c.p.p., per diretta violazione dell'art. 68, comma 3, Cost.209.

Pertanto, nell'ipotesi di intercettazioni "indirette non casuali" ci si dovrebbe regolare come nel caso di quelle "dirette": in difetto del previo nullaosta politico all'intercettazione, i risultati ottenuti non saranno utilizzabili per nessuna decisione da assumere nel corso del procedimento.

Ma vi è un altro, più radicale corollario.

Se l'esigenza di preservare la funzionalità e la piena autonomia decisionale delle Assemblee legislative «da indebite invadenze del potere giudiziario», è l'unica ragion d'essere, secondo la Corte, del disposto costituzionale, integralmente garantita dal citato art. 4, non si riesce ad immaginare quale possa essere il parametro decisorio cui debba attenersi la Camera investita della richiesta di autorizzazione ai sensi dell'art. 6 l. n. 140 del 2003.

129 Ogni criterio diverso da quello imperniato su tale esigenza comporterebbe una deroga al principio di uguaglianza dinanzi alla giurisdizione, a tutela di interessi come la riservatezza, l'onorabilità, la serenità del parlamentare, costituzionalmente inidonei a giustificarla. Vi è, poi, un lato "in ombra" di questo corollario, che la sentenza non aveva necessità di lumeggiare, ma che è di un qualche rilievo: ove la regola decisoria per negare l'autorizzazione ex art. 6 fosse diversa da quella per negare l'autorizzazione ex art. 4, una volta concessa questa, ci dovrebbe essere, coerentemente, ma assurdamente, una seconda richiesta per poter utilizzare i risultati. Non si vede per quale ragione, infatti, il parlamentare "captato" a seguito di intercettazione autorizzata dalla Camera debba essere meno tutelato, rispetto all'uso delle conversazioni registrate, del collega fortuitamente ascoltato210.

Malgrado le premesse formulate in motivazione, « le disposizioni impugnate si rivelano incompatibili con il fondamentale principio di parità del trattamento davanti alla giurisdizione. Dette disposizioni accordano, infatti, al parlamentare una garanzia ulteriore rispetto alla griglia dell’art. 68 Cost., che - per l’ampiezza della sua previsione e delle sue conseguenze - finisce per travolgere ogni interesse contrario: giacché si elimina, ad ogni effetto, dal panorama processuale una prova legittimamente formata, anche quando coinvolga terzi che solo occasionalmente hanno interloquito con il parlamentare», la Consulta non ha espunto dal nostro ordinamento l’intero art. 6 della L. n. 140 del 2003.

In forza del “principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato” ne eat

judex extra petita partium, il giudice delle leggi si è mosso nei limiti del “thema decidendum” posto dal giudice a quo211.

210 GIOSTRA, La disciplina delle intercettazioni fortuite, op. cit., p. 66.

211

Le censure del GIP di Torino, 9 gennaio 2006, in G.U. 19 aprile 2006, 1^ serie spec. n. 16, riguardavano la parte della norma ordinaria ove si dispone “ che nel caso di diniego dell’autorizzazione all’utilizzazione delle intercettazioni “ indirette o casuali” di conversazioni, cui ha preso parte un membro del Parlamento - la relativa documentazione debba essere immediatamente distrutta; e che i verbali, le registrazioni e i tabulati di comunicazioni acquisiti in violazione del disposto dello stesso art. 6, debbano essere dichiarati inutilizzabili in ogni stato e grado del procedimento” anche nei confronti del terzo indagato.

130 Le premesse di cui sopra sembrerebbero, come è stato autorevolmente osservato, sottendere i presupposti per una futura declaratoria di incostituzionalità dell’intero art. 6 212.

Come si è sopra accennato, se la ratio dell’art. 68 Cost. è garantita in toto dall’art. 4 L. n. 140/2003, ossia dall’autorizzazione preventiva, il parametro di valutazione utilizzato dall’organo parlamentare per la concessione dell’autorizzazione, il fumus persecutionis, non può trovare applicazione anche per l’ipotesi di cui all’art. 6, ossia dall’autorizzazione successiva, con la logica conseguenza che ogni diverso criterio comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza dinanzi alla giurisdizione. Tale prospettiva è stata ribadita nell’ordinanza n. 317 del 2008, con cui è stata disposta la restituzione al giudice a quo della questione, per jus superveniens, motivato proprio dalla sent. n. 390.

Queste due pronunce rendono evidente che l’art. 68, terzo comma, della Costituzione non ha a che fare con la privacy, menzionata invece nell’art. 6 della l. n. 140/2003. Esso tenta di tracciare un equilibrio politico-costituzionale tra le istanze elettive e rappresentative del Parlamento e quelle della legalità giurisdizione213.

La Consulta afferma che l’immunità in questione prescinde dalla tutela della riservatezza del singolo parlamentare, della quale questi gode al pari di tutti i cittadini in forza dell’art. 15 Cost., e trae origine dalla esigenza di evitare che attraverso strumenti investigativi particolarmente invasivi il parlamentare possa subire condizionamenti nello svolgimento della sua funzione: essa separa insomma nettamente la riservatezza di questi dall’integrità della funzione rappresentativa.

La libertà di comunicazione e la riservatezza del parlamentare presentano un

quid minoris rispetto a quella dei comuni cittadini: l’investitura pubblica avuta

212 GIUPPONI, Le intercettazioni “indirette” nei confronti dei parlamentari e la legge n.

140/2003: cronaca di un’illegittimità costituzionale (pre) annunciata, in Quad. cost., 2008, 5;

ZANON, Il regime delle intercettazioni” indirette” e “occasionali” fra principio di parità di

trattamento davanti alla giurisdizione e tutela della funzione parlamentare, in

www.federalismi.it;

131 con l’elezione, ben lungi dal creare nuovi privilegi, sottopone il titolare del

munus a un più stretto e oculato controllo da parte del pubblico, il Garante per la

protezione dei dati personali ha avuto modo di precisare che persino le malattie dei personaggi politici in vista possono essere oggetto di cronaca, purché nei limiti dell’essenzialità dell’informazione e quindi senza il dettaglio analitico della situazione clinica214.

Questo principio è già rinvenibile nella giurisprudenza penale ordinaria, in materia di diritto di cronaca e critica giornalistica. Le personalità pubbliche sono esposte alla notizia giornalistica e alla critica dei commentatori ben di più che le persone comuni, le quali possono reclamare un riserbo maggiore circa le loro vite private e i relativi aspetti non esibiti volontariamente215.

Le personalità pubbliche, al contrario, specie quelle esercenti pubbliche funzioni, sono tenute alla massima trasparenza e alla sottomissione al pubblico controllo, in omaggio al principio, affermato anche nella giurisprudenza americana, secondo cui il potere segreto sarebbe tirannico.

Tutto ciò non significa che ogni aspetto della vita di una personalità pubblica possa essere disinvoltamente messo alla berlina e strumentalizzato arbitrariamente dagli organi di stampa e dagli avversari politici216.

È questo pericolo di abuso che l’art. 68, terzo comma, della Costituzione ha voluto prevenire, di fatto vietando le intercettazioni dirette sulle utenze dei parlamentari, ciò che l’art. 10 della l. cost. n. 1/1989 aveva già fatto per i ministri.

È qui che l’art. 6, comma 2, della L. 140/2003 ha voluto inserire due procedimenti nei quali la valutazione caso per caso della situazione potesse aver luogo: un esame di rilevanza probatoria del materiale captato, svolto dal Giudice

214 Garante della Privacy, Parere del 31 gennaio 2000, in Bollettino del Garante per la

protezione dei dati personali, nn. 11 e 12, 2000.

215 CERASE, sub art. 51, in Rassegna di giurisprudenza e dottrina sul codice penale, a cura di

LATTANZI-LUPO, Milano 2005, pp. 569 e 573. 216

SANDRI, L’attuazione dell’art. 68 della Costituzione: vecchi interrogativi e inquietanti

132 delle indagini preliminari217; e una delibazione di opportunità politica svolta dalla Camera d’appartenenza.

In pratica, ancora una volta il legislatore aveva immaginato di calare in un procedimento il giudizio di prevalenza in concreto, che la legge non poteva svolgere a monte e una volta per tutte, di un interesse sull’altro.

Nel documento LE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE (pagine 122-139)