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I GRAVI INDIZI

Nel documento LE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE (pagine 166-175)

ELEMENTI CARATTERIZZANTI

4.3. I GRAVI INDIZI

Il primo dei presupposti fissati dall’articolo 267, 1°comma, c.p.p., la sussistenza di “gravi indizi di reato”, genera dei problemi di coordinamento con l’articolo 192, 2°comma, c.p.p.; se questa norma fosse applicabile anche per il decreto con cui il giudice autorizza l’intercettazione, gli indizi da porre alla base del provvedimento, dovrebbero essere, oltre che gravi, anche precisi e concordanti. Tralasciando in questa trattazione l’approfondimento circa il senso da attribuire al termine “indizi” nell’articolo 192, c.p.p., si deve, però, affermare la non applicabilità di tale articolo al decreto che autorizza un’intercettazione, contrariamente da quello che hanno sostenuto vari autori260

.

In primo luogo c’è un argomento testuale: l’articolo 267, c.p.p. richiede espressamente la sola gravità e non anche la precisione e concordanza degli indizi.

Soprattutto sono in gioco provvedimenti di ben diverso peso: da un lato una sentenza, dall’altro un atto investigativo, e non sembra giustificato richiedere in entrambi i casi la stessa severità nella valutazione del materiale lato sensu probatorio. Al giudice, nell’ambito dell’autorizzazione a disporre l’intercettazione, si chiede quindi una valutazione certamente meno stringente rispetto a quella che deve fondare l’affermazione di responsabilità; valutazione nella quale il legislatore ha indicato in via prioritaria il requisito di “gravità”, rispetto all’univocità e concordanza, e che quindi in questo senso si pone come base sufficiente e necessaria per l’autorizzazione dell’atto261.

Seguendo l’opinione opposta, si cadrebbe nel paradosso di disporre un’intercettazione legittima, cioè conforme all’art. 192 c.p.p., solo quando questa è anche inutile; gli elementi che la giustificano, superando la soglia di

260 TAORMINA, Diritto processuale penale, vol. I, Torino, 1995, p. 326; TABANELLI, Le

intercettazioni telefoniche tra vecchio a nuovo codice di procedura penale, in Nuovo dir., 1992,

p. 311.

167 attendibilità, di cui all’art. 192, 2°comma, c.p.p., già varrebbero nel dibattimento per motivare una sentenza di condanna262.

Il confronto con l’art. 192, c.p.p. serve anche ad affrontare un’ulteriore problematica che di solito sorge in relazione a tale norma, ma che si pone anche per le intercettazioni, e cioè se devono essere necessariamente plurimi gli elementi posti a base del decreto, o meno. L’articolo 267, 1° comma, c.p.p., sembrerebbe imporlo, in quanto il dettato normativo viene formulato al plurale. A ben vedere, però, la pluralità di conoscenze probatorie non rappresenta di per se un valore, per verificare la legittimità di una intercettazione quel che in realtà conta, non è tanto la molteplicità degli indizi, quanto il fatto che siano davvero convincenti.

La prassi si è mostrata a volte troppo indulgente nel vagliare le richieste di autorizzazione: basti pensare alle pronunce che affermano la legittimità di intercettazioni disposte sulla base di semplici sospetti263

.

Bisogna pensare che ci si trova in una fase in cui le indagini muovono i primi passi, in cui tutti gli elementi a carico sono ancora fluidi e perfettibili; per questo motivo non sembra si possa negare il ricorrere all’intercettazione in tutti i casi in cui l’addebito provvisorio non sia ancora ben individuato nei suoi precisi termini giuridici. Anche in tale aspetto, tuttavia le opinioni sono discordanti; parte della dottrina, ha infatti affermato che l’autorizzazione non può, semplicemente, essere concessa se l’ipotesi di reato non è chiaramente definita264.

La netta discordanza potrebbe essere risolta in tale maniera. Quando le fattispecie penali ipotizzabili, nel caso concreto, rientrino tutte tra quelle indicate negli articoli 266 e 266-bis, c.p.p., non dovrebbero sorgere particolari problemi. Per esempio quando sia in dubbio se il privato si trovasse in posizione di parità rispetto al funzionario, o fosse invece schiacciato dal così detto metus potestatis, con la conseguenza di far sorgere incertezza solo sulla qualificazione giuridica

262 CAMON, Le intercettazioni, op. cit., p. 72.

263 Cass. Sez. VI, 23 febbraio 1989, in Riv. Pen., 1990, 495; Cass., Sez. VI, 27 giugno 1988, Riv. Pen., 1989, 626.

168 del fatto, concussione o corruzione, ma non sulla legittimità dell’intercettazione, prevista per entrambe le ipotesi criminose.

La questione è sicuramente più intricata qualora gli “indizi” lascino aperte più possibilità, cioè diverse ipotesi di reato, una solo delle quali permetterebbe il ricorso alle captazioni foniche. In simili circostanze non pare corretto l’orientamento della prassi, volto ad ammettere senz’altro l’intercettazione. Si può ipotizzare il caso in cui il presunto delitto sia oscillante tra le ipotesi di concussione e il semplice abuso d’ufficio. Premettendo che l’intercettazione è ammessa solo per il primo reato, non basta che gli indizi rendano molto probabile che sia stato commesso l’uno o l’altro dei due delitti; deve risultare più verosimilmente la concussione, cioè devono ricorrere “gravi indizi” in merito alla sussistenza di quegli elementi che distinguono la fattispecie di concussione dall’abuso di ufficio.

La fondatezza dei “gravi indizi di reato” va intesa, quindi, non in senso probatorio, ossia come valutazione del fondamento dell’accusa, ma come vaglio di particolare serietà delle ipotesi delittuose configurate, che non devono risultare meramente ipotetiche265.

Deve trattarsi di gravi indizi “di reato” e non di “reità”, ovvero attenere all’esistenza dell’illecito penale e non alla colpevolezza di un determinato soggetto; “<<I gravi indizi richiesti dall'art. 267 c.p.p. quale necessario presupposto del provvedimento che autorizza le intercettazioni attengono alla esistenza del rato, non alla colpevolezza di un soggetto, che può essere del tutto ignoto nel momento in cui l'operazione è disposta. Ciò si desume non soltanto dal chiaro dettato della norma, che usa l'espressione "gravi indizi di reato" (art. 267 c. 1) in difformità a quella "gravi indizi di colpevolezza" utilizzata nell'art. 273 in tema di condizioni generali di applicabilità delle misure, ma anche dalla struttura e finalità delle norme che autorizzano le intercettazioni. Esse infatti consentono, ai fini di tutela collettiva, in via eccezionale, in conformità all'art. 15 c. 2 della Costituzione, la violazione del diritto di segretezza di ogni forma di

169 comunicazione sancito dal primo comma del dettato costituzionale, anche ai danni di un soggetto che non sia indagato: ad esempio, di una parte lesa>>”266. Per procedere legittimamente ad intercettazione non è necessario che tali indizi siano a carico di persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano essere captate a fine di indagine; né la mancata individuazione dell’autore dell’illecito, in relazione al quale è disposta l’intercettazione, influisce sull’utilizzabilità dei suoi esiti nello stesso procedimento, ai fini di prova di condotte criminose ad esso collegate267.

Il legislatore, al fine di escludere il ricorso indiscriminato ad uno strumento di ricerca della prova particolarmente insidioso, esige soltanto un vaglio di particolare serietà e specificità delle esigenze investigative, non una valutazione circa il fondamento dell’accusa, che potrebbe anche non essere stata ancora formulata. Questa conclusione non può non tradursi in una drastica riduzione dell’ambito del controllo sulla motivazione del decreto, che, non dovendo esprimere una valutazione di fondatezza dell’accusa, ma appunto solo un vaglio di effettiva serietà del progetto investigativo, si sottrae ad una rigorosa verifica a posteriori; in particolare quando le indagini abbiano avuto uno sviluppo che manifesti la rilevanza dei risultati delle intercettazioni ai fini dell’accertamento della vicenda a cui si riferiva l’autorizzazione. L’individuazione della specifica vicenda criminosa si atteggia a funzione di garanzia della motivazione del decreto, in modo da prevenire il rischio di autorizzazioni in bianco268.

Si è già esposto, nel paragrafo precedente, che nel caso in cui l’intercettazione riguardi lo svolgimento di indagini relative a “delitti di criminalità organizzata” ovvero di minaccia con il mezzo del telefono, l’intensità dei presupposti richiesti, ai fini del rilascio dell’autorizzazione, è minore. A norma dell’articolo 13, 1° comma, della legge n. 203 del 1991, si richiede unicamente: “sufficienti indizi di reato”. Alla luce di quanto sopra esposto questo requisito non pone particolari problemi interpretativi.

266 Cass., Sez. I, 16 gennaio 1995, n. 1079.

267

Cass., Sez. I, 2004, n. 16779.

170 Un’ultima considerazione si rende necessaria a riguardo dell’ampliamento del quadro probatorio caratterizzato da “gravi” o sufficienti” indizi. Possono, infatti, contribuire all’arricchimento del cuneo probatorio che giustifica la richiesta di procedere ad intercettazioni, anche le dichiarazioni spontanee dell’indagato, rese a norma dell’articolo 350, 7° comma, c.p.p., raccolte dalla polizia giudiziaria, ma non documentate in verbale nelle forme di cui all’art. 357, 2° e 3° comma, c.p.p., ma soltanto annotate sommariamente informa libera.

Difatti, tali dichiarazioni sono utilizzabili erga alios, non ricorrendo alcuna ipotesi di inutilizzabilità generale di cui all’art. 191, c.p.p., ovvero di inutilizzabilità specifica269.

Viceversa, il divieto di utilizzazione, ai fini di integrazione del quadro indiziario, delle notizie acquisite dalla polizia giudiziaria presso i così detti “informatori”, deve essere affermato alla luce del combinato disposto degli articoli 267, comma 1-bis, c.p.p., art. 13, 1°comma, L. n. 203 del 2001 e art. 203, comma 1-bis, c.p.p., come rispettivamente modificati dalla legge n. 63 del 2001270

. Il divieto, tuttavia, non opera nel caso in cui la polizia giudiziaria abbia indicato negli atti le generalità complete dell’informatore ed abbia precisato in una relazione di servizio il contenuto delle notizie da questi riferite, venendo meno, in questo caso il carattere anonimo della fonte, e non essendo vietata per gli investigatori, nella fase delle indagini preliminari, una tale forma di documentazione delle dichiarazioni raccolte271.

Il divieto di tener conto delle notizie acquisite in forma confidenziale anonima trova certamente applicazione anche per le intercettazioni finalizzate alla cattura dei latitanti, atteso che l’art. 295, 3°comma, c.p.p. richiama espressamente, tra l’altro, i limiti previsti dall’articolo 267 c.p.p., e quindi anche la disposizione di cui al comma 1-bis di detto articolo.

269 Cass., Sez. VI, 2004, n. 14980.

270

BELTRAMI, Intercettazioni,tutto quello, op. cit., p. 69.

171

4.4. LA RICHIESTA

L’atto giudiziario di richiesta dell’intercettazione è un decreto motivato del pubblico ministero, diretto al Giudice per le indagini preliminari, che deve formulare espresso e dettagliato riferimento alle ipotesi di reato ed ai presupposti specificati dall’articolo 267, c.p.p.

Anche se la norma formula un espresso riferimento “ai gravi indizi di reato” ed alla valutazione sul fatto che l’atto sia “assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini” in relazione al provvedimento del giudice delle indagini preliminari, certamente tali elementi devono essere fatto oggetto di esposizione dettagliata e critica già nella richiesta inoltrata dal pubblico ministero.

Non vi possono essere dubbi sul fatto che il sistema codicistico, come deducibile dalla relazione preliminare del 1988, abbia inteso individuare nell’organo dell’accusa il dominus dell’attività di captazione. Ciò è vero non solo in riguardo alla richiesta, ma altresì all’attività esecutiva, alle modalità ed all’utilizzo dei risultati, pur prevedendo un controllo di natura autorizzatoria da parte dell’organo giudicante272.

L’intercettazione è considerata attualmente un mezzo di ricerca della prova di particolare insidiosità; quest’aspetto ha suggerito di sottrarre alla parte pubblica il potere di adottare direttamente il provvedimento dispositivo, affidando, invece al Giudice delle indagini preliminari il compito di provvedere all’emissione della relativa autorizzazione; le operazioni in esame si caratterizzano, dunque, per il fatto di costituire gli unici mezzi di ricerca della prova, il cui esperimento richieda il preventivo benestare dell’organo giurisdizionale di controllo 273. La circostanza che il Pubblico Ministero richieda un’autorizzazione anziché beneficiare di una delega chiarisce come il richiedente, non già l’organo autorizzante, rappresenti l’affettivo titolare del potere, integrando, invece, il placet di quest’ultimo, solamente un presupposto al suo materiale esercizio.

272

PARODI, Le intercettazioni, op. cit., p. 81.

172 Anche per tale ragione, non sono mancate le voci in dottrina che ipotizzano una lesione del diritto di difesa, in funzione dell’impossibilità delle parti private di accedere autonomamente a tale mezzo di ricerca della prova, con relativo contrasto con l’articolo 24, 2° comma della Costituzione274..

Non si può escludere a priori che un’intercettazione si riveli indispensabile per avvalorare una tesi difensiva275. Difatti, pur non proponendo un perfetto parallelismo con la posizione del pubblico ministero, tale simmetria in tema di intercettazioni è vietata dall’art. 15 Cost., si deve notare, però, che la pur conclamata parità delle parti in ogni stato e grado del procedimento, si riduce ad una declamazione vuota quando pressoché tutti gli strumenti coercitivi sono nelle mani dell’accusa.

Una soluzione prospettata tempo addietro, ma non ascoltata, era stata quella di ipotizzare una richiesta del difensore al pubblico ministero avente ad oggetto l’attività di intercettazione, con la previsione, in caso di diniego, di un obbligo per quest’ultimo di trasmettere la stessa al Giudice per le indagini preliminari. In buona sostanza un’estensione dell’articolo 368, c.p.p.276

.

La richiesta di intercettazioni indispensabili per la prosecuzione delle indagini, può ovviamente essere proposta solo durante le indagini preliminari. Ciò risulta testualmente sia dall’articolo 267, 1°comma, c.p.p., il quale riserva il potere di autorizzazione al Giudice delle indagini preliminari indicando la finalità dell’intercettazione nella prosecuzione delle indagini; sia dall’articolo 268, 5° comma, c.p.p., che consente il deposito di verbali e registrazioni “non oltre la chiusura delle indagini preliminari”. Pertanto le intercettazioni non possono essere richieste durante il dibattimento.

Si discute se il Pubblico Ministero possa nella richiesta di autorizzazione alle intercettazioni limitarsi a dimostrare la sussistenza dei “gravi indizi di reato” e “l’indispensabilità” dell’intercettazione per la prosecuzione dell’indagine, oppure debba trasmettere, con tale richiesta, il fascicolo delle indagini

274 FILIPPI, L’intercettazione di, op. cit., p. 102.

275 NOBILI, Prove “a difesa” e investigazioni di parte nell’attuale assetto delle indagini

preliminari, in Riv. It. Dir. e proc. pen., 1994, p. 400.

173 preliminari, come sembra preferibile per consentire al giudice di apprezzare eventuali elementi che escludono il presupposto dell’intercettazione277.

Quest’ultima conclusione non è del tutto pacifica, difatti per l’art. 267, c.p.p., non è intervenuta nessuna modifica legislativa che abbia specificato gli elementi che il Pubblico Ministero deve presentare all’atto di richiedere un’intercettazione; contrariamente, nell’articolo 291, c.p.p., tale modifica ha visto luce ad opera dell’art. 8, 1° comma, L. 8 agosto 1995, n. 332, che ha imposto, in tema di misure cautelari, al pubblico ministero di presentare al giudice competente “gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato”. Ragioni di ordine sistematico porterebbero ad escludere che un analogo obbligo sussista per le intercettazioni, se non in un ottica deontologica di non nascondere perlomeno evidenti prove a discarico. Il Pubblico Ministero potrebbe certo giudicarle inattendibili, ma non è questo il punto: in fondo non spetta a lui decidere se la consistenza degli indizi sia tale da giustificare l’intercettazione. In quanto magistrato, il Pubblico Ministero, ha precisi doveri, tra cui quelli di esercitare con “disciplina ed onore” le sue funzioni, come imposto dall’art. 54, 2° comma, Cost., di fare buon uso dei suoi poteri discrezionali, in definitiva di tenere nell’intero corso del procedimento un comportamento leale.

Una modifica dell’articolo 267, c.p.p., risulta necessaria per un altro motivo. Si immagini che sulle soglie della scadenza il termine entro cui devono chiudersi le indagini, da un’intercettazione emergano elementi significativi, e però non tali da permettere all’accusa di pronosticare con certezza l’esito del dibattimento; oppure che solo in quel momento vengano acquisiti indizi abbastanza convincenti da poter fondare la richiesta di intercettazione. In situazioni del genere, l’organo dell’accusa è posto innanzi ad un’alternativa difficile ed insidiosa: depositare comunque la richiesta di rinvio a giudizio, prestando il fianco ad un possibile insuccesso, oppure attivare la procedura di proroga delle indagini preliminari.

174 Nel secondo caso si rischia di compromettere l’esito dell’intercettazione, dato che l’istanza di proroga deve essere notificata all’indagato, disposizione dell’art. 406, 3° comma, c.p.p. L’intervento del legislatore è intervenuto, però, abbracciando solamente le investigazioni riguardanti reati di criminalità organizzata, dove il problema è stato risolto escludendo la notificazione, modificando l’articolo 406, c.p.p.

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