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Agricoltura urbana e food security

Agricoltura urbana: produrre cibo in città più verdi 3.1 Definizione del fenomeno

3.3 Agricoltura urbana e food security

Uno degli aspetti più significativi dell'agricoltura urbana, in particolare negli

Stati Uniti, è quello relativo alla food-security112.

Il tema dell'accesso e della disponibilità di cibo a livello globale, si sta facendo spazio nell'agenda politica e mediatica. A preoccupare è l'aumento dei prezzi alimentari, che a partire dagli anni Novanta ha subito una rilevante crescita. Il fenomeno viene di solito collegato alle proiezioni di crescita demografica secondo le quali, nel 2050, la popolazione mondiale raggiungerà i nove miliardi, il 70 per cento della quale risiederà negli agglomerati urbani e renderà necessario un aumento della produzione agricola del 70 per cento rispetto a quella attuale.

L'aumento esponenziale a livello globale della popolazione urbana metterà a dura prova il sistema di produzione e distribuzione alimentare, acuirà i problemi relativi all'iniqua distribuzione delle risorse alimentari che penalizza soprattutto alcune vaste aree del mondo, inciderà sulla struttura demografica dei bacini

rurali113 e contribuirà ad orientare le scelte di consumo di ampie quote della

popolazione mondiale verso prodotti a maggior contenuto di sevizi (packaging, trasformazione ecc.) e ad avvicinarle così agli stili di vita delle aree più ricche del pianeta (Attiani 2012; De Castro, 2012).

Dall'analisi di Paolo De Castro emerge un altro problema, ovvero quello legato alla scarsità di superfici coltivabili. La produzione agricola necessaria alla produzione di alimenti, sostiene De Castro, può essere incrementata attraverso due strade: aumento delle superfici coltivabili e crescita della loro produttività.

Negli ultimi anni gli incrementi di produzione sono riconducibili quasi unicamente alla seconda. Tra il 1998 e il 2008, a fronte di una superficie agricola che a livello mondiale è rimasta quasi costante (+6%), le quantità prodotte sono cresciute di oltre il 110 per cento.

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Esistono in letteratura diverse definizioni di food security. Qui si farà riferimento a quella fornita dalla FAO nel 1983 secondo cui «food security exists when all people, at all times, have physical, social and economic access to sufficient, safe and nutritious food which meets their dietary needs and food preferences for an active and healthy life».

113 La FAO stima una riduzione del 30 per cento della popolazione attiva in agricoltura nei prossimi quarant'anni.

Laura Dessantis

Detroit: dalla crisi agli esperimenti di rinascita

Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali Università degli Studi di Sassari

Al tema della produzione alimentare sono legati molti altri aspetti quali ad esempio il mantenimento della biodiversità, la scarsità dell'acqua, il cambiamento

climatico e gli sprechi alimentari114.

Le condizioni che si stanno creando implicano un'alterazione degli equilibri mondiali dell'approvvigionamento di cibo. Un passaggio che si sta rivelando problematico non solo per le aree del pianeta storicamente colpite dalle piaghe della fame e della sottonutrizione, ma anche per i nuovi protagonisti dell'economia globale, per le economie ad alto reddito e per l'industria della trasformazione alimentare (De Castro, 2012).

In molti Paesi l'urbanizzazione, determinante nell'ampliamento delle opportunità di accesso al reddito per milioni di cittadini, ha avuto e ha tutt'ora come contraltare, un abbandono delle campagne di proporzioni drammatiche che ostacola la loro possibilità di auto-sostenersi. Lo spostamento dalle aree rurali alle

città produce effetti sia sulla disponibilità di terra coltivabile115, sia sull'affermarsi

di nuove abitudini alimentari.

In questo senso è emblematico il caso degli Stati Uniti. Michael Pollan116

(2006; 2008) nell'affrontare la questione del futuro alimentare statunitense, individua nei decenni di cattive politiche agricole la causa della crisi del sistema alimentare. Il collasso della salute pubblica e le patologie legate ad una cattiva alimentazione che affliggono un numero sempre crescente di americani, costituiscono, secondo Pollan, la prova tangibile del fallimento del governo.

Dopo la seconda guerra mondiale la politica agricola di Washington iniziò ad incentivare la produzione di commodity crops quali frumento, riso, soia e mais. Grazie ai sussidi, le imprese specializzate in monoculture riuscirono a divenire sempre più grandi e a produrre quantità tali di prodotti da essere in grado di

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Secondo la FAO, nei paesi occidentali, lo spreco raggiunge i 280-300 chili/pro capite all’anno partendo dai campi, passando attraverso la trasformazione e la distribuzione e per finire nelle nostre cucine. Nel Sud del mondo, invece, il cibo si spreca per mancanza di infrastrutture adeguate, di strumenti per la conservazione e il trasporto in tempi utili.

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Si fa spesso riferimento alla pratica di land grabbing, ovvero «accaparramento della terra», che vede l'acquisto di milioni di ettari di terre africane, e non solo da parte di investitori stranieri. 116 Saggista e giornalista statunitense, tra i più sostenitori di una rivoluzione alimentare. Pollan è autore tra gli altri di In Defense of Food: An Eater's Manifesto e The Omnivore's Dilemma.

Laura Dessantis

Detroit: dalla crisi agli esperimenti di rinascita

Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali Università degli Studi di Sassari

venderli a prezzi significativamente inferiori rispetto ai costi di produzione (Pollan 2008, Nestle, 2001).

L'avvento delle monoculture contribuì sensibilmente ad abbassare i costi dei prodotti, compresi quelli delle carni. Il bestiame, infatti, cominciò ad essere allevato negli allevamenti industriali dove poteva essere nutrito di più, più in fretta e con costi inferiori grazie all'abbassamento dei prezzi dei commodity crops.

I mutamenti della produzione industriale nel settore alimentare hanno avuto notevoli ripercussioni sulle abitudini alimentari degli americani. I risultati sociali di politiche che miravano alla produzione di calorie a buon mercato, sostiene Pollan, sono imponenti.

Alle cattive abitudini alimentari dei cittadini americani si aggiunge un altro problema dovuto alla impossibilità di acquistare cibi freschi e sani a causa della mancanza di negozi di alimentari nel raggio di una conveniente distanza di percorrenza. Complessivamente, sono i quartieri a medio e alto reddito ad avere più facile accesso a supermercati di qualità, rispetto a quelli a basso reddito, dove

invece prevalgono i piccoli negozi indipendenti117.

La geografia alimentare in molte città americane, in particolare in quelle della cosiddetta Rust Belt, è caratterizzata da una parte dai suburbi e dai quartieri a reddito medio-alto, in cui si registra la presenza di numerosi reti continentali dell'industria della grande distribuzione, dall'altra parte dai ghetti urbani sede di negozi di prodotti di bassa qualità e di fast-food. Chi risiede nei ghetti spesso non ha la possibilità di accedere ai supermercati che possono distare anche diverse miglia dal proprio luogo di residenza e dispone, dunque, unicamente di negozi in cui cibi congelati o in scatola, bibite gassate e alcolici sostituiscono i prodotti freschi che stanno alla base di un'alimentazione sana e controllata.

L'America si ritrova così divisa e segregata anche dal punto di vista alimentare. Se da un lato l'offerta di qualità cresce fra la popolazione bianca, dall'altro si riduce fra le fasce meno abbienti e gli afro americani (Levin, 2000).

117 Institute of Medicine and National Research Council, The Public Health Effects of Food

Laura Dessantis

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Le grandi catene non hanno interesse a investire milioni di dollari per la costruzione di un loro punto vendita in molte Inner City. Ci sono, inoltre, i costi legati al rischio di localizzare un investimento in quartieri a basso reddito: in primo luogo quelli legati ai premi assicurativi, più elevati rispetto ai suburbi a causa del territorial rating; in secondo luogo quelli legati ai servizi di sorveglianza e di sicurezza. Tuttavia, i dirigenti delle grandi compagnie sostengono che si tratti di ragioni legate agli spazi a disposizione: le principali catene della grande distribuzione sono infatti caratterizzate da edifici che occupano grandi superfici che ben si addicono agli spazi dell'America suburbana (Coppola, 2012).

Il problema, dunque, sostiene Winnie (2008), non è la fame vera e propria, fenomeno raro negli Stati Uniti, ma bensì la food insecurity, come è stata definita da ricercatori e policy makers. Winnie riporta i dati US Department of Agriculture secondo i quali, in anni recenti, fra il 10 e il 12 per cento degli americani era food insecure e tra il 3 e 4 per cento era severely food insecure.

Tuttavia, i dati forniti nel 2015 dallo stesso Dipartimento provenienti da una

survey annuale dell'US Census Bureau118 stimano che oltre l'87 per cento delle

famiglie americane erano food secure, il che significa che tutti i membri della famiglia hanno avuto accesso in ogni momento a cibo sufficiente. Il rimanente 12,7 per cento sostiene di essere stato food insecure almeno qualche volta durante l'anno, tra loro, il 5 per cento ha segnalato una bassissima sicurezza alimentare, il che significa che l'assunzione di cibo da parte di uno o più membri della famiglia è stato ridotto a causa della mancanza di risorse economiche; circa il 59 per cento delle famiglie considerate food insecure ha riferito di aver ai programmi federali di assistenza nutrizionale (SNAP Special Supplemental Nutrition Program for Women, Infants, and Children WIC and National School Lunch Program).

In media negli Sati Uniti i prodotti alimentari viaggiano per 1300 miglia, impiegando fino a due settimane di viaggio prima di arrivare nei supermercati, mentre il 50 per cento del cibo va perduto nel corso del viaggio (Schuman, 2009).

118 L'indagine 2015 sulla sicurezza alimentare ha riguardato 39,948 famiglie e costituisce un campione delle 125 milioni di famiglie americane.

Laura Dessantis

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Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali Università degli Studi di Sassari

La diffusione di pratiche quali l'agricoltura urbana e l'urban gardening rientrano tra le principali linee d'offensiva contro lo strapotere dell'industria

alimentare e promuovono il buy local o locavorismo119. Quest'ultimo aspetto oltre

ad esprimere un contributo importante in termini di sostenibilità ambientale, è associato, dai consumatori, all'idea di una manodopera trattata più equamente in imprese di dimensioni inferiori, animate da un forte senso di responsabilità sociale

nei confronti dei consumatori e del territorio nel quale operano120.

I sostenitori del locavorismo sono ben rappresentati in tutto il Nord America (Mount, 2011). Il loro entusiasmo ha catturato l'attenzione di un numero sempre crescente di consumatori, giornalisti, cuochi, politici, accademici, contadini e rivenditori di generi alimentari (Feagan, 2007).

La promozione del local food system consente alle persone e ai rapporti sociali di essere parte integrante dei sistemi alimentari locali, aiuta i cittadini a scegliere in modo critico quale regime alimentare seguire e, potenzialmente, aumenta la giustizia sociale. Uno dei ruoli chiave che può essere giocato dal recente sviluppo di sistemi alimentari alternativi sta generando un cambiamento sociale (Allen, Kovach, 2000).

Il buy local può creare opportunità di l'inclusione sociale e partecipazione attiva dei cittadini. Tuttavia, è necessario precisare che non si muove automaticamente nella direzione di una maggiore giustizia sociale e che è fondamentale contestualizzare le iniziative, comprendendo il territorio e la comunità in cui hanno luogo e le disuguaglianze presenti, lavorare per appianarle e valorizzare i territori. (Allen, 2010).

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«Comprare locale» secondo i sostenitori riduce l'impronta ecologica tagliando i consumi energetici legati al trasporto di alimenti in direzione di mercati lontani dai luoghi di produzione.

120 In Local Food Systems. Concepts, Impacts, and Issues, Economic Research Report del 2010 pubblicato dal US Department of Agriculture.

Laura Dessantis

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