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Detroit nel XIX secolo

Detroit: storia, sviluppo e declino della capitale dell'automobile

2.2 Detroit nel XIX secolo

All'inizio del XIX secolo, la città continuava ad essere un importante centro per il commercio del pellame, ben fornita di taverne e negozi in cui i viaggiatori potevano alloggiare e scambiare i loro prodotti.

Nel 1805 Detroit divenne capitale dello Stato del Michigan. Quello stesso anno, la mattina dell'undici giugno, dal fienile del fornaio della città, John Harvey, si scatenò un incendio che in pochi secondi si propagò agli edifici circostanti: Detroit fu rasa al suolo (Poremba, 2001).

Il governatore territoriale William Hall e, soprattutto, il presidente della Corte Suprema Augustus Woodward si misero subito al lavoro per avviare la ricostruzione della città: fu approvato e implementato il Woodward's Plan, basato sul progetto creato per la nuova capitale della nazione, Washington.

Laura Dessantis

Detroit: dalla crisi agli esperimenti di rinascita

Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali Università degli Studi di Sassari

Il piano consisteva in un triangolo equilatero con i lati di quattromila piedi ciascuno, suddivisi in sei sezioni da una linea perpendicolare che da ciascun angolo si biforca verso il lato opposto, con piazze e altri spazi aperti dove intersecano i viali della Sesta e della Dodicesima Strada (Woodford, 1953).

Il progetto prevedeva che la città fosse costituita da sezioni simili, riproducibili ed estendibili per alcune miglia lungo il Detroit River o, in generale, laddove necessario per ragioni legate alla fisiologica crescita della città o per ragioni di interesse pubblico.

Il piano, per lo meno nella sua prima unità, è visibile ancora oggi: il vertice del triangolo è a Grand Circus Park, l'intersezione dei viali è, invece, ben visibile a Campus Martius, cuore di Downtown.

Figura 3 Downtown Detroit

La prima unità fu progettata per una popolazione di circa cinquantamila abitanti. La scelta di collocare la base di un altro triangolo lungo quella di uno già esistente, avrebbe permesso di estendere il piano. Tuttavia, a causa dell'avidità

Laura Dessantis

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degli speculatori edilizi e della classe politica, il piano Woodward fu abbandonato dopo undici anni (Poremba, 2001, Thomas et al., 2015; Larsen et al., 2006).

Qualche anno più tardi, gli Stati Uniti dovettero affrontare il test di un nuovo conflitto. Nel 1807 il presidente americano Thomas Jefferson impose l'embargo delle esportazioni in seguito all'acuirsi delle ostilità con la Francia e, soprattutto, con la Gran Bretagna. Quest'ultima, impegnata nelle guerre napoleoniche, compì una serie di soprusi nei confronti delle navi americane, catturandole e sequestrando i marinai. La tensione tra Londra e Washington si acutizzò e il presidente giocò la carta dell'embargo come rappresaglia, revocato solo nel 1810.

Nonostante ciò, i soprusi delle navi inglesi proseguirono così come proseguì l'impegno inglese nelle guerre napoleoniche. La Gran Bretagna, dal Canada, continuava a intrattenere rapporti con le tribù indiane dell'Ovest, alimentando la loro resistenza all'espansione dei coloni. Il governo del presidente Madison decise così di dichiarare guerra all'Inghilterra, spaccando in due l'opinione pubblica americana: a favore del conflitto erano soprattutto gli esponenti del Sud e quelli dei nuovi territori dell'Ovest. I coloni di queste aree erano, infatti, avidi di nuove terre e speravano, sconfiggendo l'Inghilterra, sia di spezzare la resistenza dei nativi, sia di estendere ulteriormente i confini della nazione, fino ad includere l'intero Canada.

La guerra fu dichiarata nel 1812, ma gli Stati Uniti dimostrarono tutta l'impreparazione militare derivante da un sistema di governo debole e decentrato: le truppe americane riportarono ripetute e dure sconfitte.

Sebbene gli inglesi riuscirono a mettere a ferro e fuoco la città di Washington, nel 1814, furono incapaci di sottomettere un paese così vasto e privo di centri nevralgici: nel 1815 la pace di Ghent confermò sostanzialmente lo status quo esistente prima del conflitto (Bergamini, 2010).

Il conflitto non fu, comunque, privo di conseguenze: l'interruzione delle relazioni commerciali funse da stimolo per le manifatture locali, seppur esasperando, al contempo, il contrasto tra Nord e Sud del Paese.

Laura Dessantis

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La guerra del 1812 lasciò Detroit e le aree circostanti in una situazione di quasi totale devastazione. Gli inglesi avevano bruciato tutti gli edifici in legno presenti prima di abbandonare il forte, gli indiani avevano invece distrutto le aree intorno alla città destinate alle fattorie bruciando granai e sparando al bestiame.

Dal 1816 in poi la situazione in città cominciò a migliorare. La fine della guerra coincise con lo spostamento di un imponente flusso migratorio da occidente verso a nord-ovest. Inizialmente il Michigan non ne fu interessato, ma le cose cambiarono rapidamente e nel giro di cinque anni la popolazione di Detroit passò da mille a tremila abitanti (Poremba, 2001).

Nel 1818 il Walk-in-the-Water, il primo battello a vapore ad attraversare il Lago Erie, sbarcò a Detroit. Nel giro di poco tempo, i battelli a vapore cominciarono a viaggiare ad orari regolari facendo registrare un volume di traffico in costante aumento.

Nel 1819 delle 232 attività commerciali presenti in città 24 erano nel settore tessile e alimentare, vi erano 12 calzolerie, 18 sartorie, 6 cappellerie e, anticipatrice dei tempi, una fabbrica di carrozze e calessi (Martelle, 2012)

L'apertura delle terre pubbliche in Michigan, determinò una consistente ondata migratoria proveniente da Est.

Tuttavia, uno degli eventi che ebbe maggiore conseguenze sullo sviluppo della città fu l'apertura, nel 1825, del Canale Erie. Il Canale collegava i Grandi Laghi all'Oceano Atlantico, agevolando il passaggio verso occidente degli abitanti. Detroit vide così aumentare la sua poplazione che nel 1836 raggiunse i settemila abitanti (Poremba, 2001; Martelle, 2012).

In realtà, uno dei principali fattori responsabili dell'aumento della popolazione è legato al flusso di immigrati tedeschi e irlandesi che in quel periodo sbarcarono in città (ivi). I tedeschi, in fuga dalle forti tensioni politiche e sociali della Germania, arrivarono in massa a Detroit durante gli anni Trenta dell'Ottocento, la maggior parte di loro era colta e aveva a disposizione denaro sufficiente per avviare piccole attività, birrifici e concerie nel Near West Side della città.

Laura Dessantis

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Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali Università degli Studi di Sassari

In questa zona si stabilirono anche i numerosi irlandesi sbarcati in città: Corktown divenne la sede della comunità irlandese in fuga dalle persecuzioni religiose in corso in Irlanda.

Figura 4 La zona di Corktown a Detroit

Nel 1834 Detroit contava 4973 residenti, 477 abitazioni, 64 tra negozi e magazzini, ma già tre anni più tardi la popolazione cittadina era aumentata a 9763 abitanti con più di 1300 negozi e abitazioni (Martelle, 2012).

Nella seconda metà dell'Ottocento Detroit era la città più grande dello Stato del Michigan e si apprestava a diventare una delle sedi commerciali più importanti dei neonati Stati Uniti. Dopo appena trentacinque anni dalla sua distruzione a causa del terribile incendio, Detroit era diventata una città cosmopolita di quasi

diecimila abitanti, dotate di banche, chiese per i diversi credo religiosi26, un museo

ed un teatro, circhi e parchi pubblici, numerosi negozi di generi alimentari, abbigliamento, gioiellerie e librerie. La città, in quegli anni, cresceva anche dal punto di vista culturale: nel 1842 l'assemblea legislativa emanò un disegno di legge che autorizzava Detroit a costituire un sistema scolastico pubblico e un sistema fiscale a supporto della scuola pubblica (Poremba 2001).

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Negli Anni Quaranta dell'Ottocento le chiese a Detroit erano otto: sei destinate a presbiteriani, membri della Chiesa Episcopale, metodisti, luterani e afro americani e due ai cattolici di cui una per i francesi e una per accogliere inglesi, irlandesi e tedeschi.

Laura Dessantis

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Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali Università degli Studi di Sassari

Sul finire dell'Ottocento gli Stati Uniti furono protagonisti di una straordinaria crescita economica e di una consistente espansione demografica.

Le ondate migratorie provenienti dall'Europa contribuirono sensibilmente all'aumento della popolazione. In molte città del nord America l'industria, in particolare quella manifatturiera, era in continua in espansione e ciò contribuì a trasformare gli Stati Uniti in una potenza mondiale. A Detroit questi aspetti erano più che mai evidenti: nel 1870 la popolazione era di circa ottantamila abitanti, la maggior parte dei quali nati all'estero, l'economia della città basata per lungo tempo sul commercio, cominciò a sfruttare le risorse naturali del territorio, soprattutto ferro e rame.

Alla fine del secolo, le industrie di punta erano quelle legate alla produzione del ferro, dell'acciaio, del tabacco, le fonderie e le officine meccaniche ed erano proprio gli immigrati a rispondere alla crescente domanda di manodopera.

In media la settimana lavorativa di un operaio di Detroit a fine Ottocento era pari a sessanta ore settimanali, di norma dieci ore quotidiane (Poremba, 2001; Martelle, 2012).

A partire dal 1890 l'America attraversò un periodo di declino economico che culminò nel 1893 con l'inizio di una grave depressione economica nota come The Panic of 1893. Quell'anno, un quarto delle ferrovie americane fallì, il prezzo dell'acciaio subì un crollo vertiginoso, 15 mila imprese e 158 banche dichiararono fallimento e dei 253 altiforni presenti nel Paese, ben 116 cessarono l'attività. L'industria ferroviaria, quella dell'acciaio e le miniere attraversono un periodo caratterizzato da continui scioperi causati dal taglio dei salari e dalla drastica riduzione delle ore di lavoro.

La depressione che seguì alla crisi del 1893 è considerata la più acuta dopo quella del 1929. Il tasso di disoccupazione raggiunse livelli mai toccati fino a quel momento. La gravità della depressione comportò gravi problemi a livello sociale sfociati in conflitti e violenza (Quentin, 2015).

Nonostante i problemi economici e sociali legati alla depressione del 1893, Detroit continuò a registrare notevoli progressi sia dal punto vista dello sviluppo industriale, sia di quello urbano (Poremba, 2001).

Laura Dessantis

Detroit: dalla crisi agli esperimenti di rinascita

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Verso la fine dell'Ottocento, William Metzger e Seneca Lewis organizzarono il primo salone dell'auto nella storia della città, il Tri-State Sportsman's and Automobile Association Exhibit: era solo l'inizio, Detroit si candidava a diventare una delle capitali mondiali dell'auotmobili.

La città seguì l'esempio di altri centri urbani27 della nuova industrial belt

sede di importanti impianti industriali che conobbero, soprattutto alla fine del Diciannovesimo secolo, un rapido sviluppo e completò la sua trasformazione da modesto centro industriale a vero e propria metropoli industriale (Zunz, 1982).

Lo sviluppo dell'industria americana tra Otto e Novecento si basò sul duro lavoro di grandi masse di uomini e donne. Si trattò di un universo composito di etnie, nazionalità, e vicende personali per il quale non fu facile far fronte comune contro lo sfruttamento, proprio a causa della sua eterogeneità, ma anche della complessità del mondo industriale e delle trasformazioni che lo investirono (Bergamini, 2010).

2.3 Detroit nel XX secolo: una metropoli industriale

2.3.1 The City of Tomorrow

Agli albori del ventesimo secolo, Detroit era la tredicesima città più grande degli Stati Uniti con una crescita tra le più rapide fra i principali centri urbani statunitensi dell'epoca. La città registrava la percentuale di popolazione non di madrelingua inglese più alta del Paese, ma fu a partire dalla prima decade del Novecento che iniziò il flusso migratorio più consistente che interessò soprattutto alcuni gruppi etnici.

Già nei decenni finali dell’Ottocento si moltiplicarono gli sforzi per “americanizzare” i nuovi immigrati. Si trattò soprattutto del tentativo di esponenti delle classi medie bianche protestanti di unire alle richieste di riforma sociale il desiderio di “acculturare” i nuovi stranieri, disincentivando le loro tradizioni (lingua, cultura, religione) insistendo, invece, sull’acquisizione di abitudini e

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