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Anni Sessanta: una città in tumulto

Detroit: storia, sviluppo e declino della capitale dell'automobile

2.3 Detroit nel XX secolo: una metropoli industriale

2.3.4 Anni Sessanta: una città in tumulto

Sul finire del decennio, Detroit cominciò a dover fare i conti con la necessità di ridefinirsi e reinventarsi: la popolazione iniziò a diminuire, molte aree residenziali della città, in maggioranza intorno a downtown, erano in declino, inoltre, in quanto sede di un distretto industriale monoprodotto su cui si basava l'economia della città, in quegli anni si cominciò a intuire che Detroit non avrebbe

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Il piano di rinnovamento avrebbe dovuto aver luogo in una città che si pensava sarebbe rimasta un'importante centro politico, economico e sociale. In quel periodo pianificatori e amministratori non potevano prevedere il forte calo di popolazione che si manifestò solo a partire dagli anni Sessanta.

Laura Dessantis

Detroit: dalla crisi agli esperimenti di rinascita

Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali Università degli Studi di Sassari

resistito a lungo. Il fallimento del tentativo di diversificare l'economia della città, rese necessari dei cambiamenti forti (Poremba, 2001).

La situazione in città peggiorò in coincidenza del rallentamento della crescita a livello nazionale: la recessione del 1957-58 (la più grave fino ad allora verificatasi dopo la Grande Depressione degli anni Trenta) aveva turbato il mondo degli affari e fatto salire la disoccupazione fino sopra il 6% (Petrignani, 2001). A Detroit, gli effetti della recessione furono devastanti e portarono al licenziamento del 15% della forza lavoro.

La città entrò negli anni Sessanta profondamente cambiata rispetto al decennio precedente: la maggior parte delle imprese e attività avevano abbandonato downtown per spostarsi a nord o ad ovest della città lasciando il cosiddetto business district in declino con un numero sempre crescente di spazi vuoti e lotti abbandonati (Poremba, 2001; Martelle, 2012).

Alla difficile situazione della città fecero riscontro i dati del censimento del 1960 che evidenziò un sensibile calo di popolazione.

Figura 14 Evoluzione demografica a Detroit dal 1940 al 1960

Il grafico evidenzia il brusco calo demografico registrato a Detroit nel corso di un decennio: il picco di abitanti toccato nel 1950 diminuì di quasi 200 mila unità nel 1960. 1940 1950 1960 1623452 1849568 1670144 0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000 1400000 1600000 1800000 2000000

Laura Dessantis

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Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali Università degli Studi di Sassari

Figura 15 Composizione demografica della popolazione di Detroit nel 1960

Rispetto al 1950, il grafico in figura quindici mostra l'aumento della percentuale di afro americani in città: circa 182 mila in più nel giro di dieci anni.

Seppur in evidente difficoltà, la città proprio nel 1960 inaugurò il Cobo

Center65, un enorme complesso parte del Civic Center situato lungo il Detroit

River, che divenne sede dell'annuale National Auto Show. Proprio nell'anno in cui venne inaugurato il Cobo Center, il salone dell'auto registrò il record di visitatori: un milione e mezzo nel giro di pochi giorni.

Nella seconda metà degli anni Sessanta, negli Stati Uniti esplose la protesta

del movimento contro la segregazione razziale66 in un primo tempo egemonizzata

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Dedicato ad Albert Cobo, sindaco di Detroit tra il 1950 e il 1957.

66 Il movimento era nato a Greensboro, nel North Carolina, nel febbraio del 1960 in modo del tutto spontaneo. Quattro studenti neri, non appartenenti ad alcuna organizzazione, si erano seduti al banco della tavola calda di un grande magazzino riservato esclusivamente ai bianchi, portando con sé da leggere la Bibbia. Invitati ad alzarsi e uscire, rifiutarono e rimasero seduti finché non dovette intervenire la forza pubblica. Senza esserne coscienti, quegli studenti avevano compiuto un atto rivoluzionario: da Greensboro, infatti, il movimento rimbalzò in moltissime altre città del Sud degli Stati Uniti e trovò spesso l'appoggio anche dei bianchi. Nei primi due anni della sua amministrazione, il presidente americano John Kennedy non sembrò cogliere il significato politico, sociale e morale del movimento di protesta che avanzava. Fu solo nel 1963 che la posizione del presidente Kennedy cominciò a cambiare: l'arresto di Martin Luther King avvenuto a Birmingham nel corso di una dimostrazione non violenta soffocata dalla polizia con

Native White Foreign-born White African americans Other Races

Laura Dessantis

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da leader non violenti come Martin Luther King e trasformatasi, fra il 1965 e il 1967, in una serie di aspre rivolte dei ghetti metropolitani, ispirate all'ideologia rivoluzionaria e separatista del Black power (Sabbatucci, Vidotto, 2008).

All'epoca della marcia su Washington dell'agosto 1963, il movimento era ancora visto come la più alta espressione della fede liberal americana che originava dalle campagne del Sud e che si proponeva come obiettivo di abolire le ultime vestigie della segregazione legale e di portare una regione ancora arretrata a conformarsi a quella che veniva considerata la norma della vita americana. Lo scopo del movimento era di integrare più strettamente i neri alla società bianca ed era convinzione largamente diffusa nel 1963 che ciò si potesse fare senza cambiare in maniera significativa la società bianca.

Figura 16 Great March to Freedom, Detroit, 1963

l'uso indiscriminato dei mezzi più brutali suscitò un'ondata di indignazione in tutta l'America e Kennedy non rimase indifferente. Tra la primavera e l'estate del 1963 la questione razziale divampò al Sud più intensamente che mai: si moltiplicarono i sit-in, le marce e i movimenti di protesta di neri e bianchi insieme, mentre i conservatori si irrigidivano nella loro opposizione dello status quo. Nel giugno del 1963, Kennedy decise di prendere posizione schierandosi, per la prima volta nella storia presidenziale americana, a favore del movimento per i diritti civili con un discorso in cui affermò che la "discriminazione razziale non ha posto nella vita o nella legge americana". Nell'agosto del 1963, la marcia su Washington organizzata da King alla quale parteciparono circa 200 mila persone tra neri e bianchi, segnò uno dei momenti più esaltanti del movimento: King, dalla gradinata del monumento a Lincoln pronunciò il suo celebre discorso I

have a dream e la manifestazione ebbe un enorme successo. Al momento della marcia su

Washington, il movimento era ancora non violento, concentrato al Sud e dominato dalla forte caratterizzazione morale di King, un movimento di neri e bianchi che rappresentavano insieme l'America liberale. I neri non combattevano l'America bianca, ma volevano, con i bianchi, cambiare l'America perché si sentivano americani (Petrignani, 2001).

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Nell'agosto del 1965, la sommossa di Watts67 segnò lo spostamento del

campo di lotta dalle remote campagne del Sud ai grandi centri industriali del Nord dove i neri, emigrati a milioni dal Sud, avevano invaso i ghetti urbani facendone dei focolai di criminalità e tensioni razziali. Il movimento, nelle città nord americane, acquisì un carattere aggressivo e violento; uno dei più noti agitatori fu

Malcom X68 che mirava a costruire una grande organizzazione esclusivamente di

neri, parlava di nazionalismo nero e incoraggiava i neri a ricercare le proprie radici, ad essere orgogliosi del proprio retaggio razziale, ad allearsi con i popoli non bianchi di tutto il mondo in una ribellione globale contro l'oppressore (Petrignani, 2001).

Dopo l'assassinio di Malcom X, avvenuto nel 1965 ad Harleem nel corso di un comizio, le sue idee furono riprese e moltiplicate da altri seguaci: le stesse scene vissute a Watts nel 1965 si ripeterono l'anno successivo in una quarantina di città americane tra cui Chicago e Denver.

Nel 1967 fu la volta di Newmark e di Detroit. Quella di Detroit, nota come

la Twelfth Street riot fu una delle più sanguinose rivolte razziali americane.

Nelle prime ore del mattino del 23 luglio, un raid della polizia al blind pig, un bar aperto tutta la notte in cui si festeggiava il rientro di un veterano afroamericano dal Vietnam, innescò un acceso confronto tra poliziotti e clienti che proseguì fuori dal locale. La mattina del 24 luglio una folla ribelle e incontrollabile si riversò per le strade. Furono soprattutto i residenti del Virginia Park Historic District, uno dei più grandi quartieri afro-americani della città, a scagliarsi contro le auto della polizia e ad appiccare fuoco. Quello stesso giorno il governatore del Michigan George Romney e il sindaco di Detroit Jerome Cavanagh chiesero l'aiuto della Nazione. Il presidente Johnson inviò 47 mila

67 Watts era un quartiere povero di Los Angeles abitato prevalentemente da neri che risposero agli incitamenti all'odio e alla violenza dei nuovi agitatori del movimento con quattro giorni di violenze, saccheggi, incendi e devastazioni che costarono la vita a 34 persone, portarono all'arresto di migliaia di persone e provocarono ingenti danni alle proprietà.

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Proveniente dal ghetto di Chicago infestato dalla droga e dal crimine, Malcom X era diventato il discepolo prediletto di Elijah Muhammed, capo spirituale dei Black Muslims, che rigettava tutto ciò che era connesso al mondo dei bianchi, a cominciare dal cristianesimo (Petrignani, 2001).

Laura Dessantis

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militari. Quando il 27 luglio le forze militari riuscirono finalmente a ristabilire l'ordine, il bilancio delle violenze fu di 43 morti, di cui 33 afroamericani e 10 bianchi, 342 feriti, quasi 1.400 edifici dati alle fiamme e un ammontare di 45 milioni di dollari di danni alle proprietà (Thompson; Poremba; Martelle; Sugrue).

A seguito delle numerose rivolte razziali esplose in diverse città americane il presidente Johnson nominò la National Advisory Commission on Civil Disorders, nota come Kerner Commission, dal nome del suo presidente Otto Kerner. La commissione avrebbe dovuto determinare le cause che avevano portato all'ondata di insurrezioni urbane dal 1964 in poi. Secondo la Kerner Commission le violenze furono l'espressione di frustrazioni represse, della persistente segregazione, della sempre presente discriminazione razziale e prova schiacciante della brutalità della polizia nelle aree a prevalenza afro americana (Thompson, 2004).

A differenza della riot del 1943, quella del 1967 non fu una race riot con bianchi e neri in lotta fra di loro, ma fu la violenta espressione di rabbia dei black Detroiters, fu una rivolta dal basso le cui origini sono state spesso ricondotte a decenni di discriminazioni e alla mancanza di speranza nel futuro (Martelle, 2012).

La rivolta inflisse un altro duro colpo alla crisi demografica che imperversava in città: la riot non causò la fuga dei bianchi e della middle-class dalla città, tuttavia funse da potente propellente per forze già esistenti, aggravando le divisioni razziali e di classe ben rappresentate anche sul piano territoriale dalla tendenza nazionale alla suburbanizzazione e al decentramento industriale da parte delle case automobilistiche e dalle altre industrie e, infine, la reazione dei bianchi locali alla segregazione abitativa dei neri (ivi).

Un anno prima dello scoppio della rivolta, nel 1966, la città di Detroit perse circa ventiduemila residenti; nel 1967, nella seconda metà dell'anno, circa sessantasettemila persone lasciarono la città, l'anno successivo il numero salì a ottantamila e nel 1969 altri quarantaseimila residenti abbandonarono Detroit (ivi).

Laura Dessantis

Detroit: dalla crisi agli esperimenti di rinascita

Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali Università degli Studi di Sassari

Tuttavia, non erano solo i residenti ad abbandonare la città, anche numerose imprese scappavano da Detroit: nella decade successiva alla riot Detroit perse 110 mila posti di lavoro (ivi).