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190Ai medesimi intenti era ispirata anche la narrazione delle

vicende legate alla seconda guerra d’indipendenza e al com-pimento del processo di unificazione. Anche in questo ca-so, il racconto della guerra all’Austria e della cacciata degli antichi sovrani dai vari Stati italiani vedeva protagonisti, a pari titolo, Vittorio Emanuele II alla guida dell’esercito sa-baudo e le popolazioni della penisola, concordi e animate da un identico spirito patriottico50.

Nel manuale di Lorenzo Bettini, come si è già accennato, la narrazione delle vicende che avevano portato all’unifica-zione nazionale era integrata da una serie di ritratti dei pro-tagonisti dell’epopea risorgimentale. Questi profili biogra-fici degli «apostoli» e «artebiogra-fici» dell’Unità d’Italia appaiono particolarmente significativi, soprattutto laddove testimo-niano il superamento della visione sabaudista e moderata e il graduale approdo ad una lettura conciliarista in chiave nazional-popolare delle diverse anime del Risorgimento. Si tratta di una lettura nella quale sfumano le divergenze poli-tiche, le contrapposizioni ideologiche e culturali, i conflit-ti interni alla borghesia e, per converso, si afferma un’im-magine del processo unitario all’insegna della concordia e della generale armonia d’intenti, che trova la sua più effica-ce espressione nella galleria di profili biografici dedicati ai

«Padri della Patria». In essa figurano, accanto al «grande e buono» Vittorio Emanuele II, «il Re Galantuomo» che «aiu-tato da uomini sommi riunì l’Italia»51, e a Camillo Benso di Cavour, «il primo ministro del Re Vittorio Emanuele II»

che «tutta la sua vita, tutto il suo ingegno, tutta la sua vo-lontà consacrò alla Unificazione della Patria», e «prese par-te a tutti i fatti che abbiamo fin qui narrati dal 1848, anzi di molti fu l’autore»52; anche Giuseppe Mazzini e Giusep-pe Garibaldi.

Relativamente a questi ultimi, le biografie proposte da Lo-renzo Bettini presentano notevoli motivi d’interesse ai fi-ni della nostra analisi. Nel caso di Giuseppe Mazzifi-ni, ad esempio, risultano particolarmente significativi l’assenza di ogni pur vago riferimento all’ideale repubblicano che

ave-50 Ibidem, pp. 13-14.

51 Ibidem, pp. 16-17.

52 Ibidem, pp. 81-82.

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va alimentato l’intera sua attività patriottica e insurreziona-le, e, nel contempo, il riferimento pressoché esclusivo alla sua instancabile opera di cospiratore contro gli austriaci, di animatore dello spirito nazionale («Egli visse, sofferse, pianse, morì per l’Italia. Parlava e scriveva come un profeta al suo popolo») e di educatore dei giovani all’amor patrio («Nei giovani accese e tenne desto il sacro fuoco della pa-tria»), a scapito del fondamentale ruolo da lui esercitato sul versante ideologico e politico, in contrasto sovente con gli orientamenti della monarchia sabauda e del moderatismo cavouriano.

Merita di essere segnalato, anzi, il capitoletto dedicato dal Bettini ai «Ricordi di Giuseppe Mazzini», nel quale l’auto-re, riproducendo alcuni brani tratti da I doveri dell’Uomo53, sottolineava come il principale insegnamento etico-civile lasciato in eredità agli italiani fosse quello dell’unità e della concordia: solo una grande e costante tensione spirituale, una piena comunione d’intenti tra le classi e l’assolvimento da parte di ciascuno dei doveri che derivavano dalla comu-ne appartecomu-nenza alla naziocomu-ne, infatti, avrebbero assicurato alla patria la prosperità e il reale progresso:

Giuseppe Mazzini – scriveva al riguardo Lorenzo Bettini – scris-se per gli operai italiani il suo libretto I doveri dell’Uomo. In essi parlò, come il cuore gli dettava, delle cose più sante che noi co-nosciamo, di Dio, dell’Umanità, della Famiglia. Egli, Giusep-pe Mazzini, prima dei diritti, parlò al popolo dei doveri, Giusep-perché

«ogni nostro diritto non può esser frutto che d’un dovere com-piuto. Bisogna convincere gli uomini ch’essi, figli tutti d’un so-lo Dio, hanno da essere qui in terra esecutori d’una sola legge – che ognuno di essi deve vivere, non per sé, ma per gli altri –, che lo scopo della loro vita, non è quello d’essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi e gli altri migliori». […] E più innanzi:

«Predicate il dovere agli uomini delle classi che vi stanno sopra, e compite, per quanto è possibile, i doveri vostri; predicate la vir-tù, il sagrifizio, l’amore. Esprimete coraggiosamente i vostri bi-sogni e le vostre idee, ma senza ira, senza reazione, senza minac-cia. […] Cercate istruirvi, migliorarvi, educarvi alla piena cono-scenza e alla pratica dei vostri doveri». E parlando di Dio, così si

53 G. Mazzini, I doveri dell’uomo, Genova, presso G. Zameck, 1860. I brani ci-tati nel manuale di Lorenzo Bettini sono tratti dall’edizione romana dell’ope-ra di Mazzini apparsa nel 1881 per i tipi dello Stab. Tip. Civelli.

192 esprime: «L’origine dei vostri doveri sta in Dio. Dio esiste. Noi

non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. […] L’umanità ha potuto tra-sformarne, guastarne, non mai sopprimerne il santo nome Non vi sono atei fra voi: se ve ne fossero, sarebbero degni non di ma-ledizione, ma di compianto«. […] E così parla della Patria: «Oh miei fratelli! Amate la Patria. La Patria è la nostra casa: la casa che Dio ci ha dato, ponendovi dentro una numerosa famiglia che ci ama e che noi amiamo e colla quale possiamo intenderci meglio e più rapidamente che con altri. A voi, nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definita d’Eu-ropa. Egli v’ha steso intorno linee di confini sublimi, innegabili:

da un lato i più alti monti d’Europa, le Alpi, dall’altro il mare, l’immenso mare». […] Così Giuseppe Mazzini parlava, scriveva, operava per i fratelli, per la Patria, per l’Umanità. Facendo quel ch’egli c’insegna, non dico, saremmo felici, ma anche di mezzo alle possibili avversità, sorgerebbe per noi un senso di pace sere-na, un riposo di tranquilla coscienza54.

È appena il caso di ricordare che un’analoga interpretazio-ne della figura di Mazzini depurata di qualsivoglia riferi-mento al suo credo repubblicano e alle vigorose polemiche ideologiche e politiche da lui alimentate nei riguardi delle scelte del governo piemontese avrebbe trovato accoglienza, alcuni anni dopo, in un’opera letteraria destinata a incidere profondamente sull’immaginario politico delle nuove ge-nerazioni e ad accreditare una lettura delle vicende risorgi-mentali e dell’operato dei suoi protagonisti all’insegna della concordia e dell’unità degli intenti e degli sforzi. Intendia-mo riferirci alle ben note pagine del Cuore deamicisiano, nelle quali la figura del grande patriota e uomo politico ge-novese perdeva ogni caratterizzazione di natura ideologica e politica per assumere i tratti – assai meno ingombran-ti – dell’esemplarità morale e civile: condizione necessaria, questa, affinché, nel clima politico e culturale degli anni Ottanta e Novanta, anche «l’eretico» Mazzini potesse es-sere definitivamente collocato nel pantheon dei padri della patria:

Giuseppe Mazzini, nato a Genova nel 1805, morto a Pisa nel

54 L. Bettini, I Martiri e i fattori della Unità e Indipendenza d’Italia e cenni bio-grafici d’altri Italiani illustri antichi e moderni, cit., pp. 87-92.

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1872, grande anima di patriotta, grande ingegno di scrittore, ispiratore ed apostolo primo della rivoluzione italiana; il quale per amore della patria visse quarant’anni povero, esule, perse-guitato, ramingo, eroicamente immobile nei suoi principii e nei suoi propositi55.

Altrettanto significativo si rivela il profilo di Giuseppe Ga-ribaldi, di gran lunga più ricco e articolato, per ampiezza e varietà di argomentazioni e di elementi biografici, rispetto a quello dedicato dall’autore a Vittorio Emanuele II. L’im-magine del Generale che tale profilo tende ad accreditare è duplice: da un lato si insiste su Garibaldi come «eroe popo-lare», ovvero come la personificazione «del popolo stesso»;

dall’altro, l’enfasi è posta sulle virtù umane e civili dell’uo-mo, sul suo amore filiale e, soprattutto, sulla indomita pas-sione da lui nutrita per la patria:

V’era nel popolo – scriveva al riguardo Lorenzo Bettini – un eroe, che parve mandato da Dio a liberare la patria dallo stranie-ro e a far grande l’Italia. Quest’estranie-roe fu Giuseppe Garibaldi, nato a Nizza il 14 Luglio 1807 e morto a Caprera il 2 Giugno 1882.

Nacque povero, visse povero, morì povero. Sagrificò tutto sé stesso alla patria. Il suo nome sarà caro in eterno a tutti gl’Italia-ni, che spontaneamente correvano in gran numero e da tutte le parti sotto la sua bandiera a combattere il comune nemico. […]

Giuseppe Garibaldi era buono e mite con tutti e compassione-vole fin colle bestie. Amò teneramente la madre Rosa Raimon-di, alla cui pietà sincera, alla cui compassione per i tapini egli ripeteva quella sua carità patria, per cui addivenne un eroe. Ec-co alcuni fatti del suo Ec-coraggio e della sua bontà. Giuseppe Ga-ribaldi s’accendeva di sdegno tutte le volte che sorprendeva un soldato a maltrattare senza ragione un cavallo. A otto anni trasse dalle acque di un fosso una lavandaia che vi annegava. A tredici salvava, gettandosi a nuoto in un fiume, una barca di compagni lì lì per naufragare. […] E da vecchio, fu buono lo stesso. […]

In Caprera il solo ritratto della donna che si vedeva sul capez-zale di Garibaldi era quello di una bella vecchia, avvolto il capo in un fazzolettino rosso che sorrideva dolcemente. – Il ritratto della madre. – Non di rado, egli diceva, sul più arduo della mia (p. 28) strepitosa esistenza, uscito illeso dalle tempeste del mare e dal fuoco delle battaglie, io vedeva genuflessa, curva al cospetto

55 E. De Amicis, Cuore, Milano, Treves, 1886, p. 222.

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