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142Il secondo elemento chiave della prima istruzione di

Storia di un maestro marchigiano libe- libe-rale tra ottocento e novecento

142Il secondo elemento chiave della prima istruzione di

Betti-ni fu la sorella della madre, Lucia. Quest’ultima, anche se con un’istruzione limitata, riuscì a impartire al nipote un sapere pratico fatto di oralità e a correggere in lui alcuni vi-zi tipici dei bambini. La vi-zia conosceva infatti molte storie e favole di Esopo e iniziò con Lorenzo i primi esercizi pratici mnemonici facendo ripetere al fanciullo sentenze e versi le-gati alla vita di campagna.

In una regione prettamente agricola la scolarizzazione era dunque ridotta al minimo. Il tasso di istruzione nei bam-bini, soprattutto quelli nelle campagne, era pari al 9%. Le cause erano varie tra cui la presenza accanto ad una prietà contadina non autosufficiente di una grande pro-prietà terriera nobiliare e borghese che sfruttava duramente i contadini ed era da ostacolo a qualsiasi iniziativa di mi-glioramento. A questo stato di cose si aggiungeva la conce-zione dell’educaconce-zione che avevano le elites nobili e borghe-si. Quest’ultime vedevano infatti nel possesso della scrit-tura da parte dei ceti popolari un’operazione molto peri-colosa che poteva creare false aspettative in una classe i cui orizzonti di vita erano soprattutto rappresentati dal lavoro nei campi20. Come ricorda Bettini nelle Memorie: «In quei tempi chi pensasse o avesse soltanto l’ambizione di vede-re i propri figli percorvede-revede-re la carriera degli studi, erano rari come le mosche bianche. Soprattutto dopo che anche nei nostri piccoli paesi cominciò a sentirsi l’influsso delle nuo-ve idee politiche e sociali; dopo i moti rivoluzionari del 21, del 31, del 48 e via dicendo, le madri erano più che mai ri-luttanti dallo staccare da sé i figli per mandarli lontani agli atenei, in cui vedevano un pericolo quasi sicuro per la lo-ro fede»21.

I governi postunitari si trovarono dunque di fronte ad una situazione quanto mai drammatica e ad un sistema scola-stico che a più livelli andava sanato. Si rese necessaria una capillare riforma che partisse dalla scuola stessa. Lorenzo Valerio22 cercò immediatamente di trovare una soluzione.

20 E. De Fort, Le alfabetizzazioni degli italiani, cit., pp. 67-79.

21 L. Bettini, Memorie, cit., p. 41.

22 Vista la condizione economica della regione l’annessione al Piemonte , non

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Istituì innanzi tutto tre licei governativi a Senigallia, Ma-cerata e Fermo; tre istituti tecnici ad Ancona, Fabriano e Pesaro oltre ad una sezione di agronomia a Jesi; due scuo-le normali maschili ad Ascoli Piceno ed Urbino e due fem-minili ad Ancona e Camerino. Accanto a queste istituzioni scolastiche sorsero ovunque istituti tecnici nella regione23. Nell’ambito di un ampio lavoro legislativo fu inoltre ap-plicata alla regione la legge sulla pubblica istruzione del 13 novembre 1859, n. 3725, nota anche come legge Casati, dal nome del firmatario Gabrio Casati. Questa normativa, frutto di differenti dibattiti ed esperienze focalizzate in Pie-monte ma che avevano preso da spunto modelli europei, si poneva due obiettivi fondamentali: la gratuità e l’obbliga-torietà dell’istruzione pubblica elementare. Le due caratte-ristiche peculiari della legge furono però anche le due situa-zioni più problematiche da risolvere. Per quanto riguarda la gratuità l’affidamento ai Comuni degli oneri dell’istruzio-ne elementare andava a gravare sulle già precarie situazioni economiche di questi primi enti statali che non sempre riu-scirono ad applicarla correttamente per la carenza di fondi ma anche e soprattutto per la mancanza di maestri capaci

poteva di certo ritenersi una questione conclusa con la sola vittoria militare.

Il compito di portare nelle terre conquistate gli ideali e i modi del governo nazionale fu affidato a Lorenzo Valerio, allora governatore di Como. La sua nomina includeva tutte quelle mansioni che riguardavano la predisposizione di un governo di transizione, nonché la preparazione del paese al nuovo regi-me politico. Tra le priregi-me preoccupazioni del Regio commissario, coregi-me egli stesso scrisse nella relazione che inviò al Ministro dell’Interno, c’era quella di procedere all’unificazione legislativa ed amministrativa delle Marche al Regno di Sardegna. Rimasto nelle Marche quattro mesi, fino al gennaio del 1861, in questo breve periodo compì qualcosa di molto simile ad una rivo-luzione attraverso numerosi provvedimenti, in alcuni casi apprezzabili, in altri discutibili, ma sicuramente imponenti, come sottolinea Polverari: «In quattro mesi Lorenzo Valerio emanò qualcosa come ottocentoquaranta de-creti: una raffica di bottoni che chiusero il corpo delle Marche nell’abito del regno sabaudo». Il suo compito era, dunque, quello di portare nelle Marche la struttura politica e le istituzioni del nuovo potere laico, che doveva sosti-tuire quello vecchio, religioso ed assolutista del papa. La sua azione andava a toccare tutti i principali aspetti della vita civile della società marchigiana, la sua distribuzione territoriale, le sue amministrazioni locali, il suo sistema giudiziario, la sua economia e le sue finanze, la sua istruzione, nonché la sua organizzazione ecclesiastica.

23 D.Fioretti, Università, seminari, scuole tecniche: la marchigiana all’istruzione, in S. Anselmi (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi, Le Marche, Einaudi, Torino 1987, pp.729.

144 di insegnare agli analfabeti. Pochissimi, infatti, erano i

ma-estri in grado di garantire una corretta istruzione24. Come riportato nell’inchiesta Jacini:

«Molti di quelli che s’intende sappiano leggere e scrivere, com-pitano appena e sanno fare poco più che il loro nome. Qualche volta a fatica ancor questo. Quando i risultati dell’ultimo cen-simento della popolazione ci porteranno una notevole diminu-zione di analfabeti nelle campagne, non sarà il caso di batter forte le mani, imperocchè il progresso è più apparente che re-ale. Fra quelli indicati come letterati può ritenersi che abbiano una istruzione elementare completa, l’uno, il due per cento al massimo»25.

Moltissime scuole continuavano inoltre ad essere affidate e rette da insegnanti privi di qualsiasi titolo legale e sprov-visti di patenti di idoneità. Il tirocinio di Bettini, ad esem-pio, avvenne con un maestro che egli stesso descrive co-me: «il più buffo, il più volgare e il più malandrino di tutti i maestri, sia riguardato dal lato fisico che dal lato morale e didattico. Romagnolo di nascita era stato con Garibaldi non so in quale campagna ed avea, prima di fare il maestro, esercitato il mestiere di calzolaio. Datosi quindi all’insegna-mento, venne eletto maestro nel mio paese […].

L’infamia del Gullini era la scuola; la scuola ch’ei faceva, si può dire, con tre b: bastonando, bestemmiando e buf-foneggiando; onde fu veramente il maestro indegno sup-plizio della generazione novella, aguzzino degl’innocenti, ed io, che lo vidi all’opera, non dubito di affermare che la scuola di questo maestro fu seme d’ignoranza e di corru-zione pel mio povero paese»26. Per le autorità scolastiche si trattava dunque di compiere una vera e propria battaglia per l’incivilimento, per combattere non solo l’analfabeti-smo ma anche l’arretratezza e l’inferiorità socio-culturale

24 E. De Fort, Le alfabetizzazioni degli italiani, cit., pp. 67-79.

25 Assemblea Legislativa Regionale delle Marche, L’Inchiesta Agraria nelle Marche. Dagli atti dell’inchiesta Jacini (1877-1885) il testo integrale della relazione sulle quattro provincie marchigiane, a cura di M. Fratesi, Ancona 2009.

26 L. Bettini, Memorie, cit., pp. 138-139.

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di alcuni ceti sociali. Nonostante gli sforzi del ministero, delle province, dei comuni e l’attenzione rivolta alle Scuo-le Normali il numero degli insegnanti eScuo-lementari necessa-rio a ricoprire il territonecessa-rio nazionale era di molto infenecessa-riore alle reali esigenze. Per cercare di ovviare ad una situazione di forte disagio e nel contempo nella speranza di migliora-re la condizione dei maestri vennero istituite le confemigliora-renze magistrali e pedagogiche. Le prime si svolgevano nei capo-luoghi di provincia ed erano presiedute dal regio provvedi-tore, le seconde si svolgevano nei comuni minori ed erano presiedute dal regio ispettore. Entrambe potevano avere un durata che andava da pochi giorni ad alcuni mesi. Alle le-zioni potevano partecipare anche i già patentati e i soprain-tendenti delle scuole. Erano ammessi anche maestri privati che avessero presentato il certificato di nascita dimostrante un età compiuta di 17 anni, il certificato di moralità rila-sciato dalla giunta municipale e l’attestato medico di buo-na salute e idoneità all’impiego27.

«Tornato in paese, pensai subito di trovarmi un’occupa-zione: era ciò mio dovere e desiderio. […] Per riuscire mi mancava un diploma, una patente, un titolo qualsiasi com-provante la mia coltura; ed io non possedevo che certificati degli studi fatti in seminario, i quali per aspirare ad un pub-blico ufficio contavano un bel nulla. Decisi allora di met-termi a studiare per far l’esame di maestro elementare»28. Per quanto riguarda l’obbligo, secondo la legge Casati, i genitori potevano scegliere se mandare i figli in scuole pri-vate, pubbliche o da istitutori privati. Solo i comuni con più di 4.000 abitanti erano infatti obbligati ad istituire un corso elementare superiore, ragion per cui solo le prime due classi elementari erano realmente obbligatorie. Dopo l’introduzione della normativa inoltre era emerso in Italia un altro problema fondamentale: non si poteva costringe-re i fanciulli alla fcostringe-requenza senza garanticostringe-re loro le

condizio-27 Archivio dello Stato di Macerata, Prefettura, b.9, Conferenze magistrali ed esami di patente. Le materie impartite alle conferenze erano: pedagogia, arit-metica, sistema metrico, lingua italiana e calligrafia. Gli esami della patente seguivano la norma del regolamento approvato con regio decreto 9 novem-bre 1861.

28 L. Bettini, Memorie, cit., p. 131.

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