domi-nazione austriaca all’inizio del ‘900
Claudia Salmini - Soprintendenza Archivistica per il Veneto
Il testo riprende, in forma sintetica e privo di note, quello pre-sentato nella giornata del convegno. Si è creduto comunque utile riproporne il contenuto, comprese le citazioni, riprese da precedenti lavori pubblicati dall’Autrice sugli stessi temi.
Ringrazio l’amico Elvio Pozzana, che per conto dell’ammi-nistrazione comunale mi ha invitato a questo convegno.
Come avevo preavvertito quando ho accettato l’invito, non porterò i frutti di una ricerca nuova. Da due mesi e mez-zo ho lasciato il mio lavoro all’Archivio di Stato di Venezia per passare alla Soprintendenza archivistica, e contempora-neamente, tre giorni alla settimana, alla direzione dell’Ar-chivio di Stato di Belluno. Questi due nuovi impegni non mi avrebbero lasciato il tempo necessario ad approfondire e ampliare l’indagine, e portare in questa sede una nuova puntata di una ricerca che ho in corso da anni, ormai da decenni, sulla storia della scuola veneziana.
È una ricerca portata avanti insieme ad altri: penso in par-ticolare all’amica Maria Teresa Sega, cui si deve la cura della bella mostra “Dietro la lavagna. Generazioni a scuola” or-ganizzata con gli Itinerari educativi del Comune e dall’Isti-tuto veneziano per la storia della resistenza, allestita al Cen-tro Candiani di Mestre nel 2003, di cui non è stato pub-blicato, purtroppo, un catalogo, ma esiste un CD-ROM, e una sua trasposizione disponibile in Rete. Penso anche all’altra bella mostra “La scoperta dell’infanzia” curata nel 2000 da Tiziana Plebani e Nadia Filippini in questa sede della Querini.
Pur non portando il risultato di nuove ricerche, questa è stata una buona occasione per ripensare con un altra ottica alle ricerche condotte finora.
Tra i tanti temi da analizzare, ne propongo uno in
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colare: osservare la storia dell’istruzione al di fuori, o me-glio oltre le norme e i regolamenti, i libri di testo, le attrez-zature, la formazione degli insegnanti, la didattica, senza per ciò negare che sono tutti, questi, elementi decisivi per comprendere e ricostruire il funzionamento della scuola nel passato.
Ma mi è sembrato che valesse la pena di approfondire un altro elemento, più implicito e per certi versi sfuggente:
il ruolo giocato dal fattore umano, dal contributo indivi-duale di chi ha svolto una funzione di particolare rilievo nella storia della scuola veneziana: Lorenzo Bettini, Anto-nio Berti, Guglielmo Berchet, Giovanni Codemo, ma vo-lendo risalire ancora indietro nel tempo anche il sacerdo-te Antonio Cicutto, il primo ispettore in capo delle scuole elementari del Veneto. Distanti nel tempo l’uno dall’altro, ciascuno ha dimostrato spiccata personalità, autonomia di giudizio, una elevata statura morale ampiamente ricono-sciuta dai contemporanei, straordinarie capacità organizza-tive e una naturale propensione a un insegnamento basa-to sull’osservazione della realtà piutbasa-tosbasa-to che sulla rebasa-torica.
Non da ultimo, una viva e sincera passione per la propria attività. Queste caratteristiche non sembrano essere un fat-tore secondario nell’aver reso Venezia una delle città all’a-vanguardia nella politica scolastica a livello nazionale, risul-tati che in questo forse più di altri campi è segno ed effetto di un processo di lenta e lunga durata.
Il ruolo di Bettini come direttore generale didattico di que-sta città, è que-stato già messo in luce e analizzato nelle relazioni di chi mi ha preceduto. Le sue idee riguardo alla didattica e all’igiene, promosse con grande energia e autorevolezza, hanno avuto modo di incidere concretamente sul proces-so di miglioramento delle scuole veneziane. Non è un caproces-so che a ricordarlo vi sia un’istituzione come la Biblioteca che porta il suo nome, e un convegno organizzato insieme dalle sue due città, di nascita e di morte.
La Venezia in cui Bettini si trovò ad agire era, come egli per primo osservava, proveniendo da altre esperienze, una re-altà dove il livello raggiunto dalle scuole pubbliche era as-sai elevato.
Procedendo a ritroso nel tempo, un contributo di rilievo
152 a tale impulso è da attribuire ad Antonio Berti, una figura
sulla quale varrebbe la pena approfondire ancora l’indagi-ne.Medico, era nato nel 1816: di sentimenti antiaustriaci, ave-va partecipato attiave-vamente alla difesa di Venezia nel 1848.
Primario all’Ospedale civile, nel 1867 era diventato asses-sore alla pubblica istruzione. Nel 1876 sarebbe stato eletto senatore del Regno. A lui si deve dunque il primo Regola-mento delle scuole veneziane dopo l’Unità, in un clima di aspettative, speranze, ristrettezze economiche. Come osser-vava in quei giorni:
Tutti sanno che il bisogno di estendere e migliorare la pubblica istruzione è universalmente sentito; lo ha espresso la Giunta, lo esprimono tutto il giorno i giornali della città, lo ha in moltis-sime occasioni espresso il Consiglio; però se questo desiderio è da tutti sentito, non è possibile per ora porre in pratica tuttociò che si vorrebbe ...
L’unico intervento che Antonio Berti, assessore alla pub-blica istruzione del Comune veneziano, ritiene ragionevol-mente realizzabile in tempi brevi è quello diretto alle scuole serali e festive, che sono piuttosto “un’appendice che non una parte integrante del sistema”. La formazione di base e professionale degli adulti era del resto seguita con gran-de attenzione, perché contribuiva a combattere l’analfa-betismo e l’inottemperanza all’obbligo scolastico. Queste scuole, così importanti anche per la formazione di artigia-ni, bottegai e lavoratori, avevano svolto un ruolo partilare nel periodo austriaco: viste allora con diffidenza, co-me pericoloso veicolo di propaganda sovversiva, erano state concesse a malincuore, e controllate con cura. Con l’Uni-tà, l’entusiasmo porta i maestri a garantire l’insegnamento gratuito e gli studenti migliori a fornire aiuto, sempre gra-tis, nel ripetere le lezioni.
Riprende la scuola domenicale, inaugurata in epoca au-striaca qualche anno prima: diretta all’alfabetizzazione e al-la formazione degli artigiani anche nel disegno lineare e a mano libera. Per questo corso iniziale,
noi crediamo utile – afferma Berti - che l’artiere giunga collo
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studio della propria lingua almeno in là quanto basta per iscri-vere una lettera famigliare in modo intelligibile: con tali cogni-zioni, egli non arrischia più di trovarsi a discrezione d’un furbo, e può meglio tutelare i propri interessi. Quanto al disegno, noi lo riguardiamo come un possente ausiliare della parola, e come incentivo ed aiuto all’immaginazione, quindi necessario a tutti..
Per il corso superiore, diretto a diverse specializzazioni ar-tigianali, i programmi tengono conto delle esigenze di for-mazione tecnica: senza porre obblighi, perché dannegge-rebbero l’efficacia dell’insegnamento, si organizzano corsi basati sulla libera adesione.
In quegli stessi mesi si apre la biblioteca popolare di S. Gio-vanni Laterano. Le statistiche dei libri in base alla diversa provenienza dei lettori fornisce una straordinaria immagi-ne della città, e di quell’epoca: se i militari leggono in pre-valenza letteratura, impiegati e macchinisti, ma anche fac-chini prediligono testi di storia.
L’atteggiamento di Berti è realistico e insieme di largo re-spiro. Potenziare le scuole serali e domenicali per gli adulti da un lato, ma procrastinare la riorganizzazione delle scuo-le escuo-lementari per i bambini, dandosi il tempo per predi-sporre ed elaborare un piano ordinato e completo.
... se non è possibile la totale attuazione di tutto ciò che può ser-vire al maggior incremento dell’istruzione pubblica, credo sia necessario partire da un dato sicuro, da un sistema il più con-veniente, dal sistema nel quale ciascuna parte sia armonica a se medesima, dia quindi un tutto completo ed armonico nell’in-sieme, e corrisponda ai bisogni non solo di tutte le contrade ma altresì di tutte le classi del nostro paese. Quando questo sistema è immaginato, il porlo ad esecuzione non è più che una questio-ne finanziaria.
Ciò che egli propone è una “lenta mutazione”, secondo la formula poi adottata in consiglio comunale. Cioè avere un piano generale, che ponga Venezia nella prospettiva di ade-guarsi lentamente ai livelli qualitativi più elevati, non solo in Italia ma guardando anche quanto si fa in altri paesi, an-ziché puntare al ribasso, nell’ottica di condannare Venezia, per dirla con Berti, a “diventare Chinese”.
Già predisposto, per la sua formazione in medicina, ad
ac-154 cogliere l’introduzione delle nuove materie previste nel
si-stema italiano del canto e della ginnastica, queste attività vengono particolarmente curate e potenziate, come risulta dalle testimonianze di chi, a distanza di qualche tempo, eb-be modo di ascoltare il coro istruito da insegnanti del con-servatorio.
Ma il ritratto più bello di Antonio Berti, e insieme di Gio-vanni Codemo, di cui tratterò tra poco, è quello dipinto dalla penna di Luigia Codemo di Gerstenbrand, nipote di Giovanni scrittrice piuttosto nota del secondo Ottocento.
Da quelle parole cogliamo qualcosa che i documenti uffi-ciali non trasmettono facilmente: i legami personali, le di-scussioni, i fermenti, lo scambio di idee e di informazioni.
Berti era là, qual era in casa mia, in casa sua e sempre. Assiduo, cauto, corretto, sapiente, con una vena di quell’umore venezia-no o trevisavenezia-no, che dietro la facezia nasconde una gran finezza.
Io mi teneva in disparte e mi godeva a udirlo discorrere in mez-zo a quelle madri della patria, emancipate per lavorare, educare e dare il buon esempio. Mi sovviene d’aver fatta un’osservazione, tanto su lui che sul mio venerato zio Giovanni Codemo, compa-gno e fratello a Berti nella pietosa bisogna scolastica.
Quando loro due parlavano là e s’occupavano con quell’interes-se di coquell’interes-se tanto utili e quell’interes-serie, parean più giovani di quando eran giovani. [...] Parean belli! [...] A frolli Adoni, ansiosi di nascon-der gli anni, raro accade di mostrar quella freschezza e serenità dell’uomo di lavoro e di studio.
Questa testimonianza ci fa comprendere un ulteriore im-portante elemento: l’assessore all’istruzione Antonio Berti frequenta assiduamente e discute con passione di argomen-ti scolasargomen-tici con Giovanni Codemo. Codemo non è un ma-estro qualunque, ma la figura più attiva e qualificata della categoria; aveva ricoperto incarichi di sempre maggiore re-sponsabilità fino a raggiungere il vertice, negli ultimi quin-dici anni che precedono l’Unità, come funzionario facen-te funzione di Ispettore scolastico generale. Quest’uomo – padre di dieci figli, attivissimo nelle scuole, nell’ufficio di Ispettore, nella redazione della rivista pedagogica l’Institu-tore da lui fondata e diretta – conosceva più di chiunque al-tro, e nei minimi dettagli, la realtà del mondo legato all’i-struzione e all’infanzia nel Veneto e a Venezia.
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Proprio nelle annate della rivista l’Institutore si trova traccia dell’instancabile attività di Codemo, nel promuovere l’ag-giornamento degli insegnanti, nel recensire libri, nel dare conto delle riunioni dei maestri, tese a conoscere e discu-tere nuovi metodi, nuovi strumenti didattici. Tra i nomi di chi firma contributi alla rivista si leggono quelli dello stesso Berti, o di Luigi Antonio Gera, futuri esponenti del movi-mento risorgimentale.
Ma lui, Codemo, di se stesso, diceva d’essere conservatore.
Il rapporto con i superiori emerge con chiarezza dalla te-stimonianza della nipote, Luigia Codemo di Gersterbrand:
Quando ci si mettea lui, le autorità, a cui non dava pace, ave-ano un bel gridare, sbuffare – quel benedetto Codemo!... Basta che si fissi una cosa in testa!
Impegno, dunque; passione, costante difesa della dignità, e dunque del necessario adeguamento degli stipendi per i maestri; stima, goduta grazie alle sue qualità morali e pro-fessionali, tanto sul fronte filoaustriaco che sul versante op-posto. Proprio il trapasso all’amministrazione italiana con-sente di comprendere quest’ultimo aspetto, e il grado di considerazione conquistato da Giovanni Codemo nei de-cenni del suo impegno per le scuole austriache. Nel 1867 il Comune di Venezia gli affidava l’incarico di ispettore sco-lastico urbano; nel 1868 riceveva il riconoscimento, su sca-la nazionale, di cavaliere dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro; nel 1870 diveniva membro del consiglio scolastico provinciale, a seguito di indagine governativa, tesa a verifi-care che non vi fosse, nei suoi confronti, un atteggiamento ostile a causa del lungo impegno svolto in seno all’ammini-strazione austriaca. Le testimonianze raccolte per questa in-dagine convergono nel riconoscere lo spessore del maestro-ispettore Codemo: dal prefetto Luigi Torelli, a capo anche del Consiglio scolastico provinciale, e nel prudente supple-mento richiesto dal Ministero, la conferma espressa da un importante uomo di cultura,
Tommaso Gar, divenuto da poco direttore dell’Archivio di Stato di Venezia. Analoghi giudizi esprimeva anche Gu-glielmo Berchet, il patriota, storico, erudito, uno dei cu-ratori dell’edizione dei Diari di Marin Sanudo, ma anche ispettore scolastico provinciale, e membro del Consiglio scolastico provinciale. Dà una valutazione imparziale, della
156 strada percorsa negli ultimi 50 anni, grazie anche
all’inten-so e costante impegno di Codemo.
Attraverso questi accenni alle personalità delle figure di maggiore spicco che si trovarono a dirigere la politica sco-lastica veneziana si conferma quanto anticipato all’inizio:
una visione imparziale consente di non creare due fronti contrapposti, austriacanti e patrioti, ma di riconoscere og-gettivamente i meriti e la realtà dei fatti:
Di questi pericoli è ben consapevole Augusto Sandonà, nel suo ben noto lavoro sull’amministrazione austriaca nel lombardo ve-neto della restaurazione. “I giudizi espressi dal C[icchitti] sull’i-struzione elementare austriaca nel Lombardo-Veneto potranno soddisfare il sentimento nostro di italiani, no di certo spegnere la sete di verità storica dello studioso. Sono le solite frasi stereotipe levate dagli scritti tutt’altro che sereni dei nostri patrioti. Priva di fondamento è l’affermazione che il governo dedicò all’inse-gnamento primario dal 1822 in poi scarse cure perché... nei do-cumenti ufficiali dell’Archivio di Stato di Milano non si trovano che rarissime tracce delle stesse. La distruzione o la mancanza di atti non è una prova; di attività continua se non di successo costante fanno bensì fede i 150 e più fascicoli d’atti conservati sull’istruzione lombardo-veneta nel 1815-1848 nell’Archivio del Ministero del Culto e dell’Istruzione di Vienna.
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