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Giuseppina De Lorenzo - Regione Toscana

Il programma per la responsabilità sociale delle imprese “Fabrica Ethica” (www.fabricaethica.it) si occupa di promuovere, di incoraggiare, sostenere e, per quanto possibile, accompagnare le imprese in processi di responsabilità sociale. L’expertise acquisito coinvolge le diverse politiche regionali a sostegno della re- sponsabilità sociale, che sono trasversali a vari settori dell’economia, compreso il versante agricolo.

L’attività di sostegno e di accompagnamento nella precedente fase della pro- grammazione dei fondi strutturali europei (2000-2006), si è concretizzata in contri- buti alle piccole e medie imprese che investono nella responsabilità sociale attra- verso l’acquisizione di certificazioni di natura ambientale (ISO 14001, adesione al regolamento EMAS) e di responsabilità sociale (SA8000). Nell’attuale fase di pro- grammazione dei fondi strutturali, che terminerà nel 2013, accanto al contributo per le certificazioni ricordate, pari al 50% a fondo perduto delle spese sostenute in consulenza, abbiamo inserito anche i contributi per le consulenze che servono a predisporre un bilancio sociale o di sostenibilità. Nell’ottica di utilizzare il più possibile criteri di riferimento oggettivi, anche per i bilanci sociali di sostenibilità, il criterio adottato per il momento è che debbano essere conformi alle linee guida in- ternazionali o nazionali: sostanzialmente GRI (Global Report Initiative) oppure GBS (Gruppo studio bilancio sociale).

I risultati che abbiamo ottenuto nella prima fase di programmazione sono misurabili con il numero delle imprese toscane certificate SA8000, processo che tra l’altro ha visto coinvolte numerose imprese della filiera agroalimentare. Tut- tavia, i risultati più interessanti sono quelli di cui non si possiede esattamente un riscontro numerico. Infatti il dato relativo al numero di imprese certificate può non essere l’unico indicatore della cultura di responsabilità sociale che c’è in un territo- rio. Da questa considerazione è nata l’idea di accompagnare i contributi con azioni di contesto quali, ad esempio, il coinvolgimento degli stakeholder, da realizzare attraverso la costruzione di un percorso partecipato che porti a definire delle linee guida regionali per il bilancio di sostenibilità delle piccole e medie imprese toscane.

Queste linee guida nascono dall’esigenza di indirizzare le PMI verso strumenti di rendicontazione confrontabili e hanno visto un coinvolgimento molto attivo dei rap- presentanti della Commissione etica regionale (CER). La CER è composta da tutti i portatori di interesse: il mondo imprenditoriale, compresa l’agricoltura, le ONG e il mondo associativo, sindacati, enti locali, sistema camerale.

Un’evoluzione insita nella volontà del progetto è il passaggio da un impera- tivo come “certificatevi”, che poteva anche essere oggetto di fraintendimenti, alla creazione delle condizioni perché le imprese, a prescindere dallo strumento che sceglieranno, trovino un contesto territoriale di stakeholder capaci di dialogare su questi temi, di dare degli indirizzi, di saper leggere cosa c’è dietro una certificazio- ne, dietro un bilancio o dietro un codice etico. Il lavoro più grande per l’Amministra- zione regionale è stato proprio il dialogo con gli stakeholder. In sostanza il dialogo con gli stakeholder/cittadini è il tema su cui le Amministrazioni pubbliche, e tanto più quelle locali, possono dare un grande contributo per la costruzione di territori responsabili, per far sì che questi temi entrino nelle nostre scelte e soprattutto per dare strumenti per poterli leggere, interpretare, capire e quindi proporre.

Antonio Fiorella – Regione Campania

Dal 2002 la Regione Campania ha disegnato un nuovo percorso finalizzato al miglioramento organizzativo, all’ascolto degli utenti dei nostri servizi e alla rendi- contazione sociale. Per noi è stato piuttosto difficile immaginare e realizzare tale percorso, perché nel nostro Ente tali iniziative sono innovative e sperimentali e pro- prio per questo le linee guida dell’INEA sono per noi un elemento di sprone e di sostegno alla nostra azione.

La Regione Campania ha iniziato nel 2002 con l’adozione della Carta dei servi- zi, ai sensi della direttiva Ciampi, probabilmente la prima in Italia ad aver realizzato una carta dei servizi per i servizi di sviluppo agricolo regionale.

Successivamente la tecnostruttura Sviluppo Attività Settore Primario ha par- tecipato con il Formez e con il Ministero della funzione pubblica al progetto TQM (Total Quality Management) e ha scelto sei aree di miglioramento interno (tra cui valutazione del personale, informatizzazione dei processi, formazione).

- miglioramento delle relazioni con le altre istituzioni e, in generale, con gli stakeholder;

- maggiore responsabilizzazione dei funzionari sui processi operativi; - cambiamento della mentalità, cultura organizzativa e stile direzionale; - rendicontazione dei risultati ottenuti, delle risorse impegnate e delle azioni

intraprese.

Pietro Cecchinato – Regione Veneto

L’autorità di gestione del PSR del 2007-2013 costituita all’interno della Re- gione Veneto, porta avanti azioni a sostegno delle politiche di sviluppo rurale, inti- mamente connesse a una concezione di agricoltura multifunzionale, concetto che ha moltissime relazioni con i temi che sono stati presentati oggi. C’è un’attenzione particolare ad esempio per tutti gli aspetti di innovazione negli indirizzi forniti alle aziende per l’utilizzazione delle risorse relative al piano dello sviluppo rurale 2006, ma ancor di più nel programma di sviluppo rurale 2007-2013.

Questi indirizzi si sono manifestati sostanzialmente in una valorizzazione delle iniziative che riguardano la competitività degli aspetti di certificazione e di qualità nelle produzioni, sia come qualità dei processi, sia dal punto di vista igienico-sani- tario, come qualità organolettica e certificazioni di origine. Per cui, tutta la politica di finanziamenti che la Regione ha sviluppato in questi anni è orientata al soste- gno alle politiche di qualità e di certificazione, che sono sostanzialmente politiche volontarie. Quindi, anche nel settore agroalimentare, sia per quanto riguarda le aziende agricole sia per quanto riguarda il settore industriale, sono stati privilegiati e sostenuti progetti che avessero alla base una forma di garanzia e di assicurazione della qualità in tutti i settori produttivi, compreso il legno.

Un’esperienza riguardante l’asse agroambientale, che nel Veneto rappresen- ta circa il 35% delle risorse, è il sostegno rivolto verso azioni volontarie di tutela dell’ambiente, di mantenimento del paesaggio e di un’agricoltura compatibile. Ogni azienda incontra delle difficoltà nel trovare il suo equilibrio tra economia e respon- sabilità sociale. Infatti, atteggiamenti di tipo etico spesso non sono compatibili con la redditività dell’impresa, soprattutto riguardo agli interventi agroambientali, che sono relativamente costosi. Se gli interventi non sono compensati l’agricoltore non è disposto, nella maggior parte dei casi, ad assumersi questo onere.

comparto biologico, dove si è riscontrato che, quand’anche gli aiuti sono importanti e generosi, la motivazione personale è assolutamente prevalente, nel senso che un’applicazione integrale delle tecniche e dei metodi di produzione biologica la si ha solo quando vi è una convinzione, una preparazione e una cultura adeguata.

Un’esperienza molto particolare e importante per la Regione è stata quella dell’agricoltura sociale. Nel 2003, oltre ad aver innestato successivamente un ac- compagnamento con i fondi dello sviluppo rurale, la Regione, insieme con le as- sociazioni agricole, ha presentato una carta della qualità delle fattorie didattiche e sociali. Questa elaborazione, che ha consentito l’adesione da parte delle imprese agricole che fornivano questo tipo di attività, ha fatto sì che emergessero delle si- tuazioni già esistenti (nel 2003 erano 62 aziende) e ha fatto sì soprattutto che, grazie alla formulazione, alla presentazione di un logo e alla rete che si è venuta a creare e agli esempi che si sono venuti a formare, si passasse nel 2008 a 228 aziende aderenti a questa carta di qualità. A queste aziende è stata data anche ampia di- sponibilità di risorse nei programmi di sviluppo rurale e adesso costituiscono una realtà che contribuisce in maniera molto importante a presentare la nostra realtà agricola, realtà di produzione che mantiene vive una serie di tradizioni e di racconti del territorio.

Le aziende che operano nel campo dell’agricoltura sociale realizzano attività che vanno dalla cura dei bambini, a esperienze di agrinidi, alla riabilitazione di ex detenuti o di cura di persone che manifestano dei problemi psichici attraverso la pet therapy o attraverso l’orto-terapia grazie a una rete di collaborazioni che si è venuta a instaurare con le ASL territoriali. Queste esperienze sono molto significa- tive, perché contribuiscono non solo a dare un’immagine molto positiva del terri- torio, ma sono anche di esempio per tutte le altre aziende agricole. Le esperienze sono diventate comuni: esperienze di vendita diretta, di confronto con la popolazio- ne locale, di attività che avvicinano il consumatore alla realtà agricola e che inevita- bilmente finiscono poi non solo per fidelizzare questo consumatore, ma anche per responsabilizzare le aziende agricole. Dagli spunti di oggi potranno sicuramente giungere ulteriori indicazioni per migliorare il percorso fin qui svolto.

rà percorso obbligato.

L’intervento all’interno della singola azienda agricola non appare sufficiente ed esistono una serie di strumenti di rete riconducili alla responsabilità sociale d’impresa: il primo è la progettazione integrata di filiera, nel senso che è possibile per una determinata produzione stabilire delle regole, dei comportamenti etici che ruotano attorno alla filiera. Nella regione Lazio, grazie ai programmi di sviluppo rurale, vi sono in attuazione 24 filiere, ad esempio, quella dell’olio della Sabina, alla quale hanno aderito circa 3000 produttori.

Un secondo strumento è quello della programmazione integrata territoriale, i PIT, anch’essi finanziabili con il PSR 2007-2013, che consentono di valorizzare un intero territorio e quindi anche la realizzazione di strutture e infrastrutture, di strumenti di innovazione, a cominciare dagli strumenti dell’informatica, con il fi- nanziamento, ad esempio, della banda larga. Altri strumenti sono i distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualità. In un’area distrettuale in cui vi sono an- che numerose aziende che effettuano la trasformazione dei prodotti agricoli, vi è la possibilità di realizzare una responsabilità sociale dell’intero distretto in cui le aziende sono inserite. Tutti gli operatori coinvolti in una determinata filiera possono svolgere una funzione per fare in modo che quel prodotto sia frutto di un processo produttivo socialmente responsabile e possa essere quindi un elemento di garanzia anche per il consumatore.

Massimiliano Di Domenico – British American Tobacco (BAT)

Responsabilità sociale per la British American Tobacco è un concetto total- mente integrato nella strategia aziendale sia a livello globale che locale. British American Tobacco è una società multinazionale presente in circa 180 Paesi, con circa 56.000 lavoratori impiegati in maniera diretta e un numero ben più elevato in maniera indiretta.

Operiamo in un settore - quale quello del tabacco - da molti considerato come “controverso” ed è anche per questo motivo che il concetto di responsabilità so- ciale assume per noi un valore molto importante. In Italia hanno trovato sviluppo due progetti: il primo avente ad oggetto la compensazione delle emissioni di CO2 prodotte dalla sede di Roma attraverso la tutela boschiva di un’area sita all’interno del Parco Regionale dei Castelli Romani; il secondo, di carattere socio ambientale, sviluppato in partnership con il Comune di Lecce e il Parco Naturale Regionale di

Rauccio, che ha consentito la formazione e riqualificazione professionale di 13 la- voratori all’interno del Parco stesso con l’obiettivo di valorizzare e salvaguardare le compagini ambientali dell’area.

Inoltre, quattro anni fa, BAT ha firmato un accordo con il MIPAAF, con il quale si è impegnata ad acquistare tabacco italiano e a dare un contributo reale al miglio- ramento qualitativo del prodotto stesso.

BAT è molto attenta al profilo dell’innovazione dei processi decisionali. Tutti i progetti di CSR vengono, infatti, realizzati in stretta collaborazione con gli stakehol- der con cui operiamo, tramite apposite sessioni di dialogo su specifici argomenti con le quali cerchiamo di capire le loro aspettative e di raggiungere un’intesa sulle attività da portare avanti insieme, per il beneficio reciproco.

Fabrizio De Pascale - Segreteria Nazionale UILA-UIL

Alla base dell’agricoltura biologica vi è una “scelta di fondo” da parte dei pro- duttori verso specifici valori, anche etici, legati alla qualità dei prodotti, dei processi produttivi e, più in generale, dell’ambiente.

L’Italia è un Paese all’avanguardia nel settore agroalimentare, proprio per la qualità delle sue produzioni. Come sindacato, da dieci anni portiamo avanti la no- stra battaglia per la qualità del lavoro, nella convinzione che dietro a dei prodotti di qualità debba esserci anche un lavoro di qualità, inteso come un lavoro svolto nel pieno rispetto dei contratti e delle norme di legge, in sicurezza e ben retribuito.

Alla base dell’agricoltura biologica vi è una “scelta di fondo” e l’azienda agri- cola biologica può essere, proprio in virtù di questa scelta, presidio e strumento per promuovere il concetto della qualità del lavoro e nuove forme di relazioni sindacali.

Per questo, ormai da oltre due anni, la Uila-UIL ha avviato con l’AIAB un rap- porto di collaborazione e di confronto sui temi dell’agricoltura, arrivando a definire il marchio “Qualità Lavoro” che vuole essere un’esperienza molto semplice e pra- tica di certificazione sociale dell’impresa, considerando che, specialmente per le piccole aziende, parlare di certificazione significa carte, consulenze, tempo perso e soldi spesi.

devono dimostrare di conoscere e applicare per poter ottenere l’uso del marchio. Nelle aziende agricole biologiche è molto avvertita l’esigenza di vedere riconosciu- ta, nella propria attività, qualcosa che vada oltre il concetto della qualità delle pro- duzioni: molte aziende, spontaneamente, insieme alla qualità dei prodotti, deside- rano mettere in evidenza la loro attitudine a garantire buone condizioni di lavoro ai propri dipendenti.

Lucina Mercadante - INAIL

Ciò che lega la responsabilità sociale a un settore così particolare quale quello agroalimentare è il poter ricondurre tutto al fattore comune dello sviluppo soste- nibile. Questo è sicuramente l’orientamento da seguire in una pluralità di proget- tazioni, di iniziative che vanno a convergere verso un punto comune: la volontà, ma anche la necessità, di promuovere, di far crescere, di diffondere quella che è una conoscenza. Conoscenza che ovviamente generi cultura e condivisione. E allora perché l’INAIL in questo contesto si trova particolarmente a proprio agio? Per moti- vazioni di carattere istituzionale. INAIL è infatti preposto alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, con l’obiettivo di garantire livelli e standard di vita lavorativa e di vita sociale via via più elevati e si spende nel creare sinergie e nel voler creare comun- que programmi che siano in prima battuta a favore delle imprese, le quali non sono altro che insiemi di lavoratori.

Per INAIL responsabilità sociale non vuol dire rispettare la legge, non può vo- lere dire solo questo. Non si può, in un Paese sviluppato come l’Italia, pensare che non sia andare oltre, ed è in questa ottica che, per esempio, INAIL propone, nelle azioni e nelle iniziative che sviluppa a supporto della diffusione di una cultura della salute e sicurezza, che è nell’accezione più ampia una cultura di responsabilità so- ciale, delle forme di incentivazione alle imprese, quindi anche dell’agroalimentare, che attraverso modi diversi investono in salute e sicurezza.

Non è peregrino ricondurre sicurezza a responsabilità sociale e se così potes- se sembrare o fosse apparso fino a qualche tempo fa, sicuramente questo dubbio è stato fugato sia dalla pubblicazione del decreto legislativo 81/08, quanto dalla stessa guida sulla ISO 26000, laddove c’è un punto esplicito che parla di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro all’interno delle labour practices.

L’INAIL offre incentivi a imprese che, oltre ad avere una regolarità contribu- tiva ed assicurativa, facciano più di quanto prescritto dalla legge. Devono propor-

re qualcosa in più, comportamenti che siano ovviamente virtuosi, comportamenti di eccellenza, comportamenti atti a innescare un circolo virtuoso per migliorare i livelli di tutela della salute e della sicurezza. Non è poco, se si considera che le aziende possono richiedere uno sconto sul premio assicurativo che, sommando di- versi contributi, può consentire di giungere a una riduzione anche del 35 o del 40%.

Un’ulteriore considerazione riguardo a due aspetti fondamentali: formazione e informazione, ovvero conoscenza e diffusione di una cultura. E’ per questo che, in un sistema di relazioni che rappresenta un punto di forza, INAIL collabora a un protocollo di intesa con Agriform, ente rappresentativo dell’industria del settore, che ha avuto inizio un anno e mezzo fa e che ha una durata triennale, collaboran- do a progetti formativi specifici per il settore dell’agricoltura, che intrecciano una parte di formazione e una di informazione, altri invece di sostegno e di consulenza alle aziende che vogliono sviluppare, investire in prevenzione. Questo perché pen- siamo che accanto a un momento istituzionale di cura, di indennizzo, non si possa prescindere da strategie di prevenzione. A questo proposito INAIL ha prodotto un DVD che parla di rischio e prevenzione in agricoltura in cui sono contenuti dati sul numero degli infortuni in agricoltura e sulla riduzione del numero delle malattie professionali, ma anche esempi di modalità lavorative che, assieme ai numeri, ci dicono come si possa incidere per migliorare un tessuto che è un tessuto produttivo importante, rappresentativo di un’area molto importante nel nostro Paese.

Investire in salute e in sicurezza non deve essere considerato un costo, ma piuttosto un beneficio. Etica e profitto possono coesistere perché investire in salute e sicurezza vuol dire anche aumentare la competitività e la produttività.

Riccardo Bagni – COOP Italia

L’esperienza di COOP è quella di un’impresa in cui ci sono 7 milioni di pro- prietari particolari, che sono anche lavoratori, che sono anche consumatori, che sono anche gente che vive nel territorio, che sono anche cittadini, che sono anche elettori. Per cui rendere conto a questi “padroni strani” che hanno bisogno di sicu- rezza quando consumano, che hanno bisogno di diritti del lavoro rispettati quando lavorano, che hanno bisogno di un ambiente migliore quando vivono, implica da centocinquanta anni avere obbligatoriamente un comportamento socialmente re-

si utile non ai soli proprietari, ma anche alla collettività, al contesto nel quale questa vive. Quali sono le richieste che i consumatori fanno? I consumatori manifestano sempre più bisogno di consapevolezza e rivolgono richieste ben precise. In questo Paese ogni giorno c’è qualcuno che fonde il formaggio andato a male per fare sot- tilette, tutti noi mangiamo carne che ha buone probabilità di derivare da animali allevati con antibiotici, con ormoni, con anabolizzanti, che, nel rispetto delle leggi, arrivano da varie parti d’Europa. Il profitto è ancora la leva fondamentale che spinge a comportamenti non solo non socialmente responsabili, ma a volte anche illegali. Nell’ortofrutta, tanto per parlare dell’agricoltura, le aziende che noi troviamo che non rispettano la legge, sono moltissime. Il mezzo con cui COOP cerca di essere il più possibile socialmente responsabile è quello di introdurre un concetto di qualità più ampio di quello classico, attraverso il prodotto che porta il nostro nome. La qualità non è solo la qualità percepita - il sapore - ma anche la qualità intrinseca, la sicurezza. Sicurezza vuol dire andare sempre oltre quelle che sono le norme di legge. Se la legge prescrive la quantità massima di pesticidi, noi richiediamo ai nostri fornitori per potersi chiamarsi Coop di abbattere di 1/3 il livello di legge. Un prodotto non può dichiararsi di qualità se è fatto da bambini di qualche parte del mondo o se da qualche parte del mondo i bambini lavorano per raccogliere magari una materia prima. Quindi la rintracciabilità di filiera è una dinamica fondamentale: quando vendiamo la bistecca che si chiama Coop, sappiamo da quale mucca viene, dove è nata quella mucca e cosa ha mangiato per tutta la vita. Quando vendiamo una scatoletta di pelati Coop sappiamo chi ha raccolto quei pomodori. Raccontare quello che accade in alcune regioni italiane, quindi non in Tailandia o in Cina, ri- spetto alla raccolta dei pomodori, significa riportare un abuso drammatico rispetto a quello che è il lavoro degli immigrati, che sono in buona parte clandestini e sono soggetti a tecniche di caporalato. Ci sono delle donne che se rimangono incinte non