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La responsabilità sociale d'impresa : un'opportunità per il sistema agroalimentare : atti del seminario

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Academic year: 2021

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LA RESPONSABILITA’ SOCIALE

D’IMPRESA:UN’OPPORTUNITA’

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ISTITUTO NAZIONALE DI ECONOMIA AGRARIA

LA RESPONSABILITÀ SOCIALE

D’IMPRESA: UN’OPPORTUNITÀ

PER IL SISTEMA AGROALIMENTARE

Atti del seminario

Roma, 16 Giugno 2009

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Il progetto “Studio preparatorio alla conferenza nazionale dell’agricoltura” – Linea A “La responsabilità sociale d’impresa tra nuovi rapporti di filiera e aspettative del consumatore” realizzato dall’INEA è stato finanziato dal MIPAAF con D.M. 14541 del 31/10/2008.

Responsabile progetto: Lucia Briamonte

Segreteria del progetto: Tecla De Filippis e Novella Rossi

Pubblicazioni INEA sul tema Responsabilità sociale nel sistema agroalimentare:

La responsabilità sociale delle imprese del sistema agroalimentare, a cura di L. Briamonte e L. Hinna, Studi e Ricerche INEA, 2008.

Linee guida “Promuovere la Responsabilità Sociale delle imprese agricole e agroalimentari”, INEA 2007. Le esperienze italiane di imprese del settore agricolo e agroalimentare, a cura di L. Briamonte INEA 2007.

Percorsi di responsabilità sociale nei rapporti di filiera - L’ortofrutta e la zootecnia da carne, a cura di L.Briamonte e A. D’Oronzio, INEA 2010

I metodi di produzione sostenibile nel sistema agroalimentare, a cura di L. Briamonte e R. Pergamo, INEA 2010

Comportamenti e consumi socialmente responsabili, nel sistema agroalimentre . a cura di L. Briamonte e S. Giuca, INEA 2010

Il comitato scientifico del progetto è composto da: Prof. Luciano Hinna (Università degli Studi di Roma Tor Vergata), Lucia Briamonte (INEA), Francesco Zecca (Università di Perugia), Fabio Monteduro (Uni-versità degli Studi di Roma Tor Vergata), Maria Assunta D’Oronzio (INEA), Raffaella Pergamo (INEA); Barbara Luppi (Università di Modena e Reggio Emilia).

Il presente documento è stato elaborato in seguito al seminario “La responsabilità sociale d’impresa: un’opportunità per il sistema agroalimentare” organizzato dall’INEA a Roma il 16 giugno 2009.

L’impostazione e la supervisione dei testi sono a cura di Lucia Briamonte ed Elisabetta Capocchi La consulenza editoriale è di Moira Rotondo

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Presentazione

Negli ultimi anni le questioni socio-ambientali sono diventate parte inte-grante degli obiettivi della politica agricola. La crescente richiesta di qualità, sa-lubrità e genuinità dei prodotti alimentari, gli shock climatici ed energetici e le problematiche sociali e ambientali riconducibili al tema dello sviluppo sostenibile hanno contribuito ad accelerare questo processo.

Ci troviamo così di fronte a un nuovo modello di sviluppo in cui la competitivi-tà dell’impresa agricola deriva anche dal suo impegno a garantire adeguati livelli di sostenibilità economica, sociale e ambientale nel contesto territoriale in cui opera.

Ne consegue che il successo dell’agricoltura rispetto alle nuove attese del-la società risiede neldel-la capacità dell’impresa agricodel-la di produrre alimenti sani e genuini e concorrere allo stesso tempo alla protezione delle risorse naturali e allo sviluppo equilibrato del territorio, creando occupazione e riservando maggiore at-tenzione alla qualità del lavoro.

Oggi, il consumatore è sempre più attento e orientato verso acquisti consa-pevoli e include nel concetto di qualità dei prodotti agroalimentari anche valori quali la sostenibilità ambientale e sociale della produzione. L’agricoltura quindi, riserva grande attenzione a temi trasversali quali sicurezza alimentare, tracciabilità delle produzioni, qualità dei prodotti, rispetto dell’ambiente e delle risorse umane. Tali aspetti hanno contribuito a declinare il concetto di produzione in una dimensione più ampia di filiera e di territorio, affiancata dalla promozione e dalla rintracciabilità delle produzioni agroalimentari e da forme di comunicazione istituzionale volte a valorizzare e a dare riconoscibilità alla qualità dei prodotti agroalimentari italiani, a creare la consapevolezza dell’evoluzione dell’agricoltura tra tradizione e innovazio-ne e a promuovere il “made in Italy” quale stile di vita e di consumo.

Questi elementi hanno trovato ampia collocazione nel lavoro portato avanti dall’INEA sulla responsabilità sociale nel settore agroalimentare.

L’Istituto, partecipando al dibattito sulla responsabilità sociale di impresa (RSI), che costituisce un tema di interesse crescente da parte delle aziende, del mondo associativo, delle istituzioni, dei consumatori e della società civile, negli ultimi anni ha contribuito all’introduzione e alla promozione della RSI nel sistema agroalimentare.

Tale volume, che riporta i contributi del seminario INEA “La responsabilità sociale d’impresa: un’opportunità per il sistema agroalimentare” è stato realizzato

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con l’obiettivo di divulgare i risultati e offrire un ulteriore contributo sul tema e rappresentare la diversità delle esperienze nell’adozione di prassi di responsabilità sociale.

In tal senso, l’auspicio dell’INEA è quello di contribuire con la sua attività a promuovere una nuova forma mentis e un nuovo modo di fare impresa secondo un approccio integrato (triple bottom line) che tenga conto di aspetti economici, ambientali e sociali.

On. Lino Carlo Rava

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inDiCe

Introduzione e moderazione dei lavori 7 Prof. Alberto Manelli, Direttore Generale INEA

relazioni

La responsabilità sociale nel sistema agroalimentare: il percorso INEA 11 Lucia Briamonte, INEA

Sviluppo locale dell’occupazione e responsabilità sociale d’impresa 19 Susan Bird, Commissione europea

Il territorio luogo di promozione dei valori sociali dell’impresa agricola 25 Andrea Sisti, CONAF

La valorizzazione del prodotto attraverso il controllo etico 29 della catena di fornitura agroalimentare

Daniele Rossi, Federalimentare

Trasformare lo spreco in risorse 33

Luca Falasconi, “Last minute market” - Università di Bologna

Agricoltura e funzioni sociali: evoluzione e scenari futuri 45 Francesco Zecca, Università di Perugia

tavola rotonDa

L’approccio alla responsabilità sociale: gli strumenti per le imprese

Introduzione 47

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La nuova norma internazionale ISO 26000 sulla responsabilità sociale 53 Alfredo Ferrante, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali

Alcune esperienze italiane 57

Giuseppina De Lorenzo, Regione Toscana Antonio Fiorella, Regione Campania Pietro Cecchinato, Regione Veneto Gino Settimi, Regione Lazio

-Massimiliano Di Domenico, British American Tobacco Fabrizio De Pascale, UILA

Lucina Mercadante, INAIL Riccardo Bagni, Coop Italia

Giampiero Bea, Azienda Agricola Bea Andrea Contri, PALM

Marco Foschini, Coldiretti

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introDuzione

di Alberto Manelli, Direttore Generale INEA

Fino a qualche anno fa il profitto veniva considerato l’unica possibilità di mi-surazione del valore aziendale, mentre oggi tale visione può considerarsi superata e nella creazione di valore si ricomprendono ulteriori sottograndezze fra le quali si va sempre più affermando la responsabilità sociale d’impresa (RSI). La creazione di valore, scopo ultimo di un’iniziativa imprenditoriale, è quindi una “grandezza vet-toriale”, una grandezza cioè costituita da più variabili tutte egualmente importanti. La volontà di valorizzare il complesso di tematiche che ruota attorno al con-cetto di responsabilità sociale è alla base del lavoro che l’INEA sta portando avanti con i progetti sulla responsabilità sociale d’impresa nel sistema agroalimentare, finalizzati all’approfondimento, alla promozione e all’applicazione dei temi e delle metodologie di responsabilità sociale.

L’Istituto, partecipando al dibattito sulla responsabilità sociale di impresa, che costituisce un tema di interesse crescente da parte delle aziende, del mondo associativo, delle istituzioni, dei consumatori e della società civile, negli ultimi anni ha cercato di stabilire se la responsabilità sociale di impresa sia suscettibile di applicazione al mondo agricolo e ai settori in cui esso si declina e ha contribuito all’introduzione della RSI nel sistema agroalimentare.

Il seminario di oggi si inserisce in questo contesto, partendo dalla constata-zione che, sebbene l’argomento della RSI sia stato ampiamente trattato in lettera-tura, poco o niente è stato detto con riferimento al sistema agroalimentare, nono-stante il settore primario rappresenti un luogo privilegiato per favorire l’adozione di scelte e comportamenti con un fortissimo connotato sociale.

L’intento del gruppo di lavoro è di conseguire una visione strutturale e stra-tegica della responsabilità sociale nel sistema agroalimentare tesa a favorire l’ado-zione da parte delle imprese di condotte e strumenti che promuovano il rispetto dei diritti e della sicurezza dei lavoratori, dell’ambiente, della salute pubblica e della sicurezza delle produzioni, considerando l’orientamento verso comportamenti so-cialmente responsabili uno stimolo per l’ammodernamento del sistema produttivo e un contributo a realizzare uno sviluppo economico e sociale sostenibile.

L’intrinseca e connaturata rilevanza sociale del sistema agroalimentare è evidenziata dalla contiguità dell’agricoltura con numerosi temi di carattere

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stretta-mente sociale. La relazione tra agricoltura e ambiente e le sue implicazioni nel cor-so degli anni cor-sono divenute questioni centrali nell’ambito delle politiche comunita-rie. Il settore primario, infatti, può avere un impatto rilevante sul piano ambientale, ma un impatto allo stesso tempo può determinare importanti benefici per l’am-biente. L’agricoltura può trarre da tale ruolo positivo svolto nell’ecosistema nuovi stimoli e opportunità di mercato, promuovendo la tutela ambientale e la fruizione del paesaggio come fattori caratterizzanti la propria attività.

È di tutta evidenza l’implicazione economica in termini di maggiori costi de-rivanti da scelte socialmente responsabili, ma è altrettanto chiaro che la RSI deve rappresentare una leva per accrescere la competitività dell’impresa sul proprio mercato di riferimento.

L’attuazione di pratiche socialmente responsabili accentua, inoltre, l’enfasi sulla territorialità e sulla qualità dei prodotti, favorendo quel radicamento nella realtà locale ormai irrinunciabile per dialogare con il mercato; il consumatore in-fatti richiede sempre più di rintracciare nei prodotti agroalimentari la loro identità territoriale.

Altro elemento centrale nella RSI è rappresentato dal tema del lavoro, la sua qualità e i nuovi significati attribuitigli dal contesto sociale. Le richieste della collettività sono sempre più articolate: aumentare i livelli di occupazione, favorire gli investimenti in capitale umano, garantire un’adeguata remunerazione, facilita-re l’ingfacilita-resso dei giovani nel mondo del lavoro, facilita-realizzafacilita-re una maggiofacilita-re inclusione sociale.

Questo seminario si propone di promuovere la conoscenza delle tematiche attinenti la RSI, in modo da tracciare un percorso per l’adozione di comportamenti socialmente responsabili per i singoli imprenditori, per gli operatori del settore e per le istituzioni.

L’incontro vuole costituire uno spunto a disposizione dell’imprenditore che decida di adottare consapevolmente scelte aziendali coerenti con la RSI. L’impren-ditore, infatti, assume un ruolo determinante, perché attraverso un’azione di in-formazione e sensibilizzazione può comprendere che la RSI è un vero e proprio investimento aziendale, misurandone i rendimenti economici diretti e indiretti.

Le relazioni che si succederanno vedranno innanzi tutto la Dott.ssa Briamon-te presentare il percorso che dal 2005 a oggi l’INEA ha seguito per sisBriamon-tematizzare il concetto e gli strumenti di responsabilità sociale all’interno del sistema

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agroali-conta pochissimi dipendenti ad approcciarsi a una mentalità e conseguentemente a una strategia che nel breve termine comporterà con ogni probabilità una maggiore incidenza dei costi. Fra le determinanti di tale orientamento vi è la convinzione che un legame rafforzato con il territorio, che vada oltre la semplice attività produttiva ma si concretizzi in una serie di attività secondarie, può migliorare l’immagine, il rapporto e l’interazione con la realtà locale, con una ricaduta positiva per l’impresa. È stato inoltre confortante verificare come la direzione presa dall’INEA di considerare gli stimoli e le opportunità provenienti dal territorio come un fatto-re che può favorifatto-re, implementafatto-re e sospingefatto-re pratiche di fatto-responsabilità sociale sia condivisa a livello comunitario. Alla Dott.ssa Bird della Commissione europea spetterà il compito di approfondire il rapporto tra territorio, sviluppo locale e re-sponsabilità sociale d’impresa e, fra l’altro, ci illustrerà uno studio condotto dalla Commissione che ha rivelato una crescente attenzione nei confronti delle questioni locali sulla spinta della combinazione fra un approccio top-down da parte delle aziende e degli altri stakeholder e un approccio bottom-up da parte delle comunità rurali, urbane e locali.

Il contesto territoriale è rappresentato in primo luogo dai fattori fisico am-bientali che determinano l’orientamento, le caratteristiche e quindi l’identità dell’impresa agricola che trae le sue origini e la sua fisionomia dal territorio: delle interazioni tra le risorse naturali e i fattori della produzione in un’ottica di respon-sabilità sociale ci parlerà il Dott. Sisti dell’Ordine nazionale dei Dottori Agronomi. A causa dell’attività agricola, infatti, i territori hanno subito una forte trasformazio-ne: dall’abbandono di ampie aree interne montane e collinari alla deruralizzazione delle aree di pianura, favorendo fenomeni che riguardano in particolare il degrado del territorio, cioè la sicurezza dello stesso in riferimento alla presenza dell’uomo. Negli ultimi anni però il modello di sviluppo si è diversificato e alcune imprese sono tornate alla vendita diretta dei prodotti, altre hanno introdotto in modo significati-vo l’ospitalità, altre ancora trasformano direttamente i prodotti agricoli o ssignificati-volgono servizi per il territorio, valorizzando quelli che ormai sono pacificamente intesi beni collettivi quali “ambiente” e “paesaggio”.

Il Dott. Daniele Rossi, Direttore di Federalimentare ci fornirà un’analisi dei comportamenti socialmente responsabili delle imprese agroalimentari italiane e di come sia possibile rendere un’azione individuale, di sicurezza alimentare, di mantenimento di standard qualitativi, di contenimento dell’impatto ambientale, un comportamento collettivo e coeso.

Il Dott. Zecca approfondirà le diverse funzioni sociali in cui l’agricoltura inter-viene direttamente o indirettamente, prendendo le mosse dall’assunto per il quale

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la valorizzazione delle funzioni sociali delle aziende agricole può rappresentare uno stimolo per la diversificazione delle loro attività.

Un esempio pratico di come un’impresa agroalimentare può arricchire le sue esperienze di responsabilità sociale di impresa ci verrà riportato dal Dott. Fa-lasconi dell’Università di Bologna, che grazie al progetto “Last minute market” ha dimostrato come gli sprechi e le eccedenze alimentari che si realizzano lungo tutta la filiera agroalimentare, sia nella fase produttiva che distributiva, possano essere recuperati e ridistribuiti a soggetti svantaggiati, realizzando per di più un abbatti-mento dei costi aziendali di smaltiabbatti-mento.

La giornata si chiuderà con la Tavola rotonda dal titolo “L’approccio alla re-sponsabilità sociale: gli strumenti per le imprese” in cui verranno esaminati i diver-si strumenti a dispodiver-sizione di aziende, mondo associativo e istituzioni pubbliche per introdurre definitivamente la RSI nell’azione quotidiana sia della singola impresa che di aggregazioni di imprese. La Tavola rotonda verrà introdotta da un intervento dal Prof. Hinna dell’Università di Tor Vergata e da una relazione del Dott. Ferrante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che illustrerà la nuova norma ISO 26000 per la responsabilità sociale delle organizzazioni.

Sperando che la giornata possa rivelarsi un’occasione di confronto utile e stimolante, che rafforzi la consapevolezza che esistono le condizioni per un’affer-mazione coerente di pratiche imprenditoriali socialmente responsabili, auguro a tutti i presenti buon lavoro.

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la resPonsabilità soCiale nel sistema

agroalimentare: il PerCorso inea

di Lucia Briamonte, INEA

Definizione di RSI

Il Libro Verde della Commissione europea “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” esplicita il concetto di responsabilità sociale d’impresa: “…essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici, ma andare al di là, investendo “di più” nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate”. Tale definizio-ne ha rappresentato per il gruppo di lavoro INEA il punto di partenza del proget-to “Responsabilità sociale per le imprese del sistema agroalimentare” avviaproget-to nel 2005 grazie a un finanziamento del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

La volontà del gruppo di ricerca era di stabilire un approccio europeo alla re-sponsabilità sociale d’impresa attraverso il benchmarking delle esperienze e degli strumenti di RSI utilizzati in altre realtà, in considerazione del fatto che nel settore agricolo esistevano al tempo poche e isolate esperienze.

La responsabilità sociale è entrata nel nostro Paese, dopo essere rimasta a lungo rinchiusa nella ristretta cerchia del dibattito economico, sulla spinta del Li-bro Verde. Per il LiLi-bro Verde1 essere socialmente responsabili significa andare oltre i limiti di legge, investendo “di più” nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate (stakeholder);

Tale definizione evidenzia alcune caratteristiche peculiari della RSI che si con-traddistingue innanzi tutto per la volontarietà dell’azione: la responsabilità sociale

1 Il Libro Verde è stato poi arricchito nei contenuti da una comunicazione della stessa Commissione

emanata nel 2002, da due risoluzioni (2001 e 2003) del Consiglio riguardanti il seguito da dare al Li-bro Verde, dall’opinione del Comitato economico-sociale dell’8 giugno 2005 in tema di Informazioni e strumenti di misurazione della RSI in una economia globalizzata e, da ultimo, dalla risoluzione del marzo 2007 del Parlamento europeo sulla RSI che pone all’attenzione della Commissione europea numerosi aspetti critici e formula alcune osservazioni riguardanti le precedenti iniziative della Com-missione in materia di RSI.

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è una pratica che le imprese mettono in atto su base volontaria e rispetto alla quale non sussistono obblighi giuridici o formali; ciò non significa ammettere l’arbitrio o rimettere ogni decisione e valutazione alla soggettività dei singoli ma piuttosto rigettare l’idea che esista una certificazione standard o totalmente inclusiva e am-mettere strumenti d’azione e di autoregolamentazione di natura volontaria e non vincolante.

La responsabilità sociale deve costituire per l’impresa un tutt’uno con la stra-tegia aziendale e non essere considerata come una mera operazione di marketing incentrata sull’immagine che l’impresa restituisce all’esterno, proprio perché le pratiche socialmente responsabili non costituiscono unicamente un costo aggiun-tivo ma si traducono in creazione di valore per le organizzazioni che le mettono in atto.

Triplo approccio

Le prestazioni di un’impresa/organizzazione vanno valutate nel loro com-plesso secondo la logica triplice approccio: economico, ambientale e sociale. L’im-presa si riconosce così in una gamma di valori che orientano le proprie scelte e at-tività e la responsabilità sociale si intreccia al tema della sostenibilità, nella ricerca di un equilibrio virtuoso fra sviluppo economico, promozione sociale e salvaguardia ambientale. In altre parole, la RSI può rappresentare una forma di implementazio-ne a livello microeconomico del concetto macroeconomico di sviluppo sostenibile. In tale ottica, ci troviamo di fronte a un nuovo modello di sviluppo, in cui il profitto e il successo dell’impresa derivano anche dal suo impegno a garantire adeguati livelli di sostenibilità sociale e ambientale nel contesto territoriale di rife-rimento. Produrre più responsabilmente, con meno impatto ambientale e con mag-giore sicurezza è dunque il primo modo per produrre in maniera più efficiente . In questo senso, la sostenibilità va oltre le riflessioni sulle responsabilità dell’impresa e diventa uno strumento più generale di sviluppo.

Le variabili di natura endogena ed esogena che hanno dato corpo allo svilup-po del concetto di ressvilup-ponsabilità sociale d’impresa vanno rintracciate in cause sia di ordine macroeconomico che microeconomico

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Perché la RSI è divenuta così importante

In un’ottica macroeconomica, va menzionato il processo di globalizzazione, una maggiore attenzione per i diritti umani, una maggiore sensibilità verso un con-sumo responsabile e sano, la protezione ambientale. Inoltre negli ultimi cinquanta anni si sono susseguiti scandali finanziari e crisi economiche che hanno portato a campagne di sensibilizzazione da parte della società civile fino al boicottaggio di alcuni prodotti. Inoltre, in un momento di forte crisi, come quello attuale, le im-prese si trovano a competere non tanto sul terreno del contenimento dei costi ma piuttosto sulla valorizzazione di fattori distintivi, tramite percorsi di individuazione di nuove opportunità e innalzamento della qualità dell’intero sistema produttivo.

In un‘ottica microeconomica diversi sono i moventi che spingono l’impresa verso la RSI: il rafforzamento della reputazione e dell’immagine, il rafforzamento della propria solidità economica, una maggiore riconoscibilità dei prodotti, un mag-gior senso di appartenenza dei lavoratori e la fidelizzazione dei clienti.

Per un’azienda di piccole dimensioni è molto importante legare le attività di responsabilità sociale che si mettono in atto con i benefici reali che l’impresa trae da questo processo. Come è facile immaginare, le piccole imprese, soprattutto le micro nel caso di imprese agricole, hanno una serie di vincoli. Ne citiamo solo alcuni: si pensi alle limitate risorse sia finanziarie che umane; spesso mancano proprio delle competenze specifiche adeguate per portare avanti questo processo. Ma ci sono anche altri ostacoli, di natura culturale, di pianificazione strategica. Quest’ultima, laddove esiste, spesso è una pianificazione di breve e medio termine, mentre per questo tipo di percorso è necessario un approccio di più ampio respiro. Inoltre, c’è da considerare l’aspetto della conduzione familiare, che è tipico delle aziende del nostro settore: il ruolo dell’imprenditore è centrale perché le sue idee e le sue convinzioni condizionano tutte le scelte dell’azienda. In ogni caso possiamo affermare che, anche grazie alle indagini che abbiamo svolto, l’importanza che le aziende danno alle proprie ricadute sociali sono sempre maggiori e l’importanza che a questi aspetti danno i consumatori è anch’essa aumentata nel tempo.

2 Secondo una serie di studi realizzati a livello europeo (ENSR, 2002) e italiano (ISVI, 2003), le ragioni

principali che spingono una piccola o media impresa a intraprendere percorsi, di responsabilità sociale, sono di tipo “etico”, connesso alla tradizione imprenditoriale del capitalismo familiare, cui segue la volontà di migliorare i rapporti con la comunità locale e/o gli enti pubblici e la fidelizzazione dei clienti.

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RSI e sistema agroalimentare

Il sistema agroalimentare ha un ruolo centrale nella società perché soddisfa i bisogni primari dell’individuo. La crescente sensibilità per la salute, la sicurezza alimentare, l’ambiente e il territorio pongono un forte accento sui temi della re-sponsabilità sociale. Il riferimento al valore e alla qualità delle produzioni, al loro legame con il territorio, ai processi produttivi, agli assetti di governo nonché alla capacità dell’impresa di veicolare un’immagine compatibile con i propri valori e principi si inserisce in una prospettiva che tende a promuovere sempre più una logica di rete tra le imprese, tra i settori, tra i territori e tra tutti gli operatori che operano in quel territorio. Tutto questo contribuisce sia ad aggiungere maggiore valore alle produzioni sia a rafforzare le economie locali.

Imprese agricole e territorio

Le imprese agricole accanto alla funzione economica e produttiva, assolvono, per loro natura, una funzione di salvaguardia dell’ambiente e di valorizzazione degli spazi rurali, delle tradizioni e dei saperi locali. Quindi sempre più nelle loro strate-gie introducono aspetti relativi alla responsabilità sociale. Negli ultimi anni poi le questioni socio-ambientali sono diventate parte integrante della politica agricola comunitaria.

Abbiamo accennato ai vincoli che le piccole e medie imprese agricole hanno nel portare avanti le loro attività di responsabilità sociale. L’aspetto positivo, però, connesso alle loro dimensioni, è lo stretto legame che queste hanno con il terri-torio in cui operano. Questo permette loro di incidere sul tessuto locale in quanto riescono meglio, rispetto alle grandi, a individuare persone, enti e organizzazioni della società civile per portare avanti azioni di responsabilità sociale. In particolar modo, il territorio diventa una sorta di distretto caratterizzato da elevata qualità ambientale e sociale e quindi uno dei fattori di valorizzazione del prodotto tipico di quella località. Gli elevati standard che devono caratterizzare i prodotti messi sul mercato non possono riguardare solo il prezzo ma devono puntare appunto su altri fattori di competitività.

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mirano a costruire una piattaforma di valori comuni su cui impiantare pratiche so-cialmente responsabili. Si passa in tal modo dal concetto di responsabilità sociale di impresa al concetto di responsabilità sociale del territorio. La funzione aggrega-tiva, infatti, porta con sé tutta una serie di vantaggi. Innanzi tutto attraverso la rete vengono coinvolte le imprese presenti nel territorio, comprese le microimprese. Inoltre l’intervento che viene attuato in un territorio ha una priorità che non è della singola impresa ma di tutta la comunità. Ovviamente la forma aggregata riesce ad avere maggiori pressioni anche sui fornitori dell’azienda e sugli altri stakeholder.

RSI e reti sul territorio

Le aziende che operano in un territorio non agiscono da sole ma lavorano in un contesto formato da altri tipi di organizzazioni con cui devono necessariamente interagire (Comuni, Province, Comunità montane, parchi, associazioni e organiz-zazioni di categoria). Il ruolo di tali soggetti presenti sul territorio è centrale per promuovere l’azione di responsabilità sociale e i temi connessi a questo percorso. Quindi, lo sviluppo del territorio non può prescindere da un concetto di rete. La for-za della responsabilità sociale sta proprio nella sua estensione da responsabilità singola e individuale a responsabilità collettiva che permette di superare i limiti che ogni singolo attore operando da solo incontra. Si verifica così il passaggio dal fare al “fare insieme, fare rete e condividere”, al “fare perché tutti facciano”, cioè un effetto di trascinamento o imitazione (Fig. 1).

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Il passaggio da un’ottica individuale a un’ottica collettiva di responsabilità so-ciale fa sì che l’impresa da soggetto promotore diventi anche stakeholder della comunità, la quale quindi diventa il perno delle relazioni che su di essa si instaura-no. In un’ottica di competitività integrata che privilegi la comunità locale, l’impresa diventa parte di un network, si trova in una rete di interazione e di rapporti di scam-bio che influenzano le sorti aziendali e a loro volta ne sono influenzati.. E quindi un territorio diventa competitivo se riesce a fare rete. La stretta relazione tra sistema agroalimentare e territorio può produrre una catena di valore ed estendere i bene-fici all’intero contesto.

Il percorso INEA sulla RSI

L’INEA sta realizzando, dal 2005, un’attività sulla responsabilità sociale nel sistema agroalimentare, finalizzata all’approfondimento, alla promozione e all’ap-plicazione dei temi e delle metodologie di responsabilità sociale. Le peculiarità del sistema agroalimentare hanno spinto l’INEA a sviluppare una serie di strumenti a disposizione delle imprese: le linee guida per il sistema agroalimentare, i casi stu-dio aziendali sulle esperienze di alcune imprese che hanno avviato un percorso di responsabilità sociale, un volume di approfondimento e un sito internet.

Sin dall’inizio è stato organizzato un gruppo di lavoro interdisciplinare che ha visto coinvolte diverse competenze, in considerazione dell’eterogeneità degli ambiti interessati dal sistema agroalimentare e dal tema della RSI. L’approccio portato avanti è stato di tipo partecipato. I risultati intermedi e finali sono stati oggetto di discussione con i principali attori del sistema agroalimentare che hanno fornito i loro contributi per modulare poi i contenuti e la forma finale delle linee guida. Alla base del lavoro vi è una logica di gradualità che consente a ciascuno di utilizzare gli strumenti di responsabilità sociale proposti in funzione delle proprie specificità.

La prima fase, volta a far emergere le peculiarità del sistema agroalimentare rispetto ai temi della responsabilità sociale dell’impresa, si è concretata in un’ana-lisi conoscitiva su quanto era stato prodotto sul tema a livello nazionale e interna-zionale. Il lavoro è proseguito con un’analisi esplorativa a carattere nazionale, cioè attraverso l’intervista a una serie di testimoni privilegiati, (37 soggetti intervistati fra imprese, istituzioni, sindacati, università e associazioni), per cercare di coniugare

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quelle che sono diventate poi le linee guida, nell’ambito delle quali sono stati indivi-duati degli orientamenti strategici riconducibili a quattro macroaree fondamentali: prodotto, ambiente, territorio e risorse umane. Successivamente sono stati analiz-zati tutti gli strumenti operativi della responsabilità sociale e la loro adattabilità al settore, la modalità di rapporto tra imprese e portatori di interesse e una serie di aree strategiche quali la valorizzazione delle piccole e medie imprese e l’innovazio-ne imprenditoriale.

La bozza delle linee guida è stata condivisa con diversi stakeholder. Sono stati organizzati due focus group, uno con imprese e l’altro con le istituzioni di settore, affinché portassero la loro testimonianza sui processi messi in atto, sulle oppor-tunità, sulle problematiche incontrate e le soluzioni adottate. Le linee guida non sono intese come un modello predefinito - non si poteva pensare a un processo standard applicabile indistintamente - ma si tratta piuttosto di una serie di spunti operativi che le imprese possono adottare secondo, appunto, una logica di gradua-lità. Da questo è scaturita una griglia di autodiagnosi in cui le imprese si vanno a collocare in base alle loro peculiarità e in base alle peculiarità del territorio in cui operano. Secondo questa griglia di autodiagnosi le due linee di azione fondamentali sono, da un lato, i comportamenti relativi alla responsabilità sociale, cioè tutte le azioni e gli strumenti che sostanziano l’impegno dell’impresa su questo tema - si va dall’assenza di strumenti di responsabilità sociale fino a strumenti molto elevati di governance - dall’altro, il sistema, cioè la capacità di fare rete. Anche qui si va dall’assenza di rapporti fino a rapporti di rete volontari e formalizzati.

Il gruppo di lavoro ha analizzato alcuni casi aziendali che potevano costitui-re un supporto per le linee guida e condurcostitui-re a una conoscenza del fenomeno sul nostro territorio, per far sì che questi esempi facessero scuola e non rimanessero esempi isolati. Le aziende che hanno fatto parte dei casi studio sono state scelte in base a tre variabili: il comparto, la fase della filiera produttiva in cui operano e l’area geografica.

La ricerca sottolinea come la condivisione dei valori di riferimento e di una metodologia di partecipazione nei processi decisionali rafforza e rende concreto il senso di comunità, il grado di appartenenza dei singoli a un territorio. L’incenti-vazione di buone pratiche e il confronto tra i diversi stakeholder diventano un im-portante strumento per aumentare la competitività del territorio. Di conseguenza, è necessario condividere in uno stesso territorio il medesimo progetto di sviluppo sostenibile e accompagnare gli attori istituzionali, economici e sociali in questo percorso. In questo senso, la responsabilità sociale può essere un nuovo modo di

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pensare all’impresa e al territorio ed è perciò necessaria un’attività di divulgazione e di formazione tale da valorizzare le conoscenze e le competenze presenti.

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sviluPPo loCale Dell’oCCuPazione e

resPonsabilità soCiale D’imPresa

di Susan Bird, Commissione europea

Fra i compiti della Direzione Generale “Lavoro, Affari Sociali e Pari Opportuni-tà” della Commissione europea vi è quello di studiare l’interazione tra la responsa-bilità sociale d’impresa e lo sviluppo dell’occupazione locale. Lo sviluppo dell’occu-pazione locale si realizza attraverso strategie e piani di azione in una collaborazione olistica multi-stakeholder, per promuovere una maggiore prosperità e una migliore qualità di vita per tutti. Si tratta di una terminologia molto ampia e generale, ma è comunque un punto di partenza molto importante.

Questa politica è stata rafforzata dalla comunicazione della Commissione eu-ropea per il vertice del 2007.

Se guardiamo alla responsabilità sociale d’impresa (CSR o RSI), vediamo importanti aziende che combinano spontaneamente competitività e sostenibilità sociale e ambientale. Si tratta di qualcosa che va al di là della legge e che viene applicata nelle operazioni e negli affari quotidiani. Dunque, in altre parole, la CSR è compatibile con il profitto.

Ci occupiamo di sensibilizzazione e condivisione di buone pratiche e incorag-giamento alle imprese a livello locale. Al momento la DG ha diversi progetti e due accordi con l’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico); l’OECD lavora sullo sviluppo dell’occupazione locale e ha anche iniziato a rivolgere l’attenzione all’interazione con la responsabilità sociale d’impresa. Abbiamo appe-na scritto un manuale sullo sviluppo dell’occupazione locale per i nuovi Stati mem-bri, quelli entrati a far parte dell’Unione europea a partire dal 2004.

Il percorso è iniziato nel 2007 con un brainstorming con le parti interessate e nel 2008 è stato intrapreso uno studio e organizzata una conferenza sugli aspetti imprenditoriali dello sviluppo dell’occupazione locale. Infine, nel nostro lavoro sul-la CSR, abbiamo promosso quelsul-la che noi chiamiamo un’alleanza europea per sul-la CSR, che mette insieme molti stakeholder (soprattutto dirigenti di imprese) che hanno organizzato alcuni workshop a lunga durata (laboratories). Due di questi laboratori hanno trattato i problemi riguardanti il territorio locale. Uno è stato chia-mato “Business Involvement” e guardava allo sviluppo dell’inclusione sociale a

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li-vello locale e, che voi lo crediate o no, c’erano molto banche coinvolte, in particolar modo le Casse di Risparmio. Poi c’è stato un altro laboratorio che si è occupato del miglioramento delle capacità occupazionali attraverso l’impegno della comunità, con gli imprenditori che lasciavano spontaneamente i loro lavoratori unirsi in grup-pi di interesse locale, incluse comunità rurali, e tali grupgrup-pi di interesse potevano promuovere le loro cause e ragioni.

La redazione dello studio ha impegnato il gruppo di lavoro per più di un anno. I nostri consulenti hanno utilizzato 25 casi studio come base delle loro analisi.

Hanno riscontrato che c’è una crescente attenzione nei confronti delle que-stioni locali: questa crescente attenzione è spinta da una combinazione di approccio top-down da parte delle aziende e degli altri stakeholder, e un approccio bottom-up da parte delle comunità rurali, urbane e locali; l’approccio dovrebbe essere, e spesso è, un approccio multi-stakeholder e la questione della governance è molto importante. Le domande da porsi sono: chi realmente ha il potere, chi è autorizzato a livello locale, quali aziende, quali stakeholder, quali camere di commercio, quali sindacati hanno responsabilità in termini di strategie per lo sviluppo economico e lo sviluppo dell’occupazione a livello locale (Fig. 2).

Fig. 2 - I fattori di sviluppo dell’occupazione locale

Lo studio della Commissione europea sulle interazioni fra la responsabilità sociale d’impresa e sviluppo locale dell’occupazione

Contesto dello sviluppo locale dell’occupazione:

- Crescente attenzione alle dinamiche e ai fenomeni che si veri-ficano a livello locale e/o territoriale

- Combinazione di azioni e progetti con iniziativa top-down e bottom-up

- Presenza di un tessuto costituito da una pluralità di stakehol-der

- Concezione della governance come modalità di divisione del potere e ripartizione dei compiti

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Che cosa si è rilevato quindi? Innanzi tutto che sta aumentando il numero delle imprese che si impegnano nel contesto locale. C’è stato anche un aumento dell’attenzione all’integrazione nel mercato del lavoro di gruppi in condizioni svan-taggiate. A questo proposito, un esempio di iniziativa sociale in Belgio: si tratta di un rivenditore mainstream, che ha realizzato un’iniziativa sociale nell’integrazione di gruppi svantaggiati nel mercato del lavoro; c’era il problema di attrarre il busi-ness nelle aree locali, come queste aree locali potevano aumentare gli investimenti e incoraggiare aziende a investire lì.

Quindi, lo studio ha posto l’attenzione sull’interazione tra i diversi stakeholder. Questo è un elemento molto importante nello sviluppo dell’occupazione locale dove il settore privato è fortemente coinvolto e così l’interazione di aziende grandi e pic-cole, specialmente grossisti e intermediari che vendono ai dettaglianti. Inoltre, c’è il fatto che le ONG, le organizzazioni non governative, possono essere molto attive in un contesto locale.

È stato notato che i governi regionali e locali si occupano di tradurre le stra-tegie applicate sul piano nazionale al contesto locale, oppure anche di produrne di proprie. È molto importante che le aree locali siano capaci di produrre le proprie strategie.

Ulteriori punti riguardanti l’interazione degli stakeholder: i partner socia-li sono mediatori, associazioni di lavoratori e associazioni di datori di lavoro, sin-dacati. Questi partner sociali spesso mediano nel contesto locale, incoraggiano, aiutano, mettono insieme diverse organizzazioni e facilitano la comprensione tra i diversi attori; ancora, gli uffici di collocamento e gli accademici, i quali spesso agiscono come facilitatori. Ci sono poi organizzazioni specializzate in CSR e va ri-cordata l’importanza dei media.

Tutte queste organizzazioni migliorano la trasparenza e suscitano cooperazio-ne formale e informale: è importante che le associazioni locali decidano le modalità di cooperazione, se avranno relazioni informali e basate sulla fiducia o se invece andranno a sottoscrivere tutto ciò che faranno. È importante che vi sia qualcuno che si occupi di coordinare, di dare una direzione e che collabori con le reti sulle modalità operative, perché lavorare in rete è molto importante. Secondo questi ri-sultati l’accumulo delle esperienze e delle professionalità aumenta le sinergie at-traverso il lavoro con altre persone. Dunque la coesione locale porta ad un miglior clima economico, ad un migliore accordo tra domanda e offerta di lavoro: se ci sono più organizzazioni che lavorano insieme, aumenta la conoscenza dei bisogni del mercato del lavoro e si ha un migliore incontro tra domanda e offerta.

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Un altro spunto molto importante è l’accesso al credito e nel contesto della CSR, come già detto, sono coinvolte anche le Casse di Risparmio. Le Casse di Ri-sparmio riescono molto bene a impegnarsi nelle comunità locali e a provvedere ai bisogni locali, essendo vicine ai cittadini ed essendo preparate a parlare con loro, con gli agricoltori, con i contadini, con i fornitori di servizi locali, così che possano mettere a punto prestiti appropriati e aiuti finanziari. Quali sono i vantaggi per que-ste aziende nell’essere coinvolte nelle comunità locali? Sicuramente una migliore immagine, maggiori vendite, maggiori opportunità nei mutui ipotecari e una mag-giore lealtà dei lavoratori.

Ci sono diverse sfide nello sviluppo dell’occupazione sociale e nella CSR (Fig. 3). È necessario che ci siano aziende consapevoli delle opportunità. Le aziende sono state tradizionalmente di corte vedute e l’incoraggiamento per le aziende ad avere una visione più ampia, a prendere parte insieme agli stakeholder alla comunità nella quale si trovano è molto importante. Dunque, centrale è il tema della disponi-bilità di incentivi adeguati, attraverso i finanziamenti, il conferimento di premi locali oppure il sistema di tassazione, per riuscire a motivare le aziende senza restringere le loro possibilità nel contesto degli affari.

È importante creare una massa critica, per mettere insieme un numero suf-ficiente di stakeholder, così da poter proporre un’iniziativa locale che possa essere vista come vincente; inoltre, non solo è importante trovare i finanziamenti ma biso-gna anche assicurarsi che il finanziamento sia sostenibile.

Lo studio ha proposto diverse raccomandazioni e consigli per noi stessi, prima di tutto, per la Commissione europea e per gli Stati membri. Abbiamo bisogno, se-condo lo studio, di enfatizzare lo sviluppo locale bottom-up. I consulenti sostengono che la Commissione europea fa troppo poco, che è necessario enfatizzare quell’ap-proccio bottom-up, fornire incentivi per collaborazioni multi-stakeholder, garantire uno sviluppo delle competenze delle ONG.

C’è bisogno inoltre di meccanismi di raggruppamento per gli intermediari e di incoraggiare veramente le imprese a livello locale.

Parliamo ora di nuovi metodi per finanziare lo sviluppo dell’occupazione so-ciale e la CSR: al momento c’è un buon numero di prodotti finanziari sui mercati globali. Come possiamo assicurare che questi strumenti finanziari globali arrivino nei mercati locali? Spesso pensiamo che le attività economiche si svolgano nel

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Fig. 3 - Le raccomandazioni indicate dallo studio della Commissione europea

Vediamo infine alcuni esempi che provengono dall’agricoltura o che comun-que hanno l’agricoltura come elemento caratterizzante. Il settore agroalimentare è una parte essenziale del nostro sviluppo locale. Tra le iniziative citiamo: una ONG regionale in Austria, che ha agito come un facilitatore con stakeholder pubblici e privati; i GAL, che ci hanno mostrato come le organizzazioni nelle aree locali pos-sano avere molto successo.

Dall’Austria, un altro esempio di consorzio pubblico e privato, tre gruppi che lavoravano congiuntamente sulle attività di sviluppo dell’occupazione locale e di CSR: una nell’agricoltura biologica, produzione e marketing; un’altra nella gastro-nomia, commercio e turismo e la terza nel settore dell’utilizzo di energia.

Infine, l’esempio della Danone in Spagna: a causa di motivi concorrenziali, hanno dovuto chiudere parte delle loro operazioni in Spagna. Ciò rappresenta un punto chiave per la Commissione europea e per l’Unione europea. Quando un’atti-vità chiude lascia improvvisamente le comunità locali private di un elemento impor-tante; ci possono essere centinaia, talvolta migliaia di lavoratori che perdono il po-sto e quepo-sto lascia le comunità in uno stato di crisi. Quindi, ciò che avevamo sperato

- Ambiente locale di sostegno di partenariati

- Consapevolezza da parte delle aziende delle opportunità - Incremento occupazione locale - Disponibilità di incentivi

- Visione condivisa

- Motivare le aziende senza limitare le loro scelte strategiche

- Operare in trasparenza - Raggiungere massa critica - Sostenibilità sotto il profilo

finanziario

- Dialogo tra gli stakeholders - Adattabilità delle aziende al

mutamento dello scenario

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accadesse e ciò che abbiamo visto accadere in quel determinato contesto è stato che le imprese coinvolte si sono prese la responsabilità di provare ad assicurare una transizione occupazionale e ad assicurare che i lavoratori in eccesso avessero maggiori opportunità, che avessero un’ampia scelta di lavori a cui potersi dedicare nel momento in cui l’impresa aveva dovuto ridurre le sue dimensioni. Quindi, la Danone è stato un esempio di ristrutturazione responsabile: hanno presentato un piano industriale e hanno creato un’istituzione che provvedesse ai finanziamenti e alle risorse per trasferire le persone, per fornire loro un’adeguata preparazione che potesse permettere loro di avere un altro lavoro, magari migliore.

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il territorio luogo Di Promozione Dei valori

soCiali Dell’imPresa agriCola

di Andrea Sisti, Conaf

Il connubio tra impresa agricola e territorio rappresenta senza dubbio un elemento su cui promuovere processi di sviluppo e crescita sociale.

Il contesto territoriale, rappresentato in primo luogo dai fattori fisico am-bientali, determina l’orientamento, la caratteristiche e, quindi, l’identità dell’im-presa agricola. A differenza di qualsiasi altra imdell’im-presa di carattere artigianale, in-dustriale, commerciale e di servizi, l’impresa agricola e agroalimentare trae le sue origini e la una fisionomia dal territorio.

L’impresa agricola ha una caratteristica unica: organizza i fattori della pro-duzione in un contesto aperto dove i fattori ambientali e climatici risultano deter-minanti per il raggiungimento degli obiettivi.

Per affrontare l’argomento occorre fare una sintetica cronistoria dell’evolu-zione della pratica agricola e delle interazioni che l’impresa agricola ha sviluppato con il proprio territorio.

La pratica agricola ha sempre influenzato in modo determinante la forma e i contenuti del territorio, (oliveti gradonati, agrumeti lunettati, ciglionamenti, strut-ture quali i trulli e le masserie oltre a bonifiche, regimazioni idrauliche, conforma-zione degli appezzamenti). Dal 1960 a oggi la pratica agricola ha inciso fortemente anche su altri contenuti del territorio, quali acqua e suolo.

I processi di modifica che la pratica agricola ha apportato nei territori sono stati influenzati, o meglio, determinati dal modello di sviluppo produttivistico che ha pervaso l’economia occidentale nel periodo sopra citato. Di fatto, la costruzione del “valore” dell’unicità e identità dei territori (paesaggi identitari) è stato subordinato all’approccio tipico dell’economia delle marginalità dove il prezzo d’uso rappresen-ta la determinante e i costi lo strumento di gestione. Attraverso quesrappresen-ta gestione marginalista da parte dell’impresa agricola i territori hanno subito una forte tra-sformazione: dall’abbandono di ampie aree interne montane e collinari alla deru-ralizzazione delle aree di pianura. Sempre in questo processo di trasformazione le aree rurali, in particolare nuclei aziendali dell’impresa agricola hanno perso la propria identità con l’introduzione di fabbricati (stalle e altri annessi) completamen-te deconcompletamen-testualizzati e non omogenei in ogni parcompletamen-te del nostro completamen-territorio nazionale.

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Questo fenomeno determinato dal modello produttivistico finalizzato alla sempre più pressante concentrazione delle masse nelle aree urbane del Paese ha determinato uno squilibrio rilevante nel contenuto del territorio: per produrre enormi masse di derrate sia agricole che zootecniche si è proceduto verso una for-te infor-tensità unitaria di produzione con apporto rilevanfor-te di input chimici e defor-termi- determi-nazione di residui ed effluenti non gestibili nel ciclo ordinario di un piano colturale o zootecnico.

Il processo di deruralizzazione ha comportato ulteriori fenomeni che riguar-dano in particolare il degrado del territorio, cioè la sicurezza dello stesso in riferi-mento alla presenza dell’uomo.

Quest’ultimo tema, la sicurezza del territorio, incide in modo rilevante sulla spesa pubblica di uno Stato e rappresenterà uno dei temi su cui programmare l’im-presa agricola nei prossimi anni e quindi la sua responsabilità sociale.

Dopo questa breve disamina che indubbiamente meriterebbe un maggiore approfondimento, i comportamenti registrati nelle attività delle imprese agricole nell’ultimo quinquennio segnano un cambio di passo. In primo luogo, il modello di sviluppo si è diversificato: imprese che sono ritornate alla vendita diretta dei prodotti, imprese che hanno introdotto in modo significativo l’ospitalità, imprese che trasformano direttamente i prodotti agricoli, imprese che svolgono servizi al territorio. E’ cambiato quindi il rapporto tra produttore e fruitore finale. Non ci sono più schermature, il fruitore finale può scegliere, vuole avere garanzie e soprattutto vuole avere fiducia.

E’ su questi aspetti che l’impresa agricola del futuro si deve muovere. Per questo l’impresa agricola non può fare a meno del territorio, della sua identità, del suo valore paesaggistico.

I beni collettivi “paesaggio” e “ambiente” diventeranno nei prossimi anni una delle componenti del bilancio dell’impresa agricola uno dei fattori rilevanti per pro-durre valore. Certamente non è solo una scelta volontaria ma occorre promuovere una radicale modifica del sistema normativo comunitario e soprattutto nazionale dove le leve fiscali attraverso le quali si formano i bilanci delle amministrazioni non favoriscano il consumo di suolo e l’intensità delle trasformazioni ma favoriscano l’uso immateriale del territorio e quindi un’impresa identitaria e compatibile.

Occorre un nuovo modello rurale dove la competizione tra i territori rappre-senti uno strumento di valorizzazione in cui gli attori sono le imprese agricole e

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coesione sociale.

Il futuro è sicuramente nella responsabilità sociale dell’impresa agricola e agroalimentare e nella conservazione dei suoi valori fondanti (paesaggio e ambien-te) ma sta alla responsabilità collettiva il riequilibrio delle masse nel territorio.

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la valorizzazione Del ProDotto attraverso

il Controllo etiCo Della Catena Di fornitura

agroalimentare

di Daniele Rossi, Federalimentare

I tanti argomenti fin qui affrontati toccano diversi profili, in particolare quello inerente le iniziative di sviluppo locale, di responsabilità verso i fornitori e i contra-enti e quello riguardante i rapporti di filiera.

Per fare un po’ di chiarezza sui tanti stimoli e suggerimenti pervenuti a pro-posito della CSR (Corporate Social Responsibility) occorre sottolineare che l’indu-stria alimentare non è buona di per sé né c’è quindi un atteggiamento etico conna-turato ai comportamenti degli imprenditori del settore.

Federalimentare raggruppa venti associazioni di categoria: quelle del vino, dell’olio, della pasta, della birra, delle acque minerali, ecc. Queste a loro volta rag-gruppano 6.500 imprese, quasi tutte piccole se non piccolissime, da 9 dipendenti in su. Le altre, quelle grandi, che hanno adottato da tempo le strategie di comuni-cazione sociale, sono 10-12 nel nostro Paese. Quindi, quello delle grandissime im-prese è un numero piccolissimo di aziende rispetto all’insieme dei nostri associati. Non solo, ma quelle grandissime che tutti voi conoscete (Nestlè, Barilla, Ferrero, Danone), fanno meno del 20% del fatturato dell’industria alimentare. Quindi, in re-altà, l’Italia è un Paese, sotto questi aspetti, abbastanza anomalo: ha questa platea sterminata di piccole e piccolissime imprese in quasi tutti i settori, non solo in cam-po alimentare ma anche nella meccanica, nell’arredo, nel made in Italy.

Ciò garantisce due elementi distintivi. Prima di tutto, soprattutto nell’alimen-tare, il localismo è fisiologico: i mercati sono locali, raramente sono nazionali, un po’ più raramente sono europei e ancora più raramente sono internazionali.

Si tratta poi di piccole e grandi aziende di dimensione familiare. Ferrero è una famiglia, Barilla è una famiglia, anche Parmalat fino alla crisi è stata una fa-miglia. Sono famiglie quindi che hanno il loro viso, i loro figli, che presentano le loro proprietà, che cercano di far capire le loro politiche. Nelle piccole e piccolis-sime imprese il carattere familiare è ancora più forte. In Federalimentare ci sono realmente imprenditori di prima, seconda o terza generazione che stanno lì tutti i giorni, che aprono la fabbrica, che conoscono per nome i venti dipendenti.

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Quindi, gran parte delle tematiche che Susan Bird ha toccato qui, il nostro Paese già le vive quotidianamente nei comportamenti dei nostri imprenditori. Per questo, semmai vanno implementate in quei Paesi dove l’anonimato e la distanza tra il viso del gestore e l’azione comportamentale dell’impresa è più marcata.

Ma dove coincide, come in Italia, la cosa non crea esigenze di policies speci-fiche. Dov’è invece che le imprese alimentari necessitano di una riflessione seria e dove l’uso di policies potrebbe essere molto importante? Molto spesso i comporta-menti individuali eticamente virtuosi, non si traducono in comportacomporta-menti collettivi. Il tema vero è trasformare un’azione individuale - sulla sicurezza alimentare, sul mantenimento di standard qualitativi, di rapporto con il territorio, di impatti am-bientali- in un comportamento collettivo e coeso. Molti imprenditori hanno adottato strategie di responsabilità sociale ma questo nel nostro Paese non si traduce in un comportamento, per l’appunto, collettivo e coeso.

La domanda sociale tende drasticamente alla semplificazione. Si chie-de semplificazione amministrativa, burocratica e politica perché si pensa che la complessità produca entropia, riduca i processi decisionali, riduca la capacità di affrontare i temi ambientali, dell’occupazione,delle infrastrutture. Occorre invece ripercorrere le nostre filiere, i rapporti di forza e dare centralità alla dimensione volontaria: né risposte regolative né de-regolative quindi, ma codici di condotta, uso dei soggetti intermedi, recupero del ruolo delle rappresentanze.

Alla complessità si risponde cioè cercando di smontare percorsi e capendo dove intervenire. Tutela dell’ambiente, recupero dei paesaggi, recupero del territo-rio, chi effettivamente poi compie queste attività? Oltre all’agricoltore che ha questa funzione sociale, chi lo fa insieme a lui? Chi lo accompagna in questo percorso se non i soggetti intermedi, se non la politica locale, se non le dimensioni anche private e locali? Non bisogna avvantaggiarsi dei processi deregolativi ma neanche pensare di iper-regolare. C’è bisogno di soggetti privati e soprattutto di linee guida, codici di condotta, sistemi volontari e di definizione dei comportamenti.

Ad esempio, va affrontato il problema dello squilibrio macroscopico all’inter-no della catena fra i 6.000 fornitori e le 4 centrali di acquisto distributive. Si è in pre-senza infatti di uno squilibrio contrattuale impressionante tra l’industria alimentare e il mondo agricolo che dà il fresco e 4-5 centrali di acquisto che comprano dai 20.000, 30.000 consorzi agrari e dalle 6.000 imprese alimentari.

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Quindi occorre dare alla responsabilità sociale una dimensione fortemente volon-taria e fortemente legata alle organizzazioni collettive, perché attraverso queste si riescono a stabilire rapporti validi.

Il principio della psicanalisi secondo cui non si è quello che si è, ma si è figli delle relazioni valide che si costruiscono è applicabile anche al mondo economico; nel senso che più le relazioni sono sane, trasparenti, corrette e valide, più la re-sponsabilità sociale di impresa cresce interiormente, senza l’uso di meccanismi regolativi.

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trasformare lo sPreCo in risorse

di Luca Falasconi, “Last minute market” - Università di Bologna

Il progetto dell’Università di Bologna “Last minute market” ha analizzato un’azione pratica che un’impresa agroalimentare può adottare per arricchire le sue esperienze di responsabilità sociale di impresa. Due sono i pilastri che stanno alla base del progetto: lo spreco alimentare e la fame.

“Last minute market” è diventato uno spin-off accademico, cioè una real-tà imprenditoriale, nata all’interno dell’Universireal-tà di Bologna, di cui questa è an-che socia. Il progetto nasce da una ricerca universitaria an-che aveva principalmente l’obiettivo di analizzare la filiera agroalimentare non dal punto di vista della sua efficienza, ma dal punto di vista delle sue inefficienze, in primis quello dello spre-co dei prodotti alimentari anspre-cora perfettamente spre-consumabili, che quotidianamente vengono gettati via per i motivi più disparati.

Lo spreco alimentare nel mondo è piuttosto eterogeneo, però un dato di fatto è sostanziale: in tutti i Paesi si sprecano quotidianamente, centinaia di tonnellate di prodotti ancora perfettamente consumabili. In Italia, lo spreco alimentare è stato stimato in circa un milione e mezzo di tonnellate. In Gran Bretagna, addirittura, si stima che un terzo della produzione agroalimentare interna venga ogni anno get-tata via. Negli Stati Uniti il 25% della produzione interna agroalimentare, ben 5 mi-lioni di tonnellate di ortofrutta. In Australia si parla di circa 3,3 mimi-lioni di tonnellate.

L’altro pilastro sul quale si basa il progetto è la fame. I dati FAO dicono che 1 miliardo e 200 mila persone vivono in condizioni di povertà. Di queste, circa 920 milioni soffrono la fame. Gran parte di questi si trovano nei Paesi in via di sviluppo, ma vorrei sottolineare che ben 11 milioni di questi vive nei Paesi sviluppati. Picco-lissima percentuale ma, laddove si spreca come abbiamo appena visto, ci sono 11 milioni di persone che soffrono la fame.

Dall’altro lato, bisogna dire che la stessa FAO stima che nel mondo si pro-duca cibo per soddisfare esigenze di circa 12 miliardi di persone. Ben il doppio del numero di persone che popolano il mondo attualmente. Quindi, l’aspetto fonda-mentale della fame non è tanto che non si produce a sufficienza, bensì che vi è una forte disparità di distribuzione, disparità dal punto di vista sociale (ceti ricchi e ceti poveri), disparità geografica (nord-ovest e sud-est del mondo) e disparità di tipo economico (Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo). Quindi possiamo dire che le

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nostre economie sono caratterizzate da un paradosso incredibile: da un lato, c’è l’aumento di poveri e di affamati e, dall’altro, la quantità di cibo che viene sprecato non tende a diminuire e non viene neanche utilizzata per sfamare questi poveri. Gran parte di questo cibo, nella stragrande maggioranza dei casi, viene trattato e gestito come rifiuto.

È proprio in questo vuoto che si inserisce il progetto “Last minute market”. Nato come attività di ricerca, dal 2003 è operativo in questa attività di recupero e ridistribuzione dell’eccedenza, degli sprechi, dei surplus e degli invenduti agroali-mentari. Il progetto è attivo oggi in ben 9 regioni italiane e sta attuando una serie di progetti pilota anche in Sudamerica (Brasile e Argentina) e sta prendendo contatti anche in Israele.

L’aspetto fondamentale è che gli sprechi alimentari si realizzano lungo tutta la filiera agroalimentare, dalla produzione al consumo, non tralasciando nessun anello della catena. Con percentuali e ragioni differenti, ogni settore della filiera agroalimentare è fortemente caratterizzato da sprechi. Sprechi di prodotti ancora perfettamente consumabili ma che, per ragioni meramente commerciali ed este-tiche, si preferisce non immettere sul mercato, ritirandoli e distruggendoli come rifiuti.

L’aspetto fondamentale del progetto “Last minute market”, che lo caratte-rizza rispetto a tutte le altre attività che svolgono progetti simili, è l’aspetto della localizzazione e della continuità territoriale. Alla base del progetto vi è il ridurre le due variabili che quotidianamente ci rincorrono: lo spazio e il tempo. In concreto, come agisce il progetto “Last minute market”? Recupera e ridistribuisce le ecce-denze laddove queste si vengono a formare. Banalmente, ciò che si recupera in una piccola città rimane nella stessa città. Ciò che si recupera in un quartiere di una grande città viene ridistribuito e utilizzato nello stesso quartiere, tagliando così i costi di trasporto e stoccaggio. Mi verrebbe quasi da dire il Km zero del recupero. In sostanza, tale progetto non fa altro che mettere direttamente in contatto chi ha il problema di dover gestire queste eccedenze con chi, in realtà, potrebbe utiliz-zarle. Nella realtà quotidiana si tratta del mondo no-profit e del mondo for profit, che difficilmente riescono a interagire e a parlare tra di loro. Quindi frapponendo un intermediario tra queste due realtà si facilita lo scambio e il dialogo almeno nella fase iniziale e si crea, di conseguenza, un nuovo sistema agroalimentare o, più precisamente, si crea un sistema agroalimentare parallelo dove quella che noi

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sulla reciprocità - e poi vedremo perché parliamo anche di reciprocità - creando quella che noi abbiamo definito, utilizzando il gergo comune, una rete di sviluppo locale sostenibile. Perché locale l’abbiamo detto prima, sostenibile perché, come vedremo, si vengono a ridurre gli impatti economici, gli impatti sociali e ambientali che lo smaltimento di questi prodotti avrebbe creato.

È necessario porre in evidenza un aspetto fondamentale: perché il progetto “Last minute market” abbia successo è necessario che tutti gli interlocutori che vi aderiscono direttamente o indirettamente abbiano un numero di benefici superiori ai costi che devono sostenere. In primis le imprese e gli enti assistenziali, che sono i diretti attori di questo progetto e che traggono una quantità di benefici economici di gran lunga superiore ai costi che, in realtà, devono sostenere per aderire a que-sto progetto: le imprese riducono enormemente il coque-sto dei rifiuti. Ridurre i costi di smaltimento che cosa significa? Tutto ciò che viene recuperato e destinato in dono a enti e associazioni non deve essere smaltito come rifiuto. Questo è il primo grosso vantaggio. In realtà le imprese, però, aderiscono a questo progetto perché riescono ad aumentare lo loro visibilità sul proprio territorio, riescono a farsi della cosiddetta “pubblicità positiva”. Il progetto “Last minute market”, dal punto di vista della teoria economica, possiamo definirlo un progetto win-win, dove tutti i soggetti che vi partecipano ne traggono un beneficio (Fig. 4).

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Perché legare il “Last minute market” alla responsabilità sociale di impresa? Perché un’attività d’impresa del mondo agroalimentare, e non solo, può implemen-tare e aumenimplemen-tare la responsabilità sociale delle proprie azioni in quanto, attraverso il recupero di queste eccedenze, riesce a creare un valore sociale sia interno che esterno all’impresa stessa. Più precisamente, l’impresa permette l’accrescimento del valore agendo su tre diversi livelli. Il primo di questi livelli è il capitale umano. Perché? Perché coinvolge in questo tipo di attività direttamente il proprio dipen-dente, aumentando la sua soddisfazione nel lavorare in un’impresa che adotta un comportamento socialmente responsabile, il quale, a sua volta, si sente diretta-mente responsabile di questo tipo di attività e può verificarne quotidianadiretta-mente e costantemente il risultato.

Aumenta il capitale relazionale attraverso la cosiddetta reciprocità. Le im-prese vengono messe direttamente in contatto con le realtà che utilizzano questi beni recuperati. Questo contatto va oltre lo scambio del bene alimentare invenduto. Spesso nascono dei rapporti tra impresa e associazione che creano delle attività che vanno al di là del passaggio del bene alimentare. Le realtà associative fanno diverse richieste alle imprese e spesso le imprese coinvolgono le realtà associative in tante attività, sia sociali che economiche.

L’altro punto fondamentale che spiega l’aumento del valore dell’impresa va a toccare le leve del bilancio economico. Come accennato, l’impresa riduce i suoi costi di smaltimento poiché il bene viene donato contestualmente. Lo Stato italiano riconosce alle imprese che effettuano donazioni in denaro o in beni materiali una serie di sgravi fiscali, per cui aumenta il beneficio economico e fiscale che l’impresa riesce a maturare.

Un altro aspetto cruciale per il rapporto intercorrente tra “Last minute mar-ket” e responsabilità sociale dell’impresa è la relazione che si viene a instaurare tra l’impresa stessa e l’ente pubblico. In realtà, attraverso questo progetto l’impresa si fa carico di un’azione di welfare. Sempre più frequentemente, lo Stato non riesce a soddisfare a pieno la domanda di welfare del territorio. Attraverso questo progetto l’impresa si fa carico di uno spicchio di questa inefficienza dello Stato.

Per quantificare il beneficio economico a cui un’impresa può andare incon-tro, si riportano alcuni numeri relativi all’attività che stiamo svolgendo da sei anni a questa parte all’interno del mondo della distribuzione alimentare, relativi a due progetti

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noi andiamo a vedere la merce movimentata all’interno di un punto vendita, si tratta di piccoli numeri, di una percentuale che varia dall’1-1,5 in alcuni casi del 2%, ma se analizziamo invece questo stesso dato dal punto di vista del beneficio che si è creato sullo stesso territorio in cui l’impresa stessa si trova, possiamo vedere come quelle 150 tonnellate di prodotti perfettamente consumabili, 90% fresco e freschis-simo, riescono a soddisfare le esigenze alimentari per i tre pasti al giorno di circa 400 persone.

Il recupero può essere effettuato non solo presso le imprese della grande distribuzione, ma anche presso piccoli dettaglianti, pensiamo a un fruttivendolo, un macellaio, un pasticcere, un piccolo negozio di alimentari di vicinato e così via. Da un nucleo di 16 attività commerciali di un progetto localizzato in una realtà pro-vinciale, nel 2008 siamo riusciti a recuperare circa 43.000 kg di prodotti alimentari, capaci di soddisfare le esigenze dei tre pasti al giorno di un centinaio di persone.

In conclusione mettendo in evidenza che, quando si parla di “Last minute market”, non parliamo solo di recupero di cibo da imprese della distribuzione, ma anche da altri anelli della filiera agroalimentare. Brevemente vi accenno al progetto del “Last minute market” versione harvest, grazie al quale vengono recuperate le eccedenze e gli invenduti del settore agricolo: grazie a questo progetto è possibile recuperare tutto ciò che rimane nel campo perché è danneggiato da eventi atmo-sferici o perché non conviene più all’agricoltore raccoglierlo o perché magari si tratta di prodotti fuori pezzatura. È possibile recuperare anche le sementi delle in-dustrie sementiere che non rispettano gli standard qualitativi richiesti dall’Unione europea. Questi semi non vengono utilizzati, così come è caro al progetto, in pro-getti locali, bensì in propro-getti di cooperazione internazionale. È possibile recuperare, con le stesse modalità, anche farmaci, libri e dal 1° gennaio 2008 anche prodotti non alimentari. Dopo un iter di tre anni è stata approvata una legge che oggi per-mette di recuperare anche ciò che è considerato bene non alimentare (Fig. 5).

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Fig.5 - Il recupero dei beni non alimentari

Sulla base di dati relativi a stime effettuate sulla base storica sull’attività di recupero di sei anni, è stato ipotizzato che, nel caso tutte le attività commerciali all’ingrosso o al dettaglio aderissero a questo tipo di iniziativa, ovvero tutte le atti-vità commerciali italiane, sarebbe possibile recuperare circa 240.000 tonnellate di prodotti ancora completamente consumabili. Ciò vorrebbe dire soddisfare le esi-genze alimentare di circa 620.000 persone ogni giorno per tre pasti al giorno.

In Italia, secondo l’Istat, il 5,8% delle famiglie nel 2007 non è riuscito a sod-disfare appieno il proprio fabbisogno alimentare. Cosa vuole dire? Che non sempre si sono sedute intorno a un tavolo per mangiare. Diciamo che con quello che è pos-sibile recuperare dalla grande distribuzione riusciremmo a soddisfare l’esigenza di circa 1/3 di queste famiglie italiane. .

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agriColtura e funzioni soCiali: evoluzione e

sCenari futuri

di Francesco Zecca, Università di Perugia

Nell’ultimo periodo si è molto discusso di responsabilità sociale o, più che altro, dei comportamenti socialmente responsabili delle imprese. Nonostante gli sforzi compiuti, non si è ancora arrivati ad una definizione ultimativa. A tale propo-sito, sembra opportuno riportare un inciso di Zamagni che nel 2007 così scriveva: “Bisogna osservare che, nonostante la fluorescenza di studi e dibattiti nell’ultimo quarto di secolo, quindi un periodo molto lungo, non esiste a tutt’oggi una definizio-ne largamente condivisa dell’aggettivaziodefinizio-ne responsabilità sociale”. La definiziodefinizio-ne più diffusa è quella riportata nel Libro Verde dell’Unione Europea, che rappresenta però probabilmente un punto di partenza, anche a fini interpretativi, della finaliz-zazione relativa al percorso di responsabilità e di identificazione dei parametri di responsabilità sociale.

Perché è importante la responsabilità sociale, o sono importanti le funzio-ni sociali in agricoltura? Perché l’agricoltura è il settore dedito alla produzione di materia prima destinata all’alimentazione e rappresenta per questo sicuramente il settore produttivo più rilevante e strategico. Vi sono funzioni sociali in cui l’agri-coltura interviene direttamente attraverso la fornitura di materie prime, quindi di prodotti agricoli e altre in cui interviene indirettamente. Dunque, un ruolo diretto e indiretto dell’agricoltura nell’espletamento di funzioni sociali.

Attraverso l’agricoltura si può avere una valorizzazione delle funzioni sociali e, attraverso la valorizzazione delle funzioni sociali, le aziende agricole possono avere uno stimolo per la diversificazione delle loro attività.

Fatta questa premessa allora cos’è la responsabilità sociale per le imprese del sistema agroalimentare? Sicuramente è un orientamento strategico. Occorre però sottolineare come si tratti di un orientamento strategico a carattere multidi-mensionale, proprio per il fatto di investire numerosi ambiti e diversi attori econo-mici. L’approccio multidimensionale nasce come risposta alle nuove esigenze di governo dell’impresa e del territorio agricolo e fa sì che diverse siano le interpre-tazioni attribuibili.

Figura

Fig. 1 - La funzione aggregativa della responsabilità sociale d’impresa,
Fig. 4 - La strategia Win - Win del Progetto “Last minute market”
Fig.  7  -  Strategie  applicative  per  l’effettiva  introduzione  della  RSI  nel  sistema  agroalimentare
Fig. 8 -  Il differente ruolo dell’etica nei sistemi di Common law e di Civil law

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