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Alcune note critiche e di ulteriore sviluppo per la valutazione dei beni immaterial

La valutazione dei beni immateriali trova compimento nella determinazione del valore dell’assets, inteso come attività patrimoniale, e nel suo raffronto con le prospettive di generazione di flussi positivi di reddito. Quest’ultimo raffronto viene attuato mediante la scomposizione analitica del tasso di reddito operativo riferibile ai beni immateriali per ogni specifica classe (ROIC) e il tasso di rendimento del capitale ponderato per il rischio (WACC87).

Il differenziale ROIC-WACC riferibile ad ogni classe di beni immateriali misura le rendite che l’utilizzo e il possesso di determinati assets intangibili consentono di ottenere. Questo valore misura in particolare il rendimento supplementare spettante all’azionista , data una prospettiva temporale di utilizzo dei beni immateriali e può essere utilizzata come approssimazione del vantaggio competitivo relativo, qualora lo scarto venga poi ponderato per un indicatore di sovra redditività media dei competitors per l’utilizzo di analoghi beni (ROICm-WACCm). Questa prima valorizzazione permette un primo ragionamento sull’intensità del vantaggio competitivo, dato il possesso e lo sfruttamento di un determinato assets intangibile.

Tale indicatore di sovra redditività deve essere inoltre considerato in base alla sostenibilità e e alla duration del vantaggio competitivo. La sostenibilità del vantaggio competitivo misurato dal plusvalore per il possesso e l’utilizzo del bene immateriale può essere misurata da un tasso di crescita g, stimato in base alle prospettive di investimenti sull’asset e di futuri benefici correlati ad esso, legati a fenomeni di accumulo e di rendimenti crescenti. Il tasso di crescita g è inoltre un indicatore delle potenzialità di espansione insite nell’utilizzo del bene e di riproduzione delle condizioni favorevoli che stanno alla base del vantaggio stesso. In questo senso, il tasso di crescita

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Per la costruzione del capitale ponderato per il rischio si faccia riferimento all’appendice in coda al presente capitolo. Il tasso WACC pondera il rischio connesso al capitale di debito e al capitale proprio dato gli apporti relativi.

eBI

BI

e(ROICiWACCi)

1

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g riflette non soltanto i processi virtuosi di accumulo delle risorse, ma anche gli apporti positivi garantiti dalle capacità dinamiche (Helfat et al, 2000; Teece, 2007) che consentono un continuo riadattamento dello stock di risorse al variare delle condizioni competitive esogene ambientali. Il tasso di crescita misura quindi di riflesso le capacità organizzative e dinamiche collegate ai beni immateriali, ma non autonomamente misurabili secondo un approccio contabile ortodosso.

La duration88 del vantaggio competitivo si fonda viceversa sul concetto di sostenibilità del vantaggio competitivo o, viceversa, di temporaneità dello stesso. Varie anche in questo caso sono le fonti della durata del vantaggio competitivo (Peteraf, 1993; Winter, 1995; D’ Aveni et al., 2010). Il vantaggio competitivo, infatti, si può perpetrare mediante la creazione di barriere all’entrata e alla mobilità, il rafforzamento delle cinque forze competitive identificate da Porter (1985), la rarità delle risorse strategiche e il connubio tra queste e le capacità dinamiche. D’altra parte, numerose sono le forze erosive delle posizioni di leadership competitive, quali le variazioni nelle capacità di risposta dei competitors alle dinamiche competitive, la creazione di interdipendenze e diadi che possono ovviare al presidio di un’area competitiva o al possesso esclusivo di determinati stock di beni, errate politiche di marketing e di commercializzazione che possono creare fenomeni di auto cannibalizzazione, una parziale decrescita della longevità delle capacità dinamiche e organizzative. Mediante un processo di attualizzazione dei flussi di sovra redditività che tenga congiuntamente in considerazione i fenomeni di protezione e di erosione temporale del vantaggio competitivo si può arrivare alla seguente formulazione economica della valorizzazione dei beni immateriali.

dove

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Il concetto di durata del vantaggio competitivo è stato originariamente formulato e applicato alla teoria finanziaria da Miller e Modigliani (1961).

BI s(ROICiWACCi) 1 ROICmWACCm       (1gi) BI d(ROICiWACCi) 1 ROICmWACCm       (1gi) 1 1raccumulationrerosion

t

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raccumulation: è il tasso di attualizzazione riferibile ai processi e meccanismi che consentono la protezione del vantaggio competitivo e quindi la sua sostenibilità nel tempo;

rerosion: è il tasso di attualizzazione riferibile ai processi e meccanismi che determinano l’erosione del vantaggio competitivo e quindi restringono la duration dello stesso;

t: è il tempo previsto per lo sfruttamento dell’asset intangibile;

Tale scomposizione analitica può essere formalizzata mediante la seguente espressione:

Analizzando congiuntamente le dimensioni sopra indicate, è possibile identificare le seguenti aree di interesse strategico, dato l’utilizzo di un bene immateriale specifico.

Figura 2.4: Le dimensioni del vantaggio competitivo riferibili ad un bene intangibile specifico

Il primo quadrante (area competitiva attrattiva) raffigura una condizione competitiva di potenziale vantaggio ed è subordinato al congiunto possesso e utilizzo di

BI d(ROICiWACCi) 1 ROICmWACCm        (1gi) 1rduration

t

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un bene immateriale specifico che consenta un spread tra il tasso ROIC e il costo ponderato del capitale significativo, e al contempo duraturo e sostenibile.

Viceversa, il quarto quadrante (riposizionamento) è collegato allo sfruttamento di un asset intangibile incapace di produrre valore e non efficace, quindi, alla creazione di una posizione di vantaggio competitivo. In questo caso, l’impresa deve considerare un riposizionamento del proprio stock di risorse -con una particolare enfasi per il bene immateriale in questione- e parallelamente un ringiovanimento delle capacità organizzative e dinamiche che coordinano l’insieme.

Esistono infine due condizioni ibride (aree competitive mediamente attrattive). Nel caso di una differenza positiva tra i tassi di rendimento e una capacità di crescita potenziale dei benefici legati allo sfruttamento del bene può essere opportuno intraprendere una strategia intensiva di breve periodo, volta a investimenti incrementali che rinnovino continuamente la vita utile residua del bene. Qualora invece non fosse possibile applicare politiche che preservino la duration connessa al bene, l’impresa può monetizzare i potenziali economici mediante la vendita del bene stesso. Viceversa, qualora il bene immateriale non fosse in grado di garantire un potenziale reddituale soddisfacente anche a fronte di uno scarso profilo di rischiosità e una durata tuttavia estesa, l’impresa deve considerare di:

 mantenere l’asset nel proprio portafogli ed eventualmente instaurare collaborazioni e licenze per lo sfruttamento del bene stesso e garantire in questo modo un flusso finanziario positivo che possa andare a sostenere investimenti alternativi;

 riposizionare il bene immateriale, coinvolgendo anche una modificazione delle capacità necessarie per la gestione dello stesso.

In riferimento ai metodi valutativi, si può compiere un’ulteriore riflessione in merito all’opportunità di affiancare agli indicatori contabili alcuni indici di natura più puramente economica, al fine di interpretare l’andamento prospettico delle risorse immateriali e consolidare il giudizio sul valore economico di queste e del complesso aziendale in generale. Il ragionamento ha origine dall’esigenza di procedere ad una valutazione comparativa di maggio respiro, capace di inserire nell’analisi strategica

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alcune variabili che esprimano la dinamica evolutiva del valore degli intangibili rispetto al mercato e svincolato dalle poste di bilancio. Questo procedimento mira ad integrare e non sostituire le misurazioni contabili che traggono origine dal Risultato Economico Integrato, in particolar modo si affiancano alle metodologie relative, le quali sfruttano il raffronto fra i deal prices.

L’indagine comparativa degli indicatori economici si fonda sulla stima intertemporale di alcuni indici di input ed output innovativo.

Un esempio può essere considerato il Quoziente Q di Tobin (1978): nonostante sia stato elaborato per finalità che esulavano dalla valutazione dei beni immateriali, nel tempo questo indicatore è stato adottato (Griliches, 1981; Hall, 1993; Megna e Klock, 1993) come approssimazione empirica per la valorizzazione dello stock di beni immateriali di un’impresa. Il quoziente Q rapporta il valore di mercato dell’impresa al costo di sostituzione di tutti i beni posseduti al momento della valutazione e può assumere un valore maggiore, minore o uguale all’unità. Qualora il rapporto determini un quoziente superiore a uno, si interpreta tale grandezza come uno spread positivo tra il valore che il mercato riconosce al complesso degli assets e la valorizzazione dei singoli assets in una prospettiva di sostituzione. Questo plusvalore riconosciuto all’insieme aziendale come unità può essere attribuito in via differenziale al valore aggiunto implicito apportato dagli assets intangibili. Tramite il quoziente Q è possibile non solo monitorare nel tempo le oscillazioni di valore dei beni immateriali determinate in via residuale, inoltre è possibile comparare tale indicatore con quello di imprese concorrenti -posto che debba essere comunque garantito un’omogeneità minima tra i soggetti in termini di area strategica, mercati e bisogni serviti.

Tra gli indicatori di input innovativo si possono considerare (Malerba, 2002) le spese o gli addetti in ricerca e sviluppo presenti nelle varie imprese concorrenti in un medesimo ambito competitivo89. Il lato negativo di questi esponenti è che colgono esclusivamente l’attività innovativa formalizzata nei laboratori di ricerca delle grandi imprese oligopolistiche, privilegiando così i settori ad alta intensità tecnologica,

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Le statistiche di R&S vengono fornite per settore o per paese, ma difficilmente sono disponibili stime a livello di singole impresa. In Italia i dati vengono diffusi dall’ISTAT e da altre associazioni di settore, mentre a livello internazionale l’intervento è ad opera dell’Unione Europea, grazie ai dati raccolti dalle sue Centrali Interne, e dell’OECD (Malerba, 2002).

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tralasciando l’innovazione svolta da soggetti di minore peso e dimensione. Tra gli estimatori di output innovatori si può fare riferimento ai brevetti, i quali, essendo un documento pubblico, possono inoltre contribuire alla pubblicizzazione e alla diffusione dell’innovazione. I brevetti svolgono contemporaneamente tre funzioni:

 In generale sono indici di output innovativo;

 Possono essere successivamente collegati ad un’applicazione commerciale;

 Infine le stime econometrie relative a tali indicatori danno un segnale della capacità tecnologica del sistema, elemento che influenza particolarmente la creazione di effetti di spill-over locali, nonché dell’impresa innovativa.

Le analisi possono essere compiute in una duplice direzione, eventualmente anche sfruttando le interconnessioni che possono sorgere tra i due aspetti: si possono stimare sia le domande di brevetto che i brevetti concessi dagli enti preposti, così da evidenziare le fonti di produzione di innovazione, e i flussi di miglioramento tecnologico che vengono trasmessi da un settore all’altro. Possono essere sfruttati inoltre altri indicatori quantitativi, usati specialmente nelle analisi empiriche90. Le citazioni scientifiche e le pubblicazioni, per esempio forniscono un’indicazione dell’output scientifico di un paese o di un’istituzione, le statistiche sul commercio internazionale dei prodotti e servizi ad alta tecnologia forniscono un’indicazione della pressione competitiva, infine la bilancia tecnologica dei pagamenti indica il trasferimento tecnologico avvenuto da un paese all’altro; quest’ultimo misuratore di output innovativo è particolarmente utile in un confronto fra soggetti economici operanti in un ambiente competitivo aperto su scala mondiale, in quanto registra i flussi finanziari legati alle transazioni in cui sono coinvolti diritti di proprietà industria lied

90

Interessante in questo senso è lo sforzo collettivo compiuto da Hall, Jaffe e Traijtenberg (2001) per nome del National Bureau of Economic Research per costruire un database sui brevetti americani. La costruzione del database si ispira al tentativo di poter studiare i fenomeni di innovazione collegati ai processi di brevettazione. In particolare, gli studiosi presentano i trend che hanno caratterizzato i brevetti americani a partire dal 1979 e con un aggiornamento continuo dei dati fino all’anno 2004. Sono state elaborate alcune misurazioni empiriche interessanti per monitorare l’attività innovativa e di diffusione della conoscenza mediante i brevetti, quali le citazioni incrociate tra i brevetti, l’originalità e la generalità dell’innovazione sottostante, la natura dell’inventore e dell’assegnatario. I risultati si sono dimostrati eterogenei a seconda delle aree tecnologiche di creazione e implementazione.

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assistenza tecnica, ed include transazioni intangibili e non incorporate in beni materiali come l’acquisto di brevetti, licenze, consulenza tecnica e formazione.

Conclusioni

È utile ribadire che la stima degli indicatori economici deve essere logicamente accostata alle valutazioni ragionieristico contabili in una prospettiva strategica: le risorse immateriali si devono considerare strategiche quando partecipano alla creazione del valore per l’ottenimento e rafforzare il vantaggio competitivo nell’ambiente di riferimento. In ultima analisi, l’utilità di procedere alla misurazione e alla raccolta organica degli indicatori innovativi per commisurare il valore degli intangibili è funzionale a verificare se la stima interna del rendimento prospettico degli assets immateriali proprietari, con particolare riferimento a quelli legati alla tecnologia, co- evolve coerentemente con l’andamento del valore delle risorse strategiche oggetto di indagine, così come valutato dal sistema economico di riferimento.

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Appendice

L’utilizzo del tasso Weight Average Cost of Capital (WACC)