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2. Casi di studio: alcuni creat

2.3 Alessandro Mendin

“Mendini è un personaggio intrigante. Nessuno sa come sia in realtà. Un corpo delicato sostiene una mente brillante in costante ebollizione”, come dice Juli Capella208.

Nato a Milano nel 1931, è un architetto, designer e artista italiano, critico e provocatore generoso in quel campo d’azione definito Radical Design. Ha realizzato oggetti, mobili, ambienti e installazioni. Collabora con compagnie internazionali come Alessi, Philips, Swatch ed è consulente di varie industrie per l’impostazione dei loro problemi di immagine e di design.

Ha diretto le riviste “Casabella” (dal 1970 al 1976), “Modo” (dal 1977 al 1979) e “Domus” (nel 1979-1988, 1985, 2010: in particolare alla rivista“Modo”

207 Cit. E. Biffi Gentili, Cleto Munari… op. cit., p.87.

208 J. Capella, Mendini maestro senza volere, in A. Mendini, C. Munari, Alessandro Mendini + Cleto Munari… op.

cit., p. 16. Per approfondimenti su Mendini si veda: Maestri del design: Castiglioni, Magistretti, Mangiarotti,

Mendini, Sottsass, a cura di Deborah Duva et. al, Mondadori, Milano 2005; A. Mendini, Elogio della caffettiera,

Henry Beyle, Milano 2014; A. Mendini, Architettura addio, Shakespeare & co, Milano 1981; Atelier Mendini, a cura di Monica Colombo, Hachette, Milano 2011; A. Mendini, Alessandro Mendini, Giancarlo Politi editore, Milano 1989.

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(pubblicata dal 1977 al 2006) di cui fu anche fondatore insieme a Valerio Castelli e Giovanni Cutolo, egli fu in grado di dare subito un preciso indirizzo ed è stata rappresentativa della sua convinzione che tutte le espressioni della cultura umana sono paritetiche, sia che uno si occupi di architettura, di arti visive, design, grafica o altro.

Il gioco dei contrasti è una modalità progettuale che ha spesso praticato ed esplicitamente dichiarato. Spesso il gioco nasce dal contrasto tra il supporto e l’intervento successivo, secondo quella “circolarità”, affermata da Mendini, tra design e arte209. Quarant’anni fa Mendini iniziò i suoi esperimenti tra il pop e la provocazione concettuale, con poltrone di paglia da bruciare, riflessioni su Oldenburg, il monumento alla sedia posta Lassù; poi realizzò La poltrona di

Proust, una poltrona in stile, un oggetto kitsch su cui aveva una miriade di colori

riprodotti con tecnica pointilliste. È un oggetto diventato l’icona che segna una svolta nel percorso del design italiano: il passaggio dalla fase della costruzione razionale degli oggetti e della sua immagine, alla proiezione di questa a livello internazionale grazie allo spostamento operato verso l’affermazione del suo impatto visivo e simbolico. Con la mostra “Micromacro”210

, tenutasi a Verona presso i “Laboratori Metaprogettuali” di Abitare il Tempo nel 2003, Mendini, insieme a Cleto Munari, ha proposto una serie di oggetti che testimoniano una nuova leggerezza e rinnovata felicità espressiva che già si erano incontrate nelle

209 A. Mendini, C. Munari, Alessandro Mendini + Cleto Munari... op. cit., p.10.

210 “Micromacro”, collezione di vasi in vetro soffiato realizzati da Cleto Munari (a cura di Elvilino Zangrandi),

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precedenti operazioni mendiniane, quali gli interventi sulle stazioni della metropolitana di Napoli, o i piccoli oggetti come Anna Family per Alessi.

Mendini, che ha spesso gradito lavorare in gruppo, si è circondato delle maggiori celebrità dell’architettura e del disegno industriale; da diversi luoghi strategici – Alessi, Swatch, Bisazza – ha voluto offrire la diversità come ricchezza della società postindustriale. Alcuni dei suoi esperimenti hanno rappresentato importanti pietre miliari nello sviluppo della creatività di fine secolo e sono stati spesso copiati. I pezzi di Mendini sono di una straordinaria funzionalità. La sua poltrona

Proust o la caffettiera colorata (fig. 82) sono alcuni dei pezzi più noti – con più

funzioni – del mercato intellettuale del design dato che hanno generato infinite reazioni, critiche e lodi, dimostrando così un massimo di prestazioni con un investimento minimo211.

Ancora una volta, vicino anche a questo designer, troviamo Cleto Munari che stimola, osserva, elabora: personaggio dalle mille sfaccettature che sa come realizzare i sogni dei suoi amici architetti/designer; come dice Elvilino Zangrandi, sogni che diventano suoi, interprete perfetto, domatore di tecniche e proporzioni, esperto di gusti raffinati e moderni, committente ideale che ogni architetto vorrebbe incontrare212.

Tra gli scritti di Mendini, in Architettura, addio del 1981, troviamo la Retorica

della caffettiera, definita “magico oggetto essenziale ai piaceri del nostro corpo.

Guai anche a non avere una caffettiera, presenza indispensabile al risveglio di tutti

211 A. Mendini, C. Munari, Alessandro Mendini + Cleto Munari… op. cit., p. 17. 212

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gli uomini!”213

. La caffettiera non è vista solo come un oggetto, ma è proprio un’architettura. A proposito di mini-architettura e delle sue possibilità, quando Alessi gli chiese il suo consiglio su come dare una nuova immagine alla sua fabbrica di oggetti domestici di metallo, egli pubblicò nel 1979 un libro con la storia di questa fabbrica, Paesaggio casalingo. La produzione di Alessi

nell’industria dei casalinghi dal 1921 al 1980214

. Questo libro include il suo suggerimento di selezionare alcuni architetti per la progettazione di un servizio da tè e da caffè in argento, mettendo a confronto architetti “puri” con un classico oggetto di design. Ne risultarono undici servizi in argento (fig. 83), realizzati in novantanove esemplari ciascuno con il marchio Officina Alessi e il monogramma degli autori, e furono concepiti come una piazza di paese (il vassoio) con sopra diversi edifici: fu creata così una serie di mini-architetture postmoderne che fu messa in mostra per la prima volta in America con il titolo “Architettura d’argento”215

, mentre nel 1983 furono presentati al pubblico in una mostra allestita da Hans Hollein nella chiesa di San Carpoforo a Milano216.

213 A. Mendini, Architettura, addio…, op. cit. p. 50.

214 A. Mendini, Paesaggio casalingo: la produzione Alessi nell'industria dei casalinghi dal 1921 al 1980,

EditorialeDomus, Milano 1979.

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A. Mendini, Alessandro Mendini… op. cit., p. 17. Per approfondimenti sulla figura di Alessandro Mendini si veda anche Maestri del design: Castiglioni, Magistretti, Mangiarotti, Mendini, Sottsass, a cura di Deborah Duva, Bruno Mondadori, Milano 2005; Atelier Mendini,a cura di Monica Colombo, Hachette, Milano 2011.

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128 2.4 Aldo Cibic

Nato a Schio (Vicenza) nel 1955, Aldo Cibic si trasferisce a Milano nel 1979 per lavorare con Ettore Sottsass del quale diventerà socio nel 1980, insieme a Matteo Thun e Marco Zanini. Nello stesso anno, sotto la guida di Sottsass, nasce Memphis di cui Cibic è uno dei designer e fondatori. Nel 1989 avvia l’attività in proprio fondando, con Antonella Spiezio e Smilian Cibic, la Cibic & Partners. Cibic è un designer di indubbio spessore, “che ha saputo innovare la concezione dello spazio e del design. [...] testimonianza di un’idea di arte moderna, vitale, imprevedibile”217

. Come dice Mario Bagnara in occasione della mostra “Aldo Cibic designer” allestita presso la Basilica Palladiana a Vicenza nel 1999 “Nella sua concezione del design risiede la capacità di decifrare un’idea dall’osservazione della realtà, liberandola da sovrastrutture stilistiche e formali, per cogliere le infinite potenzialità che un oggetto può offrire”218

. Si tratta di un caso particolare nello scenario del design milanese: è stato il primo a compiere una svolta inattesa, affermando già alla fine degli anni Ottanta che il suo destino non era solo quello di progettare oggetti per la casa, ma anche di produrli e venderli. Ha precorso così quel fenomeno che riguarda l’attività di progettisti-imprenditori. Con la sua impresa Standard (mobili e accessori per l’arredamento) alla fine degli anni Ottanta, Cibic ha testimoniato che nella sua professione era cambiato sia il termine design, che il termine industrial, e che la diffusione del nuovo poteva anche essere

217 Aldo Cibic designer, catalogo della mostra a cura di A. Branzi (Vicenza, Basilica Palladiana, 27 giugno - 26

settembre 1999), Skira, Milano 1999, cit.

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un grande business, da offrire a un mercato di massa e non soltanto ai collezionisti del bello. Si trovò a realizzare qualcosa che in fondo era il contrario di Memphis, non oggetti unici e caratterizzati, ma una famiglia di arredi ed accessori di qualità per la vita quotidiana. Il nome dell’operazione “Standard” aveva come simbolo un omino sorridente, e voleva significare la definizione di uno standard personale nel senso di prendersi cura di se stessi e di circondarsi di oggetti che non conquistassero per il loro stile, ma per una loro funzionalità calda e piacevole219. Sostenendo di aver sempre fatto fatica a trovare qualcosa che gli piacesse per la cucina e la tavola, non per lo stile, ma per la mancanza di certe tipologie d’uso, con le ceramiche Standard creò degli oggetti che gli mancavano per una “dignitosa tavola da single” (fig. 84). La decade degli anni Novanta nell’arte della tavola è caratterizzata da una ricerca di forme e materiali semplici ma innovativi. La fantasia continua a essere, senza dubbio, un criterio importante nella concezione delle forme, che mantiene una preoccupazione per la funzionalità e la produzione in grande scala. Ecco allora nel progetto “Standard” di Cibic un proliferare di ceramiche bianche: lastre su cui mettere il pane caldo per evitare la condensa, o su cui posizionare prosciutti e formaggi per non lasciarli sulla carta, piccole lattiere, burriere, ciotole triangolari piccole e alte per mangiare l’insalata senza disperdere le foglie, piatti grandi su cui il cibo comprato già pronto sembra più bello.

Negli stessi anni ha disegnato pochi oggetti per piccole produzioni, per contrastare una gran parte del mondo della produzione che nel frattempo si era uniformato ad

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un design banale, comunicato con immagini artificiali, che rappresentano più il mito di uno status raggiungibile effettivamente da pochi, che la possibilità di accedere ad una vita quotidiana meno triste220. Ha inoltre collaborato col marchio Paola C., di cui è art director dal 1999, che si propone come editore di collezioni d’oggetti riservati principalmente all’art de la table che sfugge al codice delle apparenze, e si fa gioco delle definizioni. Produce collezioni d’oggetti che si sottraggono alle leggi del “solo design” a favore della rivisitazione di forme sempre esistite, reinterpretate dal linguaggio della contemporaneità. Forme sempre esistite, semplici, funzionali, che riescono a diventare nuove. Così Dino e Little

Dino, rispettivamente un centrotavola/portafrutta e una coppette in ceramica,

disponibili in dodici colori, ricordano le sembianze di un dinosauro; oppure le raffinate teiere a forma di topo dal nome Mouse, dalle forme semplici ma eleganti e dal tratto ironico, disponibili nei colori bianco e nero lucido.