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Il design italiano applicato al food

Design e cibo è un connubio che ha origine nello stesso processo creativo, fatto di riflessione e pazienza: guardando con attenzione possiamo così scoprire la vita nascosta degli oggetti quotidiani che popolano le nostre tavole e riempiono dispense e frigoriferi. Design e cibo è un’unione che dona piaceri che vanno oltre il gusto, offre soluzioni intelligenti alle necessità culinarie, realizza accoglienti spazi conviviali, dà forma e significato a molti gesti quotidiani. Quella del cibo sarà forse per il design una delle sfide del domani: non solo progettare nuovi ibridi fra prugne e avocado, ma ripensare con creatività e rispetto ai cicli di produzione e del consumo, ai ritmi delle stagioni, alla vocazione dei luoghi, allo spreco degli imballaggi e ai processi di distruzione168. Il food design sembra porre l’accento in modo particolare sul valore simbolico del cibo, propone idee e progetti che possano condurre ad un’esperienza gastronomica polisensoriale, nella quale il

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piacere estetico ha valore quanto il gusto, il tatto, la vista, l’olfatto e l’udito. Oggetti quindi, ma anche luoghi funzionali ed esteticamente attraenti, studiati per accogliere le fasi di manipolazione del cibo e il suo consumo.

Già dall’esperienza e dalle conseguenze portate nel dopoguerra al design italiano, si sviluppano le parole chiave della progettualità italiana: tipologia fuori mercato, flessibilità, disegno come strumento di ricerca, applicazione come momento compositivo169. Nel contesto della prima edizione della Mostra internazionale delle arti decorative organizzata presso la villa Reale di Monza nel 1923170, emerse il concetto di serialità che sottolinea la nascita del pezzo di design171. Stando alle parole di Guido Marangoni172: “gli oggetti d’arte decorativa debbono quasi sempre essere suscettibili di ripetizione in parecchi esemplari a meno di essere dei semplici saggi d’arte pura. Uno degli elementi principali perché l’arte decorativa svolga la sua benemerita funzione sociale ed estetica è la possibilità di prezzo moderato dei suoi prodotti in modo da rendere possibile a tutte le classi sociali di ornare le case e fare dei prodotti d’arte applicata un proprio nutrimento spirituale”173. Notiamo così che già ai suoi esordi l’oggetto di design italiano fosse caricato di ulteriori significati (espressivi, affettivi, simbolici) oltre a quelli di

169 M. De Giorgi, Italia: il disegno del prodotto fuori mercato, in Storia del disegno industriale, 1851-1918. Il

grande Emporio del mondo, Electa, Milano 1990.

170 Dalla Prima esposizione regionale lombarda di arte decorative, tenutasi a Milano nel 1919, prese forma la mostra

delle Biennali (poi Triennali) di Monza voluta da Guido Marangoni. La prima edizione della Mostra internazionale delle arti decorative di Monza del 1923, nonostante la dichiarazione della commissione ordinatrice sul suo carattere non solo retrospettivo, registrava uno spaccato della realtà della cultura del “disegno” italiano caratterizzato dalle più diverse e contraddittorie realizzazioni, e dalla totale presenza di una vasta e composita dimensione artigianale.

171 M. Vercelloni, Breve storia del design italian, Carocci editore, Roma 2014, p. 57. 172

L’onorevole Guido Marangoni, deputato socialista al Parlamento dal 1909 al 1921, fu uno dei più importanti critici d'arte italiani di quell'epoca. Direttore dei Civici Musei di Milano e socio onorario delle Accademie di Brera e di Venezia, fu l'ideatore della Biennale d'Arte decorativa di Monza, città in cui fondò anche l'Istituto d'Arte.

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forma e funzione, in una sorta di allargamento della cultura umanistica dalla letteratura alle arti applicate174.

Sebbene già durante il fascismo alla Triennale si siano promosse iniziative di valorizzazione della produzione in serie, si comincia però a parlare di “Good design” ovvero “Bel/Buon Design” italiano solo dopo la seconda guerra mondiale: una sorta di complessa dimensione progettuale in grado di apportare all’oggetto d’uso, all’arredo e alle attrezzature per la casa, ma anche ai mezzi di locomozione e trasporto, quella sorta di surplus estetico-formale e d’invenzione tipologica che ha reso famoso il design italiano nel mondo soprattutto per il “gusto” di ogni prodotto del made in Italy175.

La forza dell’oggetto di architettura e di design in Italia nacque da questo spostamento di attenzione sull’oggetto di design. È a partire da questo fenomeno che il made in Italy ha conosciuto il suo successo ed è su questa trasposizione di alcune qualità sull’oggetto che si fonda la fama del design italiano, e non grazie alla superiore creatività dei suoi creatori. Va sottolineato che il trasferire fattori culturali, antropologici, sociologici e psicologici sull’oggetto stesso ha caricato quest’ultimo di proprietà che gli hanno attribuito un grande valore, dandogli un significato al di là dei criteri puramente funzionali176. Tuttavia la capacità di trasferire tali valori su un semplice oggetto non è certo di tutti. Il merito quindi è anche da ricercare nei singoli progettisti.

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M. Vercelloni, Breve storia… op. cit., p. 58.

175 Ivi, p. 89.

176 F. Burkhardt, La perdita della nozione di tempo, in Alfabeto, 82 progetti di design di Luca Scacchetti,

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Seguendo la lezione di Bruno Munari si può affermare che un designer può operare solamente se dotato di una cultura viva, interdisciplinare, composta di conoscenza di esperienze antiche ma ancora valide, di conoscenze attuali sui rapporti psicologici tra progettista e fruitore, di conoscenze tecnologiche attuali, di ogni esperienza utilizzabile ai nostri giorni177. Paola Antonelli infatti scrive nel catalogo della mostra “Il Modo italiano. Design e avanguardie artistiche in Italia nel XX secolo”, allestita al Mart di Rovereto nel 2007:

“Il Design Italiano è diventato un’icona di per sé, quasi indipendentemente dai suoi prodotti. In Italia, probabilmente più che in ogni altro paese al modo, design è un termine onnicomprensivo. Dall’architettura alla progettazione di prodotti, dalla grafica alla moda, dalla gastronomia alla soffiatura del vetro, ogni forma di creatività controllata e mirata è considerata parte della sfera del design”178

.

Oggi nel design, mentre la professione sta cercando una nuova identità nell’era della multimedialità dove i confini fra le arti si confondono, affiora la necessità di risalire alle forme primarie del design come fonte d’ispirazione. Alcuni oggetti del quotidiano, soprattutto quelli considerati più scontati, come una graffetta o gli spaghetti, possono effettivamente comunicare il ruolo immutabile dell’industrial design, della tempestività del genio creativo e della guida continua che può offrire la tradizione179. Infatti Alberto Basso si è interessato al design anonimo, ovvero

177 B. Munari, Artista e designer, GLF editori Laterza, Roma-Bari 2001, p. 7. 178

P. Antonelli, All’italiana, in Il Modo italiano. Design e avanguardie artistiche in Italia nel XX secolo, catalogo della mostra a cura di G. Bosoni (Rovereto, Mart di Trento e Rovereto, 3 marzo - 3 giugno 2007), Skira, Milano 2007.

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oggetti di uso quotidiano di cui non si conosce il progettista e che non si identificano immediatamente con un’azienda180

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L’incontro tra architetti e industriali, tra tensione “utopica” e padronanza del progetto con disponibilità all’innovazione, ha consentito negli anni Cinquanta e Sessanta la possibilità di attuare un’effettiva sperimentazione nel campo dell’arredo; come afferma Paola Antonelli “la collaborazione tra designer e produttori è stata un costante argomento di discussione fin dall’inizio della produzione industriale in serie, e quindi del cosiddetto disegno industriale. La storia del design è costellata di segni che provengono dall’evoluzione di questa collaborazione, fino a oggi fondamentale per il successo di un’azienda”181

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La relazione tra arte e design sviluppa tra gli anni Settanta e Ottanta rapporti fecondi e delle assonanze significative che ritroveremo in diverse modalità nel decennio successivo, ma che hanno radici più lontane. Ad esempio quella “maniera del progetto” dell’oggetto made in Italy che Giampiero Bosoni ha definito come il “modo italiano”, caratterizzato “dalla vivacità e dalla ricchezza di scambi e stimoli che ha intrecciato buona parte delle ricerche artistiche e progettuali italiane attraverso un continuo gioco dialettico di modi di vedere, di pensare e di rappresentare prima la società proto-industriale, in seguito quella industriale e oggi quella post-industriale”182.

180 Cfr. A. Bassi, Design anonimo in Italia. Oggetti comuni e progetto incognito, Electa, Milano 2007.

181 M. Vercelloni, Breve storia del design… op. cit., p. 112. Sul sodalizio creativo e imprenditoriale tra industriali

del mobile e architetti si veda G. Castelli, P. Antonelli, F. Pichi, La fabbrica del design. Conversazioni con i

protagonisti del design italiano, Skira, Milano 2007.

182 G. Bosoni, Del “modo italiano” e le sue forme. Storia di “cose”, espressioni, simboli della creatività italiana, in

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È una commistione, quella tra arte e design, che Manlio Brusatin unisce in modo radicale: “Il tema del design italiano viene ricondotto a una matrice originaria artistico-artigianale e non a quella manifatturiera e industriale che non rientra nella storia della formazione e dello sviluppo delle qualità italiane”183

. Egli rintraccia nello stretto rapporto tra arti classiche e artigianato regionale il terreno di sviluppo del design italiano, “che non si può chiamare disegno industriale, perché l’industria non c’è ancora, ma c’è l’industriosità di un bricolage inventivo, autarchico, di gioco a sorpresa, che diventa la risorsa di una popolazione”184

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Alla fine degli anni Settanta in Italia emerge con forza la critica al design di stampo razionalista. “In opposizione ai valori di sobrietà e di aderenza alla nuda funzione degli oggetti, esaltati dalla tradizione moderna, [le sperimentazioni provenienti dal design radicale e sviluppate tra gli altri da Alchymia e Memphis] mirano a spostare la logica progettuale sul piano di un diverso rapporto con l’oggetto, fondato sull’effettività, la comunicazione, la sensorialità intesa come relazione estetica con le cose”185

. Un valore emozionale determinato non dalla funzionalità dell’oggetto, ma dal livello espressivo determinato da materiali, forma, peso, odore, tatto, percezione186.

Ernesto Gismondi ha evidenziato il ruolo di Milano capitale del design e la necessità di stretta sinergia tra azienda e designer187 aggiungendo che “forse in questo momento la maggior parte dei progettisti che lavorano in Italia non sono

183 M. Brusatin, Arte come design. Storie di due storie, Einaudi, Torino 2007. 184

Ibidem.

185 M. Vitta, Il progetto della bellezza. Il design fra arte e tecnica 1851-2001, Einaudi, Torino 2001. 186 M. Vercelloni, Breve storia del design… op. cit., pp. 154-155.

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italiani. Ma l’affermazione che “il design è italiano” è valida comunque perché i prodotti non nascono solo nella mente dei designer, ma anche nelle aziende. I paesi che non hanno un’industria non possono fare design, non riescono. La Tizio188

non sarebbe mai esistita senza Artemide e neanche la Tolomeo”189. Però appare riduttivo pensare in Italia a un design inscrivibile all’interno della sola storia del “prodotto industriale”; in particolare il design del mobile, delle lampade e degli accessori domestici, fortemente legato all’architettura d’interni, ha come caratteristica fondamentale la rivendicazione di un’autonomia progettuale e creativa rispetto alla “logica industriale”190

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Stefano Maffei e Francesco Zurlo hanno indicato una serie di nuove tendenze nel rapporto tra impresa e progettista nella realtà del design italiano. Constatando che i designer italiani sono in gran parte impegnati nel settore del mobile, del complemento e dell’illuminazione, i due autori sottolineano l’importanza “storica” del rapporto di contiguità tra impresa e progettista, individuando in questo legame una delle principali ragioni, oltre alla creatività progettuale, dello sviluppo e del successo del design italiano191. Insistono infatti che “Da questa relazione con l’impresa (e molte volte con la stessa figura dell’imprenditore) i designer italiani hanno mutuato a lungo la capacità di entrare in contatto con la filosofia aziendale, incrociando la conoscenza progettuale con le istanze di mercato, della società e della tecnologia e determinando, grazie a questa attitudine, un ruolo strategico di

188 Lampada best-seller di Artemide disegnata da Richard Sapper nel 1972-73. 189

R. Tessa, Milano e la crisi creativa. La salvezza è nei giovani, in “la Repubblica”, inserto “Affari & Finanza, 5 marzo 2007.

190 M. Vercelloni, Breve storia del design… op. cit., p. 189. 191

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stimolo e la valorizzazione delle capacità innovative del sistema produttivo. Il ruolo del design, da questo punto di vista, si è configurato come uno strumento la cui funzione non è solo quella di attribuire una forma esteticamente gradevole ai prodotti, ma di intervenire sulla totalità del progetto di innovazione.”192.