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Il food design nasce probabilmente dalla porzionatura e interesse estetico già posto in essere dalla nouvelle cuisine francese degli anni Settanta, ma in realtà si tratta di una disciplina relativamente nuova: in Italia si comincia a parlarne diffusamente a partire dalla primavera del 2004 in occasione del Salone del Mobile milanese (14 aprile – 2 maggio 2004). Al padiglione 9 si è svolto l’evento “Dining Design”, curato da Adam D. Tihany: uno spettacolo che vede la ristorazione protagonista insieme alla moda e al design, il cui risultato è una perfetta alchimia tra cibo e ambiente. La mostra-evento si snoda attraverso un percorso che, passando da una presentazione di sedie famose create da grandi architetti e designer, da Frank Lloyd Wright a Philippe Starck, raggiunge il ristorante vero e proprio, allestito come una scena teatrale per i primi giorni da Missoni Home, poi da Paul Smith. Durante tutto il periodo della manifestazione viene servito il pranzo preparato da Claudio Sadler, chef di fama internazionale: 120 posti full-service a invito. La tavola si trasforma

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in una passerella dove le portate e tutto ciò che le circonda sono studiate per colpire e meravigliare99.

In ideale collegamento con “Dining Design”, la rivista “Interni” presenta al Fuorisalone la mostra “Street Dining Design”, in scena alla Triennale di Milano, dove il design si fonde alla dimensione del food&beverage. Si tratta di un’esposizione tematica dedicata al food design, all’estetica del packaging, della grafica e della presentazione del cibo, nonché all’ambientazione.

Nell’allestimento generale della mostra, curato da Studio Azzurro, intervengono diversi autori tra architetti e designer caratterizzati da un forte spessore di sperimentazione progettuale: Massimo Iosa Ghini, Patrizia Scarzella, Karim Azzabi, Future Systems, Adam Tihany, Simone Micheli, Fabio Ceccarelli con Giovanna Talocci, Diego Grandi, Riccardo Diotallevi, Claudio Monti e Francesco Muti, Werner Aisslinger. Vennero progettate dieci microarchitetture per brand appartenenti al mondo della degustazione (dalla cioccolata griffata Godiva al più mite gelato Sammontana), con l’esplorazione di forme alternative di fruizione del cibo consumato “di fretta” e la proposta da parte delle aziende di cibo industrialmente prodotto presentato come creazione di food design100. Là dove l’intervento architettonico su larga scala diventa difficoltoso, è la microarchitettura, associata indissolubilmente al design, ad avere la meglio: da qui l’idea di progettare dei veri e propri chioschi. La mostra consiste in un percorso

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http://www.corriere.it/speciali/2004/Cronache/design/dining.shtml (consultato il 3-7-2015).

100 A. Filippini, FooDesign. Scenario: il disegno del gusto in “diid disegno industriale | industrial design”, n. 19,

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gastronomico con diverse tipologie di cibo da consumarsi in piedi articolato su dieci chioschi, ovviamente caratterizzati da sperimentazione ed alta visibilità, dove la vendita del prodotto sia associata a creatività ed immagine. I nomi dei chioschi fanno capire che si è servito di tutto, dalla prima colazione all’ happy hour: Biomorphic café, Bubble blog, Cantina, Acquae, Panetteria, Gelateria, Enoteca, Fine Chocolate.

L’allestimento generale si basava sul progetto video 10000 foglie vaganti realizzato da Studio Azzurro, proiettato sulla parete circolare dello spazio, e sul progetto green bamboo bambolo di Anna Scaravella, allestito lungo il lato esterno dei due corridoi.

Durante la manifestazione i prodotti – dal caffè al gelato, dalla pizza ai risotti – sono stati proposti sotto forma di degustazione gratuita. Lo scenario della serata inaugurale è stato dunque in linea con i consueti panorami degli opening parties: code tortuose ed insostenibili, televisioni e giornalisti internazionali, si è assistito addirittura alla distribuzione di coppette gelato personalmente servite dal designer Aldo Cibic. Quindi Saramicol Viscardi si è posta la questione se tale iniziativa potesse essere intesa come squisita metafora del design al completo servizio del

food, o forse segnale d’allarme dell’invasione della pratica aziendale nel mondo

dell’arte e della cultura101 .

Contemporaneamente, sempre in Triennale, si è svolta un’altra rassegna dedicata al food design, “Multipli di cibo”, una mostra di 100 progetti formali per i cibi: sfere

101 S. Viscardi, Design_resoconto: Street Dining Design, in “Exibart”, 21 aprile 2004;

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di cioccolato di Balaguer, scolapasta della Manfredini per Guzzini, la caffettiera di Karim Rashid. Ma pure in città hanno dato spazio al food design. All’Alpes- spazio di corso Como la Libera Università di Bolzano ha offerto biscotti disegnati da giovani designer. E ogni giorno sono stati organizzati “Cooking together” da DesignElementi per la rassegna “Le forme del gusto”. Al Superstudiopiù di via Tortona, Bombay Shappire e Martini Rossi hanno presentato bicchieri per nuovi rivoluzionari cocktail. Il design in quel momento svolta verso l’estetica intesa come disciplina che studia i rapporti tra l’individuo e i cinque sensi. Dunque non solo l’occhio, che vuole la sua forma, ma anche il gusto, che apprezza i suoi sapori102.

Tra i motivi di questo interesse verso il food design va annoverato il recente successo della cucina etnica nel nostro paese, soprattutto tra i giovani, specialmente del cibo giapponese che porta con sé un’estetica legata alla sua presentazione ed è percepito più di quello occidentale come un oggetto in sé, una forma “tipo” che cambia solo l’abbinamento degli ingredienti. È avvenuto quindi il recupero della polisensorialità come trend generale per tutti i settori, rimettendo in gioco l’intera gamma sensoriale e i prodotti impiegati, ma anche beni diversi come cosmetici e affini (a Parigi per esempio il rapporto tra pasticceria, cosmetica e lusso è in questi ultimi tempi osmotico, basti vedere il caso dell’impresa dolciaria Ladurée) e vengono studiati a partire dalle caratteristiche sinestetiche; si mangia

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quindi “con gli occhi”, com’è risaputo, in una globale considerazione del concetto di gusto.