I POETI IN FRAMMENTI DELLA PRIMA GENERAZIONE AUGUSTEA
E MILIO M ACRO
C. V ALGIO R UFO
178
C.VALGIO RUFO
Gaio Valgio Rufo1, nato intorno al 65 a.C. da una famiglia di rango senatorio2, fu un
personaggio dalle numerose sfaccettature, capace di coniugare, secondo la più autentica tradizione romana, gravitas politica e levitas letteraria, negli anni cruciali del principato augusteo.
Apprendiamo da alcune testimonianze epigrafiche3 che ricoprì la carica di consul suffectus,
insieme a Publio Sulpicio Quirino, nel 12 a.C., dopo la morte del console Messalla Appiano4; le fonti
letterarie, d'altro canto, ci consentono di avvicinarlo ora ad Augusto, ora a Messalla, annoverandolo fra i principali esponenti del suo entourage letterario.
Le testimonianze oraziane5 consentono di dedurre che fosse già attivo sulla scena letteraria
intorno al 35 a.C., mentre risulta più problematico cercare di definire una possibile data di morte, sicuramente successiva al 12 a.C. e forse da collocarsi nei primi anni del I secolo d.C.
Valgio dovette essere un autore a dir poco poliedrico: scrisse un trattato sulle piante medicinali, cui fa riferimento Plinio nella sua Naturalis Historia6; tradusse l’opera del suo maestro
Apollodoro di Pergamo, come ricorda Quintiliano in vari passi dell'Institutio oratoria7; sperimentò
numerosi generi poetici, dall’epigramma8 all’elegia9 all’epica10, cimentandosi forse anche nella
poesia bucolica11; si occupò di questioni linguistiche12 e, infine, in un'opera imprecisata (che potrebbe
essere in poesia o in prosa), ebbe occasione di menzionare l'Etna13.
La complessa personalità di questo autore ha sollevato, nel corso dei secoli, non pochi dubbi, tanto che gli studiosi sono arrivati a ipotizzare l’esistenza di due uomini diversi: Gaio Valgio, console e oratore, e Tito Valgio, poeta14.
L’ipotesi è oggi accantonata dalla critica più recente e, nelle pagine che seguono, prenderemo in esame le principali testimonianze antiche e i frammenti dell’opera del nostro autore, nel tentativo
1 Su Valgio Rufo si vedano: ALFONSI 1943, pp. 242-253; BARDON 1956, pp. 19-22; ROSTAGNI 1960, pp. 809-833; GEYMONAT 1974, pp. 256-261; MURGATROYD 1975, pp. 69-71; DAHLMANN 1982, pp. 136 sgg.; DURET 1983, pp. 1472-1478; COURTNEY 1993, pp. 287 sgg; HOLLIS 2007, pp. 287-299; PIERI 2013, pp. 209-229.
2 La gens Valgia era forse originaria del Lazio meridionale che raggiunse il rango senatorio probabilmente verso la fine del II secolo a.C. è nota dalla fine del II secolo a.C., all'interno del senatus consultum de agro Pergameno, dove viene citato un non meglio noto Q. Valgius M. filius. In Italia le più antiche testimonianze risalgono, invece, agli inizi del I secolo a.C. e rimandano al municipium di Arpinum, dove ricorre un A. Valgius C. filius come edile della città. La filiazione di questo personaggio e quindi la presenza del prenome Gaius ad Arpino già verso la fine del II a.C. potrebbe suggerire un valido indizio per ipotizzare la provenienza di Valgio Rufo da quest'area geografica.
3 CIL VI, 21158; IX, 5289; X, 3804.
4SYME 1993, p.87.Il fatto che Valgio fosse subentrato a Messalla Appiano potrebbe costituire forse un ulteriore elemento a sostegno del rapporto del poeta con l'illustre gens cui apparteneva anche il patronus Messalla Corvino. Sia Valgio che Messalla Appiano, inoltre, erano probabilmente legati da un rapporto stretto con il princeps che, nel caso di Appiano, era sancito dal matrimonio con Claudia Marcella, figlia di Ottavia Minore.
5 Vd. test. 1 e 3. 6 Vd. test. 6. 7 Vd. test. 7-9. 8 Fr. 1 Bl. 9 Vd. test. 3-4. 10 Vd. test. 2. 11 Vd. frr. 5-6. 12 Vd. test. 10. 13 Vd. test. 5.
C.VALGIO RUFO
179
di conciliare i diversi aspetti della sua attività politica e letteraria, ricostruendo un profilo il più possibile coerente e unitario.
Testimonianze
1
Hor. sat. 1, 10, 81-90:
Plotius et Varius, Maecenas Vergiliusque,
Valgius et probet haec Octauius optimus atque
Fuscus et haec utinam Viscorum laudet uterque ambitione relegata. Te dicere possum,
85 Pollio, te, Messalla, tuo cum fratre, simulque vos, Bibule et Servi, simul his te, candide Furni, conpluris alios, doctos ego quos et amicos
prudens praetereo, quibus haec, sint qualiacumque, adridere velim, doliturus, si placeant spe
90 deterius nostra. (…)
2
Paneg. Mess. (Tib. 3, 7), 177-180:
Non ego sum satis ad tantae praeconia laudis,
ipse mihi non si praescribat carmina Phoebus. Est tibi, qui possit magnis se accingere rebus,
Valgius: aeterno propior non alter Homero. 3
Hor. carm. 2, 9:
Non semper imbres nubibus hispidos manant in agros aut mare Caspium
vexant inaequales procellae usque nec Armeniis in oris, 5 amice Valgi, stat glacies iners
mensis per omnis aut Aquilonibus querceta Gargani laborant et foliis viduantur orni:
tu semper urges flebilibus modis
10 Mysten ademptum nec tibi Vespero
surgente decedunt amores nec rapidum fugiente solem.
C.VALGIO RUFO
180 at non ter aevo functus amabilem
ploravit omnis Antilochum senex
15 annos nec inpubem parentes
Troilon aut Phrygiae sorores flevere semper. Desine mollium tandem querellarum et potius nova
cantemus Augusti tropaea 20 Caesaris et rigidum Niphaten
Medumque flumen gentibus additum victis minores volvere vertices
intraque praescriptum Gelonos exiguis equitare campis.
4
Porph. ad loc:
Hac ᾠδῇ Valgium consularem amicum suum solatur morte delicati pueri graviter adfectum.
5 (= fr. 7 Bl., 7 Co., 171 dub. Ho.)
Sen. epist. 51, 1:
Tu istic habes Aetnam, editum illum ac nobilissimum Siciliae montem, quem quare dixerit Messalla: unicum, sive Valgius - apud utrumque enim legi – non reperio.
6
Plin. N. H. 25, 4:
Post eum (M. Catonem) unus inlustrium temptavit Gaius Valgius eruditione spectatus imperfecto volumine ad divum Augustum, inchoata etiam praefatione religiosa, ut omnibus malis humanis illius potissimum principis semper mederetur maiestas.
7
Quint. inst. 3, 1, 18:
Sed Apollodori praecepta magis ex discipulis cognoscas, quorum diligentissimus in tradendo fuit Latine C. Valgius, Graece Atticus.
8
Id.3, 5, 17:
Causam finit Apollodorus, ut interpretatio Valgi discipuli eius utar, ita: “causa est negotium omnibus suis parti bus spectans ad quaestionem”, aut “causa est negotium cuius finis est controversia”.Ipsum deinde negotium sic finit: 'negotium est congregatio personarum locorum temporum causarum modorum casuum factorum instrumentorum sermonum scriptorum et non scriptorum'.
C.VALGIO RUFO
181
9
Id. 5, 10, 4:
Epicherma Valgius adgressionem vocat.
10
Gell.N. A. 12, 3:
“Lictoris” vocabulum qua ratione conceptum ortumque sit; et super eo diversae sententiae Valgi Rufi et Tulli Tironis. (…) Valgius Rufus in secundo librorum, quos inscripsit de rebus per epistulam quaesitis, “lictorem” dicit a “ligando” appellatum esse quod, cum magistratus populi Romani virgis quempiam verberari iussissent, crura eius et manus ligari vincirique a viatore solita sint, isque, qui ex conlegio viatorum officium ligandi haberet, “lictor” sit appellatus; utiturque ad eam rem testimonio M. Tulli verbaque eius refert ex oratione, quae dicta est pro C. Rabirio: “Lictor”, inquit “conliga manus”. Haec ita Valgius.
11
Serv. ad Verg. ecl. 7, 22 (85 Th):
Codrus poeta eiusdem temporis fuit, ut Valgius in elegis suis refert.
12*
Tib.1,10,7-14:
Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt, faginus adstabat cum scyphus ante dapes. non arces, non vallus erat, somnumque petebat
10 securus sparsas dux gregis inter oves.
tunc mihi vita forte, Valgi (vulgi, codd.), nec tristia nossem arma nec audissem corde micante tubam;
nunc ad bella trahor, et iam quis forsitan hostis haesura in nostro tela gerit latere.
Orazio fa riferimento a Valgio Rufo in due occasioni: la prima testimonianza è tratta dalla decima satira del primo libro15, nella quale l’autore affronta fondamentali questioni di poetica,
sancendo l’allontanamento (ma nello stesso tempo la continuità) rispetto al modello rappresentato da Lucilio. Questi, riconosciuto come l’inventor della satira romana, è visto, però, come mendosus, per i suoi versi sgraziati e la comicità grossolana. Orazio ne raccoglie l’eredità, filtrandola attraverso la lezione del neoterismo: allo stile acer e durus ne sostituisce uno tenue e misurato, permeato di raffinata eleganza callimachea, pur mantenendo quel “sale” che ne costituiva il punto di forza.
Sono quindici gli illustri contemporanei di cui, in questa rivoluzionaria scelta letteraria, Orazio cerca l’approvazione. I nomi citati possono essere suddivisi in due gruppi: ai vv. 81-83 sono
C.VALGIO RUFO
182
ricordati Plozio Tucca, Vario Rufo, Virgilio, il nostro Valgio, Ottavio Musa, Aristio Fusco e i fratelli Visci16, poeti e intellettuali molto vicini a Orazio, probabilmente appartenenti al circolo di Mecenate.
Sono questi gli amici che Orazio tiene in maggiore considerazione e da cui spera di ricevere lodi ed elogi.
Il secondo gruppo include altri nomi importanti, come Asinio Pollione e Messalla Corvino, insieme al fratello17, a Bibulo,18 Servio19 e Furnio20. Si tratta di illustri uomini politici, in parte anche
letterati, legati per lo più a Marco Antonio21. Orazio specifica, però, che non per ambizione (ambitione
relegata), ma per la stima che nutre nei loro confronti, spera di poterne incontrare il favore.
Nonostante, come vedremo, altre fonti ci inducano ad avvicinarlo al circolo di Messalla, Valgio compare piuttosto accostato al nome di Mecenate22. Fu dunque senza dubbio un autore
tutt’altro che secondario, se Orazio sentì la necessità di riservargli un posto fra i suoi amici più cari e fra gli uomini di cultura più autorevoli del tempo.
Questa testimonianza ci restituisce un’istantanea dell’élite intellettuale augustea, rivelandoci i nomi (celebri o poco noti che siano) degli artisti più stimati, in una comunanza di ideali e valori poetici che va ben al di là delle differenze in campo letterario o politico. L’immagine che ne ricaviamo è quella di un panorama variegato, aperto al dialogo e permeabile al passaggio delle idee, tanto da consentire a un intellettuale come Valgio, di posizione sociale agiata, di muoversi liberamente in un ambiente culturale vasto ed eterogeneo.
La decima satira è datata al 35 a.C.23 Possiamo dedurne che, già in quegli anni, Valgio dovesse
essere un poeta piuttosto noto e affermato, un membro di rilievo nella cerchia altolocata delle amicizie di Orazio. Possiamo immaginare che sia vissuto più o meno nello stesso periodo del Venosino, e quindi collocarne la data di nascita intorno al 65 circa24.
Il secondo riferimento oraziano è ancora più importante del precedente, poiché si tratta di un carme interamente dedicato a Valgio25. Il componimento sembrerebbe inserirsi all'interno del
genere delle consolationes sul modello ellenistico, cui rimandano in particolare le prime due strofe26.
Esse consistono nella descrizione di veri e propri “quadretti paesaggistici”, volti a fare da specchio, ma anche da elemento di contrasto, rispetto allo stato d’animo dell’amico: se fuori piove e infuria la tempesta, possiamo consolarci pensando che il maltempo non durerà per sempre, mentre da troppo
16 Vd. Plozio Tucca, Vario Rufo, Ottavio Musa, Aristio Fusco e i Visci.
17 Probabilmente L. Gellio Poplicola, console nel 36 a.C. e seguace di Marco Antonio, cfr. RE VII, 1, s. v. Gellius, coll. 1003- 1005, nr. 18.
18 L. Calpurnio Bibulo, figlio di M. Calpurnio Bibulo e di Porcia, figlia di Catone, fu partigiano di Marco Antonio, dopo aver preso parte alla battaglia di Filippi, per cui si veda RE III, 1, s. v. Calpurnius, coll. 1367-1368, nr. 27.
19Forse identificabile con Servio Sulpicio Rufo, figlio del grande giurista di età repubblicana e console nel 51 a.C. Si veda
RE IV, A1, s. v. Sulpicius coll. 851-860, nr. 96.
20 C. Furnio, proconsolare in Asia nel 36-35 a.C., fu sostenitore di Marco Antonio, dopo la morte di Cesare. Per intercessione del figlio, gli fu risparmiata la vita dopo Azio e venne elevato al rango consolare nel 29. Si veda PIR2 F 590.
21 Su tutti questi personaggi e sul loro rapporto con Marco Antonio si veda SYME 1993, pp. 307-308.
22HANSLIK 1982,p.272inserisce senza esitazione Valgio all’interno del circolo di Mecenate, sulla base della testimonianza oraziana. FERGUSON 1990, p.2268, invece, ipotizza che Valgio sia stato citato in tale contesto poiché appartenente, insieme a Tucca, Vario, Virgilio e Mecenate, alla scuola epicurea campana.
23 GOWERS 2012, pp. 1 sgg.
24Come suggerisceHOLLIS 2007,p. 290.
25 Vd. test. 3; per la ricca bibliografia relativa al carme 2, 9 si vedano PIERI, 2013, p. 210 nt. 9. e HARRISON 2017, pp. 117 sgg. 26ROMANO 1991,p.667.
C.VALGIO RUFO
183
tempo Valgio piange il giovinetto Miste27, che gli è stato strappato. È a questo punto che Orazio
innesta, sullo schema consolatorio, spunti caratteristici dell’elegia romana, inserendo gli esempi mitici di Nestore, che piange la morte di Antiloco, e della famiglia di Priamo, che piange la morte di Troilo: persino le loro lacrime per la straziante perdita dei figli pian piano si asciugarono, nel corso di una lunga vita. Allo stesso modo, è il momento che anche Valgio superi la perdita e decida di andare avanti.
L’interpretazione tradizionale del carme è quella secondo la quale Miste sarebbe stato portato via da un crudele e prematuro destino di morte. L’ipotesi è contestata in particolare da Quinn, secondo cui Miste non sarebbe morto, ma avrebbe abbandonato Valgio per un altro amante28. Al di
là di questo, però, gli ultimi versi svelano quello che è probabilmente il reale intento di Orazio: il poeta invita Valgio ad abbandonare i lamenti per il suo amore perduto per dedicarsi piuttosto alla celebrazione delle gesta del grande Augusto. Quello che sembrerebbe un consiglio «unsympathetic» di fronte alla morte del giovane, si potrebbe spiegare, a questo punto, interpretando l’ode come un invito a dedicarsi a un genere letterario più impegnato, mettendo da parte i lamenti per la perdita di Miste, ossia i flebiles modi della poesia elegiaca29. In modo affine, ad esempio, alla decima ecloga
virgiliana, rivolta a Cornelio Gallo, il carme assumerebbe, dunque, un significato metaletterario, rappresentando «un capitolo della ben nota polemica oraziana contro l’elegia»30.
Il riferimento ai flebiles modi (v. 9) è, del resto, piuttosto comune per alludere al genere elegiaco31. Senza andare troppo lontano, basti pensare al componimento di Domizio Marso in morte
di Tibullo32: mentre Virgilio canta regia bella forti pede, Tibullo è colui qui fleret molles amores elegis.
Alla poesia elegiaca sono connesse in entrambi i casi le sfere del lamento (cui rimandano il verbo flere in Marso e l'aggettivo flebilis in Orazio, dalla medesima radice) e della dolcezza amorosa (molles amores in Marso e molles querellae, ai vv. 17-18 del carme oraziano).
Valgio sarebbe stato, dunque, autore di componimenti elegiaci dedicati all'infelice amore omoerotico per il giovinetto Miste. Interpretando l'ode in chiave metapoetica, si potrebbe forse anche ipotizzare che gli amores del v. 11 alludessero al titolo della perduta raccolta elegiaca, come nella decima ecloga di Virgilio, in cui il termine ricorre quattro volte in fine di verso, designando gli Amores di Cornelio Gallo33.
Per quanto concerne la datazione, possiamo indicare il 27 a.C. come sicuro terminus post quem per la composizione dell'ode: nel componimento, infatti, leggiamo Caesar Augustus (vv. 19-20), titolo 27 Il nome Miste (da μύστης, che significa "iniziato ai misteri") ha indotto a ipotizzare che si trattasse di uno schiavo di origine greca (CITTI 1996, pp. 814-815), un puer delicatus, come suggerisce Porfirione nel suo commento all'ode (vd. test. 4). Secondo HARRISON 2013, p. 381 sarebbe piuttosto una persona ficta. Da tempo accantonata l'ipotesi di BÜCHELER 1965, p. 436, secondo cui sarebbe stato possibile identificare Miste con un figlio dello stesso Valgio (contra PASQUALI 1964, pp. 257- 258). Si ricorda, infine, la fantasiosa proposta di identificazione, avanzata recentemente da KRONENBERG 2019, pp. 57-69, con Cornelio Gallo, morto nello stesso periodo a cui si data il carme oraziano.
28 QUINN 1963, 160 sgg. Sulle due diverse letture e sull’interpretazione non realmente drammatica del carme, si veda MURGATROYD 1975, pp. 69-71. Originale la posizione di HOLZBERG 2008, pp. 25-26, secondo il quale l'abbandono di Miste sarebbe dovuto al suo passaggio all'età adulta: in questo senso si potrebbero interpretare gli hispidi agri dei vv. 1-2. Per una recente disamina della questione, cfr. PIERI 2013, pp. 212-216, che insiste sull'interpretazione in chiave metapoetica dell'ode. 29ROMANO 1991,p. 667.
30 PIERI 2013, p. 215.
31 Cfr. Hor. carm. 1, 33, 2-3; Tib. 1, 4, 71 sgg.; Prop. 1, 18, 6 e 29; Ov. am. 3, 9, 3.
32 Si veda anche Hor. carm. 1, 33, 2-3 (miserabilis…elegos), sempre in riferimento a Tibullo. 33 Cfr. PIERI 2013, p. 216.
C.VALGIO RUFO
184
che Ottaviano acquisisce proprio nel gennaio di quell’anno. Per essere più precisi, è possibile che il riferimento ai nova tropaea (vv. 18-19) alluda alla spedizione cantabrica, avvenuta fra il 26 e il 25 a.C.34
Valgio è citato anche nell'esegesi di Porfirione al carme oraziano35: il commentatore afferma
che Orazio gli dedicò l'ode 2, 9 a seguito della sofferta perdita di Miste, puer delicatus: Valgio è indicato in modo generico come consularis, titolo con cui si designavano coloro che avevano ricoperto il consolato, anche se aveva raggiunto il vertice del cursus honorum diverso tempo dopo la composizione dell'ode, ossia nel 12 a.C. Nonostante si trattasse di una carica che, nel corso del principato, aveva perso gran parte del suo peso politico, va tuttavia sottolineato che fu l’unico membro della gens Valgia a noi noto e il solo poeta dei circoli di Mecenate e Messalla a rivestire questa magistratura36.
Un'ulteriore testimonianza relativa all'attività poetica di Valgio proviene dal Panegyricus Messallae37, un componimento anonimo in esametri, tramandato all’interno del terzo libro del Corpus
Tibullianum e di datazione molto incerta: se l'ipotesi tradizionale ne colloca la composizione al tempo del consolato di Messalla Corvino, ossia intorno al 30 a.C., diversi studiosi suggeriscono una datazione ben più tarda, dopo la metà del I sec. d.C.38
L’anonimo autore annovera Valgio fra i poeti più vicini a Messalla, inserendolo nel contesto di una tipica recusatio: a lui è lasciato l'impegnativo compito di cantare, con tono elevato, la grandezza del patronus, dato che nessuno potrebbe avvicinarsi di più all’aeternus Homerus39. Questo
paragone illustre si potrebbe accostare ad alcuni passi di età imperiale e tardo-antica in cui è Virgilio a essere confrontato con Omero. Si veda, ad esempio, [Verg.] Catal. 15, 2: Homereo non minor ore fuit.40
Accordando affidabilità al testimone, potremmo ipotizzare che Valgio fosse, come Omero e come Virgilio - pur considerando l’inevitabile grado di esagerazione del panegirico - poeta epico41.
È possibile che abbia scritto dei versi nei quali celebrava le gesta di Messalla, magari in occasione del consolato42 o del trionfo che ne seguì, intorno al 27, a seguito della spedizione contro gli Aquitani.
D’altro canto, però, alla luce dell'ipotesi secondo cui si tratterebbe di un componimento spurio di epoca successiva e, quindi, non completamente attendibile, la notizia relativa alla produzione epica di Valgio è stata messa in discussione43. Non abbiamo, del resto, altre
testimonianze che ci consentano di annoverarlo fra gli autori epici di età augustea. Non è escluso che l'ignoto panegirista avesse in mente il carme 2, 9, in cui Orazio invitava l’amico a celebrare le gesta di Augusto, e che avesse dedotto per autoschediasmo che Valgio fosse anche autore di ἔπος44.
34NISBET-HUBBARD 1978,p. 138;ROMANO 1991,p. 667. 35 Vd. test. 4.
36HOLLIS 2007,p.290. 37 Vd. test. 2.
38 Cfr. TRÄNKLE 1990, p. 183; DE LUCA 2005, pp.10 sgg. contro l’ipotesi tradizionale di una datazione intorno al 30 a.C. (vd. anche COLETTA 1984,pp.226-235;LENAZ 2000, pp. 94 sgg.)
39 Per il nesso aeternus Homerus cfr. Ov. Pont. 2, 10, 13. 40 DE LUCA 2005,p. 117.
41ROMANO 1991,p.666;HOLLIS 2007,p.290. 42HOLLIS 2007,p.290.
43 Vd. ad es. HOLZBERG 2008, p. 24; cfr. PIERI 2013, p. 209 e nt. 2. 44WEICHERT 1830,pp.213-216;DE LUCA 2005,p.116.
C.VALGIO RUFO
185
Non sembra, comunque, che ci sia ragione di mettere in dubbio l'appartenenza del nostro poeta al circolo di Messalla, che sembra riunisse, rispetto a quello di Mecenate, personalità di status sociale più elevato45.
Il legame con Messalla potrebbe essere confermato, inoltre, da una lettera a Lucilio46, in cui
Seneca si sofferma brevemente sull’Etna, ricordando che sia Valgio che Messalla lo definirono unicus. Entrambi avrebbero dato la medesima definizione del vulcano, poiché Seneca afferma esplicitamente apud utrumque enim legi. Non sembra accettabile dal punto di vista testuale un’altra interpretazione47, secondo cui l'autore non sarebbe riuscito a ricordare esattamente quale dei due lo
avesse scritto.
Nelle righe che seguono, l’autore si chiede perché l’Etna fosse ritenuto così "unico": non era certo l’unico monte esistente “che vomitasse fuoco”. La soluzione suggerita da Rostagni48 è che esso
fosse considerato anticamente l’origine di tutti gli altri vulcani, opinione a noi nota da Strabone49,
Diodoro50 e dall'anonimo poemetto Aetna51.
Il termine unicum sarebbe, dunque, il solo frammento rimasto di un'altra perduta opera di Valgio, che non sappiamo neppure se fosse in versi o meno. Si è ipotizzato che si trattasse di un poema didascalico sull’Etna52, oppure di un itinerarium in prosa53 o, ancora, di una raccolta di elegie
di viaggio54. Il carattere minimo del frammento induce a grande prudenza, in quanto la menzione
dell’Etna da parte di Valgio potrebbe essere stata del tutto occasionale e non necessariamente inserita in un’opera dedicata al vulcano. È possibile, anzi, che Valgio non spiegasse neppure perché l’Etna sarebbe stato così “unico”, dal momento che Seneca afferma di non comprendere le ragioni della sua presunta unicità.
È interessante, ad ogni modo, che ancora una volta Valgio sia associato a Messalla55. Nisbet
ha suggerito che il poeta lo avesse accompagnato nella campagna militare in Sicilia contro Sesto Pompeo, come avrebbe poi fatto Tibullo in Aquitania56. Si è supposto, inoltre, che Seneca avesse
attinto a una raccolta miscellanea che includeva i componimenti sia dell’uno che dell’altro57.