• Non ci sono risultati.

alla VII legislatura: l’epoca dei «terremoti» elettoral

Nel 1975 la recessione economica è ancora in atto e l’inflazione galoppa. La Confindustria cede alle richieste dei lavoratori e stringe coi sindacati l'accordo del 25 gennaio 1975, con il quale l'indicizzazione della

scala mobile17 viene resa uguale per tutti i livelli di occupazione e tarata sulla base del livello più alto (si tratta del cosiddetto accordo Lama-Agnelli, dai nomi, rispettivamente, del segretario della Cgil e del presidente della Confindustria).

Nel frattempo, la proposta comunista di collaborazione con la Dc e la inesistenza, ormai chiara, di una alternativa di centro-destra orienta molti settori economici ed industriali, ma anche politici, verso un graduale assenso alla nuova prospettiva. Il governo Moro continua la sua attività, raggiungendo anche, tra il dicembre ‘74 e il maggio ’75, alcuni importanti obiettivi (istituzione del Ministero per i beni culturali ed ambientali, abbassamento a 18 anni del limite della maggiore età, varo della nuova legge sul diritto di famiglia, riforma della Rai, approvazione della legge Reale sull'ordine pubblico). Nella Dc, però, Fanfani prosegue per la sua strada, accentuando la polemica con i socialisti e con i comunisti, e puntando sull'aggregazione dell’elettorato moderato per conseguire un successo alle elezioni amministrative previste per il 15 giugno 1975. Mentre il paese è sotto attacco terroristico sia dall’estrema destra che dall’estrema sinistra, la campagna elettorale si svolge in un clima di tensione.

I risultati elettorali segnano una sconfitta della Dc, che cala dal 37,8% al 35,3%, mentre il Pci passa dal 27,9% al 33,4% e il Psi sale di quasi due punti percentuali, attestandosi al 12%. In generale, l’impressione è di uno spostamento a sinistra dell’elettorato, da alcuni paragonato a un «terremoto».18 I risultati delle elezioni amministrative e regionali del 1975,

17 Il meccanismo automatico di adeguamento di salari e stipendi per mantenerne inalterato il potere di

acquisto in presenza di una forte spinta inflattiva.

18 Il responsabile dell’ufficio elettorale del Pci, pochi mesi dopo, scrive un libro dal titolo significativo:

che portano alla costituzione di numerose giunte di sinistra, anche in grandi città, hanno un effetto notevole sul quadro politico; come è stato osservato, esse creano vaste aspettative che però «non potevano essere soddisfatte a livello locale».19

Nella Dc cominciano le manovre per sostituire Fanfani, il quale, però, si presenta al consiglio nazionale del luglio 1975 non dimissionario ma anzi con una relazione che tende a spiegare i motivi della risultato elettorale. Dopo una piccola schermaglia interna al partito, Moro riesce a far eleggere il proprio candidato: è Benigno Zaccagnini, esponente della sinistra Dc. La coppia Moro-Zaccagnini comincia a guidare il partito con un gioco di sponda: mentre il primo cura il problema politico del rapporto col Pci, attenuando la linea di contrapposizione tenuta da Fanfani, il secondo si muove con cautela puntando a rivitalizzare la Dc e ad interpretare il desiderio di adesione ai principi fondamentali del cristianesimo proveniente dal mondo cattolico.

Nel partito socialista, intanto, già dopo il successo nel referendum sul divorzio aveva preso corpo l’ipotesi della «alternativa socialista», ovvero di un cambio della maggioranza alla guida del paese di cui fossero protagonisti Psi e Pci. Pur non essendo in linea con la proposta del compromesso storico, riguardante tutti e tre i grandi partiti italiani, tale ipotesi riprende vigore dopo le elezioni del 1975, che fanno presagire l’eventualità di un ulteriore successo delle sinistre alle venture elezioni politiche. A ciò si aggiunge la diffusione di un certo malcontento all’interno del Psi per l’isolamento cui tende trovarsi il partito, impegnato a sostenere un governo in realtà sempre più orientato, nella prassi corrente, a sviluppare una

partnership con il Pci.

Nel governo, il 7 gennaio 1976 si apre così una crisi, provocata dai socialisti. Moro riesce a dare vita a un altro breve governo, votato dal Psdi e sorretto dall'astensione di Psi, Pri e Pli. Su di esso si abbatte lo scandalo

19

Lockheed,20 mentre lo scenario è caratterizzato da una prolungata crisi economica e valutaria. Il 30 aprile 1976 anche il quinto governo Moro entra in crisi, perché i socialisti tolgono nuovamente il loro appoggio. Il Presidente della Repubblica per la seconda volta in pochi anni, scioglie anticipatamente le camere e convoca le elezioni anticipate.

Le elezioni politiche del 20 giugno 1976 sono precedute da una grande attesa. Berlinguer, nel corso dell'anno precedente, ha intrattenuto relazioni con i leader dei partiti comunisti spagnolo e francese, allo scopo di avviare un'elaborazione politico-ideologica che possa condurre alla definizione di un tipo di comunismo diverso da quello dei paesi del socialismo reale, e cioè un

comunismo caratterizzato da libertà, democrazia, pluralismo e

pluripartitismo: è il progetto politico che viene subito definito «eurocomunismo». Lo stesso Berlinguer, alla vigilia delle elezioni – forse anche con l’intento di fornire rassicurazioni circa la condotta futura del Pci – rilascia al Corriere della Sera una intervista nella quale dichiara di sentirsi più sicuro all’interno della Nato che all’interno del Patto di Varsavia per

«procedere lungo la via italiana al socialismo senza alcun

condizionamento».21 Durante la campagna elettorale da più parti si parla di sorpasso del Pci ai danni della Dc, che alcuni danno per certo.

Il sorpasso però non c’è. Il Pci guadagna ancora consensi, raggiungendo alla Camera il 34,4% dei voti. La Dc però, a sua volta, recupera molti dei voti dispersi alle precedenti elezioni amministrative e si attesta al 38,7% dei suffragi.

Si verifica dunque una forte polarizzazione dell’elettorato: come osserva Aldo Moro, le elezioni hanno due vincitori. Durante la campagna elettorale

20 Lo scandalo riguarda tangenti pagate dall’impresa statunitense Lockheed per facilitare l’acquisto di aerei

militari. La vicenda coinvolge vari paesi tra cui l’Italia, dove lo scandalo esplode sulla stampa nel febbraio 1976. I sospetti cadono su due ex ministri della Difesa (Luigi Gui, democristiano, e Mario Tanassi, socialdemocratico) e su due ex presidenti del Consiglio: Giovanni Leone (democristiano, all’epoca dello scandalo Presidente della Repubblica) e Mariano Rumor (anch’egli democristiano). Dopo il lavoro di due commissioni parlamentari inquirenti, nel febbraio 1977 solo Gui e Tanassi saranno messi in stato di accusa, e quindi ritenuti passibili di giudizio. Il Presidente Leone, benché ritenuto estraneo ai fatti dalla seconda commissione parlamentare, sarà destinatario di notevoli pressioni politiche e rassegnerà le dimissioni il 15 giugno 1978. Il processo Lockheed si svolgerà davanti alla Corte Costituzionale, che nel marzo 1979 assolverà Gui e condannerà Tanassi, oltre ad altri imputati (militari e non).

21 Giampaolo Pansa, Berlinguer conta «anche» sulla Nato per mantenere l'autonomia da Mosca, «Il

il Pci aveva considerato l'ipotesi di andare al governo assieme alla Dc; quest'ultima, viceversa, aveva escluso ogni ipotesi di grande coalizione e grazie anche a questa posizione aveva recuperato parte dei voti moderati. Dopo le elezioni, quindi, appare preclusa la strada di un governo a cui partecipino entrambi i partiti, e si crea una situazione che viene percepita come di emergenza.

La soluzione è individuata nel cosiddetto «governo delle astensioni», un monocolore guidato da Giulio Andreotti e sostenuto dal voto favorevole dalla sola Dc, con l’astensione di Pci, Psi, Psdi, Pri e Pli. Si apre così la stagione della cosiddetta «solidarietà nazionale», giustificata dalla Dc proprio in forza dei risultati elettorali e vissuta dal Pci come un primo passo verso la grande coalizione. Nasce in questo modo, il 31 luglio 1976, il terzo governo Andreotti.

Il governo assume una serie di misure, tra le quali aumenti di imposte e di tariffe e una parallela attenuazione del meccanismo di adeguamento dei redditi tramite la scala mobile. L’insieme dei provvedimenti richiede una presentazione particolare: per questo motivo, su richiesta degli stessi comunisti, Andreotti, in modo inusuale per l’epoca, si presenta in televisione per presentare la manovra al paese.

La nuova fase produce una serie di effetti, destinati a protrarsi negli anni seguenti.

Innanzitutto all'interno del Partito socialista. Alla vigilia delle elezioni il Psi si era dichiarato favorevole all'assunzione di responsabilità di governo da parte dei comunisti. La linea politica della segreteria di Francesco De Martino, dopo il congresso di Genova del novembre 1972, era sempre stata sostanzialmente aperta alla collaborazione col Pci. Il deludente risultato delle elezioni politiche viene interpretato però come il fallimento di questa linea politica e conduce ad un cambio di leadership che porta Bettino Craxi alla segreteria.

Craxi cerca di tutelare l'identità del partito, rigetta l'opposizione irriducibile tra capitalismo e socialismo e rilancia l'idea dell'alternativa socialista. L'attuazione di questa linea politica, però, nella visione di Craxi, implica il ribaltamento dei rapporti di forza con il Pci.

La posizione del segretario si sarebbe rafforzata al congresso socialista di Torino del 1978 e avrebbe dato via a una profonda revisione del bagaglio culturale del partito. In campo economico e sociale il Psi di Craxi si sarebbe avvicinato alle tesi liberiste che avrebbero preso vigore in tutte le democrazie capitalistiche nel passaggio tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80. Circa i rapporti col Partito comunista, inoltre, Craxi avrebbe promosso – soprattutto attraverso la rivista culturale del Psi, Mondo operaio – una iniziativa di critica del marxismo e del socialismo reale tendente a porre in evidenza le contraddizioni delle posizioni democratiche ed europeiste del Pci. Sul piano della tattica politica, l'azione del Psi, sul finire degli anni ‘70, sarebbe stata comunque prudente: ma anche ambigua, perché si sarebbe caratterizzata per la tendenza a evitare lo scontro frontale con il Partito comunista ma pure a lavorare per un logoramento dell'esperienza della solidarietà nazionale.

Gli effetti del voto del 20 giugno si riverberano anche all'interno del sindacato, soprattutto riguardo al rapporto col Pci. Il 15 gennaio 1977, in un convegno al teatro Eliseo di Roma, Berlinguer enuncia la prospettiva dell'austerità. Sulla base di argomentazioni di tipo etico – che lo portano a sottolineare problemi come la fame nel mondo, la trasformazione dell'ambiente, la lotta contro l'inquinamento, l'utilizzo di nuove risorse, la difesa dalle calamità e dalle malattie – il segretario comunista afferma la necessità di un nuovo quadro di valori in cui rigore, impegno, efficienza e giustizia sappiano combinare la trasformazione dell'economia e dello Stato e la lotta contro la disgregazione sociale e morale. In questo ambito, nei mesi successivi il Pci chiede al sindacato di frenare le spinte conflittuali in modo da mettere al riparo l'iniziativa politica del partito. Nonostante un rapporto non facile tra i due partner, i sindacati faranno la loro parte, accettando dal governo Andreotti le fiscalizzazioni, l'abolizione delle festività infrasettimanali e la richiesta di aumentare la produttività. Soprattutto, il 13

e 14 gennaio 1978, all'Eur di Roma, l’assemblea dei consigli generali della federazione unitaria di Cgil,Cisl e Uil stabilirà di chiedere sacrifici ai lavoratori con l'obiettivo di far diminuire la disoccupazione. In quei mesi si porrà così in discussione uno dei capisaldi delle battaglie precedenti, e cioè l'idea del salario come «variabile indipendente», e si aprirà alla possibilità di una riduzione degli organici da parte delle aziende in caso di necessità, maturandosi gradualmente la convinzione che nessuna delle variabili nell'attività imprenditoriale sia, in realtà, indipendente dalle altre.

Ma torniamo ai mesi seguenti le elezioni del 1976. Durante l'inverno del ‘77 aumentano i segnali di agitazione sociale, culminati nei gravi incidenti che si verificano a Roma in febbraio, a Bologna in marzo e nuovamente a Roma in maggio. Sono gli avvenimenti che attestano la nascita di un nuovo movimento sociale, che interessa soprattutto gli ambienti studenteschi e manifesta il proprio disagio in forme talora violente: il cosiddetto «movimento del ’77 ».

In questo contesto si svolge la campagna congressuale per la prima serie di congressi regionali del Pci. L'occasione, anche se proiettata sulla dimensione locale, è naturalmente importante per una verifica della situazione politica generale. La piattaforma congressuale è costituita dalla relazione di Gianni Cervetti al comitato centrale comunista del 13 dicembre 197622 e da un documento che ogni comitato regionale del partito è chiamato ad elaborare in proprio.

Cervetti, responsabile dell’organizzazione del Pci, nella sua relazione affronta tra l’altro alcuni dei temi più sensibili del momento. Anzitutto la posizione in cui si trova il Pci, che deve essere contemporaneamente «partito di lotta e partito di governo» e che è chiamato ad «aprire una fase nuova» nella propria vita. Poi il tema delle alleanze politiche, a proposito delle quali il dirigente comunista ribadisce che solo un governo fondato sull'unità di tutte le forze democratiche può condurre il paese fuori dalla crisi.

22

Nonostante alcuni importanti risultati ottenuti negli enti locali, nelle regioni e nell’attività parlamentare (la legge sul regime dei suoli, il trattato di Osimo, la legge per la riconversione industriale, la legge sull'aborto), è necessario che i partiti democratici sviluppino un'intesa più generale, anche in materia di politica economica.

Cervetti auspica inoltre una maggiore efficienza del partito. A questo proposito sottolinea, tra l’altro, due aspetti

Innanzitutto stabilisce una connessione stretta tra efficienza politica e sviluppo della democrazia interna al partito, valutando positivamente il massiccio rinnovamento avvenuto negli organismi dirigenti di livello federale (pari a quasi il 40%) e sottolineando l'importanza della circolazione delle informazioni, della partecipazione alle decisioni, della conoscenza della realtà e della diffusione dei principi di critica e libera espressione delle opinioni.

Inoltre – dopo avere espresso la convinzione che, nonostante alcune opinioni tendenti a riscontrare «oscillazioni» e «sbandamenti» nel partito, l’orientamento dei militanti sia «assai saldo» – richiama la necessità di verificare che tutte le organizzazioni del partito e in particolare le sezioni «abbiano chiare le linee direttrici» da seguire. Rileva infatti che negli anni immediatamente precedenti molti iscritti sono stati chiamati ruoli di direzione negli enti locali e nelle altre assemblee a partecipazione democratica, e ciò ha impoverito gli organi dirigenti del partito, comportando un appiattimento della discussione e della elaborazione collettiva, e una riduzione della funzione svolta dal partito. Da tale constatazione discende la sottolineatura dell’importanza di una politica di formazione dei quadri di partito.

Il documento elaborato dal Comitato regionale Emilia-Romagna23 riprende i temi più importanti della relazione di Cervetti. A proposito della democrazia interna al partito, ribadisce la necessità di promuovere la circolazione e il confronto delle idee; circa il ruolo «di lotta e di governo»

23 Pci - Comitato regionale Emilia-Romagna, Primo congresso regionale. Documento congressuale, 27

del Pci invita ad acquisire una visione di «portata» regionale e ad abbandonare le persistenti visioni municipalistiche e settoriali che ostacolano il pieno dispiegamento dell'azione di governo; riguardo alla politica unitaria con gli altri partiti rivendica la consolidata tradizione regionale di convivenza civile e la «ricchissima esperienza di vita democratica» dei precedenti trent'anni, auspicando che il congresso faccia emergere lo specifico contributo dell’Emilia-Romagna per «un progetto di rinnovamento che faccia uscire il paese dalla crisi».

Sul piano organizzativo, il documento ricorda poi, tra l’altro, il nuovo ruolo attribuito ai comitati regionali, strutture intermedie tra il vertice nazionale e le federazioni. I comitati regionali dovranno «assumere i compiti e il ruolo di vera e propria istanza di direzione politica, come sancito nello statuto approvato dal XIV Congresso» e ad essi saranno decentrate funzioni del comitato centrale e della direzione nazionale, al fine di sviluppare una dimensione regionale della elaborazione e dell’iniziativa politica, «superando ogni separazione e chiusura».

I gravi problemi di ordine pubblico e gli avvenimenti di Roma e soprattutto di Bologna esercitano una notevole influenza sulla campagna congressuale, soprattutto nella sua parte finale. Al congresso regionale di Bologna – che si tiene dal 14 al 17 aprile 1977 e si conclude con l’intervento di Berlinguer – si conferma la linea di difesa ad oltranza delle istituzioni democratiche e dello Stato da parte del Pci, che si caratterizza in quelle settimane come «partito d’ordine» e si contrappone con nettezza al movimento del ’77.

Anche a fronte di questi avvenimenti, aumentano le pressioni del Pci per la realizzazione di un accordo programmatico tra i sei partiti che sostengono il governo. Scopo del programma è fornire una serie di indicazioni delle quali il governo, pur non coinvolto nella stesura del documento, dovrebbe tener conto. All’inizio dell’estate l’accordo viene finalmente raggiunto. Esso riguarda vari settori (ordine pubblico, economia,

enti locali, scuola e università, informazione) e contiene generici propositi di riforma; tra l’altro, però, riconosce la necessità, allo scopo di ridurre drasticamente l'inflazione, di una politica economica deflazionistica, articolata su tagli alla spesa pubblica, trasferimenti di risorse dai consumi agli investimenti, contenimento dei costi di produzione (e quindi, in parte, anche dei salari). L’iniziativa è un indubbio successo del Pci, che si dispone a controllarne l’attuazione in Parlamento. D’altra parte, l’accordo programmatico rinfocola la discussione in seno alla Dc, perché riporta all’ordine del giorno il tema dell’inclusione del Pci nel governo.

I presupposti sono creati da una serie di avvenimenti. Berlinguer, a Mosca per le celebrazioni del 60º anniversario della Rivoluzione d'ottobre, ribadisce la linea filo occidentale del Pci. In quegli stessi mesi, i capigruppo parlamentari comunisti firmano assieme agli altri partiti una mozione in cui riconoscono essere fondamentali riferimenti della politica estera italiana il patto Atlantico e la Comunità economica europea (Senato, seduta del 19 ottobre 1977; Camera, seduta del 1 dicembre 1977). Dalla Dc, intanto, pervengono i segni di apertura sia di Moro che di Fanfani. I tempi sono ormai maturi: e il 15 dicembre Berlinguer chiede esplicitamente un governo d'emergenza con i comunisti, aprendo virtualmente la crisi del terzo governo Andreotti, che si dimette il 16 gennaio 1978.

Moro, principale interlocutore di Berlinguer, seguendo un tratto distintivo del suo modo di fare politica, si adopera perché la Dc resti unita e nel partito non si verifichino spaccature. Il discorso che il 28 febbraio 1978 Moro tiene ai gruppi parlamentari democristiani è improntato alla cautela, nel chiaro intento di ottenere il consenso delle frange più restie della Dc all'accoglimento dei comunisti nella maggioranza. La cautela di Moro influisce sulla composizione del nuovo esecutivo. Dopo una lunga trattativa, si forma infatti un governo praticamente identico al precedente e sempre presieduto da Andreotti, nonostante sia quest’ultimo che il segretario Dc Zaccagnini fossero favorevoli a rinnovarne la composizione. L’unica novità consentita è il voto favorevole del Pci in luogo dell’astensione: la circostanza crea forti malumori tra i dirigenti comunisti, Berlinguer

compreso, e, ancora alla vigilia del voto di fiducia, il sostegno del Pci al nuovo governo non appare affatto scontato.24

Sulla situazione si abbatte l’evento che, secondo un’opinione ormai consolidata, rappresenta un tornante storico per la storia d’Italia: il rapimento di Aldo Moro da parte delle Br. Il 16 marzo 1978 il governo viene varato in tutta fretta con un ampio consenso parlamentare, per consentire al paese di avere subito una guida nel difficile momento. Inizia così il lungo calvario che porterà, il 9 maggio, all’uccisione di Moro.

Già durante i giorni del rapimento i rapporti tra Democrazia cristiana e Partito comunista si fanno più tesi. Pochi giorni dopo l'assassinio di Moro, il 14 maggio 1978, si svolgono delle elezioni amministrative parziali che interessano circa 4 milioni di cittadini. Il Pci subisce un arretramento consistente – perdendo praticamente tutte le posizioni di vantaggio acquisite in precedenza – la Dc registra un successo mentre il Psi, pur confermando la

performance raggiunta nelle precedenti elezioni amministrative, recupera

notevolmente rispetto al 1976. La tendenza che emerge è chiara: sia il Psi che le formazioni di sinistra alternative al Pci recuperano terreno; la Dc, che ha impostato la campagna elettorale battendo sul tasto dell'anticomunismo, ottiene un risultato lusinghiero e sembra avere superato la crisi degli anni precedenti.

Intanto, gli effetti dello scandalo Lockheed, scoppiato due anni prima, attingono la Presidenza della Repubblica. Una serie di persone vicine al