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congresso nazionale del Pci (Roma, 30 marzo-3 aprile 1979)

In vista del congresso generale previsto per la primavera del 1979, anziché, come nei due congressi precedenti, proporre come piattaforma politica del congresso una relazione del segretario, la direzione nazionale del Pci decide di sottoporre alla riflessione del partito un «progetto di tesi». Si tratta, per quanto attiene alla forma, di un ritorno al metodo utilizzato al XII congresso del 1969 e in altre precedenti occasioni. Il progetto consta di 91 tesi che riassumono la linea politica del partito.26

25 Perché il Pci esce dalla maggioranza, «l’Unità», 27 gennaio 1979. 26

Il documento analizza anzitutto la crisi storica del sistema capitalistico e imperialistico, che si prolunga e si aggrava. Nei paesi capitalistici, in un contesto complessivamente positivo, si allargano fenomeni come l'emarginazione sociale, la criminalità, la droga; la vita si disumanizza sempre più; incombono «pericoli di imbarbarimento.» La salvezza dell'umanità dipende dall'affermazione dei principi della coesistenza pacifica e di una cooperazione tra i diversi stati. La lotta per un nuovo assetto mondiale fondato sulla pace chiama l'Europa occidentale a svolgere un ruolo da protagonista.

I comunisti sono favorevoli al superamento graduale della divisione dell'Europa in blocchi militari contrapposti. Però questo processo

può avvenire a condizione che si evitino rotture unilaterali degli attuali equilibri: esse complicherebbero, anziché agevolare, il processo della distensione. Da ciò deriva la necessaria permanenza dell'Italia nell'alleanza atlantica, che deve operare a fini esclusivamente difensivi nel preciso ambito geografico per cui è stata creata. L'Italia, all'interno della Nato, non deve rinunciare all'esercizio libero e responsabile della sua autonoma iniziativa, alla lotta contro posizioni oltranziste e aggressive.

Passando alla situazione economica mondiale, nel progetto di tesi si afferma che l’alternanza di cicli espansivi sempre più brevi e di crisi sempre più prolungate impone, soprattutto ai paesi europei, «mutamenti di fondo nei modi di vita e nell'organizzazione sociale e politica». Non si possono espandere a dismisura i consumi individuali, servono un uso più razionale delle risorse e una politica di austerità.

Vi sono quindi le condizioni per una collaborazione tra le forze che si ispirano agli ideali socialisti, le forze progressiste e quelle del mondo cristiano e cattolico al fine di realizzare un profondo rinnovamento, consistente in una trasformazione socialista ottenuta attraverso percorsi diversi da quelli seguiti nell'Unione sovietica e negli altri paesi socialisti.

In questo senso parliamo, per quanto riguarda l'Europa, di una terza via. […]

La riflessione dei comunisti italiani si è incontrata negli ultimi anni con quella che andavano compiendo in modo autonomo altri partiti comunisti dell'Europa occidentale e di paesi come il Giappone. Pur nella diversità storiche e di orientamento in cui essi operano, si è venuta affermando la convinzione comune che la lotta per il socialismo e la

sua costruzione debbano attuarsi nella piena espansione della democrazia e di tutte le libertà. È questa la scelta dell'eurocomunismo.

Il Pci non concepisce l'eurocomunismo come un movimento che si contrappone ai partiti comunisti e alle forze rivoluzionarie e progressiste di altri paesi e continenti o che pretende di indicare soluzioni universalmente valide. La realtà del movimento mondiale di emancipazione è policentrica.

Anche nel rapporto tra i partiti comunisti, si precisa, deve essere stabilito «un costume di rigoroso rispetto dell'indipendenza ed autonomia di ciascun partito. Deve essere esclusa ogni forma di ingerenza, diretta o indiretta, nella vita interna dei partiti.»

Il documento passa poi ad analizzare la crisi italiana. In Italia la trasformazione democratica e socialista è resa necessaria dalla crisi di fondo che da anni investe il paese ed è resa possibile dalla maturità del movimento operaio. «La democrazia politica si presenta […] come la forma istituzionale più alta di organizzazione di uno Stato, anche di uno Stato socialista.» Ma per superare le contraddizioni del capitalismo è necessario attuare una programmazione democratica dell'economia, basata su una politica di austerità che sia proposta al paese su una base di consenso più ampio di quello di una semplice maggioranza.

L'austerità che noi proponiamo non è un ideale di povertà, e nemmeno un ritorno a forme di vita arcaiche. Essa è lo strumento per soddisfare […] le essenziali richieste dei singoli e della collettività, contro ogni forma di distorsione dei consumi, di dissipazione di risorse, di esaltazione di falsi valori.

La crisi italiana presenta caratteri peculiari, ed è operante sul piano economico, sociale ed anche morale. La situazione economica è contraddittoria, per la presenza di aspetti positivi ma anche di aspetti negativi. Dal punto di vista sociale sono in atto modificazioni importanti e, in questo campo, la crisi ha effetti dirompenti. Nascono o aumentano contraddizioni all'interno della popolazione: la principale è quella tra occupati disoccupati, e fra classe operaia e altri strati della società. La divisione Nord-sud è particolarmente grave, anche perché può favorire lo sviluppo di orientamenti antioperai e antisindacali tra le masse popolari del

mezzogiorno. La crisi esaspera inoltre tutti gli aspetti della condizione femminile ed anche questo rischia di impedire che i problemi femminili trovino uno sbocco positivo in una trasformazione democratica di tutta la società. E pure il grande potenziale democratico rinnovatore rappresentato dai giovani rischia di andare disperso, per la possibile deriva verso «una rivolta disperata e violenta» oppure il riflusso verso la sfiducia nella politica.

Più in generale, emergono in tutta la società spinte corporative e particolaristiche di varia natura, sostenuti e stimolate da gravi posizioni demagogiche. Ciò alimenta contrapposizioni e conflittualità anche fra settori di lavoratori, al fondo delle quali potrebbe esservi una comune sconfitta. In questo quadro si manifestano anche fenomeni, pur differenti fra regione e regione, di spinte localistiche, autonomistiche, particolaristiche di cui bisogna capire cause ed origini. […] È necessario coglierne gli elementi positivi, di reazione alle manipolazioni della grande industria culturale, ma anche i pericoli che potrebbero derivare dall'azione di quei gruppi economici e sociali che puntano alla rottura di un disegno unitario e di una visione nazionale dei problemi.

La crisi italiana – prosegue il documento congressuale – non è ancora superata. Emergono infatti fenomeni di disgregazione e di disordine che possono «preparare il terreno a involuzioni autoritarie». Esigenze fondamentali per il paese sono una programmazione democratica e uno sviluppo della democrazia basata sulla partecipazione, anche nelle decisioni che riguardano il processo produttivo. Parallelamente, la riforma dello Stato, che permette il massimo di partecipazione e di controllo da parte dei cittadini, è il passaggio obbligato per ogni politica di programmazione e per una nuova efficienza del potere pubblico democratico. Ed anche la lotta contro il terrorismo, in tutti i suoi aspetti, «è interesse fondamentale del movimento operaio e quindi impegna in primo luogo i militanti comunisti, e va condotta costantemente, con l'iniziativa politica e con la più ferma ed intransigente battaglia di idee.»

Per addivenire a tutti questi risultati – si afferma nelle tesi – è quindi necessario proseguire sulla strada della politica di solidarietà nazionale. Bisogna che la politica di unità «si radichi più profondamente nella coscienza delle masse popolari; diventi volontà e impegno di lotta». Ma l'unità sarà efficace se ogni partito esprimerà le proprie posizioni in modo

attivo mantenendo, nel contempo, l'intendimento di realizzare gli obiettivi che saranno posti alla base di intese e programmi comuni.

Il Pci ribadisce la giustezza della linea adottata dopo il 20 giugno. Occorre però registrare difficoltà oggettive e resistenze che il nuovo corso politico ha incontrato. La formazione della nuova maggioranza non ha comportato un «mutamento tempestivo e reale» nella vita e nel governo del paese: «anche perché, all'interno stesso della maggioranza, agiscono forze che puntano al logoramento dei rapporti tra il Pci, le masse lavoratrici e popolari, l'opinione pubblica.

Nella primavera del 1979, al XV congresso nazionale – ormai in campagna elettorale – Berlinguer ribadisce la linea contenuta nelle tesi e sostiene la necessità di proseguire l’esperienza della solidarietà nazionale per portare il paese fuori dalla crisi. Il congresso, però, stabilisce pure che non sarebbe più stato concesso l’appoggio parlamentare a un governo senza una partecipazione diretta allo stesso.

La fine della solidarietà nazionale e la transizione agli anni Ottanta

Durante l’esperienza della solidarietà nazionale l'attività legislativa del Parlamento era stata intensa e aveva portato a compimento il ciclo di riforme iniziato all’inizio degli anni ‘60 con i primi governi di centro- sinistra. I principali interventi riguardavano: la definizione dell'assetto delle regioni, anche se in assenza di una riforma della pubblica amministrazione (fatto che renderà la politica regionale principalmente una forma di «redistribuzione del potere pubblico all'interno del sistema politico»27); la finanza degli enti locali, ai quali si consentiva di appianare i debiti accumulati (con le banche e con la Cassa depositi e prestiti) attraverso la concessione di mutui che

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sarebbero andati poi a gravare sul bilancio dello Stato; la facilitazione dell'assunzione temporanea dei giovani presso le amministrazioni pubbliche (in seguito le assunzioni da temporanee sarebbero divenute permanenti, provocando l'ingresso di un vasto numero di persone nella pubblica amministrazione); la riforma sanitaria, con l’introduzione del Sistema sanitario nazionale articolato in Unità sanitarie locali; l’affidamento dell'assistenza sociale ai comuni, con la liquidazione degli enti inutili; la materia urbanistica, per la quale erano stati emanati ben tre provvedimenti (e cioè la legge Bucalossi, che riservava ai poteri pubblici il diritto di edificare, la legge sull'equo canone e il piano decennale dell'edilizia, mirante al risanamento del patrimonio edilizio esistente). Non tutte le riforme avrebbero funzionato correttamente, e – talvolta abbandonate a sé stesse – sarebbero andate incontro a fenomeni degenerativi, anche a causa dell’impianto consociativo della loro strumentazione operativa. In particolare, in campo sanitario la mancanza di un piano nazionale in grado di regolare i livelli di prestazione avrebbe favorito la lievitazione dei costi, innescando in breve tempo una serie di provvedimenti limitativi come l’adozione del «ticket» sulla spesa farmaceutica – introdotta già nell'agosto 1978 – e altre analoghe misure.28

Alle elezioni politiche del 3 giugno 1979, però, questo insieme di risultati non basta al Pci per conservare i consensi guadagnati negli anni precedenti. Alla Camera – mentre la Dc accusa una lieve flessione (passando dal 38,7% al 38,3%) e il Psi un leggero aumento (dal 9,6% al 9,8%) – i comunisti subiscono una secca sconfitta, passando dal 34,4% al 30,4% e perdendo quasi un milione e mezzo di voti. Il partito perde di più dove di più aveva guadagnato, a riprova del fatto che le aspettative deluse sono la base dell’insuccesso. I suffragi «in uscita» divengono verosimilmente astensioni o consensi al Partito Radicale, che ottiene un buon risultato e inaugura una tradizione di «voto difforme» che avrebbe provocato in seguito altri fenomeni di dispersione del voto. Già nel 1979 inoltre cresce

28 Per una dettagliata, e critica, ricostruzione delle riforme varate nel periodo della solidarietà nazionale:

l’astensionismo, da interpretare come espressione di sfiducia verso il rito elettorale e verso il sistema dei partiti, ritenuti inadeguati a dare risposte ai bisogni dei cittadini.

Con la sconfitta del Pci alle politiche del 3-4 giugno 1979 il sistema politico ritrova la sua tradizionale stabilità attorno ad un assetto sostanzialmente centrista.

Dopo le elezioni del ’79 i due partiti maggiori si allontanano sempre più, mentre lo scenario italiano è caratterizzato dalla aggressività del terrorismo (di destra e di sinistra), dalla relativa debolezza dei governi, che durano solo pochi mesi (due governi guidati da Francesco Cossiga e un governo guidato da Arnaldo Forlani si succedono tra l’agosto 1979 e il maggio 1981) e da reiterati scandali, che fanno lievitare nell’opinione pubblica la cosiddetta «questione morale».

In seno alla Dc si manifesta la tendenza a ricostruire un rapporto con i socialisti per una alleanza di governo. Nel febbraio 1980, al XIV congresso nazionale della Dc, Zaccagnini cede la segreteria a Ciriaco De Mita. Il congresso è preceduto da un accordo, il cosiddetto «preambolo», che esclude ogni ulteriore possibilità di collaborazione con i comunisti.

Alla fine del 1980, in occasione del terremoto in Irpinia, il Presidente della Repubblica Pertini, recatosi in visita sui luoghi del disastro, si rende protagonista il 26 novembre (in televisione) di una veemente denuncia delle responsabilità del governo per il ritardo nei soccorsi. Due giorni dopo, la direzione comunista rende noto un comunicato nel quale si indica nella questione morale la «questione nazionale più importante» e si chiede «un cambiamento radicale nella guida politica del paese» indicando nel Pci la forza che può essere garanzia di un governo che esprima le energie migliori della democrazia italiana. È la cosiddetta svolta dall'alternativa democratica, con la quale Berlinguer abbandona definitivamente l'ipotesi della collaborazione con la Dc.

Dopo l'esperienza della solidarietà nazionale, quindi, i due maggiori partiti adottano una linea politica di esclusione reciproca: ciò comporta un

aumento del peso politico dei partiti intermedi, che si trovano ad avere un’influenza decisiva nella formazione delle maggioranze

Fino ad allora questo potere di coalizione si era comunque in qualche modo esercitato, sempre, però, nell'ambito di una permanente aggregazione al centro, all'interno della cosiddetta area della legittimità, ovvero del gruppo di partiti che – soli – erano autorizzati a governare. Da quel momento in poi, però, dopo la legittimazione dei comunisti tramite l'esperienza della solidarietà nazionale, il potere di coalizione aumenterà il proprio carattere dirompente perché il centro diverrà uno spazio di conflittualità per la conquista del potere e non più un punto di aggregazione politica.

In effetti, le vicende successive dimostrano esattamente questo. Dopo la formulazione delle due clausole di reciproca esclusione tra i maggiori partiti, per la prima volta dal secondo dopoguerra la Dc perde la Presidenza del Consiglio, che nel giugno 1981, a dimostrazione del potere acquisito dai partiti intermedi, viene affidata al repubblicano Giovanni Spadolini. Anche la lunga durata del governo Craxi, che nasce dopo le elezioni (ancora una volta anticipate) del 1983, deve essere collocata in questo contesto. Nel sistema politico, ormai, il peso elettorale non è più un elemento decisivo; inoltre, le competizioni elettorali sono progressivamente svuotate di significato, perché «partiti sempre più simili l'uno all'altro si contendono ormai il consenso degli elettori per farlo valere nei loro reciproci rapporti ai fini della definizione del rispettivo potere.»29

Siamo negli anni Ottanta.

29 Pietro Scoppola, La Repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico 1945-1996, Bologna,

Tabella 1.1 – I governi in Italia dal 1968 al 1983

Fonte: Raffaele Romanelli (a cura di), Storia della Stato italiano dall’Unità ad oggi, Donzelli, Roma, 1995

Legislatura Governo Partiti che votano la fiducia

Data di formazione del governo Data di dimissione del governo Durata (giorni)

V Leone II Dc 25 giugno 1968 19 novembre 1968 147 Rumor I Dc Pri Psu 13 dicembre

1968 5 luglio 1969 204 Rumor II Dc 6 agosto 1969 7 febbraio 1970 185 Rumor III Dc Psi Psdi Pri 29 marzo 1970 6 luglio 1970 99 Colombo Dc Psi Psdi Pri 6 agosto 1970 15 gennaio 1972 527

(Andreotti I) (Dc) 18 febbraio 1972 26 febbraio 1972 8

VI Andreotti II Dc Psdi Pli 26 giugno 1972 12 giugno 1973 351 Rumor IV Dc Psi Psdi Pri 9 luglio 1973 2 marzo 1974 236 Rumor V Dc Psi Psdi 14 marzo 1974 10 giugno 1974 88 Rumor V bis Dc Psi Psdi 13 giugno 1974 3 ottobre 1974 112 Moro IV Dc Pri 23 novembre

1974 7 gennaio 1976 410 Moro V Dc 12 febbraio 1976 30 aprile 1976 78

VII Andreotti III Dc 31 luglio 1976 16 gennaio 1978 534 Andreotti IV Dc 11 marzo 1978 31 gennaio 1979 326

(Andreotti V) (Dc Psdi Pri) 21 marzo 1979 31 marzo 1979 10

VIII Cossiga I Dc Psdi Pli 5 agosto 1979 19 marzo 1980 227 Cossiga II Dc Psi Pri 5 aprile 1980 27 settembre 1980 175 Forlani Dc Psi Psdi Pri 18 ottobre 1980 26 maggio 1981 220 Spadolini I Dc Psi Psdi Pri Pli 28 giugno 1981 7 agosto 1982 405 Spadolini II Dc Psi Psdi Pri Pli 23 agosto 1982 13 novembre 1982 82 Fanfani V Dc Psi Psdi Pli 1 dicembre 1982 29 aprile 1983 149 Note:

PSU = Partito socialista unificato, nato dalla fusione di Psi e Psdi. In corsivo e fra parentesi i governi che non ottengono la fiducia. Date delle elezioni politiche:

 per la V legislatura, 19 maggio 1968;

 per la VI legislatura, 7 maggio 1972;

 per la VII legislatura, 20 giugno 1976;

Capitolo 2

La macchina del partito

I principali elementi della struttura organizzativa periferica del Pci

La struttura organizzativa del Pci trova un propria definizione nello statuto del partito. Questo documento fondamentale subisce nel corso degli anni una serie di modificazioni nelle quali si rispecchia la dialettica tra «tendenza all’innovazione» e «continuità rispetto al passato» che ha lungamente caratterizzato la storia del Pci. Per le vicende degli anni Settanta acquisiscono particolare rilevanza due momenti di revisione dello statuto collocati a considerevole distanza di tempo.

Il primo di questi momenti risale addirittura al 1956, quando, nel corso dell’VIII Congresso nazionale, è approvato un nuovo statuto che rimane sostanzialmente in vigore, nelle sue linee essenziali, per più di un ventennio. Durante questo periodo sono apportate al testo leggere modifiche, tendenti a consolidare il ruolo dei Comitati regionali – che divengono il tramite principale attraverso cui gli organi dirigenti nazionali si collegano alle organizzazioni periferiche – ma restano operanti i collegamenti diretti tra il centro e le federazioni, organizzate tipicamente su scala provinciale.

Il secondo momento di revisione è al termine degli anni Settanta, quando, al XV Congresso nazionale del 1979, è approvato un nuovo statuto che apporta numerose modifiche al precedente. Nel documento sono

sostanzialmente recepiti gli esiti del processo di elaborazione e ridefinizione della linea politica del partito compiutosi negli anni ’70, cui la pubblicistica dell’epoca attribuì il nome di «eurocomunismo»1

. Nello statuto del 1979, a differenza dei precedenti, si profila una «nazionalizzazione» del partito (attraverso la presentazione dell’esperienza politica concreta svolta dal Pci come importante fattore di unificazione nazionale); inoltre, si inserisce una compiuta formulazione del principio della democrazia politica, in ossequio alla quale si rifiuta qualsiasi modello esterno e si propone un percorso autonomo dei comunisti italiani per la costruzione di una società socialista.

Pur rinunciando, perché non rientra negli obiettivi di questo lavoro, a una trattazione esaustiva della struttura organizzativa del Pci,2 la necessità di consentire una corretta identificazione dei principali organi di partito su scala regionale rende opportuno introdurre qui alcune considerazioni circa la struttura organizzativa a livello locale.

Il Pci è organizzato sulla base di strutture ordinate gerarchicamente e funzionalmente, definite, nel linguaggio tipico dell’epoca, «istanze» del partito, quasi a stabilire una connessione tra la presenza di questi organismi e la loro funzione di collettori delle diverse esigenze.

La cellula.

È la struttura organizzativa di base, solitamente costituita (d'intesa con l’istanza di livello superiore, cioè la sezione) sul luogo di lavoro, nei centri di vita associata oppure su basi territoriali – cioè per organizzare tutti quei gruppi sociali (artigiani, commercianti, pensionati, intellettuali, studenti, casalinghe, operai di aziende artigiane, ecc.) privi di luoghi di aggregazione strutturati. La cellula è originariamente un luogo flessibile e funzionale dell'organizzazione operaia, derivata direttamente dalla esperienza bolscevica e particolarmente adatta alla fase di clandestinità del Pci durante

1

Il termine compare per la prima volta in un articolo di giornale. Frane Barbieri, Le scadenze di Brezhnev, «Il Giornale Nuovo», 26 giugno 1975.

2 A tale scopo, relativamente al periodo che va dalle origini agli anni Settanta, si può rimandare a: Aris

Accornero e Massimo Ilardi (a cura di), Il Partito comunista italiano. Struttura e storia dell’organizzazione. 1921-1979, Feltrinelli, Milano, 1982.

il regime fascista. Tale elemento organizzativo di base diviene, nell’immediato secondo dopoguerra, il braccio operativo di una strategia complessiva mirante a costruire, sotto la guida del partito, l'infrastruttura di una nuova società in divenire. La forza della cellula, sia essa aziendale o territoriale, consiste nella capacità di

«uniformare azione politica ed essere sociale, processi generali di trasformazione e

concretezza immediata delle condizioni di vita. Con la cellula la politica s’incarna nella condizione di classe: si fa, sino in fondo, azione di classe».3

Nel dicembre 1956, il dibattito dell’VIII Congresso nazionale aveva messo in luce numerosi problemi riguardanti la vita del partito (settarismo, schematismo dogmatico, eccessiva centralizzazione e burocratizzazione, preponderanza della organizzazione rispetto alla politica, svuotamento delle istanze deliberative, scarsa vitalità politica e ideale) dai quali scaturiva la