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L’allevamento dei maial

LE ATTIVITÀ DEI CANONICI ANTONIANI L’ECONOMIA

2. L’allevamento dei maial

La pratica consolidata dell’economia di scambio faceva sì che, spesso, le offerte raccolte dai canonici fossero prodotti di consumo, e spesso si trattava di animali. Si è avuto modo, in precedenza, di menzionare l’attività di allevamento dei maiali esercitata dai canonici antoniani nelle diverse località. La carne di maiale rappresentava un prodotto della vita contadina piuttosto che della vita signorile, e poteva essere ben conservata e trasportata grazie a processi quali l’affumicazione e la salatura. L’allevamento suino, diffuso nei secoli precedenti dalle popolazioni germaniche, continuò ad essere praticato per tutto il Tardo medioevo, ‘sconfinando’ dalla campagna ai centri urbani, tanto che, nel corso del XIII secolo, i comuni italiani iniziarono a prendere dei provvedimenti contro la libera circolazione di questi animali432. Un’attenta analisi curata da Laura Fenelli dimostra che «dove non esisteva un priorato antoniano il comune tendeva a proibire la circolazione di tutti i maiali», mentre nelle località dove erano presenti i canonici erano previste delle eccezioni433. Le ragioni del divieto erano date da problemi di igiene, sicurezza e ordine pubblico, perché si volevano evitare contagi, incidenti, liti e furti, mentre le deroghe per i maiali ‘di sant’Antonio’ scaturivano da appositi privilegi papali, accolti

430

Cfr. supra, Cap. I, § 3, e Appendice, doc. 34 (1478 febbraio 26-maggio 6).

431

Cfr. Appendice, doc. 39 (1529 settembre 10).

432

Sull’allevamento del maiale nel Medioevo si rinvia a M. BARUZZI, M. MONTANARI, Porci e

porcari nel Medioevo. Paesaggio, economia, alimentazione, Bologna 1981, p. 15 e segg.

433

118 dalle autorità pubbliche attraverso l’emanazione di norme specifiche per la salvaguardia degli allevamenti antoniani: «il maiale veniva sentito così strettamente connesso con gli ospedalieri di S. Antonio che, già dal Trecento, divenne uno degli attributi fissi del santo patrono dell’Ordine, suscitando non poco imbarazzo negli interpreti che si trovavano a dover giustificare la presenza del porcello a fianco del santo eremita»434.

Non si conosce la data esatta della prima concessione pontificia in merito all’allevamento dei maiali, ma dovrebbe risalire almeno alla metà del Duecento435, perché nel 1265 veniva menzionato in una bolla di papa Clemente IV436. La conferma dell’antichità dell’usanza è data dalle parole di Bonifacio VIII (1297): «antiqua et approbata consuetudine»437. Lo stesso Bonifacio VIII, poco dopo, vietava agli altri monasteri e ai prelati di allevare i maiali a discapito dei canonici antoniani438, e così Giovanni XXII nel 1330439; tuttavia, nonostante la presunta esclusività, altre comunità avevano iniziato non solo a raccogliere elemosine in nome di sant’Antonio, ma anche ad allevare i maiali, come i monaci lerinesi a Genova, che ottennero la concessione per il tramite delle Leges Genuenses del 1386440. Questa attività, come la questua, rendeva gli antoniani oggetto di critiche e scherni da parte di poeti e scrittori del tempo441.

Sembra che gli antoniani, una volta stabilitisi nelle diverse località e forti del privilegio pontificio, facessero pressioni sui consigli cittadini per ottenere speciali deroghe in merito alla libera circolazione dei loro maiali. Il caso di Bologna è emblematico: gli Statuti del 1255 e del 1288 proibivano la circolazione degli animali, mentre quelli del 1352 consentivano la libertà ai maiali di sant’Antonio, purché fossero marcati sull’orecchia destra (auriculam dextram incisam) e fossero muniti di campanella (campanellam ad collum apensam)442. Questo segno distintivo si

434

FENELLI, Porci per la città, op. cit., p. 135.

435

Secondo Aymar Falco la pratica della libera circolazione dei maiali per urbes, castella, oppida era già in atto nel secondo decennio del secolo, cfr. FALCO, op. cit., f. 60r.

436

Les registres de Clément IV. Recueil des bulles de ce pape, publiées ou analysées d’après les

manuscrits originaux des archives du Vatican, par M-E. Jordan, Paris 1893, I, p. 469, n. 1554.

437

Les registres de Boniface VIII, op. cit., I, p. 891, n. 2278.

438

Ibidem, n. 2277.

439

Jean XXII. Lettres communes (1316-1334), par G. Mollat, Paris 1923, p. 334, n. 49819.

440

Sui lerinesi a Genova cfr. supra, Cap. IV, § 5. Si veda anche FENELLI, Il Tau, op. cit., p. 170-171.

441

Ibidem, p. 159-160.

442

Ibidem, p. 160 e fonti ivi citate. La precettoria antoniana di Bologna nacque a seguito dell’acquisto di alcune case da parte di un procuratore antoniano (8 maggio 1324). Nel 1328 fu realizzata la chiesa,

119 riscontrava anche nelle altre località, come a Napoli, dove il permesso per la libera circolazione dei maiali fu accordato già nel 1303443. Anche le città di Brescia, Foligno, Savona, Orvieto, Venezia e Siena consentivano la circolazione dei maiali di sant’Antonio, ma in alcuni casi i canonici si lamentarono dell’esiguo numero di capi ammessi: il marchio, infatti, consentiva tanto agli antoniani quanto alle autorità cittadine di sapere con esattezza il numero dei suini in circolazione e non si poteva non rispettare il tetto massimo imposto. Si verificarono anche tentativi di allevamento libero da parte di privati o altre fraternità che ‘usurpavano’ il segno distintivo, mentre altri problemi erano dati dai furti, contro i quali i canonici cercavano di tutelarsi diffondendo la paura di una vendetta da parte del santo, e dai rischi per l’incolumità pubblica: nonostante i privilegi e le deroghe, nel corso del tempo i canonici si videro ridurre il numero dei maialini ammessi, o anche revocare l’intero permesso444. Alcune città italiane, infatti, ai principi dell’età moderna iniziarono a impedire la libera circolazione dei suini antoniani, ma l’usanza non cessò del tutto e se ne trova riscontro ancora nel 1523 in un bolla di privilegio concessa da Clemente VII a conferma di quelle emanate dai suoi predecessori445.

L’unica testimonianza ‘sarda’ dell’allevamento di suini da parte degli antoniani è quella già evidenziata da Roberto Poletti e Fabrizio Marras nel 1996446: il capitolo LXXV del II libro del Breve di Villa di Chiesa (1324-1327), dedicato al divieto di circolazione dei maiali nel centro abitato, concedeva la dispensa al porco di Sancto Antonio, che doveva essere segnato in dela spalla ricta de lo signo di Sancto Antonio (il Tau), oppure doveva avere tagliata per traverso la ricchia ricta, mentre tutti gli altri maiali trovati liberi in città sarebbero stati uccisi, e i trasgressori delle norme sarebbero stati puniti447.

si allestirono un convento e un ospedale e nel 1392 la precettoria divenne priorato subalterno a Ranverso. La documentazione della casa bolognese è oggi custodita presso l’Archivio Storico dell’Ordine Mauriziano, a Torino. Per queste e altre notizie si rinvia a FENELLI, Porci per la città, op. cit., p. 133, che riprende G. GUIDICINI, Cose notabili della città di Bologna, ossia storia cronologica

de’ suoi stabili pubblici e privati, Bologna 1868, I.

443

Cfr. MOTTOLA,Per la storia dell’ordine antoniano ‘de Vienne’ in Italia meridionale, op. cit., p.

162.

444

FENELLI, Il Tau, il fuoco, il maiale, op. cit., p. 162-170.

445

Magnum bullarium romanum, op. cit., VI, I, p. 38, doc. II (1523 novembre 26).

446

POLETTI,MARRAS, op. cit., cfr. supra, Cap. II, § 2 e Cap. IV, § 5.

447

120 Gli Statuti del libero comune di Sassari (1316)448, invece, non fanno alcuna menzione al maiale di sant’Antonio (sebbene il consumo di carne suina e insaccati sia dimostrato da alcuni capitoli), così come non figura nessuna dispensa per i canonici nella Carta de Logu del Regno di Arborea (1392), dove, tuttavia, si fa distinzione tra i maiali domestici (cap. CXXXVI) e quelli allevati in branco e lasciati liberi nei pascoli (CXXXVII)449.

A Cagliari, nel Quattrocento, i maiali erano allevati in casa, ed erano «parte non minimale della fisionomia della città. Veder scorrazzare rosei maialetti per le strade delle Appendici era spettacolo ordinario […] e solo quando essi raggiungevano certe proporzioni, ne era vietata la libera circolazione» dai consiglieri della città 450. La carne di maiale era tra gli alimenti-base della dieta, e le macellerie locali si rifornivano dal mercato dell’entroterra451. Nel caso di Sassari, l’incrocio delle fonti archivistiche con le ricerche archeozoologiche degli ultimi anni ha consentito di ricostruire il quadro della presenza degli animali nella città, registrando un calo della presenza dei maiali verso il XIV secolo, fatta eccezione per i dintorni della chiesa extra muros di S. Maria di Betlem, ma nonostante gli interessanti dati raccolti dagli studiosi non sono stati riscontrati elementi utili alla ricostruzione degli eventuali usi sassaresi sul maialino di sant’Antonio452.

Le rendite antoniane in Sardegna dovevano comprendere anche quanto ottenuto dagli allevamenti o almeno dalle donazioni in natura, poiché è testimoniato da due documenti di procura dati a Firenze nel 1467 e nel 1468, l’incarico di recuperare tutti i proventi sull’isola, compresi quelli provenienti da equos, boves,

448

Il codice degli statuti del libero Comune di Sassari, a cura di G. MADAU DIAZ, Editrice sarda Fossataro, Cagliari 1969. Sulla redazione di questi statuti cfr. L. D’ARIENZO, Gli statuti sassaresi e il

problema della loro redazione, in A. MATTONE, M. TANGHERONI (cur.), Gli statuti sassaresi:

economia, società, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’età moderna. Atti del Convegno di studi (Sassari, 12-14 maggio 1983), Edes, Cagliari 1986, p. 107-117.

449

Sulla Carta de Logu si rinvia a F. C. CASULA, La Carta de Logu del Regno d’Arborea, Cagliari 1994; G.TODDE et al., Il mondo della Carta de Logu, Cagliari 1979.

450

La pratica subiva certo le influenze del mondo iberico, cfr. G. OLLA REPETTO,C. FERRANTE,

L’alimentazione a Cagliari nel ‘400, «Medioevo Saggi e Rassegne», 14 (1989), p. 9-77, p. 39; sulle

ordinanze dei Consiglieri cfr. F. MANCONI, Libro delle Ordinanze, op. cit., nn. 149-150, p. 97-98.

451

OLLA REPETTO,FERRANTE,op. cit., p. 40.

452

Tali considerazioni sono tratte da E. GRASSI, L’economia a Sassari dal medioevo all’età moderna.

Contributo archeozoologico, tesi di Dottorato in Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo, ciclo

XXIV, Università degli Studi di Sassari, coordinatore prof. Piero Bartoloni, p. 185-193. L’allevamento suino aveva una certa importanza nell’economia giudicale, e lo si può evincere dai riferimenti ai boschi ghiandiferi contenuti nei condaghi, i cartulari dei monasteri sardi, dai quali emerge anche che la carne di maiale era utilizzata nel sistema del baratto per l’acquisto di terre (come ad esempio ne Il condaghe di San Nicola di Trullas, a cura di P. Merci, Nuoro 2001, scheda 71).

121 porcos, pecudes et animalia453.Per la Sardegna, però, non è documentata l’usanza di inviare le carni alla casa madre, pratica attuata in altre località, anche italiane, come la casa di Pistoia, che era solita devolvere sia il ricavato delle questue che i maiali del suo allevamento alla precettoria di Firenze, dalla quale dipendeva, come risulta da una fonte della fine del XIV secolo454.

Dagli statuti riformati dell’ordine si apprende che ancora un secolo dopo alcune precettorie corrispondevano all’ospedale di Saint-Antoine la carne di maiale: è il caso di Aubenas (Ardèche), che doveva corrispondere 7 lire e 7,5 quintali di carne; Forez (Montbrison), alla quale si richiedevano 39 soldi più 3 quintali e ¾ di carne; Grenoble (Isère) doveva invece 26 soldi e 2 prosciutti per ogni malato; Vienne (Isère) pagava 4 soldi, 6 denari e 10 quintali di carne; La Tour-du-Pin (Bourgoin) doveva prima corrispondere 3 soldi e 10 quintali di carne, poi 2 quintali per il cellerario e 1 denaro e due tagli di carne per i malati la domenica; infine Valréas (Vaucluse), che pagava 60 fiorini d’oro e due prosciutti per ciascun malato455. I corrispettivi, dunque, dovevano essere stati calcolati in base alla disponibilità degli eventuali allevamenti locali e alle possibilità di conservazione e trasporto della carne, che una volta giunta presso il grande ospedale rispondeva ai bisogni alimentari di tutta la comunità, malati compresi456. Le precettorie alle quali si richiedeva la carne di maiale erano una minima parte del totale, ma esse avrebbero in questo modo dovuto corrispondere, in toto, oltre 3.100 libbre di carne l’anno e un numero imprecisato di prosciutti (variabile a seconda del numero dei malati presenti al momento).

453

Cfr. Appendice, doc. 29 (1467 gennaio 20) e doc. 30 (1468 settembre 19).

454

FERRALI, L’ordine ospitaliero di S. Antonio Abate o del Tau e la sua casa a Pistoia, op. cit., p. 200-201.

455

Cfr. MISCHLEWSKI, Un ordre hospitalier, op. cit., p. 158-169.

456

122 TAV. F

Saint-Antoine-l'Abbaye – Veduta, © Harrie Gielen

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CAPITOLOVI

LEATTIVITÀDEICANONICIANTONIANI.