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Laura Fenelli ha scritto che studiare il culto attribuito a sant’Antonio è un «problema di sociologia medievale, che coinvolge non solo le fonti testuali e figurative relative al santo, ma anche le vicende salienti dell’ordine […] che fu senza dubbio il principale responsabile della diffusione del culto»111. La storia della venerazione del santo eremita si interseca in parte con la storia dell’ordine, e questo è il motivo che spinge ad affrontare, in poche pagine, alcuni aspetti del culto antoniano, senza voler troppo invadere i campi dell’agiografia e dell’iconografia, non competendo questi a chi scrive.

Per tutto il medioevo, le storie di Antonio eremita sono state tramandate in Occidente sovrapponendo la biografia scritta da Atanasio a numerose leggende, talvolta non originate dai racconti sulla vita del santo ma ad esso associate dalla tradizione. Fino al Concilio di Trento, infatti, non si poneva il problema degli apocrifi, e la sovrapposizione tra leggende differenti si fece particolarmente intensa tra XIII e XIV secolo grazie all’azione dei frati predicatori112. Gli eremiti come Antonio, abbracciando nel deserto valori opposti a quelli della città, fornivano numerosi exempla per la predicazione, e la prima parte della vita di Antonio, in particolare, era adeguata alla predicazione perché «è consistita in un lungo combattimento contro le visioni di mostri e di demoni terrificanti che l’assalgono»113. Indiscutibilmente, sant’Antonio godette nel medioevo di grande fama, e fu modello di riferimento per gli ordini monastici «portatori di istanze di riforma – dove per

111

L.FENELLI, Dall’eremo alla stalla: storia di Sant’Antonio Abate e del suo culto, Laterza, Bari 2011, p. XI.

112

FENELLI, Dall’eremo alla stalla, op. cit., p. 16. Oltre alla diffusione della Leggenda di Patras (pubblicata in P. NOORDELOOS-F. HALKIN, Une histoire latine de S. Antoine. La “Légende de

Patras”, «Analecta Bollandiana», LXI, 1943, p. 210-250), vi sono alcuni volgarizzamenti che aiutano

a diffondere il culto antoniano nel territorio peninsulare italiano: l’Epilogus in gesta sanctorum del domenicano Bartolomeo da Trento (1244 ca.), la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (1260 ca.) e la traduzione delle Vitae Patrum compiuta da Domenico Cavalca agli inizi del Trecento. La Fenelli si sofferma sull’analisi del corpus agiografico antoniano alle p. 11-182 della sua tesi dottorale, disponibile all’url: http://amsdottorato.unibo.it/245/ (ultimo accesso: 7 aprile 2015). Un interessante studio sulla diffusione del culto fu presentato in J. LECLERCQ, Saint Antoine dans la tradition

monastique médiévale, in Antonius Magnus Eremita, 356-1956. Studia ad antiquum monachismum spectantia, Roma 1956, p. 229-247, e più recentemente in L. MEIFFRET, Saint Antoine ermite en Italie

(1340-1540), Ecole française de Rome, Roma 2004.

113

J. LE GOFF, Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, ed. a cura di F. Maiello, Roma-Bari 2010, p. 30.

31 riforma s’intendeva sempre il ritorno alla purezza della origini»114. Nelle predicazioni e nelle rappresentazioni del Tardo medioevo, però, Antonio non veniva descritto esclusivamente come un eremita solitario, ma anche come un monaco occidentale e il capo di una comunità, fino a diventare una rappresentazione della religiosità contadina115. Accanto a questi fattori di diffusione del culto antoniano ebbe grande importanza la presenza, in Europa, dei canonici del Delfinato.

L’iconografia era uno dei canali attraverso i quali gli antoniani diffondevano le storie del santo. In Italia, sono noti alcuni cicli pittorici antoniani tre- quattrocenteschi. Ad esempio, a Pistoia, presso la chiesa del Tau, i poveri aiutati da sant’Antonio sono rappresentati come malati, in alcuni casi malati di ignis sacer. La vita di Antonio è invece raccontata attraverso la sovrapposizione di elementi di più leggende, con la costante presenza dei compagni di Antonio, chiara rappresentazione dei canonici. Le raffigurazioni richiamano un manoscritto trecentesco miniato, attribuito alla comunità antoniana e oggi custodito ad Amburgo nella collezione Günter, che è stato certo fonte di ispirazione per altri cicli pittorici e pale d’altare commissionati nelle precettorie italiane116. Fuori dall’Italia, e forse più famoso dei cicli pittorici dell’abbazia del Delfinato, è l’altare rinascimentale di Issenheim (Alsazia), realizzato da Matthias Grünewald (1480-1528), costituito da ante fisse e rimovibili, che può assumere tre diverse configurazioni e narrare, così, più storie (la vita di Gesù, le tentazioni di sant’Antonio e il suo incontro con san Paolo). Le tavole sono ricche di spunti sull’attività ospedaliera antoniana, sulla morte e la resurrezione, e tutto è incentrato sull’attività taumaturgica del santo117.

114

A. FOSCATI, «Antonius maximus monachorum». Testi e immagini di Antonio eremita nel Basso

Medioevo, in Studi di storia del cristianesimo. Per Alba Maria Orselli, a cura di L. Canetti et al.,

Ravenna 2008, p. 283-321, in part. p. 283-284.

115

FOSCATI, «Antonius maximus monachorum», op. cit., p. 284. La figura, oggi la più nota, di Antonio abate protettore degli animali, non deriva certo dalla vita eremitica. La devozione contadina fu, però, rappresentata già dal Boccaccio nel Decameron (VI, X), con la famosa novella del Frate Cipolla, che rinvia direttamente al ruolo dei questuanti antoniani. Si veda al proposito FENELLI, Dall’eremo alla

stalla, op. cit., p. 164-171.

116

Per un interessante approfondimento sull’iconografia antoniana e i confronti con le opere commissionate da altre comunità si rinvia al magistrale lavoro compiuto da Laura Fenelli nella sua tesi dottorale, op. cit., http://amsdottorato.unibo.it/245/ , (ultimo accesso: 7 aprile 2015).

117

L’opera fu commissionata dal precettore di origine italiana Guido Guersi, in carica dal 1490 al 1516, per completare il gruppo scultoreo realizzato da Nikolaus Von Hagenau (ca. 1445-1538), raffigurante san Girolamo e sant’Agostino, il precettore e, ai piedi di sant’Antonio seduto sul trono, due devoti che donano un maialino e un gallo. La bibliografia su questa importante opera d’arte rinascimentale è numerosa, si rinvia in questa sede a A. HAYUM, The Isenheim Altarpiece: God’s

32 Il valore taumaturgico attribuito alle reliquie custodite presso la chiesa di La Motte Saint-Didier, si è detto, fu dal primo momento motivo di grande attrazione di pellegrini; allo stesso tempo, i confratelli prima, i canonici e i loro aiutanti poi, diffondevano il culto del santo e delle sue reliquie durante la raccolta di questue nei territori lontani dalla casa madre. La devozione, così, promanava dal centro alle periferie, incontrando talvolta un culto già vivo grazie al passaggio dei predicatori118.

Il potere di questi fattori venne a sua volta amplificato dai ripetuti interventi pontifici in favore dei canonici, basti semplicemente ricordare che, tra i diversi dispositivi, Innocenzo IV concesse l’indulgenza a chi faceva delle donazioni a favore del santuario delfinale, mentre Bonifacio VIII concesse quaranta giorni di indulgenza ai benefattori dell’ospedale e un anno e quaranta giorni di indulgenza a chi implorava il perdono dei peccati recandosi presso le reliquie nel giorno della ricorrenza e nella settimana successiva119. Secondo il Falco, tra gli illustri pellegrini che si recarono a rendere omaggio alle spoglie, vi furono Gian Galeazzo Visconti, re Carlo V di Francia e i duchi di di Borgogna, i sovrani di Navarra, i conti di Provenza, i duchi di Savoia, il re di Sicilia e numerosi papi120, e diversi sono i diari di viaggio che menzionano la tappa a Saint-Antoine121.

Fu soprattutto attraverso la loro attività di questua, dunque, che i canonici antoniani diffusero il culto del santo e delle relique. Guiot de Provins ha descritto gli antoniani come predicatori che attiravano le persone suonando una campanella e che Function of the Isenheim Altarpiece: The Hospital Context Revisited, «The Art Bulletin», 59/4 (1977),

p. 501-517; A. MISCHLEWSKI, Die Auftraggeber des Isenheimers Altars, «Cahiers alsaciens d’archéologie, d’art et d’histoire», 19 (1975/76), p. 15-26. Sulla precettoria di Issenheim cfr. E. CLEMENTZ, Les Antonins d’Issenheim. Essor et dérive d’une vocation hospitalière à la lumière du

temporel, Société savante d’Alsace (Recherches et documents, 62), Strasbourg 1998. Su Matthias

Grünewald e la sua opera cfr. P. BÉGUERIE,G.BISCHOFF, Grünewald. Le Maître d’Isenheim, Tournai 2000, in particolare p. 74-83 per i suoi rapporti con gli antoniani di Issenheim. Sull’opera di Nikolaus Von Hagenau cfr. R. RECHT, S. COLINART, Les Sculptures de Nicolas de Haguenau: le retable

d’Issenheim avant Grünewald, Musée Unterlinden, Colmar 1987. L’opera si trova attualmente presso

la chiesa domenicana di Colmar, ma nell’autunno 2015 rientrerà al Museo Unter Linden della stessa città, cfr. http://www.musee-unterlinden.com/isenheimer-altar.html (ultimo accesso: 12 settembre 2014).

118

Tuttavia, va segnalato che in principio gli antoniani non avevano facoltà né di questuare, né di predicare, tanto che i primi decenni della loro attività sono caratterizzati dagli scontri con i frati predicatori (vedi FENELLI, Il Tau, op. cit., p. 128-129). Il diritto di questua sarà successivamente concesso dai pontefici, ma con altri risvolti problematici, cfr. infra, Cap. V.

119

FENELLI, Il Tau, op. cit., p. 127-130; VILLAMENA,Religio sancti Antonii Viennensis. Gli Antoniani tra medioevo ed età moderna, op. cit., p. 127.

120

FALCO, Antonianae Historiae, op. cit., passim.

121

33 portavano con sé dei cofanetti contenenti le reliquie e chiedevano l’elemosina122. Questi, inoltre, andavano narrando i miracoli avvenuti grazie alla venerazione delle reliquie del santo123, e diffondevano la paura di una vendetta attuata da parte di sant’Antonio contro chi aveva negato le donazioni124. L’ignis sacer, infatti, poteva essere presentato come punizione, al pari del fuoco vero e proprio, per tutti coloro che non avevano santificato la festa o aiutato i pellegrini: nel XIV secolo abbondano le descrizioni, i racconti e i proverbi125. Antonio era, così, identificato allo stesso tempo con il santo taumaturgo che proteggeva e guariva dal fuoco, e con il santo vendicativo che puniva con il fuoco. Nelle case antoniane, scrive il Dassy, era frequente trovare l’epigrafe con il proverbio «nemo in vano currit ad Antonium, nemo impune peccat in Antonium»126.

Il fuoco e la campanella, grazie all’attività antoniana, diventarono nel corso del tardo medioevo attributi iconografici del santo. Altro attributo era la croce a Tau, il simbolo della potentia, quasi sempre in azzurro, perché il Tau azzurro, si è detto, era il segno distintivo degli antoniani127. Accanto a questi, si faceva sempre più preponderante la figura del maialino, spesso raffigurato con una campanella al collo: l’allevamento dei maiali, di cui si parlerà, era praticato dai canonici su dispensa papale e in accordo con le autorità cittadine. Non è noto il momento in cui fu avviata questa pratica, sicuramente l’allevamento era già in essere dal XIII secolo, e doveva essere molto noto poiché è menzionato nella Divina Commedia (Paradiso, XXIX, 124-127), compariva poco più avanti nel Trecentonovelle di Franco Sacchetti (LXXV e CX), ed era presenza costante in molte altre opere successive, tanto narrative, quanto iconografiche128. Nel corso dell’Ottocento numerose leggende popolari hanno legato la figura del santo alla presenza del maialino, depurandolo dai

122

Les Œuvres de Guillot de Provins, op. cit., p. 74, 2029-2034.

123

FALCO, Antonianae Historiae, op. cit., op. cit., f. 52r.

124

Cfr. FENELLI, Il Tau, op. cit., p. 142-143.

125

FENELLI, Il Tau, op. cit., p. 142-146.

126

DASSY, L’Abbaye, op. cit., p. 191. Per un approfondimento si rinvia a FENELLI, Dall’eremo alla

stalla, op cit., p. 74-99.

127

Cfr. supra, § 2.

128

Per un interessante excursus sulle fonti si veda sempre FENELLI, Dall’eremo alla stalla, op cit., p. 101-171.

34 retaggi antoniani e rendendolo, per definizione, il protettore degli animali, come è venerato e celebrato ancora oggi129.

129

Per ulteriori approfondimenti si rinvia anche al saggio di R. ABT-BAECHI, Il santo e il maiale. La

conciliazione di spirito e natura: uno studio di psicologia del profondo condotto sull’esempio di Antonio del maiale, ovvero di sant’Antonio l’eremita, Bergamo 1991. Non si vuole qui invadere un

altro campo, quello degli studi etnografici, ma è doveroso menzionare alcuni saggi che approfondiscono questo culto dal punto di vista regionale, che oltre ad essere legato agli animali, è legato al fuoco: A. TARASCHI, Sant’Antonio Abate: il fuoco, gli animali, i canti. Una ricerca

etnografica alle pendici del Gran Sasso d’Italia, Villamagna 2009; P. D. LUPINETTI, Sant’Antonio

Abate nelle tradizioni e nei canti popolari abruzzesi, «Lares. Bullettino Sociale», 17 (1951), p. 52-78;

F. CHERCHI PABA, La ‘tuva’: un rito agrario di propiziazione nella festa di S. Antonio Abate, in Atti

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