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La raccolta delle questue e l’amministrazione delle proprietà

LE ATTIVITÀ DEI CANONICI ANTONIANI L’ECONOMIA

1. La raccolta delle questue e l’amministrazione delle proprietà

L’economia antoniana doveva molto ai privilegi pontifici. Il diritto di questua sarà sempre valido e rinnovato nei sei secoli di vita dell’ordine – fatta eccezione per la sospensione voluta nel 1562 dal Concilio di Trento e annullata da Gregorio XIII nel 1582402.

Le bolle di Bonifacio VIII del 1297-98403 avevano avviato la regolamentazione per il sostentamento economico dell’ordine e delle sue attività. Il clero secolare fu esortato più volte ad ammettere i canonici questuanti nelle diocesi e a rilasciare le litterae patentes, mentre la concessione delle indulgenze a tutti i benefattori dell’ospedale, di cui si è parlato, fu confermata dai pontefici nel corso dei secoli ed è ricordata anche in un documento cagliaritano rogato dal notaio Andrea Barbens nel 1484. Giovanni Fortesa, vicario generale dell’arcivescovo cagliaritano, invitava la popolazione della città ad accogliere il canonico antoniano Giovanni Salvatoris, procuratore dell’ospedale S. Antonio di Cagliari, e a elargire elemosine per la struttura, al fine di ottenere 40 giorni di indulgenza, come sancito da papa Clemente IV e ribadito da papa Sisto IV404.

Spesso, già nel Duecento, gli antoniani davano in affitto le questue in determinate località in cambio di un canone fisso: l’appalto della questua era costituito da un contratto, rogato da un notaio, e prevedeva la consegna all’appaltatore di una lettera di incarico da presentarsi alle autorità ecclesiastiche al fine di ottenenere le litterae patentes405. Nel caso della Sardegna, la prima

402

FENELLI, Il Tau, il fuoco, il maiale, op. cit., p. 135-136. Sul divieto imposto dal Concilio di Trento cfr. supra, Cap. I, § 3.

403

Cfr. supra, Cap. I, § 1-2.

404

Cfr. Appendice, doc. 37 (1484 marzo 13). In Les registres de Boniface VIII, op. cit., n. 2274 (1297 dicembre 18) si legge che ai pellegrini veniva concessa un’indulgenza di un anno e 40 giorni, e ai benefattori un’indulgenza di 40 giorni. Mischlewski ha ipotizzato che i curatori dell’edizione dei registri di Bonofacio VIII abbiano commesso un errore di trascrizione, e che per tutti fosse stata concessa un’indulgenza di un anno e 40 giorni. In realtà, il reiterarsi dell’indulgenza di 40 giorni per i benefattori, come nel caso del documento cagliaritano, contraddice questa opinione dello studioso tedesco, cfr. MISCHLEWSKI, Un ordre hospitalier, op. cit., p. 56, n. 14.

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Gli antoniani si trovarono in più occasioni ad affrontare il problema dei falsi questuanti: a partire dal Duecento i papi erano dovuti intervenire contro gli speculatori che, agendo in nome di sant’Antonio, screditavano i confratelli, rendendoli ancora più facilmente bersaglio di critiche e satire. Secondo Laura Fenelli, la prassi dell’affitto di questue a laici aiutò la compromissione della loro fama e l’insorgenza delle truffe (FENELLI, Il Tau, il fuoco, il maiale, op. cit., p. 147-151). Si trattava, in realtà di un problema ricorrente nel mondo cattolico: nel 1215 il IV Concilio Lateranense cercò di fermare il dilagare dei falsi questuanti autorizzando la questua solo a chi fosse munito di determinati

113 attestazione di arrendamento della precettoria isolana, da parte del precettore di Gap in favore del precettore di Marsiglia, risale al 1300406, e fu confermata nel 1330407. Nel 1365 l’arrendamento di Sardegna e Corsica fu assegnato per 100 fiorini a Aymaron Bajuli408, ma la procura sull’amministrazione delle rendite fu ceduta pochi giorni dopo al canonico antoniano Guido Benedicti, precettore di Pisa, sempre per 100 fiorini d’oro fiorentini409.

Nel 1315, l’abate Aymone de Montaigne aveva dato procura al podestà e ai priori del castello di Cerreto, presso Spoleto, per la raccolta delle questue, nonché per il ritiro dei proventi di ospedali, chiese, case e per lo sfruttamento dei beni immobili. Si richiedeva ai procuratori di eseguire la raccolta delle questue indossando abiti modesti (raubam acatariam), di non celebrare gli offici di culto e i sacramenti, «ma soltanto annunciare alla popolazione lo stato di indigenza in cui versava l’istituzione antoniana e le indulgenze concesse a chi avesse contribuito alla causa»410. Gli abitanti di Cerreto – i cerretani – nel Medioevo erano noti per la loro attività di questuanti per conto degli ordini ospedalieri, attività spesso esercitata, si narrava, con l’ausilio di truffe e sotterfugi, come il professarsi cerusici (da qui il termine ‘ciarlatano’)411. I cerretani risultavano appaltatori delle questue antoniane (ma anche di altri ordini, come quello di Santo Spirito, nonostante il papato volesse imporre determinati criteri di esclusività) in molte località della penisola, anche distanti da Cerreto, come Venezia412.

Con il tempo, i cerretani furono affiancati in questa attività dai loro vicini del castello di Montesanto, località presso la quale esisteva una precettoria antoniana. Nel 1470, il priore delle case antoniane di Montesanto aveva ricevuto dal vicario

documenti apostolici o vescovili (Constitutio 2), e la questione si ripresentò nei concili successivi (VILLAMENA, Religio Sancti Antonii Viennensis. Gli Antoniani a Perugia e in Umbria, op. cit., p. 124- 125).

406

Cfr. Appendice, doc. 2 (1300 aprile 15).

407

Cfr. Appendice, doc. 58 (XVII secolo).

408

Cfr. Appendice, doc. 17 (1365 giugno 25).

409

Cfr. Appendice, doc. 18 (1365 giugno 27); doc. 58 (XVII secolo).

410

VILLAMENA, Religio Sancti Antonii Viennensis. Gli Antoniani a Perugia e in Umbria, op. cit., p. 131. Il documento, custodito presso l’Archivio di Stato di Spoleto – Sezione Separata, è edito a p. 146, doc. V.

411

Sui Cerretani si vedano VILLAMENA, Religio Sancti Antonii Viennensis. Gli Antoniani a Perugia e

in Umbria, op. cit., p. 137-142; EAD., I Cerretani come intermediari degli Antoniani, op. cit.; M. SENSI, Cerretani e ciarlatani nel secolo XV. Spigolature d’archivio, in ID., Vita di pietà e vita civile di

un altopiano tra Umbria e Marche (secc. XI-XVI), Roma 1984, p. 339-356.

412

TESTOLIN,La precettoria veneziana, op. cit. in VILLAMENA, Religio Sancti Antonii Viennensis. Gli

114 dell’abate dell’ordine l’incarico di amministrare le proprietà di Sardegna e Corsica, ma aveva nominato un procuratore il quale, giunto a Cagliari, aveva a sua volta ceduto la sua procura a due abitanti della città, il notaio Giacobo Cernero e il mercante Pietro Stopinya413.

L’attività di raccolta delle questue da parte di cerretani e cittadini di Montesanto proseguì ancora per diverso tempo. I Capitula et constitutiones questuariorum antoniani del 1492, individuati e pubblicati da Raffaela Villamena, menzionano esplicitamente i questuanti originari di Cerreto e Montesanto414.

Gli Statuti di Montesanto del 1545, inoltre, testimoniano che questa pratica era, a quella data, ancora in essere: le questue venivano ammesse, ma si puniva chi ricorreva alla camuffa (il travestimento) e chi praticava o subappaltava la questua senza concessione. Le questue erano ritenute legittime solo se legalmente autorizzate e a favore di un unico ospedale, per il quale ci si doveva fregiare dell’abito e delle insegne; ciascun appalto durava cinque anni, e non era consentito prendere un appalto da un diverso ospedale, per la medesima località, nel quinquennio successivo. L’ordine di S. Antonio di Vienne era indicato come uno degli ordini dai quali si potevano ricevere gli appalti415.

Alla raccolta delle elemosine si aggiungeva, per gli antoniani, un’altra fonte di reddito, costituita dai legati testamentari e dalla conseguente amministrazione delle proprietà. Gli ospedali antoniani e i canonici, infatti, rappresentavano spesso i destinatari delle ultime volontà di devoti, di coloro i quali volevano salvare la propria anima e di malati deceduti in ospedale; questi ultimi, inoltre, secondo quanto stabilito dagli statuti riformati del 1478, dovevano devolvere le loro proprietà all’ente al momento del loro ingresso416. Di quando in quando, dunque, le diverse comunità antoniane dislocate nel continente europeo ricevevano in dono o eredità dei beni immobili (case, vigne, orti etc.) che si ritrovavano a dover vendere o amministrare.

413

Cfr. Appendice, doc. 31 (1470 aprile 5, Cagliari). Un altro canonico di Montesanto compare tra i testimoni di un’altra procura relativa all’affitto delle questue di Sardegna e Corsica, cfr. Appendice, doc. 39 (1497 novembre 7, Firenze).

414

VILLAMENA, Religio Sancti Antonii Viennensis. Gli Antoniani a Perugia e in Umbria, op. cit., doc. IX p. 152, già illustrato in EAD., I Cerretani come intermediari degli Antoniani, op. cit.

415

Per un approfondimento si rinvia a SENSI, Cerretani e ciarlatani nel secolo XV, op. cit., p. 341-343, che pubblica il documento in appendice.

416

G. DARODES, Statuts de l’Hôpital des démembrés de Saint Antoine. Recueil de textes latins et

115 Nel caso sardo, è ipotizzabile che già nel corso del Trecento l’ospedale cagliaritano amministrasse delle proprietà immobiliari417, ed è certo che ai primi del Quattrocento, in piena ‘gestione antoniana’, si contasse su alcune proprietà, come quelle lasciate in eredità da Pietro Polit, amministratore dell’ospedale nel 1382418, la cui rendita, nel 1407, consentì di saldare parte dei conti in sospeso con l’arcidiocesi cagliaritana419. Del resto, anche la bolla di collazione del 1442 parla di frutti, redditi e proventi della precettoria di Sardegna, oltre che di questue, oblazioni e legati420, così come le procure rilasciate nel 1467 e 1468 per l’amministrazione della precettoria di Sardegna e Corsica421.

I documenti della seconda metà del Quattrocento dimostrano che la pratica di devolvere beni immobili all’ospedale doveva essere diffusa anche tra i malati ricoverati a Cagliari422. Tra gli atti rogati dal notaio Andrea Barbens è presente la ratifica, da parte dei consiglieri del Castello, della vendita di una casa del fu Pietro Pilita, eseguita dall’amministratore dell’ospedale cagliaritano423. Ancora più esplicito è un documento successivo rogato dallo stesso notaio: il procuratore e amministratore dell’ospedale cagliaritano, Jaume Gual, si era rivolto al vicario generale dell’arcidiocesi per riuscire a recuperare il credito vantato nei confronti di Miali Murgia e Matzeu Ana, di Gergei, i quali non avevano ancora onorato il debito relativo all’acquisto di una vigna che fu di Basilio de Sardano, quod en sos deriers dies jaqui per amor de Deu al dit spital424.

Le quote che i precettori o i loro procuratori dovevano versare all’ordine erano calcolate sulle questue e sulla rendita delle proprietà immobili. Tra le fonti fiorentine è presente la nota delle rendite delle precettorie italiane dell’anno 1470. La Sardegna

417

Si ha notizia, nel 1355, di un hospicium Sancti Anthoni nell’Appendice cagliaritana di Villanova (ACA, Canc., reg. 1024, cc. 134r-v, 1355 aprile 5). Sandro Petrucci individua in questa casa un altro ospedale S. Antonio, diverso da quello della La Pola. Tuttavia, l’utilizzo del termine hospicum lascia intendere che si tratti piuttosto di un’abitazione di proprietà della struttura sita nei pressi del porto, e non di un hospitale a sé stante, cfr. S. PETRUCCI, Cagliari nel Trecento. op. cit., p. 517-518.

418

Cfr. Appendice, doc. 21 (1382 aprile 16).

419

Cfr. Appendice, doc. 23 (1407 agosto 2).

420

Cfr. Appendice, doc. 27 (1442 maggio 17).

421

Cfr. Appendice, doc. 29 (1467 gennaio 20); doc. 30 (1468 settembre 19).

422

La cessione dei propri beni agli ospedali da parte dei ricoverati sarà pratica diffusa in epoca moderna. Nel caso delle strutture gestite dagli antoniani, però, le rendite dei beni immobili ricevuti non andavano a finanziare l’ospedale locale, bensì a coprire le spese della casa madre, o a pagare la pensione annua alla precettoria generale, o ancora a pagare il canone dell’appalto sulle questue.

423

Cfr. Appendice, doc. 35 (1479 novembre 28). Potrebbe trattarsi di una delle case del Pere Polit, cfr.

supra.

424

116 non compare tra le località menzionate (trattasi indistintamente di città, province e regioni), ma figura la Corsica con un totale di 50 lire. Poiché i documenti di procura immediatamente precedenti riguardano congiuntamente le precettorie di Sardegna e Corsica, è possibile, ma non verificabile, che le 50 lire si riferissero al totale delle rendite delle due isole, ipotizzando anche che si trattasse solo del conteggio sulle rendite date dall’amministrazione dei beni, poiché nel documento non sono menzionate le questue425.

La pensione annuale che la Sardegna doveva alla casa di Gap, attestata tra il 1322 e il 1571, era di 40 fiorini d’oro fiorentini426. La cifra di 100 fiorini, si è visto, è stata richiesta ai procuratori nel 1365427. Oltre alla pensione annua e agli eventuali costi di appalto, il precettore/procuratore doveva pagare i costi straordinari alla casa madre, che doveva far fronte al debito con l’abbazia di Montmajour, e ai lavori di ristrutturazione, ingrandimento e abbellimento degli edifici nel Delfinato, e doveva probabilmente richiedere sovvenzioni alle singole precettorie molto spesso428. Si è già visto come, in occasione della riforma degli statuti dell’ordine, furono stabilite alcune cifre da riscuotere presso le precettorie subalterne: nel caso sardo, l’imposizione era di 2 fiorini d’oro da inviare alla casa madre e 1 fiorino al precettore di Gap. Si noti che la Sardegna è l’unica subalterna a Gap a dover versare più di un fiorino alla casa madre, ma il dato non deve stupire perché le altre precettorie sono inscritte dentro confini ‘urbani’, non ‘regionali’. Per rendere meglio l’idea, si pensi al fatto che il numero di canonici assegnati alla Sardegna, oltre al precettore/procuratore, è di 6 unità, come a Gap, mentre a Nizza è previsto un solo canonico oltre al precettore, e nelle altre subalterne di Gap i riformatori ritengono di non dover assegnare nessun canonico (Bannes, Avançon, Claret e Déoule)429. A questa disposizione si aggiungeva un apposito capitolo degli statuti, che stabiliva di raccogliere i fondi da destinarsi alla fabbrica dell’abbazia attraverso le pensioni e i lasciti delle precettorie di Ranverso, Pavia e Sardegna. Quest’ultima, si è visto, in quanto subalterna a Gap, era direttamente collegata all’ufficio dell’operaio

425

Cfr. Appendice, doc. 32 (1470).

426

Cfr. Appendice, doc. 3 (1322 giugno 25); doc. 53 (1571 marzo 1).

427

Cfr. Appendice, doc. 17 (1365 giugno 25), doc. 18 (1365 giugno 27); doc. 58 (XVII secolo).

428

Non sono stati individuati documenti a testimonianza di questa ipotesi anteriori al 1478, ma è plausibile che, di tanto in tanto, ci siano state richieste straordinarie alle precettorie periferiche.

429

117 dell’abbazia430. Tutto ciò, però, non era sufficiente: come si è detto, l’ordine era in continua emergenza finanziaria. Nel 1529 l’abate Théodore si recò a Roma per richiedere al pontefice la conferma dei privilegi dell’ordine – fondamentali per il mantenimento dell’introito dato dalle questue. Il viaggio era costoso, e l’ordine dovette chiedere un prestito oneroso. Le precettorie furono così costrette a contribuire al risarcimento del debito: alla Sardegna furono richieste 2 lire, a fronte della lira e mezzo di Bannes, della lira di Nizza e Avançon, dei 10 soldi di Claret e della lira e dieci soldi di Déoule, mentre la precettoria generale di Gap dovette versare in tutto 10 lire431.