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Altre considerazioni attorno al significato di “è”.

4. La proposta di Barry Miller.

4.2. Altre considerazioni attorno al significato di “è”.

Abbiamo visto che Miller riprende la tesi di Tommaso e di Peter Geach secondo cui esistono due significati di “esiste”: il primo riferito all’ “esse ut verum” di Tommaso, ribattezzato “there is sense”; il secondo riferito all’ “esse ut actus essendi” di Tommaso, ribattezzato “present actuality sense”. Miller nel difendere questa tesi propone, nel suo saggio raccolto all’interno della Stanford Enyclopedia of Philosophy, un’interessante dimostrazione.

76 Sebbene Miller non si impegni direttamente nell’affermare una distinzione reale tra

“essenza” ed “esistenza”, egli, tuttavia, nel suo approccio ontologico di matrice freghiana, individua due elementi ontologici (e non uno), all’interno, per esempio, della frase “Socrate esiste”: l’ “elemento Socrate” (essenza); “istanza di esistenza” (esistenza) (ivi, pp. 10-11).

58 Osserviamo le seguenti proposizioni:

(a) “Gli elefanti esistono, ma le sirene no”. (b) “Gli elefanti esistono, ma i dinosauri no”.

Nella proposizione (a) la parola “esistono” è riferita alla proprietà di “essere un elefante”, non a elefanti individuali. Nella proposizione (b), invece, la parola “esistono” è riferita agli individui elefanti e non alla proprietà di “essere un elefante”. La spiegazione viene data mostrando come nella proposizione “Le sirene non esistono”, ricavabile da (a), “non-esistono” può riferirsi univocamente alla proprietà di “essere una sirena”; e non agli individui “sirene”, dato che nessun individuo reale può essere una “sirena”. Si deduce che anche la parte precedente della proposizione – “Gli elefanti esistono” – deve necessariamente essere riferita ad una proprietà: precisamente quella di “essere un elefante”; se invece non ci fosse simmetria tra i significati di “esiste”, la proposizione avversativa introdotta dal “ma” non avrebbe senso. La proposizione debitamente parafrasata dovrebbe significare che la proprietà di “essere un elefante” è istanziata almeno una volta – (x) (x = elefante) –, mentre la proprietà di “essere una sirena” non ha istanziazioni – (x) (x = sirena).

Nella proposizione (b) invece, estrapolando “I dinosauri non esistono” dalla sua avversativa, si nota chiaramente che la “non-esistenza” non può essere riferita alla proprietà di “essere un dinosauro”. Proprietà e concetti, infatti, come le figure geometriche, sono atemporali – come viene chiarito dalla dottrina freghiana. Se non ha senso dire che “il triangolo una volta aveva tre lati e ora no”, altrettanta mancanza di senso si può ritrovare nel dire che “il concetto ‘elefante’ un tempo era istanziato e ora no”. Se un concetto è istanziato lo è sempre. Se la proposizione (b) fosse riferita a concetti o a proprietà, dovrebbe essere tradotta dicendo: “il concetto di elefante è istanziato, ma il concetto di dinosauro è anch’esso istanziato”: il che risulta assurdo a dirsi, perché renderebbe insensato il ruolo linguistico e logico della

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preposizione avversativa “ma”. Perché la proposizione (b) abbia senso, l’uso del verbo “esistere” deve essere riferito a individui e non a proprietà o concetti. Gli individui, infatti, sono inseriti nel tempo; le proprietà e i concetti no. La proposizione (b), quindi, dovrebbe essere parafrasata dicendo che “gli elefanti hanno la proprietà di primo livello di esistere attualmente, ma i dinosauri non ce l’hanno”77.

La difesa della tesi dei due sensi di “esiste” da parte di Miller passa attraverso la risposta che egli dà alle critiche di Frege, di Russell e di Quine riguardo agli ormai famosi esistenziali negativi. In principio, il nostro filosofo riprende acutamente la distinzione proposta da Wittgenstein e da Geach fra “portatore del nome” (name’s bearer) e “referente del nome” (name’s reference). La confusione tra le due nozioni sarebbe uno dei motivi che porterebbe a non volere considerare l’ “esistenza” come una proprietà di primo livello. In particolare, si mostra come i sostenitori del paradosso sugli esistenziali negativi confondano la referenza di un nome (per esempio, “Lord Hailsham”) con il suo portatore. Ecco come si esprime Miller a riguardo:

La verità di ‘Lord Hailsham non esiste” richiede solo che ‘Lord Hailsham” abbia una referenza. Per avere una referenza, tuttavia, non si richiede che il portatore del nome esista ora, ma solamente che questo esista o sia esistito. Una volta riconosciuto ciò non ci sarebbe nulla di strano e tantomeno di paradossale rispetto a proposizioni come ‘Lord Hailsham non esiste’.

77 Le proposizioni in cui l’ “esistenza” si riferisce ad una proprietà di primo livello non sono

solo quelle individuali, ma anche alcuni tipi di proposizioni generali, come quelle osservate negli esempi esaminati. Da ciò segue che, anche ammettendo la linea Russell-Quine, secondo cui i nomi individuali sarebbero eliminabili dal discorso, da ciò non segue che potrebbe anche essere eliminato l’uso di “esiste” come predicato di primo livello riferito ad individui concreti. Infatti, la linea Frege-Russell-Quine non si impegna a scaricare l’impegno ontologico, implicante la proprietà “esistenza” come di primo livello, dalle proposizioni generali. Anche ammettendo questa linea, resterebbe però quindi aperta una via per considerare l’ “esistenza” come un predicato reale. Miller, in ogni, caso ammette l’uso di primo livello di “esiste” sia in relazione a proposizioni generali sia in relazione a proposizioni individuali.

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La cosiddetta assurdità cui Williams allude deriva non dall’ammettere che l’esistenza sia una proprietà, ma dall’ammettere che la

non-esistenza lo sia.78

L’originalità della proposta milleriana riguardo al concetto di “esistenza” che a suo modo si accorderebbe al pensiero tommasiano, sarebbe quella di considerare l’asimmetria, da noi già citata, tra la nozione di “esistenza e quella di “non-esistenza”. Le proposizione esistenziali negative dovrebbero essere considerate come asserzioni della mancanza del predicato di primo livello “esiste”, rispetto a determinati individui. Asserire non è predicare, ci ricorda Miller. Un predicato grammaticale come “non esiste” non è necessariamente un predicato logico. Questo vuol dire che quando diciamo “Socrate non esiste”, non stiamo predicando, di Socrate, la non-esistenza, nonostante l’apparenza della forma grammaticale. Stiamo semplicemente asserendo che “non si dà il caso che Socrate esista”.

Emerge in tutta la sua forza la distinzione fra «negazione interna o predicativa» e «negazione esterna o proposizionale». Nella frase “Socrate non esiste” la negazione non sarebbe interna (nonostante la forma grammaticale sembri suggerirlo), ma esterna, e quindi proposizionale. La traduzione dovrebbe essere: “non (Socrate esiste)”. Nella ormai pluricitata asserzione su Socrate, non stiamo predicando niente di Socrate. Stiamo negando che “Socrate esiste” sia vera. La non-esistenza, quindi, deve essere trattata come un predicato non reale: una proprietà “Cambridge”. Consideriamo l’interessante ragionamento di Miller.

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