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La descrizione dell’ “istanza di esistenza”.

4. La proposta di Barry Miller.

4.5. Barry Miller versus Russell, Quine e Dummett.

4.6.1. La descrizione dell’ “istanza di esistenza”.

Abbiamo visto che l’ “esistenza” – in termini milleriani «istanza di esistenza» – è «ciò in virtù della quale» un individuo concreto è quello che è. Bene, una istanza, così prioritaria e basilare per qualsiasi individuo che la possegga, merita una qualche descrizione. Quando noi vogliamo descrivere le caratteristiche di una cosa, normalmente proviamo a rispondere alla domanda “che cos’è?”. La risposta sarebbe inerente al το τι ᾖν εἶναι aristotelico e non al τόδε τι. Cercare di descrivere l’ “esistenza” significa provare a rispondere a questa domanda. La risposta alla domanda “che cos’è?” riguarderebbe sempre la descrizione dell’ “essenza” di una determinata cosa. Nel caso dell’ “esistenza”, però, la questione è complessa, perché essa è «ciò in virtù di cui» l’ “essenza” di quella cosa acquista concretezza e senso. Come fare quindi a descrivere l’ «istanza di esistenza» di un individuo concreto senza tirare in ballo la sua “essenza” («elemento individuo»)? Come possiamo descrivere estensionalmente l’ “istanza di esistenza”? La descrizione dell’ “esistenza” di un individuo concreto non potrà riferirsi all’elenco delle proprietà che determinano l’individuo in questione (l’ “elemento Socrate”, per esempio); primo, perché in questo modo descriveremmo la sua “essenza” e non la sua “esistenza”; secondo, perché le proprietà di un individuo concreto, costituenti la sua “essenza”, dipendono ontologicamente dalla sua stessa «istanza di esistenza»: i limiti del “panetto di burro” dipendono dal burro stesso, come abbiamo visto; senza burro (“istanza di “esistenza”) niente limiti (“essenza” o “elemento Socrate”).

Un altro problema. Quando dobbiamo descrivere una cosa usiamo delle proposizioni atomiche formate da un termine singolare concreto e un predicato semplice di primo livello: “il dado è quadrato”. Solo questo tipo di proposizione è realmente informativa; cioè ci dà delle indicazioni concrete su che cosa un determinato oggetto sia. Solo una proprietà di primo livello può aiutarci a descrivere un oggetto; una proprietà di secondo livello, riferita quindi ad un’altra proprietà, per definizione, non ha alcun contenuto

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informativo. Insomma, possiamo descrivere, secondo l’accezione di tale termine da noi delineata, solo un oggetto concreto.

L’ «istanza di esistenza», però, ex hypothesi, è una proprietà di primo livello, e non un oggetto reale. Proprietà aventi contenuto informativo, come quelle di primo livello, non possono essere assegnate all’ «istanza di esistenza»: ogni proprietà assegnatale sarebbe di secondo livello. Da questo conseguirebbe il non poter formare un enunciato chiuso che verta sull’ «istanza di esistenza». Un enunciato, o una asserzione chiusa sarebbe un’asserzione che verte su un oggetto fornendoci delle proprietà concrete ad esso riferite. Mentre un’asserzione aperta sarebbe composta dal rapporto tra due proprietà, come quello già visto nell’espressione “la proprietà del concetto ‘Socrate’ è di essere istanziato”. Anche per questo, non sarebbe possibile definire l’ «istanza di esistenza» come l’insieme delle proprietà di primo livello che un oggetto ha: si tratterebbe l’ “esistenza” come se fosse un oggetto, mentre è, ex hypothesi, una proprietà di primo livello. Come fare dunque a definire l’ «istanza di esistenza» senza tirare in ballo l’ “essenza” di un individuo concreto e senza poter usare predicati di primo livello?

Miller introduce la nozione «ciò in virtù di cui» per cercare di definire l’ «istanza di esistenza» e, nel fare ciò, ci propone anche un interessante esempio. Consideriamo una lampadina e il filamento attraverso il quale scorre l’elettricità. Anche se la corrente fosse la condizione necessaria e sufficiente dell’essere incandescente e caldo del filamento, cosa che non è – dice Miller –, non avrebbe senso attribuire le proprietà dell’ “essere caldo” e dell’ “essere incandescente” direttamente alla corrente elettrica. La corrente elettrica è invece, «ciò in virtù della quale» il filamento è incandescente e caldo. La stessa situazione si ritroverebbe, all’incirca, nel caso dell’ «istanza di esistenza» di Socrate, che sarebbe descrivibile, non come ciascuna delle proprietà che Socrate ha, ma come «ciò in virtù di cui» Socrate ha la proprietà di “essere saggio”, di “essere intelligente”, etc.

Ora, mentre la corrente elettrica ha già qualcosa di costituito a cui dare energia, qualcosa da rendere caldo e incandescente – il filamento –, l’ «istanza

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di esistenza» di Socrate non ha nulla di già costituito in potenza da rendere attuale. L’ «elemento Socrate», abbiamo visto, rappresenta solamente il confine della sua «istanza di esistenza» – teniamo presente l’esempio del “panetto di burro” –, e le sue proprietà possono essergli attribuite solo in virtù dell’ «istanza di esistenza» che l’ «elemento Socrate», come insieme delle sue proprietà, delimita. Per questo le proprietà vengono denominate «virtuali», e non “potenziali”92. Perché possono esistere solo in virtù dell’ «istanza di esistenza» dell’elemento a cui sono legate, e non, invece, autonomamente. Ciascuna proprietà virtuale di “Socrate” è, inoltre, espressione di una sola «istanza di esistenza»: quella di Socrate, appunto.

Altra considerazione. Il fatto che l’ «istanza di esistenza» di Socrate sia «ciò in virtù di cui» egli sia intelligente e saggio, non implica che lo sia anche necessariamente. La ragione è che, siccome l’ «elemento Socrate» è il limite della sua esistenza e siccome è accidentale che il «contenuto quidditativo» di detto limite includa l’ “essere intelligente” e l’ “essere saggio”, è altrettanto

92 Miller precisa ulteriormente la distinzione tra potenzialità e «virtualità». Prendiamo

l’espressione “qualunque cosa abbia, l’istanza di esistenza di Socrate ha ciò in virtù di cui Socrate è attuale – l’insieme delle sue proprietà che ha attualmente solo in virtù dell’istanza di esistenza”. Supponiamo che questa virtualità delle proprietà attuali di Socrate sia, nel caso dell’espressione ora formulata, solamente una potenzialità travestita da «virtualità». In questo caso, l’espressione dovrebbe essere interpretata come “qualsiasi cosa abbia, l’istanza di esistenza di Socrate ha ciò grazie a cui Socrate può essere (ha la potenzialità di essere) attuale”. In quest’ultimo caso, l’uso di “può” è un uso de re. Un Socrate con la potenzialità di esistere dovrebbe certamente essere una cosa in cui l’esistenza potrebbe istanziarsi. Questa cosa, così considerata, dovrebbe essere una cosa dotata di una attualità, in qualche modo precedente all’esistenza che potrebbe istanziarla. Ciò, come abbiamo visto, non può essere accettato. Il modo corretto di interpretare la precedente espressione sarebbe quello di riferirsi all’uso de dicto del verbo “potere”. In questo caso, la «virtualità» potrebbe essere descritta come “ciò in virtù di cui può essere che (Socrate è attuale)”. Questa descrizione differisce massimamente dalla descrizione di una potenzialità come “ciò in virtù di cui (Socrate può essere attuale). Le «virtualità» non vanno confuse con le potenzialità. Questa confusione nasce dall’ambiguità di “potere” nel suo duplice uso logico: de re e de dicto. Non è tutto. Si potrebbe ancora non essere convinti, richiamando l’effato scolastico ab esse ad posse valet

illatio (da il caso dell’essere attuale di qualcosa si può inferire che questo essere attuale può

essere attuale). Si sosterrebbe, in questo caso, che se “Socrate è attuale” fosse vero, implicherebbe sicuramente che “Socrate può essere attuale”. Niente affatto – dice Miller. Infatti, l’effato non implica necessariamente la sua interpretazione de re (Socrate può essere attuale). Esso, secondo quanto abbiamo detto, implica, altresì, l’interpretazione de dicto (può essere che “Socrate è attuale”). Il ricorso all’effato scolastico non produrrebbe un argomento contro le considerazioni di Miller. Le considerazioni in merito alla «virtualità» non violano l’effato scolastico: negano solo la validità della sua interpretazione de re.

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accidentale che l’ «istanza di esistenza» di Socrate sia «ciò in virtù di cui» Socrate è intelligente e saggio. In questo senso, specifica il filosofo australiano, l’uso del verbo “potere”, quando si dice che “Socrate può essere saggio e intelligente” – attribuendo a Socrate delle potenzialità attualizzabili – dovrebbe essere inteso in modalità de dicto e non de re.

Abbiamo cercato di mostrare come Miller caratterizzi il rapporto tra «elemento individuo» e «istanza di esistenza» in riferimento ad un individuo concreto. Per ora ci basti considerare questa distinzione a livello intuitivo. Approfondiremo il metodo usato dal nostro filosofo per rintracciare i due elementi costitutivi di ogni individuo concreto – «istanza di esistenza» e «elemento individuo» – nella prossima Parte di questo lavoro: precisamente nel Capitolo relativo all’ontologia milleriana.