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Negazione interna e negazione esterna.

4. La proposta di Barry Miller.

4.3. Negazione interna e negazione esterna.

Il filosofo australiano comincia la sua argomentazione rivolgendosi a C. J. F. Williams, che considera la distinzione tra negazione esterna e negazione interna come una «distinzione senza differenza» (a distinction without a difference).

Consideriamo l’esempio “a è non morale”. Questo può voler dire che “a” ha la proprietà di “essere non-morale”. Oppure può voler dire che si nega ad “a” la proprietà di “essere morale”. La negazione interna può essere attribuita al primo significato: “a (è non-morale)”. La negazione esterna al secondo: “non si dà il caso che (a è morale)”. Nota acutamente Miller che se la distinzione fra i due tipi di negazione fosse una «distinzione senza differenza» i due sensi sopra espressi sarebbero sempre intercambiabili. Non è così: il primo casosi traduce con “a è immorale”; il secondo, invece, con “a è, o im-morale, o a- morale”. La distinzione è fondata, quindi, e dà notevoli vantaggi nell’ interpretare i casi in cui “esiste” viene usato come predicato di primo livello. I problemi sugli esistenziali negativi sussisterebbero se considerassimo la negazione della proprietà di esistere come se fosse un predicato logico. In realtà questa negazione non è logica, ma proposizionale: nega la possibilità di poter asserire la verità di “Lord Hailsham esiste”. Quindi la “non-esistenza” espressa da “non esiste” sarebbe una proprietà di proprietà, una proprietà “Cambridge”. Per capire quando un predicato giochi, o meno, un ruolo logico in una frase, Miller si rifà alla “storia costruttiva” (constructional history) di Dummett. Il nostro filosofo ci dice che ‹‹difficilmente può essere negato che rimuovendo il nome ‘Lord Hailsham’ da ‘Non si dà il caso che (Lord Hailsham esiste)’ si ottenga il predicato negativo ‘Non si dà il caso che ___ esiste’. Tuttavia la proprietà per la quale esso sta [che questo predicato negativo rappresenta] non può essere reale. Perché? Perché questo predicato [negativo]

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non occorre in quella che Dummett chiamerebbe la storia costruttiva di ‘Non si dà il caso che (Lord Hailsham esiste)’››79.

Ecco come si elabora, secondo Dummet, la “storia costruttiva” di una proposizione:

1. Si rimuova il nome proprio da una proposizione arbitraria “Cesare esiste”, per formare il predicabile “___ esiste”.

2. Si inserisca “Lord Hailsham” nello spazio vuoto di “___ esiste” per formare “Lord Hailsham esiste”.

3. Si inserisca questa proposizione nello spazio vuoto di “Non si dà il caso che ___ esiste” per formare “Non si dà il caso che Lord Hailsham esiste”.

Barry Miller ci dice chiaramente che il punto in questione non è il mostrare come la proposizione sia formata, ma rivelare i suoi impegni ontologici. Questi impegni possono essere rintracciati solo dalle parti logiche impiegate nella sua “storia costruttiva”. Chiaramente, rivendica Miller, il predicabile “Non si dà il caso che ___ esiste” non gioca alcun ruolo in questo processo. Di conseguenza la proprietà a cui si riferisce la proposizione non può essere che una proprietà “Cambridge”.

La predicazione esistenziale negativa sarebbe assurda solo se la “non- esistenza” fosse una proprietà reale. Ma, la “non-esistenza” non è una tale proprietà. Se noi, quindi, consideriamo la negazione espressa dalla proposizione “Lord Hailsham non esiste” come se fosse una negazione esterna, non incorriamo in alcuna assurdità nel riferirci ad un defunto Lord Hailsham. Il filosofo australiano non si accontenta di liquidare la questione evidenziando l’ambivalente uso della negazione. La sua argomentazione funzionerebbe anche considerando la negazione, espressa dalla proposizione, come interna. Per fare ciò, egli ricorre ad una acuta metafora volta a mettere

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in mostra come non sempre la negazione di una proprietà reale sia anch’essa una proprietà altrettanto reale.

4.4. The «property red», the «piece of wood» and the «piece of glass».

Sostituiamo la proprietà di “esistere” con quella di “essere rosso” (property red), che indicheremo con (R). Se si affermasse che ad un pezzo di legno (piece of wood) manca la proprietà di “essere rosso” (R) si presupporrebbe che lo stesso pezzo di legno abbia, al posto dell’ “essere rosso” (R), un’altra proprietà correlata al “non-essere rosso” (R), per esempio l’ “essere marrone” (M). In questo caso la proprietà di “non-essere rosso” (R) equivarrebbe ad un’altra proprietà della stessa specie di (R): ([R] ≡ [M]).

Tuttavia, se spostassimo il riferimento ad un altro oggetto, per esempio un pezzo di vetro (piece of glass), avremmo dei risultati diversi. Se, infatti, affermiamo che un pezzo di vetro “non-è rosso” (R), non siamo legittimati a presupporre implicitamente che vi sia, al posto dell’ “essere rosso” (R) del vetro, un’altra proprietà della stessa specie. Questo, perché un pezzo di vetro, a differenza del pezzo di legno, potrebbe anche essere in-colore. Nel caso del pezzo di legno, il suo “essere rosso” è una differenza specifica di un genere: l’ “essere colorato”. Tale genere include, ovviamente, l’ “essere rosso” e ogni altro colore. Nell’esempio del pezzo di vetro le cose vanno diversamente: il suo “essere rosso” non può rappresentare una differenza specifica del genere “essere colorato”. Infatti, tra l’ “essere rosso” e l’ “essere in-colore” non vi sarebbe niente in comune. Siccome, nota Miller, tra l’ “essere e il “non-essere” non pare esservi nulla in comune, e quindi, nonostante il fuorviante aspetto grammaticale, nessuna continuità; l’esempio del pezzo di vetro rappresenterebbe un buon paradigma per approcciarsi alla questione del rapporto tra “esistenza e non-esistenza”. Infatti, dice il filosofo australiano, ‹‹assegnare la mancanza di esistenza a b (che è esistito) [Lord Hailsham negli

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esempi precedenti] non comporta la presenza in b della non-esistenza come di una proprietà reale piuttosto che di una proprietà Cambridge››80. Anche rispetto agli oggetti ontologici che avevano l’esistenza e ora non l’hanno più, le persone defunte ad esempio, il rapporto tra “esistenza” e “non-esistenza” in cui tali oggetti si trovano implicati, verrebbe risolto e chiarito con l’esempio del rapporto tra una proprietà reale: l’ “esistere di Lord Hailsham” o l’ “essere rosso” di un pezzo di vetro; e una proprietà “Cambridge”: il “non esistere più di Lord Hailsham” o l’ “essere in-colore” di un pezzo di vetro”. L’ “essere in- colore” è sì una proprietà del vetro, ma non comporta realmente la sua in- colorità. Come avveniva nell’esempio della “cecità” di Tommaso, che in una frase quale “Omero è cieco” giustificava questo uso del verbo “essere” come esse ut verum e non come esse ut actus essendi.