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3. Il modus tollens Frege-Russell-Quine.

3.3. La ripresa di Quine.

A questo punto, giungiamo alla formulazione compiuta di quella che abbiamo definito la “standard view logica della nozione di esistenza”. Se Russell riprende da Frege il suo modo di riferirsi agli oggetti come alla proprietà di essere il tal oggetto, Quine riprende da Russell il suo modo di formulare le descrizioni definite riferite ai nomi propri. Inoltre, insiste nel sistematizzare il nesso fra esistenza e quantificazione, già notato nelle

Negazione esterna, o proposizionale

Negazione interna, o predicativa

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prospettive dei due filosofi che hanno contribuito maggiormente alla elaborazione della standard view.

Cominciamo con il riportare un estratto di Quine, che mostra un collegamento esplicito alla riflessione di Bertrand Russell:

Russell, nella sua teoria delle cosiddette descrizioni singolari [presentata in On Denoting], ha mostrato chiaramente come potremmo usare con senso dei nomi apparenti senza supporre che ci siano le entità che si presume siano nominate. I nomi ai quali la teoria di Russell si applica direttamente sono nomi descrittivi complessi del tipo ‹‹l’autore di Waverley››, ‹‹l’attuale Re di Francia›› […]. L’asserzione non analizzata ‹‹l’autore di Waverley era un poeta›› contiene una parte, ‹‹l’autore di Waverley››, che suppongono [chi non la pensa come Quine], a torto, richieda un riferimento oggettivo per avere un significato qualsiasi. Ma nella traduzione di Russell, ‹‹Qualcosa ha scritto Waverley ed era un poeta, e nient’altro ha scritto Waverley››, il peso del riferimento oggettivo che era stato assegnato alla locuzione descrittiva è ora trasferito su parole tipo quelle che i logici chiamano variabili vincolate, cioè come ‹‹qualcosa››, ‹‹niente››, ‹‹tutto››70.

3.3.1. Parafrasi di nomi propri.

Se Russell propone una via per parafrasare le descrizioni definite riferite ad oggetti concreti, il problema rimane riguardo a quei nomi propri che denotano oggetti inesistenti singolari, la cui parafrasi diventa più complicata. Abbiamo visto che l’enunciato “gli unicorni non esistono” era riferito ad una classe (quella degli “unicorni”, appunto); Abbiamo visto che anche “l’attuale re di Francia›› era riferito ad una classe (quella di essere “l’attuale re di Francia”). Ma come dovremmo comportarci con asserzioni del tipo: “Pegaso non esiste”; oppure: “Pegaso è un cavallo alato”? In questo caso il portatore (bearer) del nome Pegaso non c’è, non è annoverabile all’interno del nostro

70 W. V. O. Quine, ‹‹On What There Is››, in Id., From a Logical Point of View [1953], Harvard

U.P., Cambridge, Mass., pp.18-19; trad. it. P. Valore (a cura di), Da un punto di vista logico, Cortina, Milano 2004.

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inventario ontologico. La proposta quineana è quella di estendere le russelliane descrizioni definite anche ai nomi propri. Infatti, ogni nome proprio potrebbe essere tradotto in una descrizione definita e rientrare, quindi, nella procedura di Russell sopra descritta. Secondo questa prospettiva, un nome proprio sarebbe riformulabile attraverso delle descrizioni capaci di farci capire a che cosa ci stiamo riferendo; oppure attraverso il conio di predicati artificiali ad hoc, quali – nel caso prima evocato – “pegasizza”. In altre parole, si sta ribadendo l’idea kantiana secondo la quale sarebbe impossibile riferirsi alla “cosa in sé” cui il nome del portatore (bearer) rimanderebbe in maniera inequivocabile. Ci si potrebbe solo riferire alla referenza (reference) che espliciterebbe il senso di tale nome. Ovviamente, tale referenza, sarebbe un concetto, un attributo (“pegasizza”) che potrebbe essere non istanziato oppure istanziato; e non un oggetto reale. Se il nome proprio si riferisse direttamente al portatore (Bearer) non si potrebbe aggirare il problema degli esistenziali negativi, e “Pegaso” si riferirebbe a qualcosa che non esiste e tale nome non sarebbe, perciò, pronunciabile sensatamente. “Pegaso” deve essere quindi riformulato o come “il cavallo guidato da Bellerofonte”, o come il “pegasizzante” (reso anche con: “l’oggetto x che pegasizza”). In questo modo si potrebbe utilizzare la procedura indicata da Russell. Dire che “Pegaso non esiste” dovrebbe essere tradotto con “non c’è un unico oggetto x tale che x è un cavallo alato guidato da Bellerofonte”, oppure “non c’è un unico oggetto x tale che x pegasizza”:

[Si pensava] che non fosse possibile affermare un’asserzione dotata di significato della forma ‹‹Il tal dei tali non è››, con un nome singolare semplice o descritto al posto di ‹‹il tal dei tali››, a meno che il tal dei tali non fosse. Si è ora visto che questa supposizione è, in generale, del tutto infondata, dato che il nome singolare in questione può essere sempre tradotto in una descrizione singolare, in modo banale o altrimenti, e quindi analizzato à la Russell71.

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3.3.2. Quantificazione e impegno ontologico.

W. O. N. Quine è famoso per aver formulato un particolare concetto di “impegno ontologico” che rappresenta un modo di rispondere alla domanda “verso cosa possiamo impegnarci a dire che esiste?”. Il filosofo statunitense risponde così:

Possiamo, molto semplicemente, impegnarci dal punto di vista ontologico, dicendo, per esempio, che c’è qualcosa (variabile vincolata) che le case e i tramonti rossi hanno in comune; o c’è qualcosa che è un numero primo maggiore di un milione. Ma questo è, essenzialmente, l’unico modo in cui possiamo impegnarci dal punto di vista ontologico: col nostro uso delle variabili vincolate. L’uso dei nomi presunti [invece] non costituisce un criterio, perché possiamo sempre rifiutare che siano effettivamente nomi [cioè che abbiano un portatore] […].

Tutto ciò che diciamo con l’aiuto dei nomi può essere detto in un linguaggio che eviti completamente i nomi. Essere assunto come entità equivale, puramente e semplicemente, a essere incluso tra i valori di una variabile. […] Le variabili della quantificazione, ‹‹qualcosa››, ‹‹niente››, ‹‹tutto››, spaziano sull’intera nostra ontologia, quale che essa sia: ci può essere imputato un particolare presupposto ontologico se, e solo se, il presunto presupposto deve essere incluso fra le entità su cui spaziano le nostre variabili per rendere vera una delle nostre affermazioni72.

Si comprende chiaramente che, anche per Quine, la nozione di esistenza è catturata dal quantificatore: le variabili da lui menzionate sono variabili di quantificazione (“tutti [(x)], “nessuno” [(x)], “qualcuno” [(x)]). Il peso del riferimento oggettivo deve essere spostato verso tali variabili, o meglio, verso i quantificatori che contano per quanti elementi vale una determinata proprietà. Non deve essere caricato sui “nomi” del linguaggio ordinario, come invece la sua struttura grammaticale vorrebbe suggerirci.

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Il criterio di “impegno ontologico” ci fornisce un metodo per comprendere che cosa dovrebbe esistere, affinché gli enunciati, che quantificano sulle varie cose, siano veri.