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La «pienezza dell’essere».

4. La proposta di Barry Miller.

4.7. La «pienezza dell’essere».

Seguendo una strada già segnata dal contributo di Mosè Maimonide, Al Farabi, Avicenna e Tommaso, il filosofo australiano prova a collegare la sua idea di “esistenza” ad una Esistenza senza i limiti dell’ “essenza”: l’ ipsum esse subsistens. Egli, però, si impegna a restare sempre all’interno di un’analisi ontologica, senza sconfinare esplicitamente nella teologia. Il suo scopo è quello di imboccare una via razionale volta a legittimare l’esistenza di tale “Essere”. Tale tragitto completa le considerazioni dell’autore riguardo alle caratteristiche dell’ «istanza di esistenza» che trovano come punto d’approdo la nozione di un Essere la cui “esistenza” non sia distinta dalla sua “essenza”. La consistenza ontologica di tale Essere, come vedremo nel prosieguo di questo lavoro, darà dignità ontologica anche ad ogni «istanza di esistenza» individuale.

La via che intraprende Miller è quella di descrivere l’ ipsum esse subsistens partendo dalla differenza tra tale “Essere” e l’ “essere” degli enti

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finiti93. Nel far ciò, come è solito fare, egli ci propone un altro esempio riferito alla distinzione tra due tipologie di “limite”.

4.7.1. «Limite simpliciter» e «caso limite».

Partiamo dagli esempi concreti del filosofo australiano utilizzati per spiegare la differenza tra «limite simpliciter» (limit simpliciter) e «caso limite» (limit case).

La velocità della luce è un esempio di «limite simpliciter» della velocità. La velocità della luce, infatti, è la velocità massima – secondo le nostre conoscenze fisiche. Mentre la velocità “zero Km/h” è il «caso limite» della velocità. Il limite massimo della luce, identificato come «limite simpliciter», è ancora una velocità. Non è così per il «caso limite»: la velocità “zero Km/h” non è una velocità. Il «caso limite» velocità “zero Km/h” non è incluso nella serie “velocità”, ma ha a che fare con essa in quanto ne costituisce un caso limite, appunto.

Un altro esempio. Consideriamo un punto e una linea. Il punto è il «caso limite» della serie “linee”, ma non è una linea. Pur non essendo una linea, il punto è la condizione affinché la linea possa esistere: essa, infatti, è costituita da un insieme di punti. La relazione tra figure geometriche può continuare passando dal punto alla linea, dalla linea alla superficie, dalla superficie al volume, dalla linea al poligono regolare, dal poligono regolare alla circonferenza, etc.

Ancora: immaginiamo un predicato di primo livello. Immaginiamo, per comodità, che questo predicato sia istanziabile un numero determinato di volte. Ora, l’istanziabilità di un predicato tenderebbe verso il numero zero che

93 La via intrapresa da Miller parte dalla sua risposta a Hughes, Plantinga e Kenny che

avevano criticato l’ammissibilità dell’ipsum esse subsistens giudicandolo troppo poco informativo e “sottile” per essere sia esistente che sussistente. Kenny, provando a considerarlo come la perfezione di tutti gli atti e quindi come l’unione di “esistenza” ed “essenza”, aveva espresso delle riserve rispetto alla possibilità di trovare la differenza reale tra l’ “Essere”, inteso come ipsum esse subsistens, e l “’essere” degli enti finiti.

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corrisponderebbe all’eliminazione totale del gap corrispondente allo spazio vuoto presente nell’espressione “___ è saggio”. Eliminando il gap, e quindi chiudendo l’espressione con un nome proprio – per esempio Socrate –, otterremmo una proposizione composta da un predicato a zero posti, essendo la sua istanziabilità interamente catturata da un individuo concreto: Socrate. Seguendo questo ragionamento, un predicato avrebbe “n-posti” solo quando considerato come di livello superiore al primo. Sarebbe senza posti quando fosse considerato come di primo livello. Quindi, il “caso limite” della serie dei predicati sarebbe il caso “zero posti”, corrispondente ad una proposizione avente un valore di verità: “Socrate è saggio”.

Ora, gli esempi della linea, del punto e quello dei predicati sono calzanti nell’ attribuire al «caso limite» la condizione di massima perfezione della serie, pur non essendo parte della serie – così come una circonferenza è il «caso limite» dei poligoni regolari che, aumentando indefinitamente il numero di lati, tenderebbero alla circonferenza, pur non potendo mai essere una circonferenza. Gli esempi menzionati sono calzanti anche per permetterci di attribuire al «caso limite» la condizione di esistenza della serie – un predicato di secondo livello sarebbe costruibile sulla base del fatto che qualche proprietà sia attribuibile ad un individuo concreto; così come una linea sarebbe costruibile grazie all’esistenza del punto.

Miller propone di interpretare l’Esistenza sussistente come “caso limite” dell’esistenza degli esseri finiti. L’Essere sussistente non è il massimo grado di una serie (limite simpliciter), ma ne è il «caso limite». Esso è esterno alla serie, ma necessario per il darsi della serie stessa.

Negli enti finiti, abbiamo visto, l’ «istanza di esistenza» è distinta rispetto all’ «elemento individuo», e viceversa. L’ «istanza di esistenza» è subordinata all’ «elemento individuo» nell’ordine dell’individuazione, e l’ «elemento individuo» è subordinato all’ «istanza di esistenza» nell’ ordine dell’attualità. Queste reciproche subordinazioni denotano una reciproca incompletezza degli elementi che compongono un ente finito. L’ «istanza di esistenza» ha bisogno dell’ «elemento individuo» per essere, appunto,

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individuata e per essere, quindi, qualcosa. L’ «elemento individuo» è incompleto sotto il profilo dell’attualità e ha bisogno dell’ «istanza di esistenza» per poter esistere. Secondo uno sguardo superficiale, la mancanza di queste incompletezze, da parte dell’ ipsum esse subsistens, potrebbe creare dei problemi teorici. Essendo completo sotto il profilo dell’individuazione, tale Essere non avrebbe bisogno dell’ «elemento individuo» e quindi sarebbe privo dell’ “essenza”: del limite della propria «istanza di esistenza». Questo potrebbe comportare dei problemi qualora si provasse a determinare o individuare tale Essere, distinguendolo dagli altri enti. Dall’altro lato, essendo completo sotto il profilo dell’attualità non necessiterebbe dell’ «istanza di esistenza» e quindi dell’esistenza.

Bene, Miller fa notare che il «caso limite» delle “essenze” (serie dei limiti delle «istanze di esistenza» nell’esempio del “panetto di burro”) è esterno alla serie delle “essenze”; e tuttavia, come abbiamo visto, sarebbe la condizione per il costituirsi di ogni “essenza”. La stessa cosa vale per la serie delle «istanze di esistenza». Ora il punto è questo: se il «caso limite» della serie «istanze di esistenza» fosse esterno alla serie e quindi non si identificasse propriamente con l’esistenza, allora questo «caso limite» non esisterebbe. Il filosofo australiano nota che il «caso limite» dell’ «istanza di esistenza» non sarebbe una non-esistenza, bensì una non-istanza di esistenza. Dovrebbe essere vista come “istanza di esistenza” solo in senso analogico.

Questo «caso limite», in cui tutto è attualizzato e individuato senza limiti – considerando i termini “attualizzato” e “individuato” in senso analogico –, rende possibile la coincidenza di tutti i «casi limite» di tutte le serie di proprietà94. Miller indica tale «caso limite», corrispondente all’ ipsum esse subsistens come ‹‹pienezza dell’essere›› (The Fullness of Being).

94 Non ci sarebbe nessun problema nel dire che ci sia un “caso limite” comune a diverse serie

di cose. Un punto sarebbe il “caso limite” di una serie di linee sempre più corte, ma anche di una serie di circonferenze di diametro sempre decrescente.

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Parte III. Contingenza.

1. Considerazioni preliminari intorno alla trattazione milleriana