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Il “dilemma esistenziale” milleriano.

Da quanto è stato detto fino ad ora, possiamo impostare il seguente ragionamento.

Siamo partiti costruendo un’ontologia basata sull’individuazione degli elementi ontologici presenti nel linguaggio. Nella fattispecie, abbiamo cercato di individuare detti elementi ontologici nella proposizione “Fido è nero”. Per compiere questo passo, ci siamo avvalsi dell’analisi freghiana che, pur non essendo l’unico tipo di analisi possibile, è perlomeno un’analisi ritenuta corretta. Parlare degli elementi ontologici della proposizione “Fido è nero”, ci ha portato a considerare [Fido] come l ’ «entità completa», e a considerare la [nerezza di Fido] come l’ «entità incompleta», relata e riferita a [Fido]. Intuitivamente, considerare [Fido] come l’ «entità completa», implica la sua esistenza concreta, altrimenti non potrebbe essere un «costituente» di “Fido è nero”. Abbiamo, allora, provato a considerare la proposizione “Fido esiste”, cercando di rintracciare, tramite il metodo freghiano utilizzato in precedenza, la relazione tra Fido e la sua esistenza. Abbiamo quindi rilevato la presenza di un paradosso: [Fido] dovrebbe essere un «costituente» e un’ «entità completa» dell’intero ontologico l’[esistere di Fido]; e l’[esistenza di Fido] – come la sua nerezza nel caso precedente – dovrebbe essere solo un tratto, un’ «entità incompleta» dell’intero l’[esistere di Fido], completabile solamente da [Fido]; ma [Fido] separato dalla sua esistenza, non può essere considerato come un «costituente» e tantomeno come un’ «entità completa», perché, come abbiamo visto, non si può riferirsi ad un individuo concreto preciso, prima che questo esista.

Il problema, a questo punto, è che l’esistenza di Fido è individuata da [Fido], ma [Fido] risulta essere inimmaginabile fino a quando non abbia completato la sua esistenza. Ci troviamo di fronte a quella che il filosofo australiano chiama «interdipendenza»: da una parte, l’esistenza di Fido non potrebbe essere l’ «istanza di proprietà» che è, se non fosse individuata in [Fido]; d’altra parte, [Fido] non potrebbe essere immaginato come

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quell’individuo concreto che è se non si desse in modo individuato la sua esistenza.

Secondo la strategia freghiana da noi utilizzata, ogni costruzione concettuale dell’esistere di Fido può iniziare solamente con un’ «entità completa». Questa condizione esclude che l’[esistenza di Fido] – entità incompleta – possa essere il punto di partenza della costruzione concettuale. Il passo successivo della costruzione dovrebbe essere il completamento, da parte di [Fido], dell’[esistenza di Fido], che, normalmente, deve essere completata dall’ «entità completa» a cui si riferisce. Ciò presuppone che [Fido] sia in grado di completare la sua esistenza. Questa abilità – l’essere in grado di – comporta l’essere in grado di completare la propria esistenza, senza tuttavia essere attualmente esistenti. Ma un Fido che non abbia attualmente completato la sua esistenza – che quindi non esista – non è affatto immaginabile; tanto meno come in grado di completare la propria esistenza. [Fido], quindi, è escluso dall’essere considerato la base della costruzione concettuale, il cui avvio sembra dunque impossibile. Tale cominciamento, secondo la circolarità detta da Miller «interdipendenza», non può avvenire né partendo dall’ [esistenza di Fido] – entità incompleta; né partendo da [Fido]; poiché, al livello base della costruzione, non può completare la sua esistenza.

Ecco, in termini ancora più espliciti, il dilemma ora rinvenuto:

(C1) [Fido] e l’[esistenza di Fido] sono «costituenti» dell’[esistere di Fido]; l’[esistere di Fido] dovrebbe essere costruibile concettualmente a partire dai suoi «costituenti».

(C2) L’ [esistere di Fido] non sembra essere costruibile dai suoi «costituenti», poiché solo [Fido] potrebbe essere il primo stadio della costruzione, ma è allo stesso tempo escluso da quel ruolo: la sua capacità di completare la sua esistenza non è concepibile sino a quando esso non la completi attualmente.

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La tensione tra i due corni del dilemma – (C1) e (C2) – avrebbe a che fare con l’interpretazione, già citata, del “fatto bruto” dell’esistere di Fido. Essa non sarebbe sostenibile. Infatti, Miller, ci propone una reductio ad absurdum:

(P1) Assumiamo l’interpretazione del “fatto bruto” secondo cui l’esistenza di Fido non richiederebbe logicamente domande.

(P2) Ma, se l’esistenza di Fido non richiedesse domande, allora anche i problemi che scaturiscono dalle implicazioni dell’esistere di Fido non le richiederebbero. Ciò, nonostante si sia considerata legittima l’analisi freghiana sopra esposta. Quindi, in ogni caso resta da considerare il dilemma tra (C1) e (C2) che ne consegue.

(P3) Senonché, il sostenitore del “fatto bruto”, si preclude la possibilità di decidere intorno al dilemma. Ora, la congiunzione di (C1) e (C2) risulta auto-contraddittoria e quindi, lasciata a se stessa, implica la derivabilità di ogni possibile conseguenza (ex falso quodlibet), inclusa la tesi che l’esistere di Fido richieda una domanda specifica quale: “come mai è possibile che Fido esista, se la verità di (C1) e quella di (C2) sono in contraddizione tra loro?”

(P4) Se, l’interpretazione del “fatto bruto” fosse vera, l’esistere di Fido

dovrebbe logicamente richiedere e insieme non-richiedere la domanda da noi sopra proposta.

(C) Quindi, l’interpretazione del “fatto bruto” è falsa.

Ora, se il dilemma fosse irresolubile, Fido non potrebbe esistere. Dato che egli esiste, uno dei due corni deve essere falso. Poiché [Fido] e l’[esistenza di Fido] sono effettivamente «costituenti» dell’[esistere di Fido], l’unica

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conclusione accettabile è che [Fido], nonostante sia inimmaginabile prima della sua esistenza, può comunque costituire il primo passo della costruzione concettuale dell’ [esistere di Fido].

Possiamo sicuramente affermare che [Fido] potrebbe essere il primo passo della costruzione concettuale della sua esistenza, solo se fosse in grado, appunto, di completare la sua esistenza. La capacità di completare la propria esistenza da parte di [Fido], compare solo in coincidenza con l’essere in atto di detta capacità, e quindi con l’essere in atto di Fido stesso. Insomma, essere in grado di completare la propria esistenza vuol dire essere in atto. Ma il fatto che [Fido] sia in atto, non vuol dire che possegga di per sé detta capacità, perché possedere detta capacità, proprio per il fatto di essere in atto, vorrebbe dire possederla grazie al proprio esistere: all’[esistere di Fido]. L’[esistere di Fido] sarebbe, a questo punto, logicamente anteriore a [Fido] stesso: ovvero, consentirebbe a [Fido] di completare la sua esistenza. Ciò, oltre a creare un circolo vizioso, non sarebbe compatibile con il fatto che [Fido] è un «costituente» dell’[esistere di Fido], e non viceversa.

Come ormai si sa, [Fido] non può possedere la capacità di completare la propria esistenza neanche in virtù del suo essere un individuo concreto, altrimenti sarebbe stato immaginabile anche prima di essere venuto all’esistenza.

Bene, se possiede detta capacità – in effetti Fido esiste –, ma non la possiede né perché è esistente né perché è un individuo concreto, allora deve possederla in virtù di qualcosa di differente dal suo essere semplicemente in atto e dal suo essere un individuo concreto. Chiameremo “m”126 – con Miller – questo fattore ulteriore.

Il dilemma, a questo punto, presenta questa soluzione: consideriamo la capacità di [Fido] di completare la sua esistenza come coincidente, non con il possesso bensì con l’esercizio di quella capacità. In questo caso, il punto di

126 Miller usa in principio la lettera “a”. In un secondo momento, nell’ argomentazione volta

a spiegare il ruolo causale di “a”, cambia la lettera con “m”, per distinguerla da “a”, “b”, “c”, “d”: altre cause coinvolte nell’argomento. Useremo pertanto soltanto la lettera “m”.

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partenza della costruzione concettuale può tornare ad essere [Fido] senza grosse complicazioni.

4.1. La relazione tra “m” e un individuo concreto.

Abbiamo visto che “m” è ciò in virtù di cui Fido è in grado di completare la sua esistenza, ma resta da chiarire come ciò possa essere compatibile con l’impossibilità di immaginare Fido prima della sua esistenza. In altre parole, dobbiamo capire che relazione vi sia tra “m” e Fido.

Ecco lo schema impostato da Miller:

La fig. A e la fig. B non sarebbero corrette per spiegare la relazione tra “m” e Fido. Sarebbe corretta la fig. C. Questo, perché la fig. C ha il merito di mostrare come la capacità di Fido di completare la sua esistenza coincida con il suo attualizzare detta capacità. Inoltre mostra che, questa capacità sarebbe ontologicamente anteriore all’esistenza di Fido. Qui, “m” sarebbe ciò in virtù di cui [Fido] è in grado di completare la propria esistenza – l’[esistenza di Fido]. Congiuntamente, come la linea a “U inversa” suggerisce, “m” sarebbe ciò in virtù di cui l’[esistenza di Fido] è realmente completata da [Fido] stesso. Spiegato questo, si può considerare [Fido] come il primo passo della costruzione concettuale. Infatti, la viziosità emergente dall’assegnargli la

m

[Esistere di Fido]

FIGURA B

m

[Fido] (che completa) [la sua esistenza]

[Esistere di Fido] FIGURA C m [Fido] [Esistere di Fido] FIGURA A

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capacità di completare la sua esistenza in virtù del fatto di esistere, ora scomparirebbe. [Fido] avrebbe detta capacità in virtù di qualcosa di esterno al suo esistere: “m”, appunto.