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L’ambito di applicazione della disciplina antitrust e i rapporti con l’ordinamento comunitario

LA DISCPLINA ANTITRUST IN ITALIA

2. L’ambito di applicazione della disciplina antitrust e i rapporti con l’ordinamento comunitario

La legge 287/90 si compone di sei titoli, il primo dei quali detta le norme relative alla disciplina sostanziale delle intese, degli abusi di posizione dominante e delle operazioni di concentrazione; il secondo titolo istituisce l’organo nazionale di controllo delle operazioni e dei comportamenti restrittivi della concorrenza, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, determinandone i poteri e le procedure; il terzo titolo è dedicato ai poteri conoscitivi e consultivi dell’Autorità garante; il quarto titolo contiene disposizioni sui poteri del Governo in materia di operazioni di concentrazione; il quinto titolo riguarda i rapporti tra industria e banca; infine, il sesto titolo prevede norme relative alle procedure di applicazione delle sanzioni e alla tutela giurisdizionale.

La legge regola i rapporti della disciplina interna con quella comunitaria in materia di concorrenza in modo diverso da come tali rapporti sono regolati sia nelle altre legislazioni nazionali che nello stesso diritto comunitario.

L’art. 1 definisce infatti il campo di applicazione della normativa italiana in via residuale rispetto a quella comunitaria, prevedendo inoltre taluni criteri di raccordo con il sistema comunitario di tutela della concorrenza e stabilendo infine che per i casi di esclusiva rilevanza nazionale l’interpretazione degli artt. da 1 a 9 sia compiuta alla luce dei principi comunitari in materia di diritto della concorrenza141.

La scelta del legislatore italiano formulata all’art. 1 deve essere inserita nel generale fenomeno di adattamento degli Stati membri allo sviluppo e alla sempre maggiore importanza

141L’art. 1 della legge stabilisce al comma 1 che le disposizione della legge si applicano alle intese, agli abusi di

posizione dominante e alle concentrazioni di imprese che non ricadono nell’ambito di applicazione degli artt. 65 e 66 del Trattato istitutivo della CECA, degli artt. 81 e 82 del Trattato UE, dei regolamenti e di atti comunitari con efficacia normativa equiparata; il comma 4 stabilisce che l’interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell’ordinamento dell’Unione Europea in materia di disciplina della concorrenza; e i commi 2 e 3 traducono tali regole sul piano dei poteri dell’Autorità garante e della procedura stabilendo che l’Autorità qualora ritenga che una fattispecie al suo esame non rientri nell’ambito di applicazione della presente legge ai sensi del comma 1, ne informa la Commissione, cui trasmette tutte le informazioni in suo possesso e sospende l’istruttoria qualora la Commissione abbia iniziato una procedura in relazione alla stessa fattispecie, salvo che per gli eventuali aspetti di esclusiva rilevanza nazionale. Quindi l’art. 1 non solo limita il campo di applicazione della disciplina antitrust interna alle fattispecie che non siano già soggette al diritto comunitario, imponendo per di più di interpretarla in base ai principi del diritto comunitario, ma si preoccupa anche di evitare che l’Autorità garante si occupi di fattispecie presumibilmente soggette al diritto comunitario quando di esse si stia già occupando la Commissione. Così P. Auteri, I rapporti tra la normativa antitrust

nazionale e quella comunitaria dopo la legge comunitaria 1994, Contratto e impresa europa, 1996, pag. 535 e 536.

del sistema comunitario di tutela della concorrenza, che ha sostanzialmente ridotto l’ambito in cui le norme di tutela della concorrenza degli Stati membri possono essere applicate senza che vi sia sovrapposizione con il campo di applicazione della disciplina antitrust comunitaria. Tuttavia, mentre negli altri stati della Comunità la legislazione antitrust nazionale si applica a tutte le fattispecie che determinano effetti anticoncorrenziali all’interno dei rispettivi mercati nazionali ed anche alle fattispecie che, in quanto idonee a pregiudicare il commercio infrastatuale, sono soggette anche alle regole di concorrenza comunitaria, la portata della legge 287/90 è limitata alle pratiche restrittive della concorrenza che non ricadono nell’ambito di applicazione delle norme antitrust comunitarie. Il nostro legislatore ha cioè adottato il criterio della “barriera unica” o “dell’esclusione reciproca”, realizzando un riconoscimento della sussidiarietà della legge nazionale nei confronti della normativa comunitaria142.

Tale criterio esclude che la normativa antitrust nazionale possa essere applicata a fattispecie che, pur producendo effetti anticoncorrenziali nel mercato nazionale, sono soggette all’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza.

Con il ricorso a questo criterio, il nostro legislatore ha voluto evitare sia che la normativa interna dovesse occuparsi di fattispecie già disciplinate in modo soddisfacente dalla

142Sul piano teorico, i rapporti tra legge antitrust nazionale e disciplina comunitaria della concorrenza possono

essere improntati su tre modelli operativi: la doppia barriera, la barriera unica e la barriera unica omogenea. La doppia barriera identifica quei sistemi giuridici nazionali che non si preoccupano di evitare che la medesima fattispecie possa essere oggetto di valutazione sulla base sia del diritto interno che di quello comunitario. Si tratta di un modello che potrebbe dar vita a situazioni quantomeno anomale e che impone costi elevati alle medie e grandi imprese, costrette a sottoporsi ad un duplice livello di controlli. La barriera unica qualifica quei sistemi che per imposizione dell’ordinamento comunitario o per scelta dell’ordinamento nazionale, si escludono a vicenda, con una netta divisione delle sfere di competenza. Anche se si tratta del modello più diffuso, esso presenta una serie di inconvenienti non favorendo l’armonizzazione del diritto nazionale con quello comunitario e potendo determinare una disparità di trattamento tra fattispecie che, per le loro dimensioni, ricadono nell’ambito del diritto comunitario e fattispecie analoghe, ma di minore entità, che rientrano invece nella sfera di applicazione del diritto antitrust interno. La barriera unica omogenea, è un modello nuovo, delineato da Francesco Denozza sulla base dell’art. 1.4 della legge 287/90, il quale ha ritenuto che tale disposizione non ha solo lo scopo di fornire agli operatori giuridici una serie di concetti di natura tecnica, ma ha soprattutto la funzione di armonizzare i principi contenuti nella legge italiana con quelli enucleati dalla normativa comunitaria, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e dalla prassi della Commissione. Vi sarebbero quindi due sistemi di controllo, quello nazionale e quello comunitario, tra loro alternativi ma ispirati alla medesima ratio. Questo modello ha il pregio di fornire al giurista italiano una serie di criteri interpretativi ed operativi pragmatici, senza dubbio utili per affrontare i problemi causati dall’inesperienza del legislatore italiano in materia di normativa antitrust e di favorire un trattamento uniforme per fattispecie analoghe, anche se di dimensioni diverse. Tuttavia, questo sistema può comportare elevati costi sociali, poiché mentre l’ordinamento comunitario tutela la concorrenza come valore a sé stante, l’ordinamento italiano la inserisce in un contesto di valori parimenti tutelati, per cui un’applicazione integrale dei principi dell’ordinamento comunitario potrebbe comportare un ingiusto ed illegittimo sacrificio di interessi costituzionalmente protetti. Così P. Lo Cane, Le concentrazioni nel diritto antitrust italiano, Diritto & Diritti, ottobre 2001, pag. 1 e 2.

normativa comunitaria, sia che gli stessi accordi e comportamenti potessero essere sottoposti a norme diverse che potessero comportare valutazioni contrastanti, sia infine che l’Autorità garante dovesse occuparsi di fattispecie già soggette al controllo della Commissione. Alla base della soluzione adottata vi è quindi non solo l’esigenza di razionalizzazione normativa e amministrativa, di evitare che l’Autorità garante dovesse intervenire nei confronti di intese e pratiche anticoncorrenziali che, in quanto soggette al diritto comunitario, si supponeva venissero adeguatamente valutate dalla Commissione, ma anche l’esigenza di salvaguardare la certezza del diritto143.

In sostanza, il comma 1 rappresenta una clausola di salvaguardia dell’applicabilità della normativa comunitaria, in quanto prima di applicare la normativa antitrust nazionale, l’Autorità garante deve verificare che la fattispecie sottoposta al suo esame non rientri nel campo di applicazione delle norme comunitarie antitrust.

Non si tratta però di una questione pregiudiziale perché la verifica da attuare non influisce sul merito della decisione che eventualmente l’Autorità dovrà prendere; si tratta solo di verificare volta per volta se sussistono i presupposti per l’applicazione della normativa italiana piuttosto che di quella comunitaria e allora qui sorge un problema perché il requisito che delimita l’ambito di applicazione della normativa comunitaria è diverso a seconda che la fattispecie esaminata sia una concentrazione oppure si tratti di un’intesa o di un abuso di posizione dominante.

Per le concentrazioni, il limite all’applicazione della normativa comunitaria è costituito da un fattore oggettivo e quantificato, la dimensione comunitaria; per cui se la concentrazione è di dimensione comunitaria, si applica il regolamento comunitario sulle concentrazioni e l’applicazione di norme nazionali alla stessa fattispecie è preclusa, mentre se non sussiste la dimensione comunitaria l’Autorità garante può applicare la legge 287/90.

Nel caso invece delle intese e degli abusi di posizione dominante il requisito per l’applicazione delle norme comunitarie è rappresentato dall’esistenza di un pregiudizio al commercio fra Stati membri, cioè ad un requisito il cui accertamento, da parte della

143Così P. Auteri, I rapporti tra la normativa antitrust nazionale e quella comunitaria dopo la legge comunitaria

Commissione, discende da valutazioni non predeterminate e non predeterminabili a priori. Di conseguenza, per queste fattispecie, l’applicazione della legge italiana non dipende dalla definizione in astratto delle caratteristiche di esse in relazione al campo di applicazione, ma dalla valutazione concreta eseguita dalla Commissione circa l’esistenza del pregiudizio al commercio144.

I commi 2 e 3 dell’art. 1 disciplinano i criteri di coordinamento tra il sistema di tutela amministrativa della concorrenza italiano e il sistema antitrust comunitario, seguendo il principio del divieto di sovrapposizioni tra i due sistemi.

L’art. 1.2 si occupa del caso in cui l’Autorità garante abbia al suo esame fattispecie anticoncorrenziali che siano di rilevanza comunitaria, e in tali ipotesi, non potendo iniziare essa stessa un procedimento ai sensi della disciplina antitrust italiana, invia tutte le informazioni a sua disposizione alla Commissione europea.

La valutazione dell’Autorità è relativa ad un momento antecedente a quello dell’apertura di un procedimento istruttorio ai sensi dell’art. 14 della legge, poiché in considerazione della limitazione del campo di applicazione della disciplina antitrust italiana ai casi che non ricadono nell’ambito di applicazione della normativa comunitaria non è ipotizzabile che l’Autorità inizi un procedimento istruttorio in applicazione degli artt. 2 e 3 della legge 287 nei confronti di una fattispecie di rilevanza comunitaria. Inoltre, la Commissione non è in alcun modo vincolata, in fase di apertura di un procedimento comunitario antitrust, alla valutazione compiuta dall’Autorità italiana relativamente alla rilevanza comunitaria o meno di una presunta fattispecie anticoncorrenziale, per cui potrebbe ritenere che la fattispecie che l’Autorità ha valutato essere di rilevanza comunitaria, sia al contrario di rilevanza nazionale, oppure che essa, pur essendo di rilevanza comunitaria, non sia di interesse comunitario e quindi debba essere comunque valutata dall’Autorità italiana.

Tale procedimento risulta piuttosto macchinoso e rende necessari una serie di contatti tra l’Autorità e la Commissione, al fine di valutare la rilevanza comunitaria di una determinata fattispecie, che potrebbero ritardare l’inizio dell’istruttoria da parte dell’Autorità, con il rischio

144Così M. Onida, I rapporti fra disciplina nazionale e disciplina comunitaria in tema di concorrenza, Concorrenza

che i comportamenti anticoncorrenziali pregiudichino ulteriormente i concorrenti e i consumatori e che l’Autorità perda la possibilità di acquisire importanti documenti di prova. L’art. 54 della legge comunitaria 1994, ha così reso possibile la diretta applicazione da parte dell’Autorità garante degli artt. 81 e 82 del Trattato UE, prevedendo che essa abbia la facoltà di iniziare, quale organo del sistema comunitario di tutela della concorrenza in forza dei poteri e delle procedure previste dallo stesso art. 54, un procedimento ai sensi degli artt. 81 e 82 del Trattato anziché trasmettere informazioni alla Commissione ai sensi dell’art. 1.2 della legge italiana.

Di conseguenza, nel caso in cui l’Autorità inizi un procedimento ai sensi degli artt. 2 e 3 della legge 287 e valuti in seguito all’apertura dell’istruttoria che la fattispecie oggetto del procedimento non è di esclusiva rilevanza nazionale ma di rilevanza comunitaria, ha la possibilità di concludere il procedimento ai sensi degli artt. 2 e 3, ed aprirne un secondo ai sensi degli artt. 81 e 82 del Trattato; e ciò vale anche per l’ipotesi inversa di una fattispecie di rilevanza nazionale per la quale l’Autorità abbia iniziato un procedimento ai sensi degli artt. 81 e 82.

L’art. 1.2 prescrive due obblighi a carico dell’Autorità garante: in primo luogo essa deve informare la Commissione nel caso in cui valuti che la fattispecie sottoposta al suo esame non rientri nel campo di applicazione della legge 287/90 e, in secondo luogo, deve trasmettere alla Commissione tutte le informazioni in suo possesso.

Con riferimento al primo obbligo, l’Autorità fornisce alla Commissione la notitia criminis relativamente ai possibili comportamenti anticoncorrenziali di rilevanza comunitaria; mentre con riferimento al secondo obbligo, l’Autorità deve trasmettere alla Commissione le informazioni raccolte o ricevute nel periodo anteriore all’apertura del procedimento istruttorio, cioè gli elementi in suo possesso e quelli portati a sua conoscenza da pubbliche amministrazioni o da chiunque vi abbia interesse, comprese le associazioni rappresentative dei consumatori145.

145Così L. F. Pace, Il sistema italiano di tutela della concorrenza e il “vincolo comunitario” imposto al legislatore

Il procedimento previsto dall’art. 1.3, si riferisce invece al caso in cui l’Autorità garante italiana abbia già iniziato un’istruttoria sul presupposto che la presunta fattispecie anticoncorrenziale oggetto del procedimento sia di rilevanza esclusivamente nazionale, ma che la Commissione, successivamente all’Autorità inizi un’istruttoria nei confronti della stessa fattispecie per contestare la violazione degli artt. 81 e 82 del Trattato, per cui l’Autorità italiana dovrà sospendere il procedimento relativo alla fattispecie oggetto del procedimento comunitario, mentre potrà continuare l’istruttoria con riferimento alle eventuali rimanenti fattispecie di rilevanza esclusivamente nazionale nei confronti delle quali è stato iniziato il procedimento istruttorio.

L’art. 1.3 prescrive inoltre che il procedimento aperto dall’Autorità non si concluda automaticamente al momento dell’apertura del procedimento comunitario, ma che esso venga sospeso e la sospensione potrà avere quale termine massimo, la durata del procedimento comunitario. Al termine di tale procedimento la Commissione deciderà infatti se la fattispecie oggetto del procedimento istruttorio comunitario è realmente di rilevanza comunitaria, o al contrario, è di esclusiva rilevanza nazionale.

La conseguenza della sospensione, e quindi la possibilità di continuare il procedimento a seguito della chiusura del procedimento comunitario nel caso in cui la Commissione sostenga la non rilevanza comunitaria della fattispecie, garantisce all’Autorità italiana la possibilità di proseguire il procedimento su aspetti di esclusiva rilevanza nazionale, che non rientrando nel campo di applicazione degli artt. 81 e 82, non possono essere oggetto di valutazione da parte della Commissione. Tuttavia, nel momento in cui l’Autorità comunitaria termini il relativo procedimento, l’Autorità italiana non potrà che prendere atto di tale decisione e chiudere il procedimento relativo alla fattispecie di rilevanza comunitaria con un provvedimento di non luogo a provvedere per inapplicabilità della legge antitrust nazionale.

Quindi, nel caso di valutazione discorde tra Commissione e Autorità garante nazionale, con riferimento alla natura nazionale o comunitaria della presunta fattispecie anticoncorrenziale, prevale sempre la valutazione comunitaria, come prescritto dall’art. 1.3146.

146Così L. F. Pace, Il sistema italiano di tutela della concorrenza e il “vincolo comunitario” imposto al legislatore

L’art. 1.4, diversamente dai commi 2 e 3, non riguarda il rapporto tra sistema italiano di tutela amministrativa della concorrenza e sistema antitrust comunitario in senso stretto, ma prevede che gli artt. da 1 a 9 della legge 287/90, i quali disciplinano casi di esclusiva rilevanza nazionale, debbano essere interpretati in base ai principi dell’ordinamento comunitario in materia di disciplina della concorrenza.

Tale norma è conseguenza della scelta operata dal legislatore italiano di redigere le norme del titolo I della legge 287/90 secondo il modello degli artt. 81, 82 e 86 del Trattato e degli artt. 2 e 3 del Regolamento 4064/89, allo scopo di trasferire nel mercato nazionale un sistema di tutela antitrust fondato sulle stesse fattispecie previste dall’ordinamento comunitario.

Per garantire il raggiungimento di tale obiettivo il legislatore ha dovuto però vincolare l’interpretazione delle norme del titolo I della legge 287 ai principi dell’ordinamento comunitario in materia di disciplina della concorrenza, dal momento che, in assenza di tale previsione, i concetti delle norme antitrust italiane potevano essere interpretati dai giudici nazionali e dell’Autorità garante in modo autonomo, ed eventualmente anche contrastante, rispetto all’interpretazione fornita a livello comunitario per gli stessi concetti.

In considerazione dell’obbligatorietà dell’interpretazione prevista dall’art. 1.4, la conseguenza dell’interpretazione di una norma del titolo I della legge 287/90 contraria ai principi antitrust comunitari, o che rinvii l’interpretazione della disciplina nazionale a principi comunitari antitrust incompatibili con il caso oggetto del procedimento nazionale, non potrà che essere l’illegittimità del provvedimento, per violazione appunto dell’art. 1.4.

Vista tale conseguenza, sembra corretto riferire i principi richiamati dall’art. 1.4 esclusivamente al contenuto della giurisprudenza comunitaria e non ad altri atti, quali le decisioni della Commissione sia perché le interpretazioni contenute nelle decisioni di tale organo sono oggetto di potenziale riforma da parte dei giudici comunitari, fino ad un provvedimento dei giudici comunitari stessi che ne vagli la legittimità, e sia perché la scelta di interpretare le norme del titolo I della legge 287 ai sensi dei principi comunitari è stata determinata dalla discrezionalità del legislatore italiano, per cui non sussistendo alcun obbligo comunitario che imponga agli Stati membri di emanare una simile norma, è evidente che se il

legislatore italiano avesse voluto vincolare la normativa italiana anche alle decisioni della Commissione, avrebbe compiuto tale scelta in modo espresso.

L’art. 1.4 deve essere considerato come un semplice rinvio effettuato dal legislatore all’ordinamento comunitario per le nozioni di carattere tecnico richiamate al titolo I della legge 287, le quali non sono definite altrove nell’ordinamento nazionale, o sono definite con contenuto e finalità diverse. Il rinvio opera allora essenzialmente nei confronti della nozione di impresa, di accordi e pratiche concordate e di posizione dominante, per le quali, dunque, l’interprete, dovrà attenersi a quanto elaborato in sede comunitaria. In particolare, l’effetto vincolante dell’art. 1.4 vale solo per quegli elementi delle nozioni richiamate che possono essere considerati acquisiti dall’ordinamento comunitario e non più soggetti ad essere rimessi in discussione dal successivo evolversi di questo. Per gli altri fattori indispensabili per l’applicazione della legge, l’interprete potrà trovare ispirazione in quanto di volta in volta elaborato in sede comunitaria, ma da un lato non si tratterà di un canone interpretativo imposto, e dall’altro, l’interprete dovrà verificare che la nozione ispirata dall’ordinamento comunitario sia coerente con le finalità della legge antitrust italiana147.

Infine, il rinvio interpretativo ai principi comunitari, attribuisce la facoltà al giudice nazionale di richiedere l’interpretazione pregiudiziale della Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 234 del Trattato UE, delle norme comunitarie che rappresentano il parallelo delle fattispecie previste dal titolo I della legge 287/90. La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha infatti ammesso la competenza di tale organo a fornire interpretazioni a quesiti proposti dai giudici nazionali, anche se l’interpretazione del diritto comunitario è funzionale alla risoluzione di un giudizio a livello nazionale, fondato su norme che non rientrano nel campo di applicazione del diritto comunitario. Tuttavia, tale ipotesi è limitata al caso in cui le norme nazionali oggetto di interpretazione sono formulate secondo termini simili a norme comunitarie, e che il giudice nazionale sia obbligato ad applicare l’interpretazione della Corte di Giustizia, così come nel caso dell’art. 1.4, non potendo prendere spunti esclusivamente dalla sentenza della Corte148.

147 Così A. Guarino, Sul rapporto tra la nuova legge antitrust e la disciplina comunitaria della concorrenza,

Contratto e impresa, 1991, pag. 654 e 655.

148Così L. F. Pace, Il sistema italiano di tutela della concorrenza e il “vincolo comunitario” imposto al legislatore

La legge 287/90 non affronta espressamente il tema della propria applicazione extraterritoriale, limitandosi a vietare le intese aventi per oggetto o per effetto significative