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L’art. 82 del Trattato UE stabilisce che è incompatibile con il mercato comune e quindi vietato lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante; tuttavia tale divieto acquista operatività nella misura in cui l’abuso possa essere pregiudizievole al commercio tra gli Stati membri e si sviluppi sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo.

A differenza dell’art. 81, ai sensi dell’art. 82 non è necessaria una pluralità di imprese, in quanto viene sanzionato anche il comportamento unilaterale; non è richiesto l’effetto sensibile sulla concorrenza ma è sufficiente l’abuso di una posizione dominante; non è prevista, infine, alcuna esenzione al divieto di abusare della propria posizione dominante perché il divieto colpisce non la posizione dominante in sé ma il suo sfruttamento abusivo.

Tuttavia, anche il divieto contenuto nell’art. 82 è un divieto incondizionato e produce i propri effetti immediatamente senza la necessità di una decisione preventiva. Da ciò discende la piena applicabilità diretta da parte dei giudici nazionali.

La Corte di Giustizia ha sempre ritenuto applicabili l’art. 81 e l’art. 82 simultaneamente, per cui l’applicazione di una norma non esclude l’applicazione dell’altra. Si tratta, infatti, di norme complementari, in quanto entrambe rivolte a perseguire l’obiettivo generale comune di garantire che la concorrenza non venga falsata nel mercato comune, ma giuridicamente autonome, in quanto l’art. 81 riguarda intese tra imprese, mentre l’art. 82 azioni unilaterali poste in essere da una o più imprese19.

L’art. 82 non fornisce alcuna definizione del concetto di posizione dominante, per cui sia la Commissione che la Corte di Giustizia hanno elaborato dei parametri per definire cosa si debba intendere per posizione dominante e alla luce di tali ricostruzioni, si può considerare impresa in posizione dominante quella che detiene sul mercato una posizione di forza che le consente di operare indipendentemente dal comportamento dei concorrenti o degli utilizzatori.

Per dare concretezza a tale definizione è però necessario definire il concetto di mercato rilevante, che costituisce uno strumento per individuare e definire l’ambito nel quale le imprese sono in concorrenza tra loro. Scopo principale della definizione del mercato, è

infatti, quello di individuare in modo sistematico le pressioni concorrenziali alle quali sono sottoposte le imprese interessate e per fare questo il mercato deve essere definito sia sotto il profilo del prodotto che sotto quello geografico, come del resto avviene nel caso delle intese20.

Nella valutazione della posizione dominante, l’individuazione del mercato rilevante gioca però un ruolo maggiore di quello svolto nel caso delle intese, poiché di solito, il potere di un’impresa è inversamente proporzionale all’ampiezza del mercato interessato, per cui più ampia sarà la definizione di quest’ultimo, minore risulterà la porzione di mercato di cui dispone l’impresa in posizione dominante, e viceversa21.

Tornando alla definizione di posizione dominante, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia e la prassi della Commissione, nel silenzio del Trattato, essa consiste in una “posizione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato in questione, ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei concorrenti, dei clienti, e in ultima analisi, dei consumatori”.

La possibilità di comportamenti indipendenti dai concorrenti, che si identifica anche con la capacità di ostacolare la persistenza di un’effettiva concorrenza sul mercato, non è assoluta, bastando un’indipendenza apprezzabile, e cioè il potere di influire in modo determinante sulle modalità con cui la concorrenza sul mercato avrà luogo, e quindi di comportarsi senza dover tener conto dei concorrenti, senza per questo subirne un pregiudizio. Pertanto, l’esistenza di una concorrenza residuale sul mercato non esclude che un’impresa ivi

20 Infatti, anche nel caso di abuso di posizione dominante, il mercato del prodotto comprende quei prodotti o

servizi considerati intercambiabili dal consumatore in ragione oltre che delle caratteristiche oggettive del prodotto, delle condizioni di concorrenza e della struttura della domanda e dell’offerta sul mercato, tenendo presente che l’intercambiabilità non deve essere valutata soltanto in relazione alla domanda (cioè nella prospettiva dei consumatori attraverso l’analisi degli effetti prodotti sulla domanda di ciascuno di essi dalle variazioni di prezzo degli altri) ma anche in relazione all’offerta (cioè nella prospettiva della capacità degli imprenditori di un dato mercato di modificare rapidamente il loro processo produttivo per realizzare nuovi beni o servizi senza dover sostenere costi aggiuntivi o rischi eccessivi a seguito di piccole variazioni dei prezzi). In maniera analoga, il mercato geografico non è definibile in astratto, ma è necessario ricercare, caso per caso, l’esistenza di condizioni omogenee di concorrenza; dopo di che, nel caso di abuso di posizione dominante, è necessario procedere ad una ulteriore definizione, quella di parte sostanziale di mercato comune, in cui non rileva tanto l’elemento quantitativo dell’estensione del mercato, quanto l’importanza economica di quel mercato a livello di produzione o di consumo, per cui anche una piccola parte di territorio all’interno di uno Stato membro può essere sufficiente ai fini della qualificazione di mercato geografico ai sensi dell’art. 82. Così A. Calamia, Il

diritto comunitario delle imprese ella concorrenza, Pisa, Pacini, 1999, pag. 74 e seguenti.

presente sia dotata di una posizione dominante, così come la circostanza che l’impresa interessata abbia subito perdite di gestione, essendo la nozione di posizione dominante svincolata da un giudizio sulla capacità dell’impresa di generare profitti.

La posizione dominante può anche essere collettiva, detenuta cioè da una o più imprese congiuntamente. Tali imprese sono indipendenti tra loro ma legate da vincoli contrattuali o relazioni molto strette, quali ad esempio l’acquisto in comune delle materie prime, le ricerche in comune, la pubblicità e le promozioni, l’uniformità dei prezzi, e devono presentarsi sul mercato come una sola entità, essere cioè percepite come tali dai concorrenti e dalla clientela. Per cui il principio di posizione dominante collettiva implica che le imprese siano sufficientemente legate tra di loro al fine di adottare una posizione comune sul mercato, le imprese devono cioè ostacolare insieme ed in maniera consapevole la concorrenza.

Sebbene la posizione dominante dal lato dell’offerta rappresenti l’ipotesi più frequente, non è tuttavia da escludere l’esistenza di una situazione analoga dal lato della domanda. Gli economisti parlano in questo caso di monopsonio per indicare un mercato in cui opera un solo compratore22.

La posizione dominante discende dalla concomitanza di più fattori utilizzati per misurare il potere economico di un’impresa, il principale dei quali è rappresentato dalla quota di mercato, di solito calcolata in base al fatturato realizzato dall’impresa sul mercato rilevante.

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, quote di mercato superiori al 70% sono sufficienti, da sole, a provare l’esistenza di una posizione dominante; viceversa percentuali inferiori a tale soglia, anche se consistenti, costituiscono esclusivamente uno degli elementi presuntivi di una posizione dominante. In tal caso, oltre alla quota di mercato, dovranno essere presi in considerazione anche altri fattori che possono contribuire a rafforzare, in determinate circostanze, il potere di mercato di un’impresa, quali il numero e le dimensioni cioè la quota di mercato delle imprese concorrenti, l’esistenza di eventuali barriere che ostacolino l’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato, il carattere più o meno stabile della quota di mercato e la possibilità di prevedere l’ingresso di nuovi concorrenti in grado di ridurla,

22 Così F. Munari, Lo sfruttamento abusivo di posizione dominante detenuta sul mercato, Il diritto privato

le risorse tecniche e finanziarie alle quali l’impresa può attingere per sostenere la propria attività. Quote di mercato inferiori al 20% escludono invece l’esistenza di una posizione dominante23.

L’art. 82 trova applicazione solo se l’abuso di posizione dominante è suscettibile di pregiudicare il commercio tra gli Stati membri. Questo limite, che è simile a quello previsto dall’art. 81, è stato interpretato dalla Corte di Giustizia, in base ai principi fondamentali del Trattato, tra cui quello di realizzare un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno, per cui il pregiudizio per il commercio tra gli Stati membri deve essere inteso come limite alla realizzazione del mercato unico. Quindi esso può consistere in una modificazione delle correnti di scambio in senso contrario alla realizzazione degli obiettivi del Trattato, ovvero nella compartimentazione dei mercati nazionali; inoltre, se la condotta in questione è comunque idonea a determinare un’alterazione della struttura competitiva del mercato rilevante, e nella misura in cui questo sia configurabile come parte sostanziale del mercato comune, il pregiudizio al commercio intracomunitario viene automaticamente riconosciuto.

Anche ai fini dell’applicazione dell’art. 82, il pregiudizio non deve essere già accertato od effettivo, bastando la semplice idoneità, anche potenziale e indiretta, del comportamento dedotto ad incidere sul commercio tra Stati membri.

Tuttavia, le diverse situazioni che caratterizzano l’operatività dell’art. 82 rispetto all’art. 81, richiedono un diverso apprezzamento del contesto economico di riferimento nel quale si svolge la fattispecie rilevante, che è normalmente più approfondito qualora si tratti di applicare il divieto di abuso di posizione dominante e questo perché mentre per applicare l’art. 81 è sufficiente accertare che le condotte rilevanti siano idonee a determinare una restrizione sensibile della concorrenza, nel caso dell’art. 82 è necessario provare l’esistenza di un potere di mercato in capo all’impresa interessata suscettibile di ostacolare la permanenza di una concorrenza efficace sul mercato e tale apprezzamento investe, in primo luogo,

l’individuazione del mercato all’interno del quale la posizione dominante dell’impresa interessata, e quindi il suo potere di mercato, deve essere accertata24.

Per quanto riguarda la nozione di sfruttamento abusivo, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha chiarito che si tratta di un comportamento dell’impresa in posizione dominante atto ad influire sulla struttura di un mercato in cui, proprio per il fatto che vi opera detta impresa, il grado di concorrenza è già sminuito e che ha come effetto di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si basa la concorrenza normale tra prodotti e servizi, fondata sulla prestazione degli operatori economici, la conservazione del grado di concorrenza ancora esistente sul mercato o lo sviluppo di detta concorrenza.

Ciò implica, da una parte, il rilievo meramente oggettivo della nozione di abuso, intesa quindi come alterazione della struttura concorrenziale del mercato non generata dalla c.d. competizione sui meriti, e dall’altra, che l’impresa in posizione dominante può comunque continuare ad accrescere la propria situazione di predominio sul mercato, nella misura in cui ciò avvenga, usando i mezzi legittimi e tradizionali con cui le imprese si fanno concorrenza.

Tuttavia, il possesso di una posizione dominante, determina in capo all’impresa considerata una speciale responsabilità, nel senso che, viste le conseguenze determinate sul mercato dalle azioni della stessa, a quest’ultima possono essere imposti comportamenti positivi come l’obbligo di contrarre, o negativi come l’obbligo di non arrecare pregiudizio alla concorrenza nel mercato comune, e la violazione di tali obblighi si risolve in un abuso di posizione dominante, laddove tali comportamenti non gravano invece sulle imprese che detengono un ridotto potere di mercato. Il che tende a limitare, rispetto alle altre imprese, la gamma delle condotte legittimamente adottabili dall’impresa in posizione dominante nel suo normale operare sul mercato, pur senza arrivare ad imporre all’impresa in posizione dominante di assumere scelte autolesioniste.

Trattandosi di una nozione oggettiva, l’accertamento di un abuso non richiede alcuna prova dell’intenzionalità del comportamento, né per quanto riguarda il pregiudizio arrecato alla concorrenza, né per quanto riguarda le categorie di soggetti indicati dall’art. 82. Talvolta, però,

24 Così F. Munari, Lo sfruttamento abusivo di posizione dominante detenuta sul mercato, Il diritto privato

la prova di un’assenza di intenzionalità è stata riconosciuta come esimente la responsabilità dell’impresa considerata, così come la prova dell’esistenza di giustificazioni obiettive, diverse dalla volontà di pregiudicare la concorrenza, alla base di determinate condotte ritenute normalmente abusive, può escludere l’operatività dell’art. 82.

Inoltre, non sempre l’abuso si verifica sullo stesso mercato rilevante in cui l’impresa occupa una posizione dominante, ma spesso le conseguenze negative della condotta abusiva si producono su mercati diversi, di solito adiacenti a quello rilevante. In questi casi, l’art. 82 si ritiene applicabile, ove ciò sia giustificato da speciali circostanze25.

L’art. 82 esemplifica alcuni tipi di comportamento delle imprese in posizione dominante che configurano abusi.

Si fa riferimento alla lettera a), alla imposizione, in maniera diretta o indiretta, di prezzi di acquisto, di vendita o di altre condizioni di transazione non eque. La valutazione sottostante a tale previsione, è riconducibile alla circostanza che un’impresa in posizione dominante può attuare una politica dei prezzi, priva di controllo; infatti, l’imposizione di prezzi non equi, rappresenta una delle tipiche condotte mediante le quali l’impresa può sfruttare la propria posizione dominante, portando i prezzi ad un livello superiore a quello consentito in un mercato concorrenziale, mantenendo invariata la produzione. La previsione risponde pertanto ad esigenze di tutela della concorrenza, anche se non è certo di facile apprezzamento il carattere equo di un prezzo e poi l’indagine sui prezzi e la loro equità, non sempre è rivolta nei confronti dei consumatori, ma può essere rivolta ad altri fini quali quello di scoraggiare le importazioni parallele.

Un’altra forma di intervento sui prezzi che può essere considerata abusiva è quella relativa agli sconti. La pratica degli sconti sul prezzo dei prodotti o dei servizi a fronte di approvvigionamenti esclusivi è senz’altro abusiva e si configura in diversi modi, tra i quali i più significativi sono lo sconto-fedeltà, lo sconto-obiettivo e lo sconto massimo praticabile26.

25 Così F. Munari, Lo sfruttamento abusivo di posizione dominante detenuta sul mercato, Il diritto privato

dell’Unione europea, Torino, Giappichelli, 2000, pag. 1204 e seguenti.

26Lo sconto fedeltà si caratterizza per l’obbligo di approvvigionamento esclusivo imposto all’altro contraente e

prescinde dal volume degli acquisti, avendo la sola finalità di ricompensare l’acquirente per non aver differenziato le fonti di approvvigionamento. Anche lo sconto-obiettivo si differenzia dallo sconto-quantità perché non fa riferimento al volume di acquisto ma è collegato al raggiungimento di un certo obiettivo ed è determinato individualmente per ciascuna controparte contrattuale. Infine, lo sconto relativo ai prezzi massimi praticabili rende

Oltre ad essere vietate in quanto diano luogo a condizioni contrattuali non eque, le manovre sui prezzi da parte dell’impresa dominante, possono risultare illecite anche nella prospettiva in cui assumano connotati e finalità di carattere predatorio. In sostanza, con la pratica dei prezzi predatori viene sanzionato il comportamento di un’impresa che effettua la vendita di un prodotto ad un prezzo inferiore ai costi produttivi al fine di eliminare dal mercato un concorrente che non possiede risorse finanziarie sufficienti per sopportare per lunghi periodi vendite al di sotto dei costi27.

Le pratiche escludenti previste dalla lettera b), consistono nell’impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori.

Di tali pratiche l’impresa dominante si serve per bloccare l’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato o per espandersi in nuovi mercati collegati a quello sul quale essa esercita il proprio primato economico. Il danno dei concorrenti costituisce un effetto prodotto dall’esclusione di uno o più concorrenti dal mercato e pertanto consiste nella ridotta possibilità di scelta dei consumatori che deriva dal comportamento vietato e prescinde da ogni considerazione concernente la convenienza, per i consumatori stessi, dei prezzi o delle altre condizioni praticate dall’impresa.

Nella figura delle pratiche escludenti, le autorità antitrust hanno ricompreso comportamenti quali il rifiuto ingiustificato dell’impresa in posizione dominante di fornire i propri prodotti o servizi, il tentativo di accrescere il proprio potere di mercato e le vendite sottocosto.

In base alla lettera c) è fatto divieto all’impresa in posizione dominante di applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza.

Il principio di parità di trattamento si riferisce ai rapporti contrattuali che l’impresa in posizione dominante intrattiene con i terzi e, dunque, non solo con i clienti, ma anche con

difficile o impossibile per un fornitore, esistente o potenziale, di diventare il secondo fornitore sia pure per la parte marginale, dato che per ottenere l’ultima frazione dell’approvvigionamento, questi avrebbe dovuto vendere a prezzi non redditizi.

27 Così A. Calamia, Il diritto comunitario delle imprese e della concorrenza, Pisa, Pacini, 1999, pag. 90 e

fornitori, distributori e concorrenti in genere per evitare che l’impresa si avvalga del proprio potere contrattuale per discriminare determinati contraenti in favore di altri; tale comportamento non è vietato in sé ma nella misura in cui si dimostri che è privo di ogni valida giustificazione sul piano economico e non può essere spiegato se non con l’intento di avvantaggiare alcuni contraenti a danno di altri.

Sono stati considerate pratiche discriminanti l’applicazione di sconti, tariffe e altre condizioni contrattuali strutturate in modo tale da privilegiare determinati contraenti graditi all’impresa dominante in quanto ad essa legati da vincoli di stabilità di collaborazione, di fornitura o di gruppo, ovvero ad essa sgraditi in quanto suoi concorrenti.

Infine, ai sensi della lettera d) è fatto divieto all’impresa di subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.

Le pratiche leganti previste alla lettera d) comprendono una gamma piuttosto ampia e variegata di comportamenti la cui caratteristica comune è rappresentata dall’effetto da esse prodotto, che consiste appunto nel creare o rafforzare tra l’impresa in posizione dominante e i suoi contraenti (consumatori, fornitori e distributori) una situazione di dipendenza dalla quale questi ultimi difficilmente possono poi svincolarsi28.

4. Le regole di applicazione e di procedura degli artt. 81 e 82 del Trattato UE: dal