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LA DISCPLINA ANTITRUST IN ITALIA

5. Le concentrazioni tra imprese

Così come il regolamento comunitario, anche la legge italiana non dà una definizione dell’operazione di concentrazione, ma individua le ipotesi nelle quali si deve ritenere che essa si realizzi.

L’art. 5.1 definisce infatti le operazioni di concentrazione distinguendo tre ipotesi: la fusione tra imprese, l’acquisizione del controllo su un’impresa e la creazione di un’impresa comune.

La fusione è regolata nel nostro ordinamento dagli artt. 2501 e seguenti del Codice civile, nelle forme della fusione in senso stretto e della fusione per incorporazione, nonché dalle norme speciali in materia di banche e assicurazioni.

La normativa comunitaria, nel prevedere la fusione quale forma di concentrazione, ha stabilito che l’operazione deve essere posta in essere tra imprese precedentemente indipendenti, per cui risultano escluse dal controllo tutte le operazioni poste in essere tra imprese appartenenti allo stesso gruppo; mentre accogliendo un’interpretazione letterale del testo dell’art. 5 che della legge italiana, si dovrebbe concludere che tutte le fusioni rientranti nei limiti quantitativi fissati dall’art. 16 devono essere notificate all’Autorità garante. E questo è l’orientamento dell’Autorità, che sin dall’inizio della sua attività si è dimostrata incline ad autorizzare questo tipo di operazioni senza procedere ad una dettagliata analisi del mercato.

In realtà questa interpretazione letterale non sembra avere solide giustificazioni, dal momento che presupposto per la rilevanza delle operazioni di concentrazione è lo spostamento del controllo su un’attività di impresa da un centro decisionale ad un altro, circostanza che non ricorre nelle ipotesi in cui le imprese che procedono alla concentrazione non sono tra loro indipendenti al momento dell’operazione. Inoltre, la mancanza di una chiara definizione di gruppo nel nostro ordinamento e l’opinabilità dello stesso concetto di indipendenza consentono di spiegare l’atteggiamento adottato dall’Autorità, che in questo modo può accertare di volta in volta gli effetti dell’operazione realizzata179.

179Così A. Toffoletto, Operazioni di concentrazione, Concorrenza e mercato, Padova, CEDAM, 1994, pag. 165 e

Con riguardo all’acquisizione del controllo dell’impresa, la norma italiana non si discosta nella sostanza dalla disciplina comunitaria e ha una formulazione molto ampia che consente di far rientrare nella definizione tutte le operazioni che comportano il passaggio del controllo da un centro decisionale ad un altro. In proposito non ha alcuna rilevanza lo strumento giuridico utilizzato per realizzare gli scopi dell’operazione, essendo ricompresi i casi di acquisto di partecipazioni totalitarie o di maggioranza, i trasferimenti di azienda o di ramo aziendale, a titolo di vendita, conferimento o scissione, affitto o altre forme giuridiche che assicurino al beneficiario il godimento del patrimonio aziendale, oltre agli strumenti contrattuali come i contratti di dominio e qualunque altro mezzo idoneo ad assicurare il controllo ad un soggetto diverso rispetto al precedente titolare dello stesso180.

Il terzo caso previsto dalla norma riguarda la costituzione di un’impresa comune. In generale, le imprese comuni possono avere varia natura ed essere costituite con le più diverse forme giuridiche; tuttavia l’art. 5, differenziandosi dal regolamento comunitario, precisa che vengono considerate concentrazioni soltanto le imprese comuni costituite in forma di

180La legge prevede che il controllo sia acquisito per cui è necessario perché si configuri una concentrazione che

il soggetto che acquista il controllo si renda interprete attivo dell’acquisizione, cioè che esso partecipi attivamente all’operazione, perché essa possa essergli imputata e tale partecipazione non può avvenire sulla base di eventi puramente esterni. L’acquisizione del controllo può essere sia diretta che indiretta e può avvenire, in primo luogo, mediante l’acquisto di partecipazioni azionarie, che rileva ai fini del controllo se ed in quanto ad esse si accompagnino il diritto di voto nei rilevanti organi sociali. Se l’acquisto di partecipazioni totalitarie e maggioritarie costituisce senz’altro un’operazione di concentrazione, l’acquisto di una partecipazione di minoranza non può di per sé conferire il controllo su di un’impresa ma tale situazione si potrà creare in due soli casi: laddove la partecipazione di minoranza conferisca diritti di voto maggioritari e laddove esistano circostanze aggiuntive (partecipazioni distribuite in maniera frammentaria tra molti piccoli azionisti, esistenza di una convenzione di voto che conferisca un potere direttivo ad un gruppo di azionisti di minoranza, ecc.) tali da far ritenere per il controllo. Nel caso invece in cui l’acquirente acquista una partecipazione pari a quella detenuta dagli altri azionisti, si possono verificare tre situazioni e cioè il controllo può rimanere agli azionisti che lo esercitavano prima dell’ingresso del nuovo socio, il controllo può essere viceversa acquistato dall’azionista entrante, e infine, si può configurare l’acquisto di un controllo congiunto. L’acquisizione del controllo può avvenire anche mediante acquisto della totalità o di elementi (avviamento, tecnologia, rete distributiva ecc.) del patrimonio; in questo caso si dovrà trattare di acquisto di un patrimonio avente già una destinazione imprenditoriale, che non dovrà essere mutata in maniera sostanziale dall’acquirente, l’acquisto potrà concernere sia la proprietà piena che i diritti di godimento ed è indifferente il titolo giuridico (donazione, acquisto mortis causa, realizzo di un bene prestato in garanzia) attraverso il quale esso si concreta. Infine, l’acquisizione del controllo può avvenire mediante contratto (contratti di fornitura, contratti di finanziamento, contratti di licenza, contratti di franchising, patti parasociali e in particolare convenzioni di voto, contratti di affitto o di usufrutto di azienda, contratti di pegno) e qualsiasi altro mezzo. Il controllo può essere acquisito sull’insieme o su parti di una o più imprese. In merito al concetto di impresa, occorre rifarsi alla nozione valida in generale per il diritto della concorrenza; in merito invece alla nozione di parte di impresa, che non è di agevole definizione, si può ritenere che il legislatore abbia voluto semplicemente sottolineare che deve intendersi per concentrazione anche la cessione di una parte soltanto delle attività di un’impresa. Così C. Osti, Operazioni di concentrazione, Diritto antitrust italiano, Bologna, Zanichelli, 1993, pag. 577 e seguenti.

società, restando dunque escluse tutte le diverse possibili forme giuridiche che saranno di conseguenza sempre esaminate come intese.

La disposizione relativa alle imprese comuni va letta insieme al comma 3 dell’art. 5, il quale precisa che le operazioni aventi quale oggetto o effetto principale il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti non danno luogo ad una concentrazione. Tale disciplina riproduce nella sostanza quella del regolamento comunitario e quella della Comunicazione della Commissione del 14 agosto 1990, concernente le operazioni di concentrazione e cooperazione, che illustra il concetto di impresa comune e i criteri per distinguere le operazioni aventi natura di concentrazione da quelle aventi natura di cooperazione181.

Il problema di sapere se una certa operazione ha natura cooperativa o concentrativa si pone con riguardo a varie forme di possibile acquisto di controllo, comprese le imprese comuni; è pertanto singolare che la legge italiana, al contrario del regolamento comunitario, non ricordi espressamente il caso delle imprese comuni cooperative o concentrative.

La rilevanza di questa omissione, tuttavia, non può essere più di tanto significativa: la legge italiana, accenna infatti alla distinzione tra operazioni cooperative e concentrative e non

181 Dal regolamento comunitario e dall’art. 5.3 della legge italiana, che escludono che siano considerate

concentrazioni le operazioni aventi quale oggetto o effetto principale il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti, si può dedurre a contrario che si ha concentrazione quando si va al di là del coordinamento e si incide direttamente sull’attività di un’impresa, diversa da quelle partecipanti all’operazione, e ciò attraverso la sua costituzione come attività non autonoma, o attraverso la sua eliminazione come attività autonoma; pertanto, il semplice coordinamento di imprese che rimangono indipendenti non è concentrazione ma è intesa. Il regolamento comunitario differisce però dalla norma italiana perché non precisa che l’oggetto o effetto di coordinamento può essere solo quello principale dell’operazione, ma precisa che il comportamento delle imprese che viene coordinato è quello concorrenziale, che le imprese il cui comportamento viene coordinato restano indipendenti e che tra le operazioni che hanno ad oggetto o per effetto il coordinamento delle imprese è compresa la creazione di un’impresa comune. Peraltro, la mancanza nell’art. 5 dell’ultima precisazione, è compensata dalla previsione che la costituzione di un’impresa comune realizza un’operazione di concentrazione solo quando avviene attraverso la costituzione di una nuova società, per cui per il legislatore italiano, la costituzione di filiali comuni in forma societaria, essendo lo strumento tipico per l’esercizio collettivo di un’impresa, realizza sempre un’operazione di concentrazione. Il criterio distintivo tra imprese comuni concentrative e imprese cooperative è dunque individuato dal legislatore italiano nella presenza di un requisito giuridico formale dell’operazione, la costituzione di una nuova società; mentre il legislatore comunitario lo individua nella presenza di requisiti economici sostanziali, l’esercizio stabile di tutte le funzioni di un’entità economica autonoma e l’assenza di un coordinamento sul comportamento concorrenziale delle imprese che costituiscono l’impresa comune. Rispetto al criterio scelto dal legislatore comunitario, criticato per essere troppo ampio e di difficile applicazione concreta, quello scelto dal legislatore italiano, proprio perché si fonda su un requisito giuridico-formale, risulta più chiaro. Così D. Corapi, In tema di interpretazione delle nozioni di

concentrazione e di controllo nella legge 10 ottobre 1990 n. 287, Rivista di diritto commerciale, 1992, I, pag. 526 e seguenti.

esclude espressamente le imprese comuni da tale distinzione; inoltre, all’interprete viene imposto di ispirarsi ai principi dell’ordinamento comunitario in materia di disciplina della concorrenza; ed infine, l’applicazione della distinzione tra operazioni cooperative e concentrative che non comprendesse le imprese comuni avrebbe un significato assai limitato. Pertanto, si deve concludere che anche le imprese comuni sono da ricomprendere nella distinzione in questione182.

Tra le righe della normativa italiana risulta quindi possibile individuare una linea di demarcazione tra imprese comuni concentrative e cooperative, che ha implicazioni sia sul piano sostanziale che su quello procedurale183.

Nell’ordinamento comunitario le concentrazioni vengono qualificate come operazioni strutturali, prevedendo che devono svolgere su base stabile tutte le funzioni di un’entità economica autonoma e che non possono avere come oggetto o effetto il coordinamento tra imprese indipendenti, per cui la costituzione di un’impresa comune concentrativa può essere definita come un’operazione che determina un mutamento durevole nell’attività delle imprese fondatrici e tale orientamento è penetrato in campo italiano tramite l’art. 1 della legge antitrust. L’Autorità garante ha infatti negato natura concentrativa ad una serie di imprese comuni prive di autonomia ed economicamente dipendenti dalle società fondatrici, che spesso rimangono concorrenti effettive dell’impresa comune, per cui fondamentale per il riconoscimento della natura concentrativa dell’operazione è una valutazione positiva sotto il profilo dell’autonomia funzionale. Inoltre, come in sede comunitaria, anche in ambito nazionale la permanenza delle fondatrici sul mercato dell’impresa comune risulta ostativa al

182Così C. Osti, Operazioni di concentrazione, Diritto antitrust italiano, Bologna, Zanichelli, 1993, pag. 612 e

seguenti.

183La qualificazione di un’impresa comune come concentrativa determina infatti l’applicazione delle disposizioni

della normativa antitrust dedicate a tale categoria di operazioni e quindi, superate le soglie previste dall’art. 16 della legge 287/90, sorgerà l’obbligo della comunicazione all’Autorità garante. Al contrario, se l’operazione ha natura cooperativa, la comunicazione è un onere il cui adempimento ha lo scopo di evitare possibili sanzioni pecuniarie inflitte dall’Autorità, qualora essa abbia avviato l’istruttoria d’ufficio o su denuncia di terzi, nonché l’esercizio di azioni di nullità e di risarcimento del danno e consente di richiedere un’esenzione dal divieto di intese restrittive della concorrenza. Le modalità di espletamento della fase istruttoria sono identiche in entrambe le ipotesi. Sul piano sanzionatorio sussistono invece significative differenze poiché mentre le operazioni concentrative che determinano una restrizione della concorrenza potranno essere vietate ove non ancora realizzate, ovvero verranno adottate misure idonee a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva ove la concentrazione sia già avvenuta, le operazioni cooperative, qualora determino una restrizione consistente della concorrenza, risulteranno nulle ad ogni effetto e in questo caso sono anche previste sanzioni pecuniarie.

riconoscimento di natura concentrativa dell’operazione, mentre la totale assenza delle società madri è indice della mancanza di coordinamento del comportamento concorrenziale tra le imprese interessate e di conseguenza del carattere concentrativo dell’impresa comune. Infine, è stato riconosciuto carattere concentrativo ad imprese comuni operanti a monte o a valle delle fondatrici, che conducevano però anche attività autonome nelle successive fasi di produzione e distribuzione di beni e servizi e a imprese comuni che fornivano un modesto apporto alle funzioni svolte dalle fondatrici; mentre il coordinamento del comportamento concorrenziale è stato escluso ove sul mercato dell’impresa comune rimanga un’unica fondatrice che ne assume la guida operativa.

Le imprese comuni cooperative sono invece caratterizzate dal fatto che due o più imprese controllano congiuntamente una filiale comune non destinata però a soppiantare le attività individuali delle fondatrici in un mercato determinato, ma ad affiancarsi ad esse, svolgendo così gli effetti di un’intesa tra concorrenti e richiedendo di conseguenza una valutazione diversa rispetto alle operazioni di natura concentrativa.

In particolare, l’Autorità garante ha affermato che devono considerarsi cooperative le imprese comuni prive di una propria autonomia ed indipendenza economica dal lato della domanda e dell’offerta e che fungono quindi da struttura servente rispetto agli interessi delle imprese fondatrici, che rimangono operanti sul mercato dell’impresa comune, ovvero su mercati a monte o a valle, o semplicemente contigui e ha di conseguenza valutato alla stregua di intese, una serie di imprese comuni operanti con o per conto delle fondatrici.

Il trattamento riservato alle imprese comuni risulta differenziato in funzione della pericolosità stimata dal legislatore in ordine alla categoria cui l’impresa comune appartiene. Di conseguenza, le operazioni di tipo concentrativo, ritenute in linea di principio meno pericolose delle intese, potranno essere vietate solo nel caso in cui comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza; mentre le operazioni di tipo cooperativo, essendo fattispecie ad elevata pericolosità per il corretto funzionamento del mercato, risulteranno vietate ove abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera

consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante184.

L’art. 5.2 disciplina le ipotesi in cui pur essendo posta in essere un’operazione del tipo di quelle descritte al comma 1, non si realizza una concentrazione rientrante nel campo di applicazione della normativa, prevedendo che qualora una banca o un istituto finanziario acquisti partecipazioni in un’impresa, al momento della sua costituzione o dell’aumento del suo capitale, al fine della rivendita sul mercato, non si realizza l’assunzione del controllo sull’impresa oggetto dell’acquisto, a condizione che detti enti, durante il periodo di possesso delle partecipazioni, comunque non superiore a ventiquattro mesi, non esercitino i diritti di voto inerenti alle partecipazioni stesse.

La norma è ispirata al regolamento comunitario, ma a differenza di questo, non prevede un eguale trattamento per le compagnie di assicurazione o per le società di partecipazione finanziaria e neppure per gli organi concorsuali; inoltre, non è richiesto che la banca o istituto finanziario eserciti normalmente l’attività di compravendita o intermediazione di titoli ed è esclusa la possibilità che possa esercitare il voto sulle azioni acquistate anche qualora ciò avvenga per ragioni diverse dalla volontà di determinare il comportamento concorrenziale dell’impresa, impedendo così alla banca di intervenire a protezione del proprio investimento finanziario.

In mancanza di chiarificazioni ufficiali, può risultare problematica la definizione degli istituti finanziari. Il riferimento contenuto nell’art. 16 che detta i criteri sostitutivi al calcolo del fatturato per gli enti che non ne producono, come appunto le banche e gli istituti finanziari, potrebbe indurre a ritenere che nella nozione possano essere ricomprese anche le società di partecipazione finanziaria, ma l’Autorità esclude tale possibilità per evitare di aprire pericolosi spiragli per l’aggiramento della normativa185.

184In conclusione, si può affermare che, in ambito nazionale, le imprese comuni cooperative strutturali sono state

ritenute, per la maggior parte, non rientranti nel divieto di intese in quanto fattispecie normalmente inidonee a pregiudicare il funzionamento del sistema concorrenziale; ove invece è stata rilevata una distorsione consistente è stata concessa un’esenzione. Viceversa, le operazioni di joint venture che in realtà celano cartelli di prezzi, di produzione o di ripartizione del mercato sono soggette ad un trattamento molto più severo, risultando normalmente interdette qualora producano consistenti effetti restrittivi del gioco concorrenziale. Così P. Lo Cane,

Le concentrazioni nel diritto antitrust italiano, Diritto & Diritti, ottobre 2001, pag. 10 e seguenti.

185Così A. Toffoletto, Operazioni di concentrazione, Concorrenza e mercato, Padova, CEDAM, 1994, pag. 177 e

La disposizione si riferisce esclusivamente all’acquisto di partecipazioni, per cui, considerato anche il suo valore di eccezione rispetto agli obblighi altrimenti previsti dalla norma, si deve escludere che possa essere estesa per analogia a forme diverse di acquisto di controllo, che potrebbero mettere la banca in contatto diretto con la gestione dell’impresa, rendendo così probabile l’esercizio di un’influenza su questa e rendendo altresì poco significativo il mancato esercizio del voto.

La previsione del fine della rivendita rende indifferente il fatto che la banca si ponga un fine speculativo, fiduciario, di garanzia, oppure che essa miri in realtà ad esercitare un’influenza imprenditoriale; ed indifferente è anche l’intervento successivo di un mutamento nel fine di rivendita, che deve sussistere solo al momento dell’acquisto.

L’obbligo di rivendita sul mercato esclude che il destinatario successivo delle partecipazioni possa essere preventivamente individuato e così anche che l’acquisto sia stato eseguito per conto di qualcuno; sempre al fine di evitare frodi, si deve escludere che la banca possa trasferire le partecipazioni ad un soggetto ad essa collegato.

Quanto all’impossibilità di esercitare il diritto di voto, si possono verificare situazioni di notevole difficoltà per l’impresa, specie nei casi in cui la partecipazione congelata è di significativa importanza, ma la legge non prevede soluzioni alternative.

L’esercizio del voto, che fa automaticamente acquistare all’operazione il carattere di concentrazione, non comporta che l’operazione debba essere considerata quale concentrazione sin dal momento del primo acquisto delle partecipazioni, ma la concentrazione si verifica solo ex nunc, e sempre che al momento dell’acquisto fosse presente il fine della rivendita sul mercato186.

Spesso le operazioni di concentrazione sono accompagnate da restrizioni della concorrenza (come ad esempio il patto di non concorrenza che viene imposto al venditore in caso di cessione dell’azienda) concordate reciprocamente fra le parti, al fine di raggiungere tutte le finalità che esse si proponevano ponendole in essere.

186Così C. Osti, Operazioni di concentrazione, Diritto antitrust italiano, Bologna, Zanichelli, 1993, pag. 610 e

La normativa italiana, a differenza di quella comunitaria che prevede che la decisione che dichiara la concentrazione compatibile, riguarda anche le restrizioni direttamente connesse alla realizzazione della concentrazione e ad essa necessarie, non contiene alcuna disposizione in proposito, ma l’Autorità, fin dall’inizio della sua attività, ha correttamente ritenuto di esaminare le restrizioni accessorie congiuntamente all’operazione di concentrazione e quindi come parte di essa e non come intesa separata187.

L’art. 7 costituisce il naturale completamento dell’art. 5 relativo alla nozione di concentrazione, definendo la nozione di controllo, in maniera sostanzialmente identica alla normativa comunitaria, con l’aggiunta del riferimento all’art. 2359 del Codice civile188.

Si tratta quindi di una nozione molto ampia, che ricomprende tutte le ipotesi che conferiscono ad uno o più soggetti la possibilità di esercitare un’influenza determinante sull’attività di un’impresa, la quale si sostanzia nella possibilità di determinare il