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Cap.II: Una ragione sociale

II.2. Amicizia e solidarietà

La ragione sociale si fonda su un legame e lo esplicita, come forma di solidarietà che unisce gli uomini. Questo senso di appartenenza ad una comunità401, in cui vige

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Ivi, pp. 72-73.

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La sottolineatura e particolare valorizzazione da parte di Gadamer dell’appartenenza ad una comunità e del radicamento in una tradizione portano con sé un problema culturale e relazionale, tanto più sentito in un’epoca di interdipendenza come l’attuale: la difficoltà del rapporto con chi non condivide la nostra stessa cultura, con l’altro letteralmente extracomunitario. Di un invito alla riflessione critica sul modo di porsi dell’ermeneutica gadameriana davanti a questa problematica si fa portatore F. Bianco, Pensare

l’interpretazione: Temi e figure dell’ermeneutica contemporanea, Roma, Editori Riuniti, 1991, pp. 136 -

137, evidenziando il rischio che la filosofia di Gadamer si mantenga entro una prospettiva esclusi vamente eurocentrica. La probabilità di questo sbocco e la credibilità di questa lettura vengono sostanzialmente confermate in F. Rodi, Problemi della comprensione interculturale. Alcune domande critiche alla

filosofia ermeneutica, in AA. VV., Gadamer: bilanci e prospettive, a cura di M. Gardini e G. Matteucci,

atti del convegno svolto in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (Bologna, 13-1 5 marzo 2003), Macerata, Quodlibet, 2004, pp. 15 -30; mentre ancora ivi esplicita il suo disaccordo con queste tesi R. Dottori, L’eredità di Gadamer. Interpretazione, legittimazione di sé e dialogo

l’attenzione ad un bene comune, la pratica della sua coltivazione e cura, è il noi o terreno della relazione in cui si costituisce l’identità soggettiva: terreno in assenza del quale questa soggettività viene spesso a mancare o a perdersi ed alienarsi. Si realizza così, in assenza dell’elemento della solidarietà umana, l’esperienza dell’isolamento e dell’autoalienazione dell’individuo. Gadamer dedica alcune pagine402 a questi fenomeni, e con essi alle tematiche dell’amicizia. Anche qui, la sua bussola è la cultura ed il pensiero dei Greci, in cui esisteva il termine philia, con un arco assai ampio di significati, corrispondente pressoché interamente al panorama delle modalità di relazione interumana.

Il punto di partenza ci sembra essere il fatto che l’individuo umano si regge sul rapporto con gli altri uomini: la vicinanza con gli altri è un sostegno. Ed è particolarmente significativo il fatto che l’amore per gli altri trovi una corrispondenza nel rapporto con Dio. Entrambe le relazioni hanno il loro nucleo portante nella costituzione di un senso di partecipazione a qualcosa di condiviso. Gadamer cita un detto di Euripide: “Abbracciare gli amici, questo è Dio”, e Hölderlin che considera Dio una sfera comune. Ma ancor più chiarificante è il modo in cui la comunanza emerge nell’isolamento: “ciò di cui nel dolore dell’isolamento si rimpiange il venire meno o la perdita, è il trovarsi in una sfera comune e l’essere sostenuti da qualcosa di comune”403.

Gadamer differenzia la solitudine dall’isolamento: come quest’ultimo è una perdita, quella è una rinuncia. Ma in entrambe le condizioni il senso è dato dal rapporto con gli altri. Nell’isolamento il singolo prova sofferenza per il venir meno della familiarità con gli altri, la soggettività e l’identità individuale naufragano al largo di quel porto che è il legame di intimità con gli altri, ed il sentirsi vicini viene sopraffatto da una dolorosa lontananza. Nella solitudine la coscienza ricerca uno spazio proprio e personale in cui coltivare la nostalgia di quello stesso legame, una vicinanza così preziosa che non può essere facilmente sostituita, e che richiede di essere coltivata nell’interiorità, al riparo da ciò che non ne fa parte ed è altro: “chi ama cerca la interculturale, pp. 169 -192, riconoscendo in alcune parole chiave del pensiero di Gadamer, quali la

ragionevolezza come esito universale del confronto fra diverse ragioni particolari ed il principio dialogico le basi per un’apertura all’irriducibilmente altro, dalla quale sola può avere origine ed emergere anche la legittimazione di sé.

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H. G. Gadamer, Vereinsamung als Symptom von Selbstentfremdung, conferenza tenuta il 4 giugno 1969 nel quadro del ciclo di conferenze pubbliche dell’Università di Berna sul tema “L’isolamento nella società moderna”. E’ stata pubblicata per la prima volta in “Wissenschaft und Praxis in Kirche und Gesellschaft”, 59, 1970, pp. 85-93, poi in Lob der Theorie. Reden und Aufsätze, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1983, pp. 123-138; tr. it. a cura di F. Volpi, L’isolamento come sintomo di autoalienazione, in

Elogio della teoria, Milano, Guerini e Associati, 1989, pp. 93-102.

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solitudine, perché la nostalgia, questo sentirsi attaccato a qualcosa di assente che nulla di presente potrebbe sostituire, lo appaga completamente”404. Il rapporto con la propria biografia e con la sua storia di relazioni è l’elemento dominante nella solitudine. Così abbiamo la solitudine del vecchio, che tende a mantenere il legame con ciò che è stato: “il vecchio, poiché può riguardare e riguarda troppe cose nel passato, è per gli altri inaccessibile”405. Quella del vecchio è però una solitudine che non viene cercata: e come essa sono le solitudini del potente e del saggio. Il potente vede la sua solitudine crescere attraverso mille adulazioni e circondarsi della paura, tanto che egli diventa facilmente dispregiatore dell’uomo. Il saggio invece vive il distacco dalle passioni effimere degli altri uomini, conosce i limiti di certe esaltazioni umane, ha il senso della misura rispetto alle cose mondane.

“Il saggio è solo perché non condivide gli interessi degli altri, poiché non gli è possibile, grazie al suo bagaglio di esperienze e al suo modo disincantato di guardare la realtà, condividere l’entusiasmo degli altri. Il grande esempio di tale solitudine è lo Zarathustra del poema di Nietzsche, che deve sempre tornare a cercare la solitudine. Ciò che lo rende così solitario è il sapere, un sapere che lo separa da tutti gli altri e che lo perseguita per tutta la storia della sua vita solitaria: la convinzione del crollo di tutti i valori tradizionali.”406

Queste esperienze, in cui l’uomo perde il senso di familiarità con gli altri, come nell’isolamento, oppure conserva la nostalgia per una familiarità non più presente, e si allontana da chi gli sta materialmente accanto, come nella solitudine, segnalano l’indissolubile bisogno dell’uomo di una qualche forma di solidarietà con i suoi simili, riconducibile al vasto campo dell’amicizia, della philia. Gadamer ricorda l’ampiezza di questo concetto greco: “comprende tutte le forme di convivenza umana, le relazioni d’affari come l’essere compagni in guerra, il lavorare insieme come le forme di vita del matrimonio, della formazione sociale di gruppi e della costituzione di partiti politici, in breve, tutto il complesso della vita umana comunitaria”407. La sottolineatura gadameriana riguarda il nesso tra amicizia e comunanza o solidarietà. E’ questa l’essenza dell’amicizia, il compartecipare, condividere. Queste considerazioni non rammemorano esclusivamente uno stato di cose passato, ma si volgono a fondare una nuova convivenza, poiché senza forme di solidarietà la vita umana non può reggersi. Ma la solidarietà e l’amicizia con gli altri si connettono anche con il saper essere amici di se stessi, che “ha come risultato l’apprezzamento della solitudine e rende possibile la

404 Ivi, pag. 95. 405 Ibidem. 406 Ibidem. 407 Ivi, pag. 100.

capacità dello stare-da-soli”408. Vi è persino un credibile parallelo, evidenziato da Platone, fra la solidarietà sociale fra gli uomini e la solidarietà interna al singolo individuo. Come il corpo sociale è composto da parti, che necessitano di trovare una loro coordinazione, fondata sul riconoscimento di un bene comune e sulla sua coltivazione, così anche l’anima e la persona hanno bisogno di trovare una propria interna unità, di sapersi governare e cogliere un senso di identità nel percorso dell’esistenza.

“Platone ha fondato tutto il suo progetto dello Stato utopico sull’idea che lo Stato è un’immagine dell’anima su scala maggiore. Lo strano edificio statale da lui descritto, con la sua suddivisione in tre ceti fissi e con la sua istituzione di un ceto di guardiani che guida sapientemente le sorti della comunità, vuole illustrare che cosa è e che cosa può l’anima umana. La sua idea di una costituzione che esclude la discordia interna e riunisce tutti i membri dello Stato in una forza di azione solidale riflette il fatto che anche l’anima umana, nonostante tutti i suoi conflitti e le sue tensioni istintuali, può dominare la propria autolacerazione ed è capace di arrivare all’unità su una cosa. La disposizione interiore dell’uomo e la sua socievolezza sono in fondo una sola cosa. Solamente chi è amico di se stesso può inserirsi nell’ordine comune.”409

La solidarietà come connessione necessaria all’interno dell’uomo singolo e nella società interumana, e in quest’ultima base per lo sviluppo delle soggettività individuali: è questa l’immagine che Gadamer ci rimanda, di un mondo umano che non può fare a meno dei legami, in cui le parti e gli individui si formano in relazioni indispensabili, in un essenziale essere e stare-con. E sia nell’individuo che nella società la solidarietà è fondamento di un ordine, che prelude al riconoscimento di sé. Se la soggettività umana presuppone un’identità individuale unitaria ed una coscienza di sé, un sapersi ed un riconoscersi, ecco che l’alienazione è una modalità di negazione della soggettività stessa. Ed una delle forme possibili dell’autoalienazione umana è l’asocialità. Per questo, Gadamer considera il trovare il proprio posto nella società, affermare il legame che ci unisce agli altri uomini, come modi per vivere in amicizia con se stessi.

“E’ noto il caso dell’asociale nel senso strettamente psichiatrico del termine. E’ esattamente caratterizzato dal fatto che gli sono sfuggite e si sono spezzate in lui la fiducia e la capacità di convivere con se stesso, l’unità con se stesso. Amicizia significa dunque qui un atteggiamento umano fondamentale, che io vorrei chiamare con Hegel "sistemarsi".”410

Prendendo spunto dalla dialettica hegeliana tra servo e padrone, Gadamer può far notare come il saper fare sia da una parte elemento costitutivo dell’autocoscienza e dell’identità individuale, dall’altra ancor più un fattore di promozione della solidarietà: questo perché la competenza individuale, l’avere coscienza del proprio contributo al bene comune, tanto più in società basate sulla distribuzione del lavoro, sui compiti

408 Ivi, pag. 101. 409 Ibidem. 410 Ibidem.

differenti affidati ai singoli, “la responsabilità specifica nella professione, il sapere che condivido con altri e che faccio controllare da altri, sono figure della solidarietà che rinviano a una possibilità intima e fondamentale dell’uomo di installarsi, anzi, di creare un rapporto di amicizia con se stesso e con il mondo con cui si lavora.”411

Esiste comunque uno scritto in cui Gadamer esplicitamente tematizza il nesso tra amicizia e solidarietà412. Qui Gadamer prende spunto significativamente dall’affermazione di Jaspers per cui il ventesimo può essere considerato il secolo della responsabilità anonima. Detto in altri termini, ciò vuol dire che è il secolo in cui più piena e drammatica è risultata la perdita di soggettività da parte dell’uomo, il suo disconoscimento. Per estensione, comporta ancora la perdita globale di identità, l’alienazione, la difficoltà ad assumere il proprio destino, ad accettarlo e prendersene carico, riconoscendo così se stessi; e da qui il mancato riconoscimento reciproco, il diventare un numero, perdere e mancare del legame di solidarietà e coappartenenza così ben rappresentato nel sentimento dell’amicizia. Così, l’approfondimento dei concetti e del nesso che li unisce viene condotto da Gadamer in particolare in relazione ad un contesto ampio ma definito, quello della vita umana nell’epoca contemporanea.

Il riferimento rimane in ogni caso all’ampia elaborazione dei Greci e sempre alla loro philia. E’ questo patrimonio che costituisce il materiale su cui si forma la tradizione umanistica. E in esso si scorge una tensione fra amicizia e solidarietà, nei modelli letterari degli amici inseparabili. L’amicizia si manifesta attraverso una solidarietà dichiarata, che si tratta perciò di definire nei suoi caratteri. La specificità della nostra epoca è però il venir meno di esperienze tali da permettere la verifica della fedeltà dell’amicizia. In generale l’amicizia comporta naturali obblighi reciproci: ma essa è più un qualcosa da vivere che un concetto da definire. Con buona facilità l’amicizia viene vissuta in un raggruppamento: ma anche Platone trovò difficoltà a descriverla attraverso le parole. Nel Liside413, Socrate interroga due giovani al riguardo, e constata come per essi sia arduo esprimerne il senso. Nelle pieghe del dialogo, iniziano a comparire delle prime sfumature e qualità. Non è una questione che riguardi gli uomini uguali, ma un

411

Ivi, pag. 102.

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H. G. Gadamer, Freundschaft und Solidarität, prima pubblicazione in Konstanten für Wirtschaft und Gesellschaft, Festschrift für Walter Witzenmann, Bd. 3, hrsg. V. J. Rothfuß und H. -E. Koch, Konstanz, Labhard, 1999, pp. 178 -190; poi in Hermeneutische Entwürfe. Vorträge und Aufsätze, Tübingen, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), 2000, pp. 56-65; tr. it. di R. Dottori, Amicizia e solidarietà, in La responsabilità del

pensare, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 64-74.

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sentimento rivolto a qualcuno che sentiamo particolare, tanto da provare nei suoi confronti ammirazione e amore. In parte l’amicizia è rivolta verso un’altra persona che è per noi un modello. L’amicizia come concetto appare celato, eppure è fondamentalmente il familiare, ha a che fare con il sentirsi a casa propria. Gadamer intuisce un legame fra l’amicizia e l’economia, le regole della casa. Così si collega alla patria e al luogo natío, che rappresenta una comunione ed una solidarietà autentica. La solidarietà con il familiare, nella cultura greca, è detta con una parola precisa, “philautía, "amore di sé". E’ di questo che si tratta; mantenere nell’amore di sé la vera motivazione e la condizione per ogni legame con l’altro, così come l’impegno nei confronti di qualcuno”414.

La connotazione negativa che ad una prima impressione attribuiamo all’amore di sé, inteso come amor proprio, è il segnale di una fuorviante interpretazione di questo sentimento. In realtà, amore di sé e amicizia vanno strettamente abbracciati: non è possibile provare il sentimento di solidarietà verso l’altro se non si tiene un atteggiamento positivo verso di sé, se non si ha cura di sé. Anche qui, Gadamer ascolta Platone.

“Il vero amore di sé […] consiste nel fatto che si deve essere sempre d’accordo con se stessi. Che si debba essere in accordo con se stesso quando si vuole essere un amico per l’altro, o anche solo un amante, anche solo un amico d’affari, anche solo un collega di lavoro. Colui che non è in accordo con se stesso troverà dovunque, nella vita in comune con gli altri, ostacoli ed estraneità.

Ora, una cosa è certa: casa e luogo natío, questo è il luogo della vita comune. Questo non vuol dire avere delle convinzioni comuni, questo non vuol dire neanche avere una comunanza di inclinazioni e di interessi. Non è questo tutto quel che si vorrebbe nominare quando si dice: perché qualcuno ti è così caro? Perché è così uguale a me? No, non è l’unità di intenti. Neanche questi grandi modelli greci di coppie di amici, ad esempio i tirannicidi, che nella vita pubblica di Atene hanno giocato un ruolo enorme come modello di ammonimento; e neanche quelle amicizie giovanili di cui in tedesco siamo soliti dire che siano un solo cuore ed una sola anima. I Greci dicono per tutto questo: mia psiché.

E’ questa la vera amicizia? No, neanche questa. La tesi ardita è: anzitutto v’è bisogno dell’amicizia con se stessi.”415

Quindi, proprio quando stiamo cercando il senso della relazione fondamentale tra gli uomini, dove dovrebbe assumere maggiore importanza e centralità il legame e l’incontro con l’alterità esterna, ecco che Gadamer trova invece fondamentale rivolgersi anche all’interno di noi stessi. Se provando a ridefinire la soggettività, la consideriamo come la padronanza della nostra identità individuale, come l’abitare della coscienza in una casa propria, che cosa meglio di un accordo con se stessi può descriverla? La soggettività quindi va di pari passo e cammina abbracciata alla solidarietà amicale, l’una

414

HGG, Amicizia e solidarietà, cit., in La responsabilità del pensare, 2000, cit., pag. 69.

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si sente perduta senza l’altra, esse sono inseparabili. Da queste riflessioni l’interrogazione gadameriana si sposta verso il tentativo di comprensione dell’abitare, ovvero dell’ethos e dell’oikos insieme: che cos’è una vera casa? Qui è necessario domandarsi che cosa comporti e significhi abitare insieme, vivere insieme, per comprendere il senso della vera amicizia e del rapporto di intimità più profondo.

“Noi ci chiediamo che cosa sia un oikos, cosa sia una vera casa, e con ciò una vera amicizia. Non si può dire: c’è qualcosa di determinato in lui che mi piace, e per cui egli è mio amico. – Noi dobbiamo naturalmente pensare sempre nella nostra società all’amicizia tra uomo e donna, come tra padre e figlio. Dobbiamo anche riconoscere l’amicizia matrimoniale, cioè l’amicizia nel matrimonio, come uno dei massimi esami della vita umana, in cui l’alterità, l’altro, l’alterità dell’altro si eleva alla forma della vita in comune e alla mutua comprensione.”416

Nello stesso tempo dobbiamo procedere all’esame interiore, all’ascolto di noi stessi, all’esplorazione della dimora spirituale, dell’anima, della coscienza. Il riconoscimento, di noi stessi e dell’altro, e non solo dell’essere simili in quanto uomini, ma della diversità, è il presupposto dell’amicizia.

“E’ questa una ben nota storia, dice Socrate, noi dobbiamo imparare a conoscere noi stessi. Si conosce quel detto famoso "Conosci te stesso", quel detto del tempio di Delfi, che resta sempre impresso nell’uomo: "Conosci te stesso". Il che significa, riconosci che sei un uomo, e non un inviato della Provvidenza divina, o unto di un particolare carisma, al quale è concesso per così dire, al di qua o al di là di ogni obbligo, privilegio, vittoria e successo. Niente di tutto questo.

Questa è dunque chiaramente l’amicizia, come aggiunge Aristotele, e cioè il fatto che ci si riconosca nell’altro, e che anche l’altro si riconosca in noi. Non solo nel senso di: egli è così. Piuttosto anche nel senso che ci concediamo l’un l’altro di essere diversi, e che addirittura possiamo dire con Droysen: "Così devi essere, perché così ti amo". In breve, questa è la vera amicizia. Aristotele la chiama l’amicizia della Areté.“417

Ma l’eccellenza della virtù è qualcosa di insuperabile, ed insieme qualcosa che nessuno potrà mai raggiungere, una vetta massima. E’ più utile cercare di comprendere ancora che cosa è il familiare dell’amicizia, l’abitare la stessa casa, l’oikeion. Il familiare ci porta a vedere che cosa fonda la comunanza, l’unione degli inseparabili.

“L’oikeion è […] ciò che alla fine fonda la costituzione di una comunità familiare – rinuncia e guadagno. Sono queste delle specie di un concetto universale dell’amore? Certamente no. I Greci hanno qui pensato un pensiero decisivo. E’ il pensiero dell’analogia, della comunità analogica. Esso acquista per la prima volta con l’Accademia e con Aristotele un valore decisivo, ed è noto soprattutto nella dogmatica cristiana, anche perché rende pensabile il rapporto tra creatura e creatore. L’analogia rende possibile mettere in rapporto, nonostante tutto, anche ciò che è imparagonabile ad un possibile paragonabile. Questo è tutto per l’analogia. Essa ci dice che l’amicizia fanciullesca non è semplicemente questa concorrenzialità con la quale si vuole dimostrare se stesso all’altro. No, essa contiene già qualcosa dell’essere insieme, e dell’essere l’uno per l’altro che è proprio della gara. Perciò questa gara è amicizia, e tuttavia diventa vera amicizia soltanto quando comincia a formarsi in essa l’accordo dell’intera vita.”418

416 Ivi, pag. 70. 417 Ibidem. 418 Ivi, pag. 71.

Quindi, la solidarietà e la comunanza stanno appunto nel riconoscersi insieme simili e diversi, nel potersi paragonare l’un l’altro, pur essendo imparagonabili. Ma per quanto Aristotele abbia parlato di amicizia dell’areté, così come per la salute, anche per l’amicizia si verifica l’impossibilità a raggiungere il bene, uno stadio perfetto. Nessuno di noi è un modello assolutamente privo di difetti, ma è un essere reale. L’essere è il