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Cap.II: Una ragione sociale

II.1. Le parole per la ragione sociale

II.1.1. Cultura

Nelle pagine che in Verità e metodo dedica al concetto di Bildung, Gadamer esplicita

immediatamente come la cultura, alla stregua di ciò che nello stesso volume dirà del linguaggio, vada considerata nella sua funzione e struttura mediale. Dal problema del metodo, e dalla diversa posizione che rispetto a tale questione hanno occupato ed occupano le scienze della natura e le scienze dello spirito, egli può dapprima evidenziare come le seconde, “nel clima culturale instaurato dal classicismo tedesco, svilupparono l’orgogliosa coscienza di essere le vere depositarie dei valori dell’umanismo”320; e quindi può far notare come lo stesso classicismo tedesco avesse dato un contenuto radicalmente nuovo al concetto di umanità, già ideale della ragione illuministica. Queste premesse portano all’emergere dell’idea di cultura, in particolare

315

Cfr. i loro interventi nel volume Ermeneutica e critica dell’ideologia, cit..

316

Cfr. Ret orica, ermeneutica e critica dell’ideologia, cit., in Ermeneutica e metodica universale, cit.,

pag. 58. 317 Ivi, pag.60. 318 Ivi, pag. 61. 319 Cfr. ivi, in particolare pp. 64-65. 320VM, pag. 31.

attraverso la valorizzazione di essa da parte di Herder321, come “cultura dell’umanità”322, e ad una prima indicazione della cultura come medium, nell’affermazione che “quest’idea costituisce l’elemento nel quale vivono le scienze dello spirito del secolo XIX”323.

In effetti, gli aspetti della cultura che maggiormente giungono in primo piano con l’esaltazione herderiana di essa come “innalzamento all’umanità” sono il suo carattere processuale e quello assiologico. Nell’analisi della storia del concetto, Gadamer rivolge la sua attenzione a come il singolo uomo forma se stesso e viene formato nel commercio della cultura, ossia nel rapporto con il patrimonio di idee e di elaborazioni dello spirito che si sono consolidate nella sua realtà di origine. Nel senso pedagogico della cultura come attività di coltivazione e cura, il confronto è con una formazione naturale, o con la coltivazione delle disposizioni, facoltà, talenti individuali. Quest’opera da giardiniere, che ognuno può compiere o meno verso se stesso, non esaurisce però il significato della cultura, e anzi non ne comprende il senso fondamentale ed umano. Il valore della Bildung si coglie in maniera piena se si distingue la sua differenza dalla Kultur intesa come mera coltivazione di talenti preesistenti, da una parte, e dall’altra se si intuisce la valenza mistica o religiosa del termine. Ecco allora che Gadamer cita von Humboldt: “quando nella nostra lingua parliamo di Bildung, intendiamo con questo termine qualcosa di più alto e insieme di

più intimo, cioè quella peculiare disposizione spirituale che la conoscenza e il sentimento, intesi come atto di tutto lo spirito e di tutta la moralità, producono riflettendosi sulla sensibilità e sul carattere”324. Questo è il primo riferimento: l’altro, che ci ricorda la suggestione religiosa della somiglianza dell’uomo a Dio, dice che “l’affermarsi della parola Bildung richiama l’antica tradizione mistica, per la quale l’uomo porta nella propria anima l’immagine (Bild) di Dio, secondo la quale è creato, e

deve svilupparla in sé”325

321

Cfr. J. G . Herder, Auch eine Philosophie der geschichte zur Bildung der Menaschheit, 1774, tr. it. Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità. Contributo a molti contributi del secolo,

introduzione e traduzione di F. Venturi, Torino, Einaudi, 1951, 1971; e Id., Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, 1784-1791, tr. it. Idee per una filosofia della storia dell’umanità, a cura di V.

Verra, Bologna, Zanichelli, 1971.

322VM, pag. 31. 323Ibidem. 324

W. von Humboldt, Gesammelte Schriften, ed. dell’Accademia di Berlino, 1904 ss., vol. VII, 1, pag. 30,

cit. in H. G. Gadamer, VM, pag. 33, nota ***.

Una dialettica importante nel concetto di cultura è quella fra il suo aspetto processuale e l’esito che questo processo produce. Nel momento in cui ne mette in evidenza l’essere un medium per la formazione dell’uomo, Gadamer dà risalto al taglio sincronico: ma poi dichiara questa esclusiva attenzione come un limite nella comprensione di ciò che è veramente la cultura.

“Dalla consuetudine di appiattire il divenire sull’essere dipende il fatto che Bildung

(come l’altro termine moderno di Formation) stia ad indicare piuttosto il risultato di questo

processo che il pro cesso stesso. Questo appiattimento del significato è particolarmente unilaterale proprio in questo caso, giacchè il risultato della Bildung non viene ottenuto come nel

caso di una produzione tecnica, ma sorge dall’intimo processo della formazione e della cultura e, perciò, sussiste come permanente processo di sviluppo e di formazione ulteriore. Non è un caso che, in questo, la parola Bildung sia simile a quella greca di physis. Come la natura, la cultura

non conosce fini al di fuori di se stessa. [… ] Appunt o per questa ragione, il concetto di cultura trascende quello di una pura coltivazione di disposizioni preesistenti, dal quale deriva. La coltivazione di una disposizione è lo sviluppo di qualcosa di dato, sicchè l’esercizio e la cura di essa non è altro che semplice mezzo in vista del fine. Così la materia di un manuale di lingua è puro mezzo e non fine essa stessa. L’assimilarla serve solo ad impadronirsi della lingua. Nell’autentica cultura, invece, ciò in cui e mediante cui ci si forma viene, come tale, fatto interamente proprio. In questo senso, ciò che entra nella cultura scompare in essa risolvendovisi, ma non come un semplice mezzo che ha perduto la sua funzione. Anzi, nell’acquisizione di una cultura nulla scompare, ma tutto viene conservato. Cultura, in questo senso, è un autentico concetto storico, e proprio questo carattere storico di "conservazione" è quello che importa alle scienze dello spirito.”326

Nella cultura, il fine non è predeterminato ed estrinseco, ma è nel processo stesso di formazione della cultura. Questo aspetto caratterizza la cultura come prassi e non come

techne. Si tratta di una dimensione in cui non sappiamo preventivamente dove

arriveremo, né esattamente dove vogliamo arrivare, perché tutto questo emerge nel fare della cultura. Questo dimostra come alla cultura si attagli quel rapporto tra particolare ed universale che nell’ermeneutica gadameriana è presentato come peculiare del processo interpretativo: il particolare non è un semplice caso di applicazione dell’universale, ma l’applicazione è già inserita nel comprendere, processo unitario che comporta sempre uno scarto, un’eccedenza rispetto alla legge. In realtà, questa problematica attiene alla cultura anche per la specificità dell’essere dell’uomo. L’uomo non è così predeterminato in maniera piena dall’istinti: ovvero la sua formazione non si realizza attraverso una mera applicazione di schemi dati corrispondenti all’essenza della specie, ma manifesta sempre la singolarità di ciascun uomo. Per questo è determinante l’interiorizzazione, il fare propria la cultura: la soggettività è fatta di un’appartenenza vissuta alla comunità umana, significa capacità di stare nel dialogo con gli altri uomini, riconoscimento reciproco fra unici, non scambiabili esseri umani. La cultura che entra

in questo processo formativo diventa cosa propria per il singolo, soggettività come qualcosa che si conserva, permane, produce ulteriore formazione umana.

Per entrare nel profondo e nel pieno del senso della cultura, Gadamer si attiene strettamente ad un confronto con Hegel, alle sue opere Propedeutica filosofica327

e

Fenomenologia dello spirito. La prima osservazione che Gadamer estrapola da Hegel è

ancora sulla linea della considerazione mediale della cultura:

“Egli ha anche visto giustamente che "la filosofia ha nella cultura la condizione della sua esistenza"; e noi aggiungiamo: non solo la filosofia, ma anche le scienze dello spirito. Giacchè l’essere dello spirito è essenzialmente connesso con l’idea della cultura.”328

La cultura è costitutiva dello spirito, è la materia di cui esso è formato e la sostanza in cui esso vive. Come avviene questa formazione? Nell’idea dell’uomo che qui Gadamer sottintende è presente un aspetto ontologico, un essere e modo d’essere, ed un divenire, una necessità di compiersi e di svilupparsi in direzione ed in coerenza con tale modo d’essere che, sebbene riconosciuto come status, può conoscere un fallimento della sua realizzazione, una sconfitta esistenziale, un naufragio. Non è pienamente esplicato sinchè permane in una dimensione prevalente di virtualità, di possibilità d’essere. Questa dialettica di essere e divenire, che si potrebbe tradurre in una sorta di ontologia normativa del diventare uomo, è resa più chiaramente nella successiva indicazione gadameriana di umanità.

“L’uomo è caratterizzato dalla rottura con l’immediato e il naturale, rottura che gli è imposta dalla parte spirituale, razionale, della sua essenza. "Sotto questo aspetto, egli non è per natura ciò che deve essere", e perciò gli occorre la cultura.”329

Abbiamo già notato ed evidenziato i due aspetti fondamentali della cultura, strettamente intrecciati, quello processuale e quello mediale. Ciò che ancora dobbiamo sottolineare è

327

Cfr. G. W. F. Hegel, Philosophische Propädeutik, tr. it. Propedeutica filosofica, traduzione,

introduzione e note di G. Radetti, Firenze, La Nuova Italia, 1977 (ristampa di Firenze, Sansoni, 1951): qui in particolare Gadamer si riferisce ai §§ 41 -45, compresi nei “Doveri verso se stesso” (§§ 41-48), dei quali riportiamo alcuni passi più strettamente connessi al discorso gadameriano.

“L’uomo come individuo è in relazione con se stesso. Egli ha il doppio aspetto della sua singolarità e della sua essenza universale. Il suo dovere verso di sé è, pertanto in parte la sua conservazione fisica, in parte l’elevazione della sua singolarità alla sua natura universale, la sua cultura, Spiegazione. L’uomo è, da un lato, un essere naturale. Come tale egli si comporta secondo arbitrio e casualità, come un essere instabile, soggettivo. Egli non distingue l’essenziale dall’inessenziale. – In secondo luogo è un essere spirituale, razionale. Da questo lato egli non è naturalmente ciò che deve essere. L’animale non ha bisogno di cultura poiché esso è naturalmente ciò che deve essere. Esso è soltanto un essere naturale. L’uomo però deve far concordare i suoi due lati, ossia rendere predominante l’ultimo. L’uomo per es., non ha cultura quando si lascia andare alla sua ira e agisce ciecamente secondo questa passione, poiché in ciò egli considera un danno.”, § 41.

“Per ciò che si riferisce ad una determinata professione, che appare come un destino, bisogna in genere togliere ad esse forma di una necessità esterna. Bisogna assumerla liberamente e con la stessa libertà sostenerla e portarla al suo fine.”, § 44.

328VM, pag. 34. 329Ibidem.

che entrambi ci portano a vedere l’insufficienza di una fantomatica soggettività originaria concepita come autonoma ed isolata, pressochè autosufficiente. L’aspetto mediale infatti concerne l’impossibilità all’esistenza di uno spirito che non nuoti nella cultura, la quale è condizione della sua possibilità e del suo essere. L’aspetto processuale invece ci rimanda al fatto che vi deve essere qualcosa che irriga questa formazione culturale, questo diventare se stesso dell’uomo oltre la mera naturalità ed immediatezza. E tutto questo significa il limite della particolarità individuale dell’uomo e la sua necessità di trascendersi ed innalzarsi all’universalità.

“ Ciò che Hegel chiama l’essenza formale della cultura consiste nella sua universalità. Proprio in base a questo concetto di innalzamento all’universalità Hegel potè abbracciare in un unico concetto quello che la sua epoca intendeva per cultura. Innalzamento all’universalità non è limitato alla cultura teorica e non significa in generale solo un comportamento teoretico in opposizione al comportamento pratico, ma designa la determinazion e essenziale della razionalità umana nel suo insieme. E’ essenza generale di tutta la cultura umana quella di costituirsi come essenza spirituale universale. Chi si abbandona alla particolarità non è colto: così, per esempio, colui che si lascia andare alla propria cieca ira senza misura né proporzione. Hegel mostra che una persona simile, in fondo, manca di capacità di astrazione: non riesce a prescindere da se stesso e porsi da un punto di vista universale dal quale potrebbe determinare il suo particolare secondo misura e giusta proporzione.

La cultura come innalzamento all’universalità è dunque un compito dell’uomo, che esige il sacrificio della particolarità all’universale.”330

A nostro parere, il dire che “innalzamento all’universalità […] designa la determinazione della razionalità umana nel suo insieme” orienta già chiaramente l’ermeneutica filosofica verso una idea di ragionevolezza, che si differenzia da una prospettiva logico-formale, di ragione dimostrativa, matematica, calcolante. Se poi scopriremo con Gadamer, come avverrà, che egli intende per l’uomo i punti di vista universali come punti di vista di possibili altri, ecco che siamo rimandati a ciò che unisce, ad una comunanza, ad una ragione che si forma nello scambio tra gli uomini e nella socialità, costruendo un sostrato d’intesa, delle parole e dei discorsi onnicomprensibile: la ragione sociale come il terreno su cui la coscienza individuale si fonde e dissolve in un ethos, ed ancor meglio in una solidarietà riconoscibile.

Ma qual è più precisamente il modo della partecipazione del singolo, e del suo particolare, a questo innalzamento all’universale? Dove si ferma la coscienza, e come esattamente si lega all’universale? Proseguendo sulla scorta dei testi hegeliani, Gadamer esemplifica il tutto con l’esperienza del lavoro.

“Sacrificare la particolarità significa, negativamente, controllare gli appetiti sensibili, conquistando la libertà dal loro oggetto e quindi la libertà per l’oggettività dell’oggetto stesso. Qui le deduzioni della dialettica fenomenologica completano ciò che era detto nella propedeutica. Nella Fenomenologia dello spirito Hegel sviluppa la genesi di una autocoscienza

reale libera "in sé e per sé" e mostra che l’essenza del lavoro è costruire la cosa, non consumarla

330

e dissolverla 331. La coscienza che lavora, nel sussistere autonomo che il lavoro conferisce alla cosa, ritrova se stessa come coscienza autonomamente sussistente. Il lavoro è appetito sensibile dominato. In quanto forma l’oggetto, cioè opera disinteressatamente e si pone per fine qualcosa di universale, la coscienza che lavora si innalza dalla propria particolarità immediata all’universalità – o, come dice Hegel, in quanto forma (bildet ) la cosa, essa forma se stessa. Egli

intende dire con ciò che l’uomo, in quanto si trova a possedere un "potere", certe capacità, possiede anche una certa consapevolezza di sé. Ciò che sembrava gli fosse negato nel disinteresse del servire, in quanto si sottometteva completamente a un volere estraneo, lo trova nel suo essere una coscienza che lavora. In quanto tale, l’uomo trova in sé una volontà propria, e quindi è perfettamente giusto dire del lavoro che esso forma (bildet ). La consapevolezza della

coscienza che lavora contiene in sé tutti i momenti costitutivi della cultura morale: distacco dall’immediatezza degli appetiti, del bisogno individuale, dell’interesse particolare, esigenza di universalità.”332

Si palesa in queste osservazioni gadameriane l’essere di una coscienza rivolta al mondo, il dato originario di un rapporto tra coscienza, potere, oggettività esterna, alterità. La coscienza si nobilita nel costruire qualcosa, nella produzione e nel lavoro: non solo, ma ha propriamente origine in questa dinamica, nell’incontro e nell’impegno dell’uomo che fa proprio l’oggetto altro, uscendo da una condizione di monade, confrontandosi con ciò che gli sta attorno. L’incontro con l’oggettività di ciò che è altro, con la resistenza della cosa, è il sapere che fonda un potere dell’uomo, e da questo sapere e potere nasce una “certa consapevolezza di sé”: anche qui, siamo su un procedimento opposto a quello che Gadamer aveva ritrovato nella soggettività cartesiana, in cui l’inizio era il sapere certo di sé, che produceva un potere, una capacità di dominio e un sapere delle cose e del mondo esterni all’individuo soggetto. Questa linea interpretativa è quella che ci convince maggiormente: una soggettività umana che in Gadamer si esplica fondamentalmente come coscienza morale.

L’esempio del lavoro è ulteriormente precisato dalla questione affine della scelta di un mestiere. L’aspetto di universalità sta nel rapportarsi a quel che di estraneo vi è in un compito esteriore, non scelto in quanto tale ma incontrato come facente parte dell’insieme delle attività del mestiere. L’estraneità ed il destino, un margine di determinazione subíta, contribuiscono alla costituzione di una cultura morale in quanto richiedono il sapersi limitare, la pratica del governo della propria particolarità, e l’appropriazione dell’elemento di alterità che è nella cosa e nell’opera, appropriazione che produce un contenuto di universalità.

Ciò che si palesa in questa trattazione della cultura come fattore spirituale, razionale, e come processo di appropriazione dell’estraneo, è che tutto questo discorso è

331

Ivi, pag. 35, nota (*): “G. W. F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, ed. Hoffmeister, pag. 148”; tr. it.

di E. De Negri, Fenomenologia dello spirito, Firenze 1963.

connesso con la problematica della soggettività per la non originarietà, il carattere derivato e relazionale che Gadamer attribuisce alla coscienza e all’identità individuale. La preminenza, morale ed ontologica, viene riconosciuta all’incontro con una diversità, il quale incontro avviene su un terreno comune e familiare, e nell’accadere in questo terreno lo rifonda ulteriormente e consolida. Portando il discorso sul piano umano, le parole per dire questa modalità della cultura potrebbero essere i pronomi io, tu, noi; su un piano ontologico o gnoseologico, potremmo così affermare un’inscindibilità, uno stare insieme interconnessi di soggetto, oggetto, relazione.

Il nome di cultura morale che viene dato a questo “sacrificio del particolare all’universale” dà valore sia al contenimento degli appetiti, sia all’iter di alienazione, autotrascendimento e ritorno a sé. Ma questi aspetti già introducono anche alla cultura teoretica.

“Il comportamento teoretico è già di per sé alienazione, ossia lo sforzo "di occuparsi di qualcosa di non immediato, di estraneo, che appartiene al ricordo, alla memoria e al pensiero". La cultura teoretica conduce dunque al di là di ciò che l’uomo sa e sperimenta immediatamente. Essa consiste anche nella capacità di far valere ciò che all’immediatezza non si riduce, nel trovare punti di vista generali per capire la cosa di là dai propri interessi, "l’oggettivo nella sua libertà"333. Proprio perciò ogni acquisto di cultura passa attraverso la formazione di interessi teoretici: Hegel fonda per esempio la necessità particolare di familiarizzarsi con il mondo e la lingua degli antichi sul fatto che questo mondo è abbastanza lontano ed estraneo da provocare quel necessario distacco di noi da noi stessi. "Esso però contiene anche il punto di partenza e i fili conduttori del ritorno a sé, della conciliazione e del ritrovamento di se stesso; di se stesso, però, secondo la vera essenza universale dello spirito"334”335

Qui è molto forte il senso dell’appartenenza e del condizionamento socio- culturale come primi fattori per la costituzione dell’identità individuale, che già Vico esprimeva con la segnalazione della necessità e del valore del racconto dei miti della comunità, ancor più che della riflessione critica, per la prima formazione dell’uomo. Gadamer ci presenta così lucidamente lo stare del singolo entro il fluire di un processo di trasmissione storica:

“ Ogni singolo individuo che si innalza dal suo essere puramente naturale all’esistenza spirituale trova nella lingua, nei costumi e nelle istituzioni del suo popolo una sostanza preesistente che, come accade nell’apprendimento della lingua, deve fare propria. Perciò l’individuo singolo è già sempre sulla via della cultura, ha già sempre cominciato a superare la propria naturalità in quanto il mondo in cui si sviluppa è un mondo formato dall’uomo nella lingua e nei costumi. Hegel sottolinea che in questo mondo è un popolo che si è dato l’esistenza. Non solo: ma si è dato una forma portando alla luce ciò che, in se stesso, è.”336.

333 Ivi, pag. 36, nota (*): G. W. F. Hegel, Werke, cit., vol. XVIII, pag. 62.

334Ibidem; citazione da G. W. F. Hegel, Nürberger Schriften, ed. Hoffmeister, pag. 312, (discorso del

1809), come in nota (**).

335Ibidem. 336

Gadamer prosegue poi la descrizione della cultura, con toni e parole che mostrano tutta la affinità di questa descrizione con la successiva presentazione del linguaggio come

medium vitale dell’esistenza umana: “non è l’estraniamento come tale, ma il ritorno

presso di sé – il quale presuppone bensì l’estraniamento – ciò che costituisce l’essenza della cultura. La cultura non va dunque intesa solo come il processo che compie